Nemico, amico, amante...
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Nemico, amico, amante...

  1. 320 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nemico, amico, amante...

Informazioni su questo libro

«I racconti contenuti in Nemico, amico, amante... sono tutti bellissimi, e Quello che si ricorda è, a mio parere, il piú bello dei bellissimi. Con una straordinaria parsimonia di mezzi, la Munro descrive il passaggio dalla passione al tranquillo tran tran coniugale, il sorgere imprevisto dell'attrazione sessuale, il cedere ad essa, il ricordo che resta nitido per un'intera vita. C'è tutto, basta leggerlo».

Margherita Oggero

Nove racconti perfetti: la musica del quotidiano, il gioco smorzato dei sentimenti e delle allusioni. Da Flannery O'Connor a Henry James, da Chechov a Tolstoj, non c'è un autore di racconti al quale Alice Munro non sia stata paragonata. Ma la sua capacità di dipanare in un lampo l'irriducibile complessità della natura umana è incomparabile. Questi racconti possiedono la straordinaria capacità di trascinare il lettore nei meandri di una memoria che non è la sua per risvegliare emozioni che sono di tutti. La scrittura della Munro è aperta, lussureggiante, fitta di accadimenti e particolari necessari. Il paesaggio canadese, la natura selvaggia del Nord Ovest partecipano alle emozioni dei personaggi, integrano la loro storia, determinano le loro decisioni.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806174682

Nemico, amico, amante…

Anni fa, prima che tanti treni su linee secondarie venissero soppressi, una donna dalla fronte alta e lentigginosa e una matassa crespa di capelli rossi, si presentò in stazione per informarsi riguardo alla spedizione di certi mobili.
L’impiegato faceva sempre un po’ lo spiritoso con le donne, specie con quelle bruttine, che sembravano apprezzare.
– Mobili? – disse, come se nessuno avesse mai avuto prima un’idea simile. – Dunque, vediamo. Di che genere di mobili stiamo parlando?
Un tavolo da pranzo con sei sedie. Una camera da letto completa, un divano, un tavolo basso, alcuni tavolini, una lampada a stelo. E anche una cristalliera e una credenza.
– Accidenti. Una casa intera.
– Non direi proprio, – ribatté lei. – Mancano le cose di cucina e ci sono mobili per una sola camera da letto.
Aveva tutti i denti ammucchiati davanti, come se fossero pronti a litigare.
– Le servirà il furgone, – fece lui.
– No, voglio spedirli per ferrovia. Vanno a ovest, nel Saskatchewan.
Gli si rivolgeva a voce alta, come se fosse sordo o scemo, e c’era qualcosa di strano nel modo in cui pronunciava le parole. Un accento. Olandese, pensò lui – c’era parecchio movimento di olandesi in quella zona –, anche se, delle donne olandesi, a questa mancava la stazza o la bella carnagione rosea o i capelli biondi. Poteva essere sotto i quaranta, ma che importanza aveva? Miss bellezza non doveva esserlo stata mai.
L’uomo si fece molto professionale.
– Prima di tutto le ci vorrà il furgone per trasferire la roba qui da dovunque si trovi. E poi, sarà meglio controllare che in questo posto nel Saskatchewan ci passi il treno. Se no, dovrà farla venire a prendere, che so, a Regina.
– È Gdynia, – disse. – Il treno ci passa.
Lui prese una guida cincischiata che stava appesa a un chiodo, e le chiese come si scriveva. Lei si serví della matita a sua volta legata a una corda e scrisse su un pezzo di carta estratto dalla borsetta: gdynia.
– E che razza di nome sarebbe?
Disse che non lo sapeva.
Le prese la matita per scorrere rigo a rigo.
– Un sacco di posti da quelle parti sono pieni di cechi, di ungheresi e di ucraini, – commentò. Mentre lo diceva gli venne in mente che la donna poteva essere una di loro. Be’, e allora? Stava solo esprimendo un dato di fatto.
– Eccola qui. Tutto a posto. C’è la ferrovia.
– Sí, – disse lei. – Voglio spedire la roba venerdí. È possibile?
– Possiamo spedirla, ma non posso prometterle che arriverà in un certo giorno, – fece lui. – Tutto dipende dalle priorità. Ci sarà qualcuno a occuparsene quando arriva?
– Sí.
– È un treno misto, merci e passeggeri, quello di venerdí, delle quattordici e diciotto. Il furgone passa a ritirare la roba venerdí mattina. Lei abita qui in paese?
Annuí, mentre scriveva il suo indirizzo: 106, Exhibition Road.
Era da poco che in comune avevano distribuito i numeri civici, perciò lui non riusciva a immaginare il punto esatto, pur sapendo dove si trovava Exhibition Road. Se lei avesse fatto il nome di McCauley, in quel momento, l’uomo avrebbe forse mostrato maggior interesse, e le cose avrebbero magari preso una piega diversa. C’erano abitazioni nuove in quella zona, costruite dopo il conflitto, anche se la gente le chiamava le «case del tempo di guerra». Immaginò che si trattasse di una di quelle.
– Pagamento alla spedizione, – le disse.
– Voglio anche un biglietto per me sullo stesso treno. Venerdí pomeriggio.
– Stessa destinazione?
– Sí.
– Può viaggiare sullo stesso treno fino a Toronto, ma poi dovrà aspettare il transcontinentale che parte alle dieci e mezza di sera. Vuole un vagone letto o regolare? Nel vagone letto avrà la cuccetta, in quello regolare dovrà stare seduta.
Disse che seduta andava bene.
– A Sudbury dovrà aspettare il Montreal, ma senza scendere: smistano solo le carrozze, e le attaccano alla motrice del Montreal. Lo stesso a Port Arthur, e poi a Kenora. Lei resta sul treno fino a Regina; lí invece cambia, e prende il locale.
Annuí, come per dirgli di non farla lunga e di darle il biglietto.
Rallentando, lui disse: – Ma non le assicuro che i mobili arriveranno insieme a lei, anzi, credo che ci metteranno un paio di giorni in piú. È questione di precedenze. Qualcuno viene a prenderla?
– Sí.
– Bene. Perché è probabile che non sia granché, come stazione. Da quelle parti, i paesi non sono come qui. Sono posti abbastanza rudimentali.
Pagò il suo biglietto, sfilando il denaro da un rotolo di banconote in un sacchetto di tela che teneva in borsa. Come una vecchietta. Contò anche il resto. Ma non come avrebbe fatto una vecchia. Passò in rassegna rapidamente gli spiccioli sulla mano, ma era chiaro che non le stava sfuggendo un centesimo. Poi girò sui tacchi e se ne andò senza salutare.
– A venerdí, – le disse lui.
In quella tiepida giornata di settembre, la donna indossava un soprabito lungo e semplice, su scarpe sfondate coi lacci, e calzini alla caviglia.
L’impiegato si stava versando del caffè dal thermos quando lei tornò indietro e batté sul vetro dello sportello.
– I mobili che spedisco, – disse. – È tutta roba buona, come nuova. Non vorrei che si graffiassero, o si ammaccassero, che si danneggiassero, insomma. E non vorrei neppure che arrivassero puzzolenti di carro bestiame.
– Be’, senta, – disse lui. – Qui in ferrovia siamo piuttosto esperti in fatto di spedizioni. Tendiamo a non usare gli stessi vagoni per mobili e maiali, ad esempio.
– Voglio solo assicurarmi che arrivino a destinazione nelle stesse condizioni in cui sono partiti di qui.
– Stia a sentire: quando lei compra dei mobili, va in un negozio, giusto? Ha mai pensato come ci sono arrivati? Non li hanno certo fatti sul posto, dico bene? No, li hanno fatti in fabbrica da qualche parte e poi li hanno spediti al negozio, probabilmente col treno. Perciò, stando cosí le cose, non le pare che le ferrovie dovrebbero sapere il fatto loro?
Lei non smise mai di guardarlo, senza un sorriso, e tutt’altro che convinta di dover ammettere di aver avuto solo paure cretine, da donna.
– Lo spero proprio, – disse. – Spero che sia cosí.
L’impiegato delle ferrovie avrebbe dichiarato senza pensarci su che conosceva tutti in paese. Il che voleva dire che conosceva circa metà della gente. Per lo piú lo zoccolo duro della popolazione, quelli che si consideravano davvero «del posto», nel senso che non erano arrivati il giorno prima e non intendevano trasferirsi l’indomani. Non conosceva la donna in partenza per il Saskatchewan, perché non era un membro della loro chiesa, non era l’insegnante dei suoi figli e non lavorava in nessun negozio, ufficio o ristorante che lui frequentasse. E non era nemmeno sposata con qualcuno di sua conoscenza, socio degli Elks o degli Oddfellows, o del Lions Club o degli Ex Combattenti. Un’occhiata alla mano sinistra mentre lei prendeva i soldi gli aveva chiarito – senza peraltro meravigliarlo – che non era sposata e basta. Con quelle scarpe e i calzini, anziché le calze di nylon, e senza guanti e cappello di pomeriggio, avrebbe potuto essere una contadina. Ma le mancavano i modi esitanti, l’imbarazzo. Non aveva maniere da contadina – a dirla tutta, non aveva affatto buone maniere. Lo aveva trattato come una specie di macchina sputainformazioni. E poi, gli aveva dato un indirizzo del centro: Exhibition Road. In realtà, la persona che gli ricordava di piú era una suora in abiti borghesi che aveva visto in Tv, parlare del suo missionariato in qualche angolo della foresta vergine: probabilmente aveva smesso gli abiti religiosi per muoversi piú agevolmente durante il lavoro laggiú. La monaca aveva sorriso, di quando in quando, per mostrare che la sua fede la faceva felice, ma per lo piú aveva fissato il pubblico con l’aria di chi pensava che gli altri stessero al mondo solo per farsi comandare da lei.
C’era un’altra cosa che Johanna voleva fare e che rimandava da un pezzo. Doveva entrare nel negozio di Milady e comprarsi un tailleur. Non ci aveva mai messo piede; quando doveva prendersi qualcosa, tipo un paio di calze, andava da Callaghans Abbigliamento per Uomo Donna e Bambino. Aveva un mucchio di vestiti ereditati dalla signora Willets, roba tipo quel soprabito che non si sarebbe consumato mai. E Sabitha – la ragazza alla quale badava, in casa McCauley – riceveva montagne di abiti smessi dalle cugine
Nella vetrina di Milady c’erano due manichini con indosso tailleur dalla gonna piuttosto corta e dalla giacca di taglio diritto. Uno dei due era di un bel ruggine dorato, e l’altro di un riposante verde intenso. Vistose foglie di acero fatte di carta erano sparse ai piedi dei manichini e incollate qua e là sul vetro. Proprio nel periodo dell’anno in cui la gente aveva il problema di rastrellare le foglie e bruciarle, qui erano diventate una scelta decorativa. Un cartello scritto in svolazzante corsivo nero tagliava l’intera vetrata in diagonale. Diceva: Eleganza Sobria, la Moda d’Autunno.
Aprí la porta ed entrò.
All’ingresso, in uno specchio a figura intera, si vide con il raffinato mantello informe della signora Willets, che le scopriva pochi centimetri di gamba nuda sopra i calzini.
Lo facevano apposta, era chiaro. Avevano piazzato lí lo specchio, di modo che i clienti potessero rendersi conto subito delle proprie magagne per poi – si sperava – giungere alla conclusione che era il caso di acquistare qualcosa per modificare l’effetto. Un espediente cosí scoperto l’avrebbe fatta uscire senz’altro dal negozio, se non fosse già entrata decisa, sapendo che cosa doveva comprare.
Lungo una parete erano allineati gli abiti da sera, tutti a misura di reginetta del ballo, con tanto di raso e tulle e colori incantati. Piú in là, in un armadio a vetri per evitare che dita profane potessero sfiorarli, stavano una mezza dozzina di abiti da sposa: una spuma bianchissima di raso fior di vaniglia e di pizzi avorio, ricamati a perline e giaietto. Bustini ridottissimi, colli smerlati, gonne sontuose. Nemmeno da giovane si sarebbe mai concessa certe stravaganze, e non solo per una questione di soldi, ma per la presunzione che avrebbero significato, per la speranza immodesta di meritare una simile trasformazione, e la felicità.
Passarono due o tre minuti prima che arrivasse qualcuno. Magari avevano uno spioncino dal quale la osservavano, pensando che non era il loro genere di cliente, e sperando che se ne andasse.
Macché. Si scostò dalla linea dello specchio – passando dal linoleum accanto alla porta a una fitta moquette – e finalmente, dalla tenda in fondo al negozio, uscí Milady in persona, in tailleur nero dai bottoni luccicanti. Tacchi alti, caviglie sottili, addome fasciato cosí stretto che le calze raschiavano l’una contro l’altra, capelli biondo oro tirati indietro, faccia truccata.
– Pensavo di provarmi il tailleur che ha in vetrina, – disse Johanna, che si era preparata la frase. – Quello verde.
– Oh, un bel capo, – disse la donna. – Quello in vetrina mi pare sia una taglia quaranta. Vediamo, lei cosa sarà? Una quarantaquattro?
Passò frusciando davanti a Johanna fino all’angolo del negozio in cui stavano appesi i capi normali, tailleur e abiti da giorno.
– È fortunata. Ecco qui una quarantaquattro.
Per prima cosa, Johanna guardò il cartellino del prezzo. Tranquillamente il doppio di quanto si aspettasse, e non era sua intenzione far finta di niente.
– È parecchio caro.
– È di ottima lana –. La donna armeggiò con la stoffa finché non trovò l’etichetta, e lesse la composizione del tessuto, ma Johanna non stava davvero ascoltando perché intanto osservava l’orlo per controllarne la cucitura.
– È leggero come una seta, ma cade come un piombo. Come vede è tutto foderato: fodera completa in rayon e seta. Non si stropiccia sul dietro e tiene la piega; mica come certi completi a buon mercato. Guardi questi polsini, il colletto in velluto, e i bottoncini in velluto sulla manica.
– Li vedo.
– Dettagli simili costano, si capisce, non si trovano dappertutto. Senta la morbidezza del velluto. C’è solo sul verde, sa? Quello color albicocca è senza, eppure hanno esattamente lo stesso prezzo.
In effetti erano colletto e polsini di velluto a conferire al tailleur, secondo Johanna, quel tocco di lusso che gliel’aveva fatto desiderare. Ma non intendeva ammetterlo.
– Tanto vale che me lo provi.
Dopo tutto era entrata decisa a farlo. Biancheria pulita e una spolverata di borotalco sotto le ascelle.
La donna fu abbastanza sensata da lasciarla sola nello spogliatoio. Johanna evitò come veleno lo specchio finché non ebbe sistemato la gonna e non si fu abbottonata la giacca.
Dapprima osservò solo l’abito. La taglia era giusta: la gonna, piú corta delle sue solite gonne, ma d’altra parte quelle erano fuori moda. No, nessun problema rispetto al tailleur. Il problema semmai dipendeva da ciò che ne spuntava fuori. Il collo, la faccia, i capelli, le mani gross...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nemico, amico, amante…
  4. Nemico, amico, amante…
  5. Il ponte galleggiante
  6. Mobili di famiglia
  7. Conforto
  8. Ortiche
  9. Post and Beam
  10. Quello che si ricorda
  11. Queenie
  12. The Bear Came Over the Mountain
  13. Dello stesso autore
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Copyright