
- 600 pagine
- Italian
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Jane Eyre
Informazioni su questo libro
La storia romantica e passionale di Jane, una povera orfanella che, dopo anni di stenti e di solitudine, viene assunta come governante in casa Rochester. Il cinico padrone finisce per innamorarsi di lei ma quando il matrimonio sta per essere celebrato, una scoperta viene a sconvolgere la vita della fanciulla: la moglie di Rochester, creduta morta, è ancora in vita, prigioniera della pazzia. Un romanzo, velatamente autobiografico, che ha scandalizzato l'Inghilterra vittoriana.
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Informazioni
Capitolo ventisettesimo
A un certo punto del pomeriggio sollevai la testa, girai lo sguardo all’intorno e vidi che il sole illuminava la parete con gli ultimi raggi. Mi chiesi: «Che fare?»
Ma l’ordine impartito dal mio spirito – «Vattene immediatamente da Thornfield» – era cosí perentorio e terribile, che mi tappai le orecchie per non sentirlo. Opposi dei pretesti: «Non essere la moglie di Edward Rochester, è il minore dei miei mali». «Svegliarmi da un meraviglioso sogno e scoprire che è tutto falso, è un dolore che posso sopportare e dominare; ma lasciarlo subito e per sempre, questo proprio non posso farlo».
Ma una voce interiore affermò che ne ero in grado e mi predisse che l’avrei fatto. Lottai con la mia risoluzione. Desiderai essere debole per non affrontare il nuovo dolore che mi aspettava. E la coscienza divenne la mia tiranna. Sopraffece la passione, dicendole con sarcasmo che aveva appena toccato il fango col piede, e giurò che col suo braccio d’acciaio mi avrebbe gettata in un abisso di sofferenza.
– Portatemi via, allora, – gridai. – Che qualcun altro mi venga in aiuto!
«No. Tu te ne andrai di tua spontanea volontà, senza l’intervento di nessuno; ti strapperai da sola l’occhio destro, da te ti taglierai la mano destra. Il tuo cuore sarà la vittima, e tu stessa il sacerdote che la sacrificherà!»
Mi alzai all’istante, atterrita dalla solitudine che riecheggiava un giudizio cosí implacabile, dal silenzio attraversato da una voce cosí spaventosa. A stare in piedi mi girava la testa. Mi sentivo male per il nervoso e la debolezza. Non toccavo cibo, né bevanda dalla mattina. E con sconforto mi resi conto che, da quando mi ero rinchiusa lí dentro, nessuno era venuto a chiamarmi o a invitarmi a scendere. Neppure la piccola Adèle era venuta a picchiare all’uscio, né la signora Fairfax a cercarmi. «Gli amici dimenticano sempre chi è abbandonato dalla fortuna», pensai aprendo la porta. Inciampai in un ostacolo. Debole com’ero, non riuscivo a stare in piedi. Caddi riversa, ma non sul pavimento: un braccio teso mi afferrò. Sollevai gli occhi; era quello del signor Rochester, seduto su una sedia sulla soglia della mia camera.
– Sei uscita finalmente, – disse. – È un secolo che aspetto e che sto in ascolto. Non ho sentito alcun rumore, neppure un singhiozzo. Ancora cinque minuti di silenzio di morte, e poi avrei forzata la porta come un ladro. E cosí mi eviti? Ti chiudi per soffrire da sola! Avrei preferito dei rimproveri violenti. So che hai una natura appassionata. Mi aspettavo un diluvio di lacrime, ma desideravo che piovessero sul mio petto, invece di essere ricevuti dal pavimento o dal fazzoletto! Ma mi sbaglio. Non hai pianto. Sei pallida e con gli occhi spenti, ma senza traccia di lacrime! Il tuo cuore allora ha pianto lacrime di sangue?
– Ebbene, Jane, non una parola di rimprovero? Nessun commento amaro, nessuna battuta pungente? Nulla che mi ferisca o mi faccia adirare? Siedi inerte dove ti ho messa, e mi guardi con occhio stanco…
– Jane, non avevo intenzione di ferirti cosí! Un uomo che abbia soltanto una tenera agnellina, che gli sia cara come una figlia, che mangi del suo pane, beva nella sua tazza e dorma sul suo petto, se la portasse per errore al macello, non proverebbe piú dolore di quanto ne sento io ora! Mi perdonerai mai?
Lo perdonai all’istante. C’era tanto rimorso nei suoi occhi, tanta pena nella sua voce, tanto virile fervore nelle sue maniere, e tanto immutato amore sul suo volto, che gli perdonai tutto. Non a parole, però, ma nel profondo del cuore.
– Mi giudichi un miserabile, Jane? – mi chiese poco dopo, intristito, attribuendo suppongo il mio ostinato silenzio e la mia docilità piú a debolezza che a volontà.
– Sí, signore.
– Dimmelo schiettamente, allora, non aver riguardi.
– Non posso. Mi sento male e sono stanca. Voglio un po’ d’acqua.
Un profondo sospiro lo fece rabbrividire. Poi mi prese in braccio e mi portò da basso. In un primo momento non sapevo in che camera mi avesse trasportata. La vista mi si era annebbiata. Ma subito mi sentii riavere al calore del fuoco. Nonostante fossimo in estate, infatti, in camera mia mi ero sentita gelare. Mi porse del vino e qualcosa da mangiare, e subito mi tornarono le forze. Mi trovavo in biblioteca, seduta sulla sua poltrona, e lui mi stava vicino. «Sarebbe meglio per me se potessi morire ora, senza soffrire troppo, – pensai. – Cosí mi risparmierei lo sforzo di spezzarmi il cuore, separandolo da quello del signor Rochester. Devo lasciarlo, è certo. Ma non voglio, e non posso farlo».
– Come stai ora, Jane?
– Molto meglio, signore; mi riprenderò presto.
– Bevi dell’altro vino, Jane.
Obbedii. Posato il bicchiere sul tavolo, mi guardò attentamente. Improvvisamente lanciò un’esclamazione incomprensibile e appassionata. Poi andò a passi rapidi fino all’altro capo della stanza e tornò indietro; si curvò verso di me come per darmi un bacio. Ma mi ricordai che le tenerezze ora non potevano piú esistere. Voltai il viso e respinsi il suo.
– Che! Che cosa significa questo? Ah, lo so! Non vuoi baciare il marito di Bertha Mason! I miei abbracci, secondo te, hanno già una pretendente!
– In ogni caso io non ne ho diritto, signore.
– Perché, Jane? Ti risparmierò la seccatura di parlare. Risponderò io per te: perché ho già una moglie, è cosí?
page_no="365" – Sí.
– Se è cosí che la pensi, hai una strana opinione di me. Mi devi considerare un uomo intrigante e corrotto, un vile briccone che ha finto un amore disinteressato per trascinarti deliberatamente in un tranello e disonorarti. Pensi a questo? Vedo che non parli. Perché sei debole, certo, ma anche perché non ti decidi ad accusarmi. E poi ti spunteranno le lacrime, se parli; e tu non hai voglia di rimproverarmi, di incolparmi, o farmi una scena. Tu pensi ad agire, perché di sicuro ritieni che parlare non serva a nulla. Ti conosco, sto sulle difensive.
– Non voglio far nulla contro di lei, – dissi. Il tremore nella voce mi costrinse a non terminare la frase.
– Non nel senso che tu dai alla parola, ma nel senso che le do io, hai il proposito di distruggermi. Hai detto che sono un uomo sposato e come tale mi eviterai e mi terrai da parte. Poco fa hai rifiutato di baciarmi. Intendi diventare un’estranea per me. Vivere sotto questo tetto solo come istitutrice di Adèle; e, se ti dirò una parola amichevole, se sentirai per me un moto di tenerezza, ti dirai: «Quest’uomo ha quasi fatto di me la sua amante; sarò di ghiaccio e di pietra per lui», e cercherai di diventarlo.
Con voce piú chiara e ferma risposi:
– Intorno a me tutto è cambiato, signore; e anch’io devo cambiare… Su questo non c’è dubbio. E c’è un solo modo per evitare le incertezze nei sentimenti e la lotta coi ricordi. Adèle dev’essere affidata a una nuova istitutrice.
– Oh, Adèle andrà a scuola. È già deciso. E non intendo tormentarti con gli odiosi ricordi di Thornfield Hall, questo luogo maledetto, questa tenda di Acar, questa dimora orgogliosa abitata da uno spettro, questo inferno di pietra che racchiude un vero demonio peggiore di tutta una legione di suoi simili. Jane, neppur io vorrei che tu rimanessi qui. Non avrei mai dovuto portarti a Thornfield Hall, sapendo che cosa essa racchiudeva! Prima ancora di conoscerti, avevo raccomandato a tutti di tenerti nascosta la maledizione di questo luogo. Temevo che Adèle non avrebbe mai potuto avere un’istitutrice, se questa avesse saputo che la casa era abitata da una pazza. E non era mia intenzione di spostarla in altro luogo. È vero che possiedo una vecchia casa, Ferndean Manor, ancor piú recondita e solitaria di questa, dove avrei potuto alloggiarla con una certa sicurezza. Ma è situata in un luogo insalubre, in mezzo a un bosco, e la mia coscienza rifuggiva da un accomodamento del genere. Forse i muri umidi di quella dimora mi avrebbero presto liberato di un peso, ma a ciascuno il suo destino; il mio non è quello di assassinare, sia pure indirettamente, neppure ciò che maggiormente odio.
– Dissimularti la vicinanza della pazza, tuttavia, era come coprire un bambino con un mantello, e poi distenderlo sotto un upas, l’albero velenoso. La presenza del demonio è sempre stata un tossico potente. Ma ora chiuderò Thornfield Hall. Farò inchiodare delle assi sulla porta d’ingresso e alle finestre del piano terreno. Darò a Grace Poole duecento sterline l’anno per vivere con mia moglie, come tu chiami quella furia spaventosa. Grace lo farà, per denaro. Si terrà vicino suo figlio, il custode della casa di cura di Grimsby, per tenerle compagnia e aiutarla nelle crisi piú furibonde, quando mia moglie, istigata dal suo demone familiare, dà fuoco alle persone a letto di notte, le pugnala, strappa loro a morsi le carni e cosí di seguito.
– Signore, – lo interruppi, – non prova pietà per quella disgraziata. Ne parla con odio, con tono vendicativo! È crudele! Che colpa ne ha, se è pazza?
– Jane, mio tesoro (ti chiamo cosí, perché per me sei sempre la stessa), non sai che cosa ti dici. Di nuovo mi interpreti male. Non la odio perché è pazza. Se tu fossi pazza, credi che ti odierei?
– Credo di sí, signore.
– Allora ti sbagli, non sai nulla di me, e non comprendi di quale amore sono capace. Ogni atomo della tua carne mi è caro come se fosse mio. Nella sofferenza e nella malattia mi sarebbe ancora caro. Il tuo spirito è il mio tesoro e, se pure fosse colpito, continuerebbe a esserlo ugualmente. Se tu delirassi ti terrei stretta tra le braccia, non rinchiusa in una camicia di forza. La tua stretta, anche furibonda, mi sarebbe cara. Se ti avventassi su di me come quella donna questa mattina, ti accoglierei in un abbraccio che forse t’impedirebbe i movimenti, ma sarebbe ancora innamorato. Non mi strapperei da te con disgusto, e nei momenti di calma solo io ti accudirei e ti nutrirei. Senza aspettarmi un sorriso in cambio, ti vigilerei con costante tenerezza, e non mi stancherei mai di guardarti, anche se tu non mi concedessi mai un segno di riconoscimento. Ma lasciamo perdere questo argomento. Stavo parlando di portarti via da Thornfield. È tutto pronto per la partenza; domani partirai. Ti chiedo di passare ancora una notte sotto questo tetto, e poi, Jane, addio alle sue miserie e ai suoi terrori, per sempre! Ho un posto dove rifugiarmi, al sicuro da ogni odioso ricordo, da ogni intrusione indiscreta.
– E prenderà Adèle con lei, signore? – lo interruppi. – Le terrà compagnia.
– Che cosa vuoi dire, Jane? Ti ho detto che manderò Adèle a scuola. Non ho bisogno della compagnia di una bambina, e per di piú neppure figlia mia, ma progenie illegittima di una ballerina francese… Perché insisti a parlarmi di lei? Perché vuoi darmi Adèle per compagna?
– Parlava di ritiro; e ritiro e solitudine sono noiosi, troppo per uno come lei.
– Solitudine, solitudine! – ripeté irritato. – È necessario che mi spieghi. Non so che cosa significhi quella tua espressione da sfinge. Dividerò con te la mia solitudine. Comprendi?
Scossi la testa. Dinanzi al suo infervoramento, occorreva un certo grado di coraggio anche per tentare quel silenzioso cenno di diniego. Camminava a passi rapidi per la stanza. Si fermò come se di colpo fosse inchiodato al suolo. Mi guardò con durezza. Distolsi lo sguardo, e lo fissai sul fuoco, per cercare di assumere un atteggiamento calmo.
– Ora l’impedimento è nel carattere di Jane, – disse alla fine, con piú calma di quello che mi sarei aspettata. – Il rocchetto di seta si è srotolato fin qui senza intoppi, ma ero certo che saremmo arrivati a un nodo: ed eccolo. E ora saran tormenti, disperazioni e dolori infiniti. Dio! Vorrei un minimo della forza di Sansone per rompere l’impedimento in un sol colpo!
Ricominciò il suo andirivieni ma si fermò di nuovo, stavolta di fronte a me.
– Jane, sarai ragionevole? – disse curvandosi per avvicinarmi le labbra all’orecchio. – Se rifiuterai, ricorrerò alla violenza.
La sua voce era cattiva; il suo sguardo quello di un uomo sul punto di abbandonarsi a degli atti inconsulti. Ancora un minuto, ancora una crisi di frenesia, e non sarei piú riuscita a controllarlo. Non avevo che un istante per sottometterlo e dominarlo. Un gesto di rifiuto, un accenno di fuga, di paura, avrebbero segnato il mio destino e il suo. Ma non avevo timore, neppure un filo. Sentivo in me una forza interiore: la forza della mia influenza su di lui. Il momento, pur pericoloso, aveva il suo fascino; quello che sente un indiano, forse, quando con la sua canoa supera una rapida. Gli afferrai il pugno chiuso, gli aprii le dita contratte, e gli dissi con dolcezza:
– Sieda. Le parlerò finché vorrà ascoltarmi, e starò ad ascoltare tutte le cose che ha da dirmi, siano ragionevoli o folli.
Sedette, ma non lo lasciai parlare subito. Da qualche tempo stavo lottando per trattenere le lacrime, perché sapevo che non amava vedermi piangere. Ora mi pareva giunto il momento di sfogarmi. Se il loro fluire lo irritava, tanto meglio. E cosí mi misi a piangere senza freno. Di lí a poco lo udii supplicarmi di rimanere calma. Dissi che non ci riuscivo, finché lo vedevo in preda alla collera.
– Non sono adirato, Jane; soltanto ti amo troppo. E il tuo visetto pallido si è irrigidito in un aspetto tanto freddo e risoluto che non posso sopportarlo. Taci ora, e asciugati gli occhi!
La sua voce raddolcita mi annunciò la sua sottomissione; cosí, a mia volta, riacquistai la calma. Allora tentò di posarmi la testa sulla spalla, ma non glielo permisi. Poi provò ad attirarmi a sé: non gli riuscí.
– Jane, Jane! – disse con amarezza da farmi fremere in ogni nervo. – Non mi ami, allora! Tenevi solo alla mia posizione e al ceto che avrebbe avuto mia moglie? Ora che giudichi che non posso aspirare a diventare tuo marito, rifuggi da me come se fossi un rospo o una scimmia?
Queste parole mi ferirono. Eppure che cosa potevo fare o dire? Avrei preferito tacere, ma mi sentivo tanto amareggiata dal rimorso di farlo soffrire, che non resistei alla tentazione di mettere un balsamo sulle sue ferite.
– L’amo piú che mai, – dissi, – ma devo nascondere e frenare questo sentimento; anzi è l’ultima volta che l’esprimerò.
– L’ultima volta, Jane! Come! Pensi di poter vivere con me, vedermi ogni giorno e pur amandomi rimanere fredda e distante?
– No, signore; son certa che non potrei farlo, e quindi non vedo che una soluzione. Ma se la dirò, lei si adirerà.
– Oh, parla! Se mi infurio, tu hai l’arte di piangere!
– Signor Rochester, devo lasciarla.
– Per quanto tempo, Jane? Per qualche minuto, il tempo di ravviarti i capelli scompigliati, di lavarti il viso febbricitante?
– Devo lasciare Adèle e Thornfield. Devo separarmi da lei per tutta la vita. Devo cominciare un vita nuova fra volti nuovi, in luoghi sconosciuti.
– Naturalmente, te l’ho già detto. Non discuto la pazzia di separarti da me. Per quel che riguarda una nuova esistenza, è giusto. Sarai mia moglie. Io non sono sposato. Tu sarai la signora Rochester, di nome e di fatto, e lo rimarrai finché vivo. Andrai in una casa che posseggo nel sud della Francia: una villa dalle mura bianche sulla spiaggia del Mediterraneo. Là vivrai una vita di tranquillità e di innocenza. Non temere che ti trascini nell’errore di fare di te la mia amante. Perché scuoti la testa? Jane, sii ragionevole, o mi farai impazzire per davvero!
Gli tremavano le mani e la voce. Aveva le nari dilatate e gli occhi lanciavano fuoco e fiamme. Osai lo stesso rispondere:
– Signore, sua moglie è viva. L’ha ammesso lei stesso questa mattina. Se vivrò con lei come desidera, non sarò che la sua amante. Dire altrimenti è cercare dei cavilli: è dire il falso.
– Jane, ricordati che non sono un tipo tenero. Non ho pazienza, non sono freddo e indifferente. Per pietà di me e di te, metti il dito sul mio polso. Senti come batte? Sta’ in guardia!
Scoprí il polso e me lo tese. Il sangue gli aveva abbandonato guance e labbra, che erano diventate livide. Mi sentivo angustiata in tutti i sensi. Era crudele opporgli una resistenza cosí profonda. Ma di cedergli neppur parlare. Feci quel che fanno gli esseri umani quando sono ridotti all’estremo: mi rivolsi a qualcuno piú in alto dell’uomo. Dalle labbra mi uscirono involontariamente le parole «Dio, aiutami!».
– Sono uno sciocco! – esclamò tutt’a un tratto il signor Rochester. – Le ripeto continuamente che non sono sposato, ma non le spiego perché. Dimentico che lei non sa nulla del carattere di quella donna, delle circostanze in cui è avvenuta la mia infernale unione con lei. Oh, son certo che Jane sarà della mia opinione quando saprà tutto! Metti la mano nella mia, Janet, che ti senta vicina, e ti racconterò in poche parole come stanno le cose. Vuoi ascoltarmi?
– Sí, signore, per ore, se vuole.
– Non ti chiedo tanto. Bastano pochi minuti. Jane, avrai sentito dire che non ero il maggiore della famiglia, e che avevo un fratello piú vecchio di me.
page_no="371" – Me lo disse la signora Fairfax, se ricordo bene.
– Avrai saputo anche che mio padre era un uomo taccagno e avido.
– Ho sentito qualcosa al proposito.
– Ebbene, cosí stando le cose, decise di tenere unita la proprietà. Non sopportava l’idea di dividere i suoi beni e di lasciarmi la parte d’eredità che mi spettava. Doveva andare tutto a mio fratello Rowland. Non potendo tollerare altresí l’idea di avere un figlio povero, però, doveva procurarmi una moglie ricca. Si mise a cercarmi una sposa. Conosceva da molto tempo il signor Mason, piantatore e mercante nelle Indie Occidentali. Era certo che la sua ricchezza fosse immensa e sicura. Fece delle indagini e scoprí che Mason aveva un figlio e una figlia. Venne a sapere che avrebbe dato a quest’ultima una dote di trentamila sterline. Era sufficiente. Appena uscii dal college, mi mandò in Giamaica a sposare la donna che già mi era stata destinata. Mio padre non mi fece parola del suo denaro, mi disse invece che la sua bellezza era il vanto di Spanish Town. E non era una bugia. Era proprio una bella donna, sul tipo di Blanche Ingram: alta, mora e maestosa. La famiglia ci teneva a imparentarsi con me perché ero nobile, e anche la ragazza era d’accordo. La vedevo durante le feste, vestita con abiti splendidi. Di rado la incontravo da sola, e pochissime volte le parlai a tu per tu. Mi adulava, mi compiaceva, e si prodigava in civetterie. Tutti gli uomini del suo ambiente la ammiravano e mi invidiavano. Rimasi abbagliato e lusingato. Mi lasciai travolgere dai sensi, e siccome ero ignorante, giovane e privo d’esperienza, credetti di amarla. Non c’è sciocchezza piú grande delle rivalità in società, della sventatezza e delle cecità della gioventú. I suoi parenti mi incoraggiavano, i rivali in amore mi provocavano, lei mi adescava, e il matrimonio fu concluso prima che sapessi cosa stavo facendo. Oh, come mi disprezzo quando penso alla sciocchezza che commisi allora! Non l’amavo, non la stimavo, non la conoscevo neppure. Non ero certo neppure che ci fosse una sola virtú nel suo carattere; non avevo osservato in lei modestia, né bontà, né candore, né finezza d’animo o di modi. E la sposai, bestia che ero! Avrei meno peccato se l’avessi… Ma devo tenere a mente con chi parlo.
– Non avevo mai visto la madre di mia moglie. Credevo che fosse morta. Finita la luna di miele, appresi invece che era pazza e ricoverata in un manicomio. C’era anche un fratello minore, scemo e muto. Il fratello maggiore, che tu hai conosciuto (non lo posso odiare, mentre detesto tutta la sua parentela, per quel barlume di affetto che prova per la sua sciagurata sorella e per l’attaccamento da cane fedele che una volta aveva per me), probabilmente farà un giorno la stessa fine. Mio padre e mio fratello Rowland sapevano tutto, ma pensavano solamente alle trentamila sterline, e si fecero complici del complotto tramato alle mie spalle.
– Furono brutte scoperte. Ma a parte la dissimulazione, non ne avrei fatto motivo di rimprovero per mia moglie, neppure quando scoprii che la sua natura era assolutamente diversa dalla mia, che i suoi gusti mi erano odiosi, la sua mentalità era volgare, bassa e ristretta e incapace di elevarsi e raffinarsi. E neppure quando scoprii che non riuscivo a trascorrere una sera e neppure un’ora piacevole in sua compagnia, che era impossibile avere una conversazione con lei perché di qualsiasi argomento parlassi, le sue risposte erano grossolane e banali, velenose e sciocche; neppure quando capii di non poter godere del beneficio di una casa, perché nessun servo era in grado di sopportare le continue esplosioni del suo temperamento violento e irragionevole, o le vessazioni dei...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Introduzione di Carlo Pagetti
- Bibliografia
- Jane Eyre
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Capitolo quarto
- Capitolo quinto
- Capitolo sesto
- Capitolo settimo
- Capitolo ottavo
- Capitolo nono
- Capitolo decimo
- Capitolo undicesimo
- Capitolo dodicesimo
- Capitolo tredicesimo
- Capitolo quattordicesimo
- Capitolo quindicesimo
- Capitolo sedicesimo
- Capitolo diciassettesimo
- Capitolo diciottesimo
- Capitolo diciannovesimo
- Capitolo ventesimo
- Capitolo ventunesimo
- Capitolo ventiduesimo
- Capitolo ventitreesimo
- Capitolo ventiquattresimo
- Capitolo venticinquesimo
- Capitolo ventiseiesimo
- Capitolo ventisettesimo
- Capitolo ventottesimo
- Capitolo ventinovesimo
- Capitolo trentesimo
- Capitolo trentunesimo
- Capitolo trentaduesimo
- Capitolo trentatreesimo
- Capitolo trentaquattresimo
- Capitolo trentacinquesimo
- Capitolo trentaseiesimo
- Capitolo trentasettesimo
- Capitolo trentottesimo