– Guarda me, non lui, – ordina l’ing. Romolo Sesti Orfeo a Matrix che fissa negli occhi Matteo il salumiere appena quello si avvicina con il nastro da imballaggi.
Matrix volta il capo in direzione dell’ingegnere con scientifica lentezza, facendo in modo che il suo sguardo mantenga una minacciosa obliquità verso il povero salumiere, che di lí a un attimo, infatti, impallidisce e si pianta a mezzo metro da loro, il rotolo di nastro adesivo fra le mani, quasi non sapesse piú cosa farne.
Osservo la sua sagoma terrorizzata nel monitor in alto, e provo una compassione che per un istante mi annebbia la vista.
Imbestialito dal contrattempo, l’ing. Romolo Sesti Orfeo afferra Matrix per i capelli e lo tira a sé, piantandogli la canna della pistola sotto il mento.
Quello chiude gli occhi, serra le labbra e inspira rumorosamente, come certi malati che si preparano a ricevere con dignità la fitta imminente del dolore recidivo che li affligge.
– Vuoi continuare con i giochetti, ah? – lo avverte. – E va bene. Allora facciamo che ti sparo direttamente nelle cosce, cosí non mi prendo neanche il disturbo di legarti.
«Vuoi continuare con i giochetti, ah?», gli rifaccio il verso mentalmente, sopprimendo l’impulso di dedicargli un’abbondante pernacchia. Ma dico, si può davvero pronunciare una battuta del genere convinti?
Matrix apre gli occhi, ma non gli dà la soddisfazione di rispondere.
«Tanto bluffa», penso.
– Avanti Matteo, muoviti, – ingiunge l’ingegnere, non so con quale coraggio, a quel povero Cristo che ormai è diventato un attaccapanni.
– Al diavolo, – sbotto. E con due passi spazientiti raggiungo l’inservibile salumiere e gli tolgo il nastro adesivo di mano. – Da’ qua.
Matrix mi spalanca gli occhi addosso con una perplessità addirittura familiare, domandandosi chi sia il tipo che fin dall’inizio se ne stava lí senza fare niente salvo ogni tanto prendere un’iniziativa e puntualmente non concludere.
L’ing. Romolo Sesti Orfeo, invece, abbozza un sorriso di apprezzamento per il mio intervento irrichiesto (e vorrei tanto che la piantasse di flirtare con me, perché sono due ore che mi molesta).
Senza farla tanto lunga, mi chino davanti a Matrix, srotolo un lembo di nastro, glielo appiccico alla zampa sinistra dei pantaloni (nell’occasione noto che porta degli stivali niente male, che probabilmente piacerebbero alla mia amica Paoletta) e gli mulinello ripetutamente il rotolo intorno alle caviglie, sovrapponendo spirali di nastro ascendenti fino a raggiungere le ginocchia, insaccandogli stinchi e polpacci insieme; poi stringo, tiro verso di me il rotolo portandomi la striscia di nastro adesivo alla bocca e la lacero lateralmente con i denti, dichiarando la fine del lavoro.
Mi rialzo. Con occhi sprezzanti, squadro dal basso verso l’alto sequestratore e sequestrato, che se ne stanno lí avvinghiati come due innamorati in effusione, quindi sollevo il braccio destro e lancio il rotolo di nastro adesivo oltre la testa dell’ing. Romolo Sesti Orfeo, sfiorandola, tanto che lui è istintivamente costretto a chinarla nel timore che lo colpisca; dopo di che mi guarda stupefatto.
A quel punto non dovrei dire una parola e infatti taccio, caricando simbolicamente la platealità del mio gesto, che in questo momento (anche per via delle telecamere che ci riprendono, probabilmente) mi fa sentire parecchio plastico, lo confesso.
Di lí a poco, infatti, realizzo di aver compiuto una stroncatura estetica del siparietto messo in piedi dall’ing. Romolo Sesti Orfeo. Tirandogli contro (per quanto non addosso) il nastro da imballaggi, devo avergli metaforicamente rinfacciato la bassezza del compito che mi ha costretto (in via suppletiva, oltretutto, visto che quel babbione di Matteo il salumiere era pietrificato) a eseguire.
Mi do una specchiata al monitor, ricavandone l’impressione d’essere io a condurre, adesso (è incredibile come la tv riesca a sdoganare il vanesio che ci abita). In fondo, ho rubato la scena al tipo che l’ha montata con tanta fatica; anzi: me la sono guadagnata. Chissà che non sia questa – congetturo estemporaneamente – la traduzione corretta dell’espressione «Rubare la scena». C’è da rimanere basiti al pensiero di quanto spesso si usi il termine opposto per dire una cosa. La lingua italiana è piena di abusi condonati.
Matteo continua a starsene lí con la bocca semiaperta. A un tratto trovo insopportabile la sua inettitudine.
– Ehi, – gli dico, – cos’è, ti si sono rotte le acque?
I suoi occhi rivelano che la battuta non gli è arrivata.
– Ti ho tolto dai guai, se non sbaglio, – proseguo. – Puoi anche piantarla, adesso.
A quel punto si sveglia, intuendo che ho ragione, probabilmente. E fa due passi indietro.
Io torno all’ingegnere:
– Contento, adesso? – domando, in via sfacciatamente retorica.
Segue un silenzio breve ma significativo, dopo di che dall’ingresso arriva un applauso.
Divento una statua.
Matrix, l’ing. Romolo Sesti Orfeo e il babbione ne prendono subito atto, fissandomi con occhi nuovi.
La mia autostima impenna, arrecandomi un delizioso capogiro.
Mi sento una tigre.
Sono una rivelazione. Una rockstar.
Sono Bruce Willis nel primo Die Hard.
Sono l’uomo che ci voleva.
Ho la situazione in pugno.
Mi amo.
L’ing. Romolo Sesti Orfeo sembra rattristato e deluso.
La delusione è il piú didascalico dei sentimenti. Guarda in faccia una persona delusa, e nove volte su dieci capirai perché. Si possono nascondere le cause dell’invidia, della gelosia, della rivalità. Anche quelle della rabbia. Ma con i sottotitoli della delusione c’è poco da fare: si vedono.
Finalmente sentiamo la sirena dei carabinieri. Benché si tratti di un intervento preventivato (piú esattamente: atteso), tiro un sospiro di sollievo. L’arrivo delle forze dell’ordine, anche se di per sé non risolve i problemi, fa sentire immediatamente sgravati dall’onere di occuparcene. Attiva una specie di subappalto d’ufficio delle attività in corso. In certe situazioni è un toccasana, perché libera dalla cautela. Ecco perché la gente, quando arriva la polizia (sul posto di un incidente stradale, p. es.), tende a diventare sboccata.
Tempo fa ho assistito a un tamponamento dalla finestra di casa di un amico. Tamponatrice: una signora. Pure abbastanza distinta. Tamponato: un tipo sui venti, venticinque anni. Faccia da bravo ragazzo. Scendono (lui da una Vespa, lei da una Smart). Il giovane non si altera né recrimina, le chiede gli estremi dell’assicurazione e basta. Lei sbuffa un po’, prova a dire che è solo un graffietto, lui risponde che il suo carrozziere con i graffietti ci si è comprato le case, insomma battibeccano ma si tengono sul minimo sindacale della dialettica da contestazione amichevole, dopo di che la signora si rassegna, torna in macchina, prende i documenti e fa per consegnarli all’avente diritto.
In quel preciso momento però capita che due vigili a spasso in zona notano la transazione in corso e si avvicinano per dovere d’ufficio, ignari di rappresentare il plenilunio che di lí a un attimo libererà il licantropo.
La signora, infatti, con impressionante destrezza, non solo strappa i documenti dalle mani del ragazzo, ma inaspettatamente lo investe con una raffica di porcherie tanto personali quanto gratuite, dimostrando un pedigree da frequentatrice di bettole d’altri tempi.
I due vigili si guardano in faccia allucinati, quindi cercano di ricondurla alla logica, ma la, si fa per dire, signora, strepita di non toccarla (intenzione certamente lontana qualche anno luce da quei poveri servitori dello Stato), e si lancia all’assalto dell’incolpevole ragazzo con una tale furia che uno dei pubblici ufficiali porta istintivamente la mano alla pistola.
A lasciarci allibiti, me e il mio amico (o meglio solo me, perché si rotolava per terra dal ridere, quel cretino, e a un certo punto è dovuto addirittura scappare nell’altra stanza per non soffocare), non erano tanto le imprecazioni immonde, le variazioni sul tema esclusivamente genitale che le uscivano di bocca, quanto la voce. Un gutturale mostruoso, maledetto, insopportabile all’orecchio, intervallato da sputacchi e grugniti, profetico di sciagure e disastri. Da chiamare l’esorcista, giuro. E quando alla fine (non so neanche come abbia fatto), se n’è andata (senza ovviamente aver fornito gli estremi dell’assicurazione), ha messo pure la testa fuori dal finestrino continuando a inveire, quella zantraglia. Roba che i vigili e il ragazzo sono rimasti lí per una buona decina di minuti a consolarsi l’un l’altro, dopo.
– Bene, grazie, avvocato Malinconico, – bissa l’ing. Romolo Sesti Orfeo alzando le sopracciglia e facendo rimbombare il mio cognome fra le verdure e le mozzarelle ...