Libra (versione italiana)
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Libra (versione italiana)

  1. 428 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Libra (versione italiana)

Informazioni su questo libro

John e Jacqueline Kennedy sfilano in un corteo di automobili «dentro il fuoco del mezzogiorno» di Dallas. Tutto sembra cosí dolorosamente chiaro, tutto è «luce e cielo». E tra i riflessi e i luccichii di automobili, lenti fotografiche e acciaio di armi, sotto il sole sfolgorante si compie il sacrificio: Lee Harvey Oswald, bene in vista nella grande vetrata del Texas School Book Depository, spara contro il presidente Kennedy, bene in vista sul sedile della Lincoln scoperta. Carnefice e vittima uniti nel fulgore, nel lampo che cambierà il mondo. Perché da quel 22 novembre 1963, per Don DeLillo, come per milioni di altre persone, l'America non è piú stata la stessa.
Con una scrittura scabra e affilata, DeLillo penetra nei covi degli attentatori, nelle tenebre dell'inconscio degli ex agenti dell'Fbi e anche di Oswald, il loro burattino, il ragazzo dall'identità e dal passato incerti. Cosí viene alla luce tutto quello che sull'assassinio di Kennedy è stato detto e smentito, gridato e sussurrato, fino alla scena sacrificale di Dallas. *** «Libra è come il fermo immagine del fuoco incrociato, il fotogramma di un istante tremendo». The New Yorker

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806163365
eBook ISBN
9788858403648

Parte seconda

Qualcuno dovrà rimettere insieme i miei pezzi…
JACK RUBY, Deposizione.
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15 luglio

La donna conosceva diversi modi per sparire. Potevi essere solo con lei in una stanza e dimenticarti della sua presenza. Piombava nel silenzio, nell’immobilità, svaniva dentro le cose che la circondavano. A T-Jay piaceva immaginare che avesse affinato quella capacità negli anni.
Era in piedi davanti alla finestra, mangiava uva da un sacchetto di carta lacerato su un lato. Norfolk era una città straniera. Era qui che le reclute della Fattoria venivano ad esercitarsi nelle arti oscure. Irruzioni, discese con la fune, perlustrazioni, interferenze acustiche. Anche Newport News e Richmond erano classificate come straniere. Baltimora era a volte straniera e a volte no. Ma T-Jay non era venuto per sovraintendere a un’irruzione e valutare la tecnica dei ragazzi.
Lei era seduta sul letto, stava distribuendo due mani di poker a cinque carte per giocare con entrambe. Veniva da Formosa, diceva, e sembrava abbastanza giovane da figurare come orfana di guerra in una campagna di pubblicità sociale. Questa era la terza visita di T-Jay a quella stanza minuscola. Indossava una T-shirt con la scritta USS Dickson, se l’era messa senza che lui se ne accorgesse. La nudità di lei non dava nell’occhio, era talmente naturale da apparire involontaria. Avrebbe potuto tranquillamente credere che stesse sempre nuda.
La guardò sbattere una rivista contro la parete nel tentativo di schiacciare un tafano. Dopo pochi secondi si dimenticò nuovamente di lei.
La cosa che aleggia su ogni segreto è la delazione. Presto o tardi qualcuno arriva al punto in cui vuole svelare quello che sa. Mackey non si fidava di Parmenter. C’erano mille ufficiali di carriera come Parmenter. Il loro massimo articolo di fede è pranzare. Non si fidava neanche di Frank Vásquez. Nei mesi precedenti l’invasione, Frank, manovrato da Mackey, aveva spiato altri esuli come lui. Frank era difficile da inquadrare. Aveva il cuore di un chivato, una piccola spia belante con la faccia caprina, ma quando aveva in testa un obiettivo sapeva dimostrarsi calmo e risoluto. Mackey non si fidava di David Ferrie. Ferrie sapeva che le armi per l’operazione erano fornite da Guy Banister. Probabilmente sapeva anche che Banister aveva proposto di fare affluire dai racket di New Orleans il denaro necessario a foraggiare la squadra di attentatori. Piú grande era il segreto, meno diventava sicuro con i tipi come Ferrie. Ce n’erano altri da reclutare. Alla fine uno di loro sarebbe arrivato al punto. Lui sapeva come la pensavano, questi uomini che partecipavano a complotti orditi da altri. Volevano tradirsi, a mormorii, con qualcuno nascosto nell’ombra.
Avvicinò una sedia al letto e giocò una delle mani di poker. Perché aveva l’impressione di guastare la festa alla ragazza? Lei aveva i capelli cortissimi, i fianchi stretti, e modi distaccati, quasi scostanti, una specie di linguaggio corporeo che T-Jay interpretò in chiave di libero adattamento dello stile locale. Camminava come una ragazza che spinge il carrello lungo i corridoi di un supermarket.
– Dovrei insegnarti il ramino. È piú bello da giocare in due.
– Perché, ritornerai?
– Forse sí.
– O forse no.
– O forse no.
– E allora, perché dovrei imparare? – chiese lei.
L’idea che le puttane potessero essere persone profonde gli piaceva. Lui rispettava le puttane. Erano veloci di intuito – tutto il loro lavoro era veloce – e a volte aveva la sensazione che sapessero di lui cose che gli erano completamente sfuggite. Avevano accesso alle realtà piú essenziali, e questo lo rendeva guardingo e rispettoso.
Lei gli prese la mano destra e la accostò alla sua, palmo contro palmo. Dapprima Mackey non capí. Poi si rese conto che stava confrontando la grandezza delle loro mani. La differenza la fece ridere.
– Che cosa c’è da ridere?
Gli rispose che aveva una mano buffa.
– Perché la mia? Perché non la tua? – chiese lui. – Se c’è tanta differenza, magari sei tu quella buffa, non io.
– No, sei tu che fai ridere, – ribatté Lu Wan.
Poi confrontò le due sinistre e si abbatté di traverso sul letto, ridendo. Forse pensava che appartenessero a due specie diverse. Uno di loro era esotico, e certo non lei.
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Ormai la birra era calda. Mackey agitò la bottiglia e guardò la ragazza.
– I negozi sono chiusi, – disse lei.
Era stato Everett a spiccare il salto. Everett aveva preso l’idea un tempo audace di assassinare Castro e l’aveva rigirata nella mente, trovandola impraticabile e rozza. Per poi escogitare una contromisura che aveva piú logica a tutti i livelli. Era originale, sobria e pulita. L’uomo che vogliamo veramente è JFK. Mackey gli accordava la massima considerazione. Everett era un uomo complesso e passionale, capace di pensare con economia. A Langley come a Miami erano ancora tutti occupati a formulare piani per colpire Fidel. Era un’industria, come quella delle calzature o della pasta di legno. Everett aveva visto la logica di restare fra le mura di casa. L’idea aveva forza e lungimiranza. Naturalmente Everett non tramava per colpire Kennedy in senso letterale. Solo per seminare un po’ di pallottole. Chiedeva un’imprecisione chirurgica.
Il secondo salto lo aveva spiccato Mackey. Lo aveva fatto dopo avere ascoltato il piano di Everett, mentre guidava in solitudine verso il confine della Louisiana, gli occhiali da sole sul cruscotto nella morbida luce serale, due anni esatti dopo i Porci. Bisognava salire ancora di un gradino. L’ossessione di Everett si perdeva nei tecnicismi. Il piano diventava troppo aggrovigliato e profondo. Everett voleva labirinti che si diramavano all’infinito. Il piano era saturo di ansia, involuto. Mancava del calore del sentimento. Dovevano portarlo alle ultime conseguenze. Fu una rivelazione per lui, quando gli apparve chiaro cosa bisognava fare, mentre sentiva l’impeto dell’aria contro il cofano, provare un’assurda fottuta compassione per il presidente Jack.
In frigorifero c’era un succo di frutta. Ne bevve un sorso e passò la bottiglia alla ragazza. Lei si asciugò le labbra con la mano, poi bevve e si asciugò di nuovo le labbra. La sirena di una nave echeggiò dal fiume. Mackey prese la bottiglia e la posò, mentre la ragazza si sfilava la T-shirt. Appoggiò un ginocchio al bordo del letto, guardandola passare impercettibilmente in una seconda pelle. Ogni traccia di personalità era sparita. Non aveva mai conosciuto una donna capace di trasformarsi cosí completamente in un corpo. Aveva un corpo capace di cambiar forma, di arrotolarsi a palla, di rendere il sesso un piccolo mistero di bagliori solari e ombra. Lui teneva la mano sul montante del letto. Stavano scopando sopra una rivista, e le pagine le si appiccicavano alla schiena, sbatacchiavano rumorosamente.
Attraverso vari stadi – un matrimonio, una specie di carriera di paramilitare itinerante, la caduta in disgrazia – era diventato un uomo senza fissa dimora. Secondo un certo modo di vedere, questo era un motivo di disperazione assoluta. Stava per doppiare i quarant’anni sperduto nel mondo e senza niente a testimoniare del tempo passato e dei rischi corsi. Eppure eccolo lí, ad accendere il motore per il lungo viaggio verso sud, con un curioso senso di compiacimento, di vantaggio. Aveva l’immagine di Jack Kennedy stampata in testa, e nessuno sapeva nemmeno che esistesse, lui, l’uomo che avevano pagato perché insegnasse ad altri i comandamenti della forza mortale.
Win Everett era in camera di sua figlia, la ascoltava leggere un libro di racconti con le illustrazioni in rilievo. Mary Frances lasciava a lui queste sedute di lettura. Le pose teatrali di Suzanne la infastidivano, pensava che la bambina dovesse imparare a leggere, non a recitare battute. Win seguiva ogni parola. L’espressione del suo viso cambiava insieme a quella della bambina, a seconda dei ruoli e delle emozioni.
Era miracoloso l’effetto di quelle favole su di lui, la sensazione di tornare bambino. Poteva perdersi nel suono della voce della piccola. Esplorava il suo viso, credendo di vedervi quello che lei vedeva, riga dopo riga, nel solenne e fatale procedere di una fiaba. Gli occhi di Everett brillavano. Provava una gioia cosí intensa da poterla descrivere nella lingua dei cori angelici, delle potestà e delle dominazioni. Erano soli in una stanza che era a sua volta sola, una stanza sospesa sopra il mondo.
Piú tardi, sfogliava una rivista seduto al pianoterra. Sapeva di essere ormai lontano dalla prima linea dell’operazione. Si serviva di Parmenter per parlare con Mackey. Entrambi si servivano di Mackey per sapere cosa stava succedendo al 544 di Camp Street. Everett non si fidava di Oswald. Voleva sapere solo cose importanti. Si stava distanziando troppo dagli altri. Si aspettava forse che i suoi progetti si realizzassero per intervento soprannaturale? Stava commettendo gli stessi errori del Senior Study Effort prima dell’invasione di Cuba. Non sapeva se sarebbe riuscito a tirarsi fuori. Da una parte desiderava perdere il controllo. Desiderava una via d’uscita dalla paura e dai presentimenti.
Le trame possiedono una logica. C’è una tendenza, nelle trame, a evolvere in direzione della morte. Lui era convinto che l’idea della morte fosse insita nella natura di ogni trama. Nelle trame di narrativa come in quelle di uomini armati. Piú la trama di un racconto è fitta, piú è probabile che approdi alla morte. La trama di un romanzo, credeva, è il nostro modo di localizzare la forza della morte fuori dal libro, di esorcizzarla, di contenerla. Gli antichi inscenavano finte battaglie per eguagliare le calamità naturali e aver meno paura degli dei che combattevano in cielo. Si interrogò sulla logica mortale della sua trama. Aveva già chiarito al di là di ogni dubbio di volere che i tiratori colpissero un uomo dei servizi segreti ferendolo leggermente. Ma a spaventarlo non era la pallottola male indirizzata, il morto accidentale. Era una sensazione piú insidiosa. Aveva il presentimento che la trama si sarebbe spinta al limite, determinando una conclusione logica.
Lancer andrà a Miami.
Mary Frances passò davanti alla porta. Poi aprí l’acqua in cucina. La sentí cercare qualcosa sulla scala nel retro. Sentí la radio in cucina. Aspettò che passasse davanti alla finestra della veranda con l’innaffiatoio. Era un vecchio arnese di metallo, grigio e ammaccato, e lui aspettò di sentirla attraversare la veranda. Ascoltò attentamente. Era ancora in cucina. Andava tutto bene. Purché sapesse dove lei si trovava. Doveva essere vicina, e lui doveva sapere dov’era. Le due regole inespresse erano queste.
Sentí alla radio una vecchia voce familiare, una voce dei vecchi tempi della radio, non ricordava esattamente il nome dell’uomo, ma celebre e familiare, con sottofondo di risate, e restò seduto in perfetto silenzio come per estrapolare il momento, folgorato dalla complessa emozione provocata da una voce del passato, tenera e dirompente, tre battute che riportano tutto alla mente.
Girò un’altra pagina.
Non c’era ancora una data per il viaggio del presidente. Ma nessun dubbio che lo avrebbe fatto, secondo Parmenter. Ci tiene ad andare in Florida perché nel 1960 quello Stato ha votato repubblicano e perché tutto il Sud sta pisciando sangue sui suoi programmi per i diritti civili. Cape Canaveral, Tampa, Miami. A Miami ci sarà un corteo d’auto.
Mary Frances era sulla porta con i guanti di gomma, lo spazzolone in mano.
– Non ti sembra strana, ultimamente? Non so.
– Che cosa? – fece lui.
– Suzanne. Anche se probabilmente non è niente.
– Non è da te.
– Preoccuparmi inutilmente.
– Mi sembra una bambina a posto. È in gamba. È sana.
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– Con una vena morbosa.
– Cosa vuoi dire?
– Non lo so. Ultimamente mi sembra.
– Che cosa?
– È sempre insieme a Missy Tyler. A volte, come dire, mi evitano, si nascondono. Non so, è solo che ultimamente è cosí ombrosa, cosí introversa, e mi chiedo se in questo non ci sia un che di malsano.
– Missy sarebbe la peldicarota magrolina.
– Adottata. Si nascondono negli angoli e sussurrano con aria solenne. Quando arriva Missy è come se calasse un’ombra. Tipo una casa stregata. Un’ombra di paura. Qualcosa che cammina nei corridoi. Ho l’impressione di essere io. In questa casa sono una presenza molto sospetta. Quando mi sentono arrivare le bambine zittiscono di colpo.
– Ma hanno un loro mondo. Suzanne è una sognatrice, – disse lui.
– Ascolta un disc jockey di Dallas chiamato Weird Beard.
– E cosa trasmette?
– La classifica delle prime quaranta. Ma non è questo che importa. È quello che dice fra un disco e l’altro.
– Per esempio?
– È impossibile ripeterlo. Tipo eccomi qua, sono io, all’infinito. Parla una lingua completamente aliena. Ma lei è sempre incollata alla radio.
– Inka dinka dink.
– Lo so. Non è da me. Di solito le mie preoccupazioni sono fondate.
– Ha letto ininterrottamente per quaranta minuti ed è stata brava, bravissima.
– «Dài, papi, voglio leggere ancora un po’».
– Cosa fai con quei guanti, maneggi plutonio?
– «Papi, papi, ti prego».
Salí di sopra, muovendosi lentamente, alla sua maniera lieve e silenziosa. Miami ha impatto, risonanza. Città di esuli, ferite ancora aperte. Il presidente vuole sfilare in macchina perché i sondaggi mostrano che la sua popolarità sta scendendo costantemente. Appare tra la folla sulla sua lunga Lincoln blu, uomini in moto per tenere a bada la folla, uomini con gli occhiali da sole attaccati alle fiancate della macchina di scorta. Lancer si alza per salutare il popolo. È necessario ferire leggermente uno spettatore o un uomo dei servizi segreti per avvalorare le nostre credenziali. Cosí dimostriamo che è tutto vero. Complotti. Gli antichi partecipavano della natura facendo eco alla violenza di una tromba d’aria o di un rombo di tuono. Partecipare della natura è il piú antico stratagemma umano. Un pensiero per il momento di coricarsi.
L’innaffiatoio era in metallo sabbiato con un brutto beccuccio camuso.
Quando guardò in camera, trovò Suzanne sveglia. Ai piedi del letto c’era un giocattolo di stoffa e vinile, un giocatore di football che avevano ribattezzato Willie Wonder, con le spalle imbottite e i calzoni lucidi. Win girò la chiavetta sulla schiena di Willie e lo mandò a fare una corsa in campo per tutta la lunghezza del letto. Commentò la corsa con una concitata radiocronaca, descrivendo i placcaggi falliti e i blocchi verso la linea di meta, aggiunse il boato della folla, diventò l’arbitro e segnalò il touchdown quando il giocattolo piroettò all’indietro su un cuscino. Suzanne manifestò un piacere che sembrava partirle dai piedi e strisciarle su su per il corpo fino agli occhi, rendendoli piú grandi e luminosi.
Se solo avesse continuato a stupirla, sua figlia avrebbe avuto motivo di amarlo per sempre.
Mackey attraversò in macchina un ponte levatoio sopra il Miami River. Le gomme stridevano sulla griglia di metallo. Uno sloop bianco risaliva il fiume nel buio, un piccolo mistero di furtiva leggiadria. Due isolati piú a sud vide il primo paraurti con l’adesivo Volveremos. Strade deserte. Le mani incollate al volante.
Lasciò la macchina in una strada laterale e girò l’angolo fino a un grande parcheggio. Gli ci vollero dieci minuti per trovare Wayne Elko, stravaccato come un ebete sul sedile posteriore di una Impala rossa. Il tettuccio era aperto e Wayne guardava fisso nella notte.
– Come ho fatto a entrare cosí facilmente?
– T-Jay.
– Mi hanno detto che sei il guardiano.
– Da dove salti fuori?
– Mi sono sciroppato quasi mille e seicento chilometri solo per vederti, Wayne.
– Ti avevo dato piú o meno per disperso.
Mackey si appoggiò all’auto e guardò altrove, verso la strada, come se lo spettacolo di Wayne Elko, sudicio, scalzo, con i vestiti e gli altri scarsi effetti personali sparpagliati attorno, squallido, fosse un po’ troppo, in quel momento.
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– Ho visto Raymo, e anche l’altro Vattelapesca. Sono stato con loro per un po’ a fare addestramento nei Glades, bello. I Glades sono infestati da quelli di Alpha 66. Qualche volta ci siamo esercitati anche con loro. Non potevo neanche girarmi per pisciare.
– Gli Alpha non ci daranno fastidio. Ho vecchie conoscenze là dentro.
– Tu, T-Jay, sei dell’Agenzia, o che cosa?
– Non piú, vecchio mio. Ho venduto la mia roulotte per quattro soldi ed eccomi qua....

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dedica
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Indice