Meglio morti
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Meglio morti

  1. 268 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Meglio morti

Informazioni su questo libro

Nella campagna gelida viene trovato il corpo senza vita di Ines, dodici anni: nessuna violenza, un dito unto di olio rituale, un aborto subito da poco. E altre tre ragazzine sono scomparse. Che cosa lega le quattro sparizioni? Il maresciallo Pili, il commissario Correli e il sostituto procuratore Danila Comastri indagando scoprono una verità molto piu complessa di quanto immaginassero. Una verità che mescola storie di cattiva amministrazione e appalti truccati, tragedie e vendette familiari, tradizioni e misteri isolani. E allora il colpevole potrebbe essere Paolo, giovane disoccupato; o sua zia Badora, una vecchia mammana; oppure Maciste e i suoi amici piccoli delinquenti, o Santino Pau che devasta Nuoro con i suoi cantieri... e la soluzione del mistero intreccia antichi e a volte macabri rituali con la moderna avidità umana che, senza scrupoli, sta modificando i caratteri di un popolo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806152024
eBook ISBN
9788858403525

Parte prima

Pizzinna lassa su ioku,
Si iocas mira kin kie;
In d’unu monte ’e nie
Cheres allugher foku
(Bambina smetti di giocare
e se giochi bada bene con chi lo fai;
in una montagna innevata
vuoi accendere un fuoco)

Capitolo primo

Poco piú avanti si apriva una radura. La vegetazione si faceva meno irta, lasciando intravvedere un ampio spazio sterrato. Il suolo, di terra nera e odorosa, pareva appena smosso da un calpestio concitato.
– Cinghiali, – affermò Elio Parodi accosciandosi per guardare le orme da vicino. Sistemandosi la doppietta sulla spalla invitò i suoi due compagni di caccia a osservare con attenzione.
– Sono fresche, – annunciò con solennità. Poi rivolto al maresciallo Pili: – È ora di far uscire i cani –. Il maresciallo non se lo lasciò ripetere e con la solerzia consueta dei militari si avviò presso il furgoncino poco distante, all’interno del quale i cani, eccitati dall’odore della selvaggina, uggiolavano e scodinzolavano.
– Questa è una zona buona, – rifletté Elio Parodi, invitando Luigi Masuli a guardarsi attorno.
– Non mi sento molto tranquillo, – si lamentò quest’ultimo, – mi succede sempre quando vengo a caccia con te.
– Quando vieni a caccia con me, – ripeté Elio Parodi senza sollevare gli occhi dal suolo, – ci sono volute due settimane per convincerti a venire. Guarda qui: un bestione di almeno ottanta chili, – continuò mostrando una serie di orme particolarmente chiare.
Luigi Masuli annuí senza smettere di guardarsi attorno.
– Fa un freddo maledetto, – imprecò battendo le mani per scaldarsele.
Il sentiero che portava alla statale e quindi al furgoncino era disseminato di spazzatura. Il maresciallo Pili si sollevò il bavero, le querce lasciavano nell’aria gelida un odore come di legna riarsa. Le foglie scricchiolavano sotto i suoi scarponi d’ordinanza, il respiro si trasformava in fumo davanti alla sua faccia. Si era lasciato convincere a fare questa perlustrazione in zona di caccia, ma ora cominciava a pentirsi: si affaticava con niente, i trecento metri che ancora lo separavano dalla strada asfaltata gli parvero ancora piú difficili da percorrere. Si sedette, con entrambe le mani sulle ginocchia e il respiro pesante. Con lo sguardo fisso sul ciglio del sentiero pensò all’estate maledetta che pareva appena trascorsa e agli inverni precocissimi che erano seguiti. Fu attratto dalla desolazione silenziosa di quel trattúro, dalla presenza invisibile di quelle persone che avevano abbandonato avanzi di ogni genere fra la boscaglia per testimoniare che c’erano state, che avevano pasteggiato fra gli alberi in una delle ultime giornate calde dell’autunno. Cosí, con una specie di sconforto vicino alla commozione, si alzò per raggiungere quell’area invasa di avanzi.
La voce di Luigi Masuli risuonò alle sue spalle:
– Allora, questi cani? Credevamo che ti fossi perso!
– Sporcano ogni cosa. Sono delle bestie, – tuonò il maresciallo Pili chinandosi a raccogliere una scarpa. – Non rispettano piú niente, guarda: buttano via persino gli indumenti.
Non si voltò neppure, deciso a portare avanti la sua opera di accumulo delle cose abbandonate. Si guardò intorno alla ricerca di una busta o qualcosa che potesse contenerle.
Luigi Masuli restò a guardarlo senza muoversi.
– Che cosa facciamo? Cerchiamo i cinghiali o facciamo notte a pulire? – disse con una nota canzonatoria.
Il maresciallo Pili non parve curarsene. Aveva trovato una scatola di cartone abbastanza capiente e ci infilava piatti, bottiglie, barattoli, indumenti, afferrandoli con la punta delle dita.
– Io vado a prendere i cani, – avvertí Luigi Masuli. – Quando hai finito, eventualmente, ci raggiungi. Male che vada ci troviamo al furgone tra un paio d’ore.
Abbandonare quell’uomo al suo destino, alla sua chimera di un mondo pulito, gli sembrò una punizione sufficiente. Avanzando verso la statale si voltò ancora una volta a guardarlo mentre chino verso il suolo continuava la sua opera di pulizia.
– Non sei tutto a posto! – gli urlò seccato per l’assenza di reazioni di lui. – Che cavolo c’entra mettersi a fare lo spazzino adesso? Io vado! – ritentò sostando per dargli l’ultima possibilità di raggiungerlo.
– Bestie, – continuava a ripetere il maresciallo Pili, come in preda alla disperazione.
Allora Luigi Masuli si voltò: – Sei esaurito Nicola,
– gli disse, – tu non ti sei ripreso. Fai quello che vuoi, io vado a liberare i cani.
Rocki, mezzo bracco e mezzo setter, si avventò sul suo padrone.
– Buono, a cuccia, – ordinò bonario Elio Parodi. Ma l’animale, rimasto troppo a lungo rinchiuso, non smetteva di turbinare e saltare. L’altro cane, un bastardino che tutti chiamavano Groddo, teneva il muso appiccicato al suolo come se una calamita lo obbligasse a restare in quella posizione.
– Ci voleva tanto? – chiese Elio Parodi tentando ancora una volta di calmare il suo cane. Luigi Masuli scrollò le spalle: – Non ha il cervello a posto! L’ho trovato vicino alla strada che raccoglieva la spazzatura.
Elio Parodi strattonò il cane afferrandolo per il collare.
– Ha passato un brutto periodo, – disse lasciandosi trascinare in mezzo allo spiazzo.
– Vorrei vedere te al suo posto. Bisogna lasciarlo fare.
– Nessuno gli ha dato delle colpe, – scandí Luigi Masuli. – Era una situazione che non si poteva prevedere. Chi le ha mai viste cose simili da queste parti?
– Vado a parlarci io, – risolse Elio Parodi. – Controlla i cani, sono molto eccitati. Avevi ragione, questo è un buon posto per i cinghiali.
Seduto sul ciglio della statale con le gambe che pendevano giú dalla cunetta, il maresciallo Pili si assestò il bavero ancora una volta. Si sentiva stanco. Piú stanco di quanto sarebbe stato lecito. Aveva sistemato la cassetta con le cose raccolte vicino al furgoncino. Un vento gelido aveva cominciato a soffiare e il cielo prometteva neve.
Elio Parodi avanzò spuntando dal sentiero, un sigaro spento gli pendeva dalle labbra.
– Che cosa succede? – chiese sistemandosi a sedere affianco al compagno.
– Che cosa succede, – fece eco il maresciallo, – niente succede, cosa vuoi che succeda? Lo sai che la caccia non è una cosa che mi interessi piú di tanto. Sono venuto solo per prendere una boccata d’aria.
– Non c’è male, – ironizzò Elio Parodi, – bei compagni di caccia: uno che viene solo per prendere una boccata d’aria e un altro che conosce gli appostamenti, ma che devo sudare sette camicie per convincerlo a muoversi!
Facendosi schermo con una mano tentò di accendere il sigaro.
– Lascialo spento, – lo rimproverò il maresciallo Pili. – Non vedi che è tutto secco! Se si mette a correre, il fuoco da queste parti non lo ferma nessuno.
– Bevi qualcosa per scaldarti, – propose Elio Parodi, porgendogli una fiaschetta dopo aver cacciato i fiammiferi nella tasca della giacca di fustagno.
– Sei diventato intrattabile Nicola, – disse a mezza voce.
Il maresciallo trangugiò l’acquavite con una smorfia. Era diventato intrattabile.
– Smetto, – disse, – me ne vado dall’arma. È da quell’estate che ci penso. Mi chiedo perché non l’ho fatto subito.
– Nessuno ha pensato che fosse colpa tua. Le cose sono andate come dovevano andare. Chi poteva prevedere quello che è successo?
– Io! Io potevo! Era tutto chiaro fin dal principio: sono stato stupido, mi sono fissato. Solo un cieco poteva agire come me. Non c’era niente che tornasse al suo posto. Allora avrei dovuto pensarci. Già dal suicidio avrei dovuto pensarci!
– Eh, cosí ti davano la patente di indovino! – Elio Parodi si sfilò la doppietta dalla spalla e la poggiò sull’asfalto. – E poi, non aveva capito niente nemmeno il giudice Corona! – concluse.
Il maresciallo sorrise con amarezza.
– Sono due mesi che cerco di parlargli, ma non c’è niente da fare: dicono che ha preso una lunga aspettativa ed è partito per chissà dove. Ma non è cosí: ho visto la luce accesa a casa sua non piú di tre giorni fa.
– Certo che per lui è stato un bel colpo! – ammise Elio Parodi. – Lo capisco se non vuole vedere nessuno.
Il maresciallo balzò in piedi verso la cunetta. Battendo i piedi al suolo cercava di riattivare la circolazione nelle gambe. Schiariva. Un sole pallidissimo si faceva largo nella coltre fittissima delle nubi grigie. Voleva parlare d’altro: – Allora questi cinghiali? Ci sono o non ci sono? – chiese.
Elio Parodi balzò a sua volta.
– Se ce ne sono? Io ti dico che domattina ne prendiamo almeno tre!
Voltandosi verso la statale raggiunse il ciglio della strada per recuperare la doppietta.
Fu allora che si sentí un trambusto: uno scalpiccio come di qualcuno che corresse e l’uggiolare lamentoso dei cani.
Luigi Masuli comparve dal sentiero col fiato mozzato dalla fatica. Aveva trascinato i cani con sé e aveva corso.
– Venite, – disse trafelato. – Venite! – Ripeté amplificando, col viso stravolto.
A una ventina di metri dalla radura i cani avevano trovato qualcosa. C’era un cespuglio di mirto, un cumulo di terra nera e leggera appena smossa, una piccola mano rinsecchita che affiorava dal terreno.
– Bisogna chiamare qualcuno, – scandí il maresciallo Pili. – Allontanate i cani, non toccate nulla e cercate di non camminare lí vicino.
Luigi Masuli fece un giro su se stesso in balía degli animali che lo trascinavano verso il cespuglio. Poi li tirò con violenza tentando di riportarli verso il furgone. Agiva in maniera sconnessa, assecondando il movimento circolare dei cani senza riuscire a spostarli per piú di dieci metri.
Il maresciallo Pili cercò un fazzoletto nella tasca del giaccone e coprí la manina che spuntava dal suolo. La terra smossa non era molto piú scura di quella che aveva ricoperto il cadavere. Una forcina per capelli spuntava dal terriccio. – Bisogna avvertire subito la centrale, – ripeté con un che di meccanico nella voce.
– Che cosa... – tentò di articolare Elio Parodi. Era rimasto per tutto il tempo in piedi accanto al cumulo di terra smossa. Oscillando leggermente sulle gambe guardava in direzione del corpo.
– Chi è? – chiese tentando di immaginare un punto d’appoggio.
Il maresciallo balzò in piedi.
– Prendete la macchina, bisogna avvertire la centrale! Io sto qui ad aspettare.
Elio Parodi ebbe un balzo.
– La centrale, – ripeté. – Certo, tu resti qui ad aspettare...
Si voltò e fece qualche passo verso Luigi Masuli che, non senza fatica, era riuscito a incamminarsi verso il furgone.
– Che cosa devo dire? – ritentò Elio Parodi, tornando indietro.
Il maresciallo Pili respirò profondamente.
– Di’ che abbiamo trovato Ines Ledda.

Capitolo secondo

Paolo Sanna aspettò ancora qualche minuto, svegliarsi non significava necessariamente aprire gli occhi. Le voci dalla cucina erano un ponte fra il sonno e la realtà. Il tepore sotto le coperte si opponeva, ostinato, al freddo della stanza e lo convinceva a restare immobile. Nella testa di Paolo il freddo aveva una solidità inusitata. Il freddo è sempre solido. Il caldo invece è morbido. E parla. Seduttore e padre di ogni pigrizia. Cosí Paolo sentiva il suo respiro, lo sentiva irradiarsi nella stanza, impegnato a provocare una breccia, un’onda di calore che potesse creargli un passaggio nel gelo.
Aprí gli occhi.
Le cose consuete apparvero, poi scomparvero. Le voci in cucina si fecero piú chiare, 0 solo piú identificabili: il rumore del piattino e del bicchiere, le formule sommesse, il silenzio, il responso.
– Eh, figlia mia. Qui c’è qualcuno che ti vuole male veramente.
Chi fa questa affermazione è una donna di settant’anni, minuta come una bambina. Il fazzoletto le pende con due corni sulle spalle. La donna piú giovane che le siede di fronte aggrotta le sopracciglia e scuote il capo. La bambina è compita nonostante i suoi dodici anni. Ha indosso un cappottino marrone con un colletto di pelliccia e una fascia dello stesso colore le mantiene i capelli, scurissimi e lunghi, pettinati di fresco, discostati dalla fronte. È una vera signorina: non dice una parola e quando la interrogano abbassa il capo.
– Non so chi possa essere, – dice all’improvviso la madre della bambina, guardando il piattino dove l’acqua ha separato la macchia d’olio in mille bollicine. Grossi grani di sale grezzo navigano nel liquido come isole di cristallo.
– Eppure qui c’è malocchio, – rincara la vecchia. – Hai messo la maglia alla rovescia come ti avevo detto?
La donna piú giovane fa cenno di sí e sposta il collo della blusa per mostrare le cuciture a vista della maglia di lana che porta sotto.
– E tu, – insiste la vecchia rivolta alla bambina, – ce l’hai sempre la reliquia?
– Eccome no, – interviene la donna. – Fai vedere a zia Badora che ce l’hai!
La bambina, ubbidiente, si sbottona il cappottino e mostra un sacchetto appeso alla fodera interna con una spilla da balia.
– È inutile, – continua sconsolata la donna, – lo sentivo che c’era qualcosa: questo mal di testa che non mi passa e poi non ne va bene una in casa. Questa creatura ha sempre qualche male addosso, non faccio altro che portarla dal medico: non vedete che si sta riducendo in niente!
Cosí dicendo afferra il braccio della figlia per mostrare alla vecchia un polsicino smunto. La bambina come per confermare i timori della madre sfila un fazzoletto dalla tasca e si comprime le narici con un gesto delicato.
Cosí la vecchia si alza in piedi e intinge le dita nella soluzione di acqua, olio e sale, poi si accosta alla donna, la segna sulla fronte biascicando le orazioni e le dà da bere un sorso del preparato. Lo stesso fa con la bambina.
– Hai portato un indumento? – chiede.
La donna, con pudore, estrae due paia di mutandine candide dalla borsetta che ha tenuto per tutto il tempo sulle ginocchia e le porge.
La vecchia stringe gli indumenti fra le mani mondandoli con nuove oscure formule e li restituisce alla donna.
– Indossateli, – ordina. Poi, rivolta alla donna, – Paga una messa per le anime.
Il tonfo sommesso della porta d’ingresso fece sobbalzare Paolo nel letto. Con un gesto repentino scostò le coperte e lasciò che tutto il peso dell’aria piombasse sul suo corpo. Se si trattava di quello, se cioè il freddo fosse stato cosí pesante, lui non sarebbe riuscito a sollevarsi. Invece si sollevò. Era tutto falso.
Salvatora Fenu, Badora, si preparava per la messa mattutina lisciandosi i capelli bianchi e ripiegando i corni del fazzoletto sotto il mento con un nodo largo.
In cucina si stava meglio. C’era un bel tepore. La stufa economica andava a pieno regime. Il pentolino del latte, coperto con un piattino, era al caldo ai bordi della piastra incandescente, il caffè era già nella tazza sul tavolo.
Col viso ancora gonfio dal sonno Paolo Sanna sedette nel posto che solo qualche minuto prima era stato della donna piú giovane.
Allungando la mano verso il cesto del pane carasau cominciò a frantumare le sfoglie secche in mille schegge che finirono dentro la tazza.
La vecchia finí di sistemarsi lo scialle sugli òmeri e sistemò gl...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Parte quarta
  8. Parte quinta