1. Tanto per cominciare come si deve!
Non so che relazione ci potrà essere, ma in ogni caso è bene cominciare dal primo cadavere… Poi, visto che c’è, perché non usarlo?
Lo trova, il cadavere, una bella mattina, il guardiano di notte che fa servizio di vigilanza all’interno dell’industria del caffè solubile all’istante «Torrefazione de’ Chiari». Il guardiano telefona alla polizia e si dà il caso che l’auto 28, con a bordo Sarti Antonio, sergente, Felice Cantoni, agente, e il sottoscritto, nullatenente, stia proprio transitando a pochi passi dalla fabbrica quando la Centrale dirama il seguente comunicato: «Attenzione! Attenzione! È stato trovato un cadavere alla sede dell’industria de’ Chiari. L’auto piú vicina si rechi immediatamente sul posto. Aspettiamo conferma».
Sarti Antonio, sergente, fa finta di niente e guarda fuori del finestrino: il sole sta per sorgere e la città è ancora addormentata. Cioè, ancora godibile. Di fronte a lui l’insegna al neon «Torrefazione de’ Chiari» è accesa: alla faccia dell’austerità !
Felice Cantoni, agente, afferra il microfono e abbaia dentro il medesimo: – Qui auto 28: siamo di fronte alla Torrefazione de’ Chiari. Ci rechiamo immediatamente sul posto. Ripeto…
Sarti Antonio gli pianta gli occhi addosso mentre quello ripete, ma tanto sottovoce che ho l’impressione che alla Centrale non lo sentano: – …Ripeto: siamo di fronte alla Torrefazione de’ Chiari. Ci rechiamo immediatamente sul posto.
Sarti Antonio stacca il contatto radio e gli chiede: – Chi ti ha detto di rispondere? Chi ti ha detto di rispondere?
– Siamo proprio… siamo qui a due passi…
– Lo vedo anch’io. Alle sei, cioè fra cinque minuti, finisce il nostro turno: adesso sono cazzi nostri! Prima di mezzogiorno non si parlerà di andare a casa. Se tu pensassi a guidare e lasciassi a me le altre preoccupazioni…
Ormai è fatta: entrano dal cancello principale e trovano il guardiano notturno sul portone che li sta aspettando. È rosso in viso e agitato: – Accidenti, che velocità ! Ho appena posato il telefono!
Nessun commento da Sarti Antonio.
– Venite con me: l’ho trovata nell’ufficio del capo. Venite con me.
Vanno con lui, e Sarti Antonio ha l’impressione di entrare in una di quelle industrie americane che si vedono solo nei film: tutto alluminio, vetro e luci al neon. Poltrone e scrivanie razionali, telefoni e citofoni da tutte le parti, ascensori e scale in marmo. In marmo le scale, naturalmente, non gli ascensori che sono in nonsocché!
L’ufficio del capo è preso pari pari da un manuale di arredamento industriale. C’è un televisore a circuito chiuso che inquadra, a seconda del bottone che andrai a premere, una parte della fabbrica. In questo momento è acceso e mostra il reparto «Imbustamento» del caffè solubile all’istante.
Poi c’è un podio da direttore d’orchestra che deve essere il catafalco del capo. Ci sono tappeti, tappetini e tappetoni. Quadri appesi a tre pareti: la quarta parete non esiste! Non esiste come parete in muratura, ma esiste come parete vetrata e nascosta da una bella, modernissima tenda che uno dice: «Apriti!» e quella si apre. Dice: «Chiuditi!» e quella si chiude.
Ci sono poltrone elettroniche che ti vengono direttamente sotto il sedere appena pensi che sarebbe il caso di sedere e c’è il cadavere di una bella figliola nuda, comodamente rilassata su una di quelle poltrone. Il cadavere non sto a raccontarvelo perché ne avrete già visti tanti e questo è esattamente come tutti gli altri. In piú c’è solo da dire che è di donna nuda morta strangolata e che, quando non era ancora cadavere, doveva fare la figura di una gran bella ragazza.
Sarti Antonio, sergente, dice: – Grazie, – al guardiano notturno, e lo spinge fuori dell’ufficio. Aggiunge: – Aspetta qui –. Si guarda in giro ma non trova niente che possa interessare l’indagine. Gli viene da ridere. In tutti i «gialli» che si rispettino, il «drago» di turno trova sempre qualche indizio, tipo: una sciarpa gialla, un anello di brillanti scivolato sotto la poltrona, il bottone della camicia dell’assassino, un capello dell’omicida fra le unghie dell’assassinato, un bicchiere vuoto con l’impronta di qualcuno che poi magari non c’entra niente ma che intanto è pure qualcosa…
Qui niente! Niente di niente! Le cose sono al loro posto, la morta è morta con tranquillità , i suoi abiti sono ordinatamente ripiegati sulla poltrona a fianco, non ci sono bicchieri né sul tavolinetto né sotto le poltrone.
Solo due cose non quadrano: il televisore a circuito chiuso, acceso sul reparto «Imbustamento», e una chiave d’automobile sul pavimento, vicino alla poltrona per cadavere.
A questo punto è il caso di avvertire la Centrale. Sarti Antonio telefona: – Qui Sarti Antonio. Sono sul posto: nessun indizio. È bene che arrivino quelli.
«Quelli» sono: la Scientifica, il medico, l’ispettore Raimondi Cesare, i fotografi e tutti gli altri annessi e connessi relativi a un normale omicidio per strangolamento.
Nell’attesa non resta che far rientrare il vecchietto: – La conoscevi?
Il guardiano notturno annuisce: – Si chiamava Giacometti Claudia ed era una dipendente della ditta.
– Dove lavorava? Voglio dire: in quale reparto? È logico che si trovasse nell’ufficio del capo?
– Direi proprio di no! Lavorava alla catena di impacchettamento; dall’altra parte della fabbrica.
Sarti Antonio indica il televisore: – Quello. È logico che sia acceso?
– No! Nel mio giro, prima di smontare di servizio, non l’ho mai notato acceso.
– Hai toccato qualcosa qui dentro? L’hai acceso tu?
Il guardiano notturno si mette a ridere: – SÃ! Entro, trovo una donna nuda strangolata e per prima cosa corro ad accendere il televisore… Ha voglia di scherzare, capo?
– No! Non ho nessuna voglia di scherzare. Torna all’ingresso e accompagna qui quelli che stanno per arrivare.
Il guardiano notturno esce e Sarti Antonio si pianta davanti a Felice Cantoni, agente: – E adesso, bel furbo?
Felice Cantoni non sa cosa rispondere: gli resta solo da guardare attorno cercando di evitare il cadavere. Un cadavere, anche se di donna e nuda, è sempre un cadavere. Questo poi ha gli occhi che quasi gli escono dalle orbite.
Felice Cantoni riesce a sussurrare: – Se mi avessi detto qualcosa… non avrei risposto.
– Adesso ci siamo e ci restiamo!
Guarda l’orologio: le sei e mezzo.
– A quest’ora starei bevendomi il caffè, a letto. Ma niente caffè, niente letto. Solo dolori di pancia: colite –. Si guarda attorno: – Ci sarà pure un gabinetto da queste parti. A meno che l’architetto progettista non abbia pensato che qui nessuno deve averne bisogno!
Cerca e trova: prima però apre sedici porte di sedici uffici, lungo il corridoio che porta all’ufficio del capo.
«Quelli» arrivano che lui, Sarti Antonio, è ancora seduto in quella specie di salotto; che non ha niente di umano e che non assomiglia proprio a un gabinetto. Non c’è, o non si trova, neppure il vecchio, tradizionale, buon rotolo di carta igienica: solo bottoni con tanto di scritta in inglese. Un bel problema per chi d’inglese non ne sa niente! Sta già bestemmiando sottovoce mentre preme qua e là . Succede di tutto: rubinetti che si mettono a buttare acqua, lampadari che si accendono, serrature che si chiudono, scarichi d’acqua in funzione e, quando Dio vuole, sportelli che si aprono e mostrano il tesoro. Carta igienica! Per tutti i gusti e di tutti i colori; c’è solo imbarazzo nella scelta. Il problema sarà uscire!
2. Il re del caffè solubile all’istante
Mettiamo dunque una donna strangolata, l’ufficio del re del caffè solubile all’istante (uno scandalo senza precedenti per una città di provincia come la mia!) e salta fuori che le indagini le prende in mano direttamente Raimondi Cesare, spettore capo. E grazie tante se non prega Sarti Antonio, sergente, il sottoscritto, nullatenente, e gli altri presenti di togliere il disturbo!
Arriva nell’ufficio del delitto anche il re del caffè solubile all’istante in persona.
Uno dice: «Adesso arriva il re!» e si aspetta un re con tutte le carte in regola. O per lo meno un re con qualche carta in regola. Ma quello che arriva potrebbe tutt’al piú essere considerato un principe ereditario: dei campi da tennis.
Adesso ve lo racconto: avrà vent’anni, se li ha, capelli lunghi, lisci e biondo scuro; alto e snello quanto basta per essere un buon atleta di qualsiasi cosa, vestito come Dio comanda debba vestire un erede al trono, occhi azzurri che sembrano finti e modini da persona perbene, abituata a comandare.
Quando entra nell’ufficio non dice niente a nessuno: va diretto alla poltrona da cadavere e alza il telo che copre il medesimo. Non fa una piega. Resta a guardarlo per un po’ e rimette il telo a posto.
Dice, non si sa bene a chi, forse a se stesso: – Povera Claudia!
Si guarda attorno a cercare, tra tanti, qualcuno che sia degno di scambiare quattro chiacchiere con lui. Lo trova: si rivolge direttamente al Raimondi Cesare, ispettore capo.
Pensa un po’ cosa vuol dire l’attitudine e l’abitudine al comando! Uno che se ne intende vede subito chi è il capo! Gli chiede: – Cosa si sa?
– Non molto. E lei cosa può dirci?
Il re del caffè solubile all’istante va dietro il palco da direttore d’orchestra e si siede. Non si dà neppure la pena di rispondere, anzi, a scanso di equivoci, si accende una sigaretta. Poi chiede a Raimondi Cesare se vuol favorire. Questi favorisce: prende una sigaretta e se la mette fra le labbra. Poiché nessuno gli dà del fuoco, la tiene spenta.
Richiede: – La conosceva?
Il re fa segno di sà con la testa: pare che la conoscesse. Raimondi Cesare, ispettore capo, deve fare i salti mortali per tirargli fuori le parole. Evidentemente i re sono piuttosto avari anche di parole, oltre che di democrazia e del resto.
– E come mai, è vero come si dice, si trova nel suo ufficio?
– Si potrebbe parlarne un’altra volta?
Adesso sono proprio curioso di vedere come se la cava l’ispettore capo. Secondo me ci sono già gli estremi per una denuncia di reticenza. Ma il Raimondi Cesare non la pensa cosÃ. Si guarda attorno e chiede, a voce alta: – Avete finito? – Qualcuno comincia a uscire: i fotografi, il medico, gli agenti, Sarti Antonio. Tutti, insomma!
– Sarti Antonio, tu resta.
È un miracolo: fra tanti onorevoli colleghi, superiori, inferiori, paritetici, l’ispettore capo Raimondi Cesare si è degnato di dare la sua fiducia a Sarti Antonio, sergente.
E, perdio, se resta Sarti, resto anch’io!
– Vuole bere qualcosa?
Il re del caffè solubile all’istante, prima di mettersi in conversazione, si versa un bicchiere di «qualcosa». Raimondi Cesare fa segno di no con il capo. A Sarti Antonio neppure glielo chiede!
Poi attacca, calmo, distaccato dalle miserie di questo mondo e di questa umanità miserabile, proprio come si conviene a un re: – Era una mia dipendente: una brava ragazza, un’amica! Qualche volta, prima di lasciare la fabbrica, veniva a salutarmi. Posso dire che mi era affezionata. Una brava ragazza.
Se dovessi chiedere io, chiederei: «E per salutare si spogliava?»
Ma le domande le fa Raimondi Cesare, ispettore capo: – Un’amica intima? Voglio dire… c’era qualcosa fra voi?
Il re annuisce col capo, dignitosamente: – E ieri sera… Ieri sera non l’ho vista. Non sono salito in ufficio. Ho fatto il solito giro per lo stabilimento e me ne sono andato a casa senza salire in ufficio come d’abitudine. Ero molto stanco.
Giustissimo: anche un re può essere stanco, no? Racconta le cose come fossero di una semplicità estrema: la piú semplice del mondo.
Quando ricomincia a parlare, guarda bene in faccia Sarti Antonio: – Desidero che quello che ho detto rimanga fra noi. La ragazza è fidanzata e non mi vanno gli scandali!
Sarti Antonio si dedica alla ricerca di indizi. Non gli risponde perché dovrebbe dire una brutta cosa!
Per essere un ragazzo di vent’anni, è piuttosto deciso, questo re del caffè solubile all’istante. Raimondi Cesare, ispettore capo, ha capito benissimo la situazione: – Stia tranquillo, signor de’ Chiari, stia tranquillo! Dei miei subalterni, è vero come si dice, rispondo personalmente. Dunque: l’ultimo che lascia gli uffici?
– In genere sono io.
– E quando è uscito lei, è vero come si dice, qui non c’era piú nessuno?
– Gliel’ho detto!
– Il cadavere… la ragazza non l’aveva avvertita che sarebbe salita a trovarla, ieri sera?
Il re del caffè solubile all’istante non risponde: ha già detto che non è salito e tanto basta! Evidentemente il cadavere, la ragazza, non lo aveva avvertito. Ma Raimondi Cesare, ispettore capo, deve fare il suo dovere, purtroppo. Chiede ancora: – Ha rilevato che manchi qualcosa? Hanno rubato?
Il re del caffè solubile all’istante passa una rapida occhiata attorno, dall’alto del podio di direttore, sugli scaffali e sui mobili dell’ufficio. Scuote il capo: – Direi proprio di no.
Sarti Antonio ritiene suo dovere intervenire per chiedere, magari sottovoce: – Quella chiave… – Accenna con la mano alla chiave d’auto che è ancora sul pavimento, vicino alla poltrona.
Il re del caffè solubile all’istante non si degna neppure di guardare dalla parte indicata da Sarti Antonio. Si limita a dire: – L’avevo già notata: è la chiave della mia Mini. Ne tengo una copia in ufficio nel caso smarrissi quella che porto in tasca.
Raimondi Cesare, ispettore capo, è piuttosto seccato per l’inutile intervento di Sarti Antonio e lo dice chiaramente: – Lasciamo finire, per favore. Quella chiave, è vero come si dice, l’avevamo già notata tutti e sarebbe venuto anche il suo turno… Dunque non manca niente. Peccato, è vero come si dice, peccato proprio! Si poteva supporre che un ladro si fosse trovato fra i piedi la donna e l’avesse uccisa.
Il re del caffè solubile all’istante si degna di sorridere: è un sorriso di compatimento, però. Dice: – Poi l’ha spogliata, ha ripiegato gli abiti sulla poltrona… Non regge! Ne trovi un’altra!
Chi conosce Raimondi Cesare come lo conosco io, sa che sta sopportando piú del sopportabile. Ma il re deve essere uno di quei re che contano. Infatti Raimondi Cesare ingoia, diventa rosso e si dà da fare come può.
È certo che dopo, qualcuno ne farà le spese. Penso di sapere chi! Ma per il momento è il re che tiene il discorso: – Non stia a cercare chissà cosa! Si spogliava e mi aspettava nuda. Il televisore è acceso perché poteva vedermi arrivare: quello inquadrato è l’ultimo reparto che visito prima di salire in ufficio.
Tutto chiaro, no? A Raimondi Cesare, ispettore capo, non resta che chiedere, sottovoce: – Lei ha qualche… sospetto?
Il biondo re del caffè solubile all’istante annuisce: Sarti Antonio, sergente, sospende le ricerche di non si sa bene cosa e aspetta. Ma quello non parla. Si accende prima un’altra sigaretta. Poi dice: – Piergiorgio Laffi. È un dipendente della ditta: un operaio.
E ci lascia là a pensarle tutte fino a che Raimondi Cesare, piú giallo che rosso, non perde la calma: – Senta, io cerco, è vero come si dice, di mantenere la cosa entro certi limiti! Ma lei deve… dovrebbe collaborare di piú. Insomma, è vero come si dice, non può limitarsi a buttare sul tavolo delle frasi e pretendere che noi… che io indovini il resto.
Quello non si scompone. È quasi annoiato e dice: – Chieda, chieda pure senza preoccupazione. Non so cosa possa interessarle di piú. Chieda lei!
Raimondi Cesare riprende il discorso sottovoce ma alza il tono man mano che va avanti con le domande: – Chi è Piergiorgio Laffi? Perché avrebbe dovuto uccidere quella donna? Perché nel suo ufficio? Come ha fatto a entrare qui senza essere visto?
L’ultima domanda è urlata, ma il biondo non ci fa caso. Risponde calmo, come si trattasse di una partita di caffè solubile all’istante: – È un operaio di questa ditta, come le ho già detto. Ha ucciso Claudia perché era la sua fidanzata. Nel mio ufficio perché l’ha trovata qui e perché poteva cosà mettermi nei guai. Si è fatto chiudere negli spogliatoi e ha avuto tutto il tempo.
Tutto qui! Tutto scontato! Tutto già risolto!
«È un operaio… Ha ucciso… Per mettermi nei guai… Si è fatto chiudere…»
Penso che sia la volta buona: Raimondi Cesari, ispettore capo, scoppia! E invece no!
– Calma! Andiamo con calma! Dunque: è un operaio della ditta; va bene. Sapeva,...