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1.
Il pomeriggio che piovvero rane, pesci grossi e pesci piccoli, Sunset scoprà che non ci voleva nulla a buscarne tante come Jack Tre Dita. Ma a differenza di Jack, che la sua ripassata l’aveva presa in pieno sole, a lei era capitato in casa propria, nella coda di un ciclone, con le finestre che minacciavano di scoppiare e su un pavimento di legno freddo come il marmo.
Se ne stava sulla schiena, con la sola parte superiore del vestito. Quella inferiore era volata via quando Pete, mentre la menava ben bene, le era montato sopra, e l’abito, ormai logoro come la politica, si era lacerato lasciandola coperta solamente dalla vita alle spalle.
Le era passato per la mente che di vestiti, adesso, gliene restavano due, e vedere questo andarsene in malora un po’ le dispiaceva: era sà stinto, ma aveva un disegno a fiori che non era poi tanto male, e dei colori che si amalgamavano bene con le macchie.
Un pensiero fuggente, comunque. A impegnarle il cervello era soprattutto il modo di riuscire a farlo smettere. Cercava di tenerlo lontano con le mani, ma lui gliele respingeva, ed erano proprio le sue stesse braccia e mani, sbattendole sul volto, a fare all’incirca lo stesso danno dei cazzotti del marito.
La inchiodò a terra, le allargò le gambe e prese a strapparle quel poco che le era rimasto addosso.
Dopo averle fatto saltare anche la parte superiore del vestito, le abbrancò un lato del reggiseno, denudandola. – To’, ecco la tetta, – disse. Ormai farfugliava, e il fiato sembrava grondargli alcol.
Poi le afferrò le mutande, e le strappò pure quelle. Infine si slacciò il cinturone con la pistola e lo gettò là accanto. Mentre armeggiava attorno alla patta dei calzoni, con l’obiettivo di far entrare il mulo nella stalla, Sunset allungò una mano e riuscà a sfilare la .38 dalla fondina. Lui nemmeno se ne accorse. Lei gliela puntò alla tempia e gli fece saltare le cervella.
Il rumore dello sparo fu pari a Gabriele che la faceva volare dritta in cielo, ma in cielo c’era finito Pete. Perlomeno si era messo in viaggio. In seguito, Sunset amò pensare che gli fosse toccato un bel posticino all’inferno, proprio accanto al forno.
Ma in quel momento il botto la fece strillare. Una sola volta, un grido secco e acuto come se la pallottola se la fosse beccata lei, o come quando nasci e ti rifilano subito una pacca sul culo.
Pete si afflosciò, non solo con l’attrezzo che aveva progettato di usare, ma tutto quanto. Non disse una parola. Né Ahi, né Cazzo, né Non ci posso credere. Espressioni che di solito usava a volontà , quando veniva colto di sorpresa o messo con le spalle al muro.
Si limitò a buttar giú il piombo rovente, mollare una scoreggia che non aveva nulla da invidiare allo sparo, tirare le cuoia e uscire di scena in groppa al nero cavallo della Morte.
E poiché non pareva abbastanza averci rimesso il vestito, la biancheria intima e la dignità , in quell’istante le finestre sul lato est della casa iniziarono a scuotersi come le catene di Marley, per poi esplodere. La porta si frantumò come non fosse mai stata altro che un insieme di pezzi di legno poggiati uno accanto all’altro, e il vento fece volar via il tetto.
Sunset giaceva sulla schiena, i brandelli del vestito quasi legati al corpo, le vecchie scarpe piatte ai piedi, un pezzo di vetro di una finestra conficcato nella spalla, Pete che la schiacciava a terra da autentico peso morto. Aveva ancora la pistola in mano. Il foro d’entrata era piccolo, e nell’uscire non aveva fatto la voragine che ci si sarebbe attesi. Doveva essere proprio tosto, quel proiettile, che gli era rimbalzato nel cranio e l’aveva ridotto in pappa. Dalla ferita e dal naso di Pete usciva del sangue, che le sgocciolava addosso.
Si tolse di là sotto e lo guardò. Nessun dubbio. Non ne avrebbe cavato le gambe, lui.
– Bella sorpresa, eh? – disse Sunset.
Rimase a fissare Pete per un po’, poi attaccò a urlare come un’invasata. Ma neanche a trovarsi nella stanza accanto nessuno avrebbe sentito niente. L’urlo era forte, ma la tempesta ancora piú forte. La casa prese a tremare, scricchiolare, stridere, sibilare.
E tutto quanto, esclusi il pavimento, due orrori di sedie, un fornello da cucina, Sunset e il cadavere, tutto quanto finà risucchiato e scaraventato in tromba giú per le campagne.
Sunset continuò a strillare, schiacciata contro il pavimento, mentre l’uragano si scatenava furioso.
Non appena la tempesta si fu placata, il cielo tornò azzurro e il sole si riaffacciò ad attizzare la calura. Pareva non fosse successo nulla, né pioggia né vento.
Sunset si tirò su, spossata e sanguinante. I brandelli del vestito le caddero a terra. Si tolse dalla spalla il pezzo di vetro, che venne fuori senza difficoltà e senza troppi danni.
Nuda com’era, soltanto con le scarpe e la pistola, si allontanò dal poco che restava della sua casa caracollando giú per il viottolo motoso, tra rane e pesci d’ogni dimensione che le sciaguattavano tra i piedi.
Si sentiva come Caino quando aveva fatto secco Abele.
Vide la macchina di Pete, ormai un rottame capovolto, piegata a metà tra due grosse querce, simile a un bastone di liquirizia gommosa. Nei paraggi c’era anche lo schedario di legno del marito, spalancato e con i fascicoli sparsi per ogni dove.
Il destino volle che Sunset si imbattesse in una delle tende di casa, ricavata da un sacco di farina e tinta di azzurro. Era andata a finire sul ramo di un alberello malconcio, da cui pendeva come un tovagliolo sul braccio di un cameriere.
Sunset se la avvolse attorno alle parti basse, si sciolse i lunghi capelli rossi cosà da coprirsi il seno e riprese il cammino ciabattando nel fango.
Si chinò per staccarsi dalla scarpa una rana spiaccicata, e nel rialzarsi scorse Uncle Riley, il nero che arrotava i coltelli, giungere dalla direzione opposta a bordo di un carretto trainato da due muli. Tommy, il figlio di Uncle Riley, gli camminava a fianco: infilzava con un bastone appuntito i persici portati fin là dall’uragano e li gettava nel cassone del carro.
Quando la vide, Uncle Riley tirò le redini. – Per la miseria, – disse. – Non è che la sto guardando, eh, signora bianca. Davvero. E neanche Tommy la guarda, eh. Non abbiamo visto nulla.
Ma Tommy aveva visto, eccome. Il seno di Sunset spuntava tra i capelli rossi, e Tommy seni non ne aveva mai visti prima, neri o bianchi che fossero, se non quelli di sua madre quando lo allattava, ma ormai ne era passato di tempo.
A Sunset non importava niente di chi vedeva cosa. Perdeva sangue dal naso e dalla bocca e aveva gli occhi gonfi e mezzi chiusi. Si sentiva come le avessero dato fuoco, per poi spegnere le fiamme con un rastrello da giardino.
– Uncle Riley, – disse, – sono io, Sunset. Mi hanno preso a botte.
– Oddio, figliola, certo che lo vedo. Adesso vengo a darle una mano. Basta che non si mette a sparare, capito?
Sunset barcollò e cadde su un ginocchio, tentò di rialzarsi senza esito.
Uncle Riley era alto un metro e novanta, aveva quarantaquattro anni, pesava centodieci chili e aveva una testa liscia come una palla da biliardo che nascondeva sotto un cappello floscio. Saltò giú dal carretto, si tolse la camicia da lavoro e andò a metterla sulle spalle di Sunset, sempre tenendo il capo girato dall’altra parte.
Sunset lasciò cadere il pezzo di tenda e si chiuse la camicia, abbottonandola con la mano libera, senza riuscire a tirarsi su, mezza inginocchiata com’era. Uncle Riley la prese tra le braccia e la sollevò neanche fosse una bambina. Lei restò aggrappata alla pistola, che ormai considerava un’estensione della mano.
Uncle Riley la portò fino al carretto e la sistemò sul sedile, poi si arrampicò al suo fianco. – Proprio non la sto toccando piú, Miss Sunset.
– È tutto a posto, Uncle Riley. È stato un vero gentiluomo. Tommy, che era rimasto accanto al carretto con un pesce infilzato sul bastone, non era ancora riuscito a chiudere la bocca.
– Salta su, – gli disse Uncle Riley.
Tommy salà sul retro del carretto, tra i pesci che avevano fin là raccolto e che occupavano l’intero cassone. In certi punti arrivavano alla caviglia. Quella pioggia di pesci Uncle Riley l’aveva vista come una manna dal cielo. Pesci da mangiare, da mettere sotto sale e affumicare a futuro consumo. Non avevano disdegnato neanche qualche rana, perché alla madre di Tommy, che faceva la levatrice, le zampe di ranocchia piacevano.
Tommy si chiedeva se il pesce sarebbe durato, perché stava facendo di nuovo caldo ed erano costretti a scarrozzare questa bianca tettona e tutta sbatacchiata. Cosa ne avrebbero fatto di lei, in nome di Dio?
Quei capelli cosà rossi e lunghi e selvaggi, pensò Tommy, sembrano un’ondata di fuoco. Sorrise dentro di sé. Dio santo, aveva visto piovere pesci dal cielo e aveva guardato le tette di una donna bianca. Che giornata. Davvero speciale.
– Miss Sunset, se la porto in giro cosÃ, finiranno per farmi secco, – disse Uncle Riley.
– Non se io rimango qui con lei, no.
Sunset udà la sua bocca dire la cosa giusta, ma tutto quanto le pareva un sogno. Si grattò dietro l’orecchio con la canna della .38.
– Missy, non mi crederanno mai. E non crederanno neppure a lei.
– A me sÃ.
– Mio cugino Jim, lui aveva soltanto visto una donna bianca nel giardino di casa, una donna chinata a prendere dalla cesta i panni da stendere. Non c’era proprio nulla da vedere, perché era completamente vestita e lui passava per la strada, ma un bianco si è accorto che la guardava, la voce ha cominciato a girare e quelli del Klan l’hanno portato via, Jim, e l’hanno castrato e gli hanno versato l’acqua ragia sulle ferite.
– Andrà tutto bene.
– E che dirà suo marito, il signor Pete?
– Non dirà un bel niente, Uncle Riley. Gli ho fatto saltare le cervella.
– Oh, mio Dio.
– Mi porti da mia suocera.
– Sicura che vuole andare da sua suocera? – chiese Uncle Riley.
– Mia figlia è da lei. Non saprei dove altro andare.
– Non credo che Miss Marilyn la prenderà tanto bene questa faccenda che lei ha sparato a suo figlio.
– Ci penserò al momento giusto. Oddio, cosa penserà Karen, invece?
– Certo che lei a suo padre gli voleva bene davvero. – Non c’è dubbio.
– Finiranno per castrarci tutti e due, a me e al mio ragazzo.
– Non lo faranno. Ci penserò io. Per l’amor del cielo, Uncle Riley, la conosco da sempre. Sua moglie mi ha aiutato a partorire.
– I bianchi queste cose le scordano subito, quando gli fa comodo. E con la Depressione, la gente è ancora piú malvagia.
La tempesta era scoppiata con tale velocità , con tale furia che tutto quel sole e quel caldo adesso sembravano impossibili, e il pesce nel cassone aveva già cominciato a puzzare.
I finimenti dei muli crocchiavano, e dagli stomaci delle bestie, pieni di fieno e avena, giungevano strani gorgoglii e strombazzamenti. Di quando in quando i muli alzavano la coda e sparavano un peto o qualcosa di peggio, muovevano la testa di scatto e addentavano un po’ di fogliame. Ce n’era in abbondanza, peraltro, perché la pista era stretta e quasi sopraffatta dai rami degli alberi, che sui muli avevano un effetto tentatore.
Il carretto, cigolando, avanzò nel fango del viottolo, mentre dalla terra già tornata secca si levavano sottili fili di fumo, con un odore come di terracotta che cuoce in una fornace. Il sole picchiava, e tormentava le ferite e i lividi di Sunset.
– Sto per svenire, – disse lei.
– Non è il momento, Miss Sunset. Già è abbastanza brutto che lei se ne stia nuda a cassetta accanto a un negro, e non c’è proprio bisogno che mi metta la testa sulla spalla.
Sunset abbassò il capo, e la sensazione passò. Quando tornò a tirarsi su e prese a tergersi la fronte col dorso della mano, si rese conto di impugnare ancora la pistola.
– Forse dovrei lasciarla a lei, questa.
– Nossignora. Non è proprio il caso di lasciarla a me. Tempo cinque minuti e finisce che l’ho ammazzato io, il signor Pete.
– Posso spiegare ogni cosa.
– I bianchi lo trovano morto, poi vedono me. Un negro va sempre bene. Vedono la pistola del signor Pete sul mio carretto, e lui che era un uomo di legge e tutto quanto, e ci appendono a me e a quel ragazzo piú alla svelta di un fulmine.
– Va bene, – disse Sunset. – Vi ringrazio davvero tanto, lei e Tommy. Sul serio.
– Poi, la pistola le può servire appena dirà a Miss Marilyn cos’ha combinato. E mica le serve per lei, le può giovare per suo marito, il signor Jones.
– Quando lo dirò a mia figlia, potrei aver voglia di usarla su me stessa.
– Non parli cosÃ, adesso.
– Non riesco a credere di averlo fatto.
– Se l’ha ridotta in quel modo, Miss Sunset, se l’è proprio meritato. Io non voglio avere niente a che fare con uno che picchia una donna. Ha fatto quel che doveva fare.
– Avrei potuto sparargli a una gamba o a un piede.
– Ha fatto quel che doveva fare –. Uncle Riley la guardò in faccia. – Accidenti, Miss Sunset, non vedevo una ripassata cosà brutta dalla volta che il signor Pete ha menato Jack Tre Dita. Se lo ricorda?
– Come no...
– Ragazzi, l’ha menato neanche avesse rubato qualcosa.
– Difatti. La ganza di mio marito.
– Forse era meglio se non la tiravo fuori, questa storia.
– È stato lui a insegnarmi a sparare, Uncle Riley. A sparare con la pistola, la doppietta e il fucile. Ha continuato a insegnarmi fino a che gli è venuto in mente che forse stavo diventando troppo brava. Dopo sposati, non voleva che lo facessi piú... Non posso credere di avergli sparato. L’avessi ferito e basta, lui si prendeva quel che voleva e la cosa finiva lÃ. Non sarebbe stata la prima volta. Karen avrebbe ancora un padre. Comunque, lui poteva averlo lo stesso quel che voleva, senza tutte queste storie. Glielo avrei dato tranquillamente. Gli bastava solo essere un po’ gentile. Ma a lui piaceva rustica, questa cosa, anche se non ce n’era bisogno. Con le sue ganze il gentile lo faceva, quello sÃ, ma con me alzava le mani.
– Non mi stia a raccontare queste cose, ragazza. Non le voglio sentire.
– Già era stronzo di suo, ma quando beveva diventava peggio di un serpente mocassino.
– Certo che sono r...