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ALFRED DE MUSSET
Gamiani o due notti d’eccessi
Parte prima.
Allo scoccare della mezzanotte i saloni della contessa Gamiani brillavano ancora del bagliore delle luci.
Le danze in cerchio e le quadriglie incalzavano sfrenate, al suono inebriante dell’orchestra. Gli abiti erano sontuosi, i gioielli risplendevano.
Elegante e premurosa, la padrona di casa sembrava rallegrarsi del successo di una festa preparata e annunciata con grande clamore. La si vedeva sorridere amabilmente a tutti i complimenti, a tutte le frasi galanti in cui ciascuno si profondeva, in omaggio alla sua presenza.
Relegato nel mio consueto ruolo di osservatore, avevo già notato piú di un aspetto che mi esonerava dal riconoscere alla contessa Gamiani il merito che le veniva attribuito. Mi era bastato un attimo per capire che era donna di mondo. Non mi restava che indagare la sua moralità, avventurandomi a fondo nelle regioni del suo cuore; ma qualcosa di inconsueto e sconosciuto me lo impediva, frenando il mio esame. Feci una fatica estrema a far luce nelle profondità della vita di questa donna, la cui condotta non lasciava trapelare nulla.
Ancora giovane, erede di un’immensa fortuna, graziosa a giudizio dei piú, senza genitori né amici dichiarati, la contessa Gamiani si era in qualche modo isolata nel suo mondo. Consumava, sola, un’esistenza capace, sotto ogni aspetto, di tollerare piú di una separazione.
Le chiacchiere, sempre malevole, imperversavano; ma, in mancanza di prove, la contessa restava inaccessibile.
Alcuni la chiamavano Fedora, giudicandola una donna senza cuore e senza tempra; altri le attribuivano un animo profondamente ferito, ormai deciso a evitare la crudeltà di una nuova delusione.
Volevo togliermi ogni dubbio; feci, invano, appello a tutte le risorse della mia logica, senza tuttavia riuscire a giungere a una conclusione soddisfacente.
Contrariato, stavo ormai per desistere quando, dietro di me, un vecchio libertino, alzando la voce, esclamò:
«Bah! È lesbica».
Fu come un lampo a ciel sereno: tutto assumeva un senso, tutto si spiegava. Non c’era piú alcuna contraddizione.
Lesbica! Oh! Questa parola suona dapprima strana all’orecchio. Poi fa immancabilmente affiorare in voi immagini confuse di voluttà inaudite ed eccessi lascivi. È la rabbia della lussuria, la sfrenata lubricità, l’orribile piacere che resta inappagato.
Cercai invano di respingere queste idee che, in un istante, istigarono la mia immaginazione alla dissolutezza. Già vedevo la contessa nuda tra le braccia di un’altra donna, i capelli sciolti, ansimante, prostrata e tormentata da un piacere ancora incompiuto.
Con il sangue che ribolliva e i sensi frementi, caddi stordito su un divano.
Ripresomi, calcolai freddamente cosa dovevo fare per sorprendere la contessa: dovevo riuscirci a tutti i costi.
Decisi di osservarla durante la notte, nascondendomi nella sua camera da letto. La porta vetrata di uno spogliatoio dava proprio sul letto. Mi convinsi che era la posizione ideale, mi nascosi dietro ad alcuni abiti appesi, e mi preparai ad attendere con pazienza l’ora del sabba.
Mi ero appena acquattato lí dentro, quando apparve la contessa. Chiamò la domestica, una fanciulla giovane, di carnagione scura, dalle forme generose. «Julie, stasera non avrò bisogno di voi. Andate pure a dormire. Ah! Se sentite dei rumori provenire dalla mia camera, non vi preoccupate, voglio restare sola».
Quelle parole promettevano uno spettacolo. Mi congratulai per la mia audacia.
A poco a poco, le voci provenienti dal salone si attenuarono e la contessa rimase sola con un’amica, la contessa Fanny B***. Ben presto si ritrovarono in camera, proprio dinanzi ai miei occhi.
FANNY Che odioso contrattempo! Piove a dirotto e non c’è una carrozza!
GAMIANI Sono dispiaciuta quanto voi; sfortunatamente, la mia vettura è dal sellaio.
FANNY Mia madre si preoccuperà.
GAMIANI Non abbiate paura, mia cara Fanny, vostra madre è stata avvertita: è al corrente del fatto che passerete la notte da me. Sono vostra ospite.
FANNY Siete davvero troppo buona. Vi sarò d’impiccio.
GAMIANI Dite, piuttosto, che è un vero piacere. È un’avventura che mi diverte... Non voglio mandarvi a dormire in un’altra camera. Resteremo qui insieme.
FANNY Perché? Disturberò il vostro sonno.
GAMIANI Suvvia, non siate eccessivamente cerimoniosa... Facciamo come due giovani amiche, due compagne di collegio.
Un bacio delicato suggellò quella tenera confidenza.
GAMIANI Vi aiuterò a svestirvi. La mia domestica è a letto, ma possiamo farne a meno... Che bella figura avete!
Che fanciulla fortunata siete! Ammiro le vostre forme!
FANNY Trovate davvero che siano belle?
GAMIANI Incantevoli!
FANNY Cosí mi lusingate...
GAMIANI Oh! Che meraviglia! Che candore! Da esserne gelosa!
FANNY Questo non ve lo concedo. Onestamente siete piú bianca di me.
GAMIANI Non pensateci nemmeno, bambina mia! Toglietevi tutto, come me! Quanto imbarazzo! Quasi foste di fronte a un uomo. Ecco! Guardate nello specchio... Paride vi getterebbe di sicuro la mela. Che maliziosa! Sorride nel vedersi cosí bella... meritate un bacio in fronte, sulle guance, sulle labbra. Siete bella ovunque, ovunque...
La bocca della contessa percorreva, ardente e bramosa, il corpo di Fanny. Interdetta, tremante, Fanny la lasciava fare, senza comprendere.
Avevo dinanzi agli occhi una coppia di deliziosa voluttà, di grazia, di abbandono lascivo, di timoroso pudore.
Si sarebbe detta una vergine, un angelo, nelle braccia di una baccante in calore.
Quanta bellezza si offriva al mio sguardo, che spettacolo a provocare i miei sensi!
FANNY Oh! Che fate? Smettetela, signora, ve ne prego...
GAMIANI No, no, Fanny, bimba mia, mia vita, mia gioia! Sei troppo bella, sai? Ti amo, ti amo di un amore folle!
La fanciulla si dibatteva invano. I baci soffocavano le sue grida. Stretta, avvolta, resisteva senza successo. La contessa, in un abbraccio impetuoso, la trascinava sul suo letto, gettandovela come una preda da sbranare.
FANNY Che cosa fate? Oh mio Dio! Madame, è spaventoso!... Mi metto a gridare, smettetela... Mi fate paura...
Dei baci ancor piú appassionati, ancor piú vigorosi rispondevano a quelle grida. Le braccia la serravano piú forte, confondendo i due corpi in uno solo.
GAMIANI Fanny, sei mia! Sei tutta mia! Vieni! Eccoti la mia vita! Tieni! ... È piacere, questo... Ma tu tremi, bambina... Ah!, Finalmente ti abbandoni...
FANNY È male! È male! Cosí mi uccidete... Ah!... mi sento morire.
GAMIANI Sí, stringimi, piccola mia, mio amore. Stringimi forte; piú forte. Com’è bella quando gode!... Lasciva!... Tu godi, sei felice... oh! Dio!
Ebbe allora inizio uno spettacolo conturbante. La contessa, con gli occhi che scintillavano e i capelli sconvolti, si avventava, si torceva sulla sua vittima, a sua volta sconvolta dai sensi. Si serravano l’una all’altra con forza. Si rinviavano sussulti, slanci, i loro sospiri soffocati da baci roventi.
Il letto cigolava per le scosse furibonde della contessa.
Presto stremata, sfatta, Fanny lasciò cadere le braccia. Pallida, restò immobile come una bella morta.
La contessa delirava. Il piacere la uccideva, senza darle il colpo di grazia. In preda al furore, ansimante, si lanciò in mezzo alla camera, e prese a rotolarsi sul tappeto, eccitandosi con pose provocanti, follemente lubriche, sollecitando con le dita l’accesso del piacere...
Questa visione finí per sconvolgermi.
In un primo momento, il disgusto e l’indignazione avevano prevalso; volevo manifestarmi alla contessa e schiacciarla sotto il peso del mio disprezzo. Ma i sensi ebbero la meglio sulla ragione. La carne trionfò orgogliosa e fremente. Ero stordito, come in preda alla pazzia.
Mi lanciai sulla bella Fanny, nudo, ardente, purpureo, terribile... Ebbe appena il tempo di comprendere che si trattava di un nuovo assalto che, già vincitore, sentivo il suo corpo docile e fragile tremare e agitarsi sotto il mio, rispondendo a ciascuno dei miei colpi. Le nostre lingue s’intrecciarono roventi, affilate; le nostre anime si fusero in una sola.
FANNY Ah! Dio!... Mi uccide...
A queste parole, la bella s’irrigidisce, sospira e poi ricade, inondandomi dei suoi favori.
«Ah! Fanny, – urlai, – aspetta... prendi... ah!...»
A mia volta, credetti di esalare l’ultimo respiro.
Che delirio!... prostrato, perso tra le braccia di Fanny, non mi ero accorto dei terribili attacchi della contessa.
Ritornata in sé per le nostre grida e per i nostri sospiri, trasportata dal furore e dal desiderio, si era gettata su di me con l’intenzione di sottrarmi all’amica. Mi stringeva tra le braccia, e mi scuoteva, fendendomi la carne con le dita e mordendomi.
Questo contatto con due corpi trasudanti piacere e ardenti di lussuria mi risvegliò nuovamente, raddoppiando il mio desiderio.
Un fuoco m’invase. Restai fermo, vincitore, nelle mani di Fanny; quindi, senza cambiare posizione, in questo strano miscuglio di corpi che si univano, s’incrociavano, s’incastravano l’un l’altro, riuscii ad afferrare saldamente le cosce della contessa, tenendole aperte sopra la mia testa.
«Gamiani! Siete mia! Venite in avanti, sorreggendovi sulle braccia!»
Gamiani capí le mie intenzioni e io potei posare senza indugi una lingua viva, famelica, sulla sua parte in fiamme.
Fanny, fuori di sé, perduta, accarezzava dolcemente il seno palpitante che si agitava sopra di lei.
In un attimo, la contessa fu vinta, annientata.
GAMIANI Che fuoco accendete! È troppo... chiedo grazia!... Oh! Che gioco lubrico! Voi mi fate morire... Dio! Soffoco.
Il corpo della contessa ricadde pesantemente di lato, come privo di vita.
Fanny, ancora piú eccitata, mi getta le braccia al collo, si avvinghia, mi stringe, incrocia le gambe sopra le mie reni.
FANNY Caro amico! Sei mio... tutto mio! Piú piano... fermati... ah!... piú veloce... dài! Ti sento...! sto naufragando!... io...
E restammo distesi l’uno sopra l’altro, rigidi, immobili; le bocche, socchiuse, congiunte, si ricambiavano appena un respiro ormai spento.
A poco a poco ci riprendemmo. Ci risollevammo tutti e tre, e per un istante restammo a guardarci instupiditi...
Sorpresa, vergognosa dei suoi impeti, la contessa si affrettò a coprirsi. Fanny si nascose sotto le lenzuola e poi, come un bambino che si rende conto dell’errore solo quando è ormai irreparabilmente commesso, si mise a piangere. La contessa non tardò ad apostrofarmi.
GAMIANI Signore, che sorpresa sciagurata ci avete fatto. La vostra è stata un’odiosa imboscata, un atto vile e codardo... che mi fa arrossire.
Cercai di difendermi.
GAMIANI Sappiate, Monsieur, che una donna non perdona chi mette a nudo la sua debolezza.
Risposi come meglio potevo. Confessai una passione funesta, irresistibile, che la sua freddezza aveva esasperato, costringendomi all’inganno e alla violenza.
«D’altronde, aggiunsi, credetemi quando vi dico che non abuserò mai di un segreto che devo piú al caso che alla mia temerarietà. Sarebbe troppo ignobile! Non scorderò per tutta la vita l’eccesso dei nostri piaceri, ma ne custodirò il ricordo per me soltanto. Se ho commesso una colpa, sappiate che l’ho fatto perché avevo il delirio nel cuore o, piuttosto, cercate di serbare un solo pensiero, quello dei piaceri di cui abbiamo goduto insieme e di cui possiamo ancora godere».
Quindi mi rivolsi a Fanny, mentre la contessa nascondeva il capo, fingendosi afflitta: «Calmatevi, mademoiselle. Non mischiate le lacrime al piacere. Pensate solo alla dolce beatitudine che ci univa poco fa, che possa popolare i vostri ricordi come un sogno felice, che non appartiene che a voi, di cui voi sola siete a conoscenza. Ve lo giuro, non rovinerò mai la gioia della mia felicità confidandola ad altri».
A poco a poco, la collera si placò, le lacrime si asciugarono e ci ritrovammo tutti e tre intrecciati, a contenderci le follie, i baci, le carezze...
«Oh, bellissime amiche, non permettiamo che la paura ci turbi. Abbandoniamoci senza indugi... come se questa notte fosse l’ultima. Al piacere, alla voluttà!»
Allora Gamiani esclamò: «Il dado è ormai tratto. Al piacere! Vieni Fanny... baciami, pazza che non sei altro!... lascia che ti morda... che ti succhi fino al midollo! Alcide, resta al tuo posto... oh! Che superbo animale che siete! Che esuberanza!...»
«Se l’invidiate, Gamiani, è arrivato il vostro turno. Voi che disprezzate questo piacere, lo benedirete quando lo avrete gustato appieno. Rimanete sdraiata. Portatevi in avanti, sí che possa assalirvi. Ah! Come siete bella! Che posa! Presto, Fanny, mettetevi a cavalcioni della contessa e dirigete voi stessa quest’arma terribile, quest’arma di fuoco; battete in breccia, fermatevi! Troppo forte, troppo veloce... Ah, Gamiani! Cosí respingete il piacere».
La contessa si agitava come un’indemoniata, piú preoccupata dei baci di Fanny che dei miei sforzi. Approfittai di un movimento improvviso per rovesciare Fanny sul corpo della contessa, assalendola con furia. In un attimo, fummo tutti e tre fusi, distrutti dal piacere...
GAMIANI Che capriccioso, Alcide. Siete subito passato al nemico... Oh! Ma vi perdono. Evidentemente avete compreso che avreste perso troppo piacere a causa di un’insensibile. Che volete farci? Ho la triste sorte di aver divorziato dalla natura. Non sogno piú, non provo piú niente che non sia orribile e stravagante. Rincorro l’impossibile. Oh! È davvero spaventoso farsi logorare e abbruttire dalle delusioni. Desiderare sempre e non essere mai soddisfatta. La mia immaginazione mi uccide. Sono davvero sfortunata!
Tutto questo sproloquio aveva un tono cosí autentico, un’espressione di disperazione cosí forte che mi sentii mosso a compassione. Questa donna soffriva tanto da far male...
«Magari questa condizione è solo passeggera, Gamiani. Vi nutrite di letture troppo funeste...»
GAMIANI Oh, No! No! la colpa non è mia... Ascoltate e mi compatirete. Forse arriverete addirittura a scusarmi.
Sono stata allevata in Italia da una zia rimasta precocemente vedova. Avevo quindici anni e degli affari di questo mondo non conoscevo che i terrori della religione. Devota a Dio, passavo la vita a supplicare il cielo di risparmiarmi le pene dell’inferno.
Mia zia alimentava le mie paure, senza mai mitigarle con un minimo gesto di tenerezza. Non avevo altra consolazione che il sonno. I miei giorni trascorrevano tristi come le notti di un condannato.
Solo di rado, mia zia mi chiamava al mattino nel suo letto. In quelle occasioni, i suoi sguardi erano dolci e le parole lusinghevoli. Mi attirava sul suo seno e sulle sue cosce e mi serrava d’improvviso in abbracci convulsi. La vedevo torcersi, rovesciare la testa all’indietro e cadere in estasi con un riso da folle.
Terrorizzata, la fissavo immobile e la credevo malata di epilessia.
Un giorno, dopo un lungo colloquio con un monaco francescano, mi chiamò e il reverendo padre mi fece questo discorso: «Figlia mia, state ormai diventando grande e il Demonio tentatore inizia ad accorgersi di voi. Presto sentirete i suoi attacchi. Se non siete pura e senza macchia, le sue frecce vi colpiranno; se invece siete immacolata, sarete invulnerabile. Il Signore ha riscattato il mondo con le sue sofferenze; con il vostro dolore espierete i vostri peccati. Preparatevi a subire il martirio della redenzione. Domandate a Dio la forza e il coraggio necessari: questa sera verrete messa alla prova... andate in pace, figlia mia». Già da qualche giorno mia zia mi parlava delle sofferenze e delle torture che bisognava sopportare per espiare i propri peccati. Mi ritirai spaventata dalle parole del monaco. Cercai di pregare, di dedicarmi a Dio, ma non riuscivo a far altro che immaginare il supplizio che mi a...