Non volevano cambiare il mondo, sapevano che chi prima di loro aveva tentato aveva fallito. Volevano cambiare se stessi.
– Se ci abituano a dover comunicare con piú persone piú cose contemporaneamente, come è possibile che poi ci dissuadano dall’amare piú persone nello stesso tempo? – si chiesero una sera, diverse ore dopo la mezzanotte, mentre aspettavano un’alba alla finestra.
La società era abituata alla monogamia come alla clandestinità, ed essere monogami o clandestini non ammetteva critiche. Non poteva certo dirsi la stessa cosa se invece ad amarsi erano tre individui.
– Anche voi siete amanti? – chiedevano i piú curiosi a Gunther e George. Loro si limitavano a sorridere sotto gli occhi divertiti di Larissa che rispondeva: – Ci amiamo tutti –. Era un modo di ammetterlo mantenendo aperte le possibilità.
Se era pur vero che ognuno di loro, fino a quel momento, aveva avuto una vita dedicata al piacere, era altrettanto vero che quella forma di amore, cosí estesa, non era mai entrata nelle loro esistenze.
Tutti e tre avevano in precedenza avuto occasione di condividere il proprio compagno o la propria compagna con qualcun altro o di essere, sovente, essi stessi l’altro.
Larissa, la piú giovane, aveva nell’ordine fatto l’amore con cinque uomini, stessa sera, stessa stanza. Era poi stata avvicinata da una coppia con la quale si era limitata a tenere le cosce ben larghe per permettere alla lingua di lei di esplorare femminili segreti. L’ultima volta che aveva condiviso il suo corpo con piú d’una persona risaliva a molti anni prima, quando era finita sul divano di un appartamento sconosciuto con due uomini, qualche mese prima di imbarcarsi in una relazione monogama poi in un matrimonio.
Fu durante quel matrimonio che conobbe Gunther, il piú vecchio dei tre. Era quel tipo d’uomo per cui il tempo fatica a passare, ricordando, fra le linee del volto, una fanciullezza mai scomparsa.
Cacciato da tutti gli istituti e i licei di Roma per azioni sovversive e movimenti disturbisti che gli piaceva chiamare «rivoluzioni estetiche», a diciotto anni aveva avviato il commercio dei pappagalli. Li allevava sul balcone di casa e ogni tanto li liberava per la città. Spesso accadeva che i pappagalli ritornassero in gabbia spontaneamente, ma quei pochi che preferivano la libertà creavano piccoli casi sulla cronaca locale.
Lui e Larissa si erano conosciuti a casa di un poeta loro amico molti anni prima, prima che lei incontrasse quello che sarebbe poi diventato suo marito.
Quella notte Larissa non aveva voglia di star fuori, era salita su giusto il tempo di due sigarette ed era andata via, senza ricordare volti e nomi. Aveva dimenticato Gunther già prima di essere arrivata alla fine delle scale, aver chiamato un taxi ed essere ritornata sopra il divano a guardare il soffitto, nel buio e nel silenzio della sua casa. Gunther era rimasto a osservarla mentre si presentava agli altri ospiti e sorrideva con evidente poca voglia di farlo. Lui l’aveva ricordata per un tempo un po’ piú lungo, giusto un paio d’ore, ma la mattina dopo se n’era già dimenticato.
Quello che aveva attirato l’attenzione di Gunther, era stata la strana luce di cui i contorni del corpo di lei parevano circondarsi. Come una farina magica, intangibile, che scendeva dalla testa sulle spalle, si allineava ai seni piccoli e rotondi e si adagiava sui fianchi. Era, quella, una luce che sapeva di mistero, un riverbero arcaico che veniva da lontano, e quanto piú antica era quella luce tanto piú stupiva poiché Larissa, a quel tempo, non aveva nemmeno raggiunto la maggiore età.
Era la poetessa piú giovane della città e il suo nome circolava da qualche tempo negli ambienti letterari. Gunther ne aveva già sentito parlare e adesso che la studiava nel salotto del loro amico, circondata da poeti e letterati, gli pareva inconsapevole del potere che cosí precocemente teneva fra le dita.
Gunther sniffò il suo odore da vicino. «È una furba», pensò, ma non poté non fare caso alla sensazione di purezza che gli arrivava dai suoi capelli sciolti sulle spalle, gli occhi nocciola che si abbassavano quando era sicura che nessuno la stesse guardando.
Si rincontrarono quattro anni dopo. Larissa aveva scritto altre opere, era ancora molto piú giovane di tanti altri poeti, e si era sposata con un marxista suo coetaneo, ecologista, primitivista e pessimista.
Era stata invitata a una lettura di poesie con suo marito Leo, una sera, in un locale di San Lorenzo dove versavano gratuitamente vino poco pregiato nei bicchieri di plastica e tutti in silenzio ascoltavano versi di poetesse anziane con cappellini impagliati su capelli stopposi.
Larissa, davanti al pubblico, ascoltava i suoi pensieri seguendo con gli occhi le macchie sul muro bianco.
Leo, a qualche fila di distanza, teneva le braccia incrociate sospirando e tossendo per la noia. Fra lui e Gunther una rivista di sinistra occupava una sedia.
Gunther chiese se poteva leggerla. Leo non ebbe niente in contrario.
Era arrivato alla fine di un articolo sulla nuova varietà di psicofarmaci quando Larissa attaccò la sua lettura.
Gunther alzò la testa al suono di quella voce profonda e si stupí che appartenesse a una ragazza cosí minuta, le spalle cosí strette, i polsi sottili come bacchette.
Passarono pochi secondi prima che si rendesse conto che si trattava della stessa persona incontrata anni prima. Ascoltò cinque o sei versi, poi finí l’articolo. Chiuse la rivista sbattendone forte le pagine. I poeti polverosi non se ne accorsero, Larissa sollevò svogliatamente gli occhi verso di lui. Gli sorrise, non certo per averlo riconosciuto, ma perché quel disturbo parve alleggerire l’atmosfera marmorea che lei detestava.
Gunther invitò Leo a prendere del vino. Larissa sollevò di nuovo gli occhi e vide le due figure allontanarsi.
– Sono anche io un poeta! – disse Gunther a un timido Leo, – ma allevo pappagalli, – e finí il vino in un solo sorso.
Chiese a Leo se anche lui era un poeta.
– No, mia moglie lo è, – e fece il nome di Larissa.
Poi parlarono di economia e di politica, dimenticando la poesia.
Andarono a cena insieme quella sera, e tutte le successive. Larissa osservava Gunther mentre divorava costolette di maiale e si affogava nel vino, puliva accuratamente le posate con i tovaglioli, strizzava l’occhio a cameriere e clienti del ristorante. Quella prima sera si ripromise che una volta a casa avrebbe protestato contro Leo per l’abitudine di raccogliere tutti i matti della città senza chiederle nulla. Quelli si attaccavano alle poltrone di casa loro e rimanevano ospiti per un tempo indeterminato.
Gunther per quel che la riguardava era un alcolista, un vagabondo. Aveva necessità di stare per strade e locali il piú possibile, erano sempre gli ultimi ad andare. Rideva tanto e troppo forte, si tirava su dalla sedia nel bel mezzo di un discorso, gesticolava, era un istrionico senza alcun senso del pudore.
Larissa non si stupí che Gunther e suo marito fossero diventati intimi amici. Le era chiaro il motivo per cui Leo ammirava tanto Gunther. Vi era, in quest’ultimo, una passionalità del tutto assente in Leo.
Ammirato e sconvolto, Leo seguiva Gunther per le strade notturne, gli parlava di conflitti mediorientali mentre quello tagliava strisce di cocaina sopra gli specchietti delle auto ferme; discutevano della supremazia nordamericana, indignati, offesi, rivoluzionari.
Larissa li seguiva come una bestia silenziosa, aspettava di vedere il cambiamento in Leo, sperava che l’influenza di Gunther risolvesse le mancanze di cui il loro matrimonio era portatore sano. Attendeva il momento in cui la materia incandescente di Gunther avrebbe sciolto i nodi di Leo.
Eppure sembrava che la vita sregolata di Gunther, per quanto affascinasse Leo, lo rendesse ancora piú chiuso e impenetrabile. Dopo qualche mese dall’inizio di quell’amicizia si lamentò con Larissa.
– Beve e si droga troppo, – disse.
– Non giudicarlo, – suggerí lei, – è diverso da te, avete esigenze diverse. Impara piuttosto a farti influenzare dal meglio di Gunther.
– Secondo te cos’ha Gunther che io non ho? – Era una domanda piú curiosa che minacciosa e l’unica parola che a Larissa venne in mente fu consapevolezza.
– Lui è piú consapevole.
Leo chiese ulteriori spiegazioni. Non seppe dargliele.
Ci furono due occasioni in particolare in cui Larissa ebbe la sensazione che Gunther fosse attratto da lei.
La prima volta accadde un pomeriggio, dopo pranzo. Lei e suo marito si erano sdraiati sul divano e avevano tentato un amore che, ormai da diversi mesi, non consumavano piú.
Gunther suonò alla porta qualche istante dopo che Larissa aveva deciso compassionevolmente di concedersi a Leo.
Lei mise in fretta i capelli in ordine e cercò una posizione naturale sul divano, coprendo le gambe nude con una coperta.
Gunther fece il suo ingresso con due bottiglie di vino sotto ciascun braccio. Leo era in visibile imbarazzo, ciò che rimaneva dell’erezione sgonfiata da quella sorpresa premeva contro i pantaloni.
Senza pensarci troppo Gunther esclamò: – Oh! Stavate facendo l’amore? Scusate…
Leo rispose di no mentre Larissa finiva di dire sí.
Gunther le sorrise e, mentre Leo si allontanava per chiudere la porta che il suo amico lasciava sempre aperta, quello sfacciato tirò fuori la lingua, la guardò dentro gli occhi.
Un’altra volta accadde qualche mese dopo, era estate.
Larissa indossava un top aperto sulla schiena. Camminava in mezzo ai due, si stavano dirigendo verso il centro, dove Gunther aveva dato appunt...