L'amore e gli stracci del tempo
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L'amore e gli stracci del tempo

  1. 288 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'amore e gli stracci del tempo

Informazioni su questo libro

Una storia vibrante e sincera, di amicizie che durano una vita, di perdite e di speranza, di figli della guerra e dei loro tanti genitori.
Un romanzo che tocca corde profonde, temi viscerali, con coraggio e delicatezza. Che non teme di fare i conti con un passato che «quando ti trova, ti guarda con i tuoi stessi occhi». La prima volta che Zlatan vede Ajkuna è rapito dal dondolio delle sue trecce che «si allungano quasi a toccare terra». Non sa ancora che quella bambina diventerà così centrale nella sua vita.
Crescono insieme a Pristina, nella stessa casa, anche se lui è serbo e lei kosovara di etnia albanese. I loro padri, Milos e Besor, condividono la passione per la medicina e per le poesie di Charles Simic. Le loro madri, Slavica e Donika, litigano su come fare le conserve di peperoni e sui particolari di certe ballate, patrimonio comune dei popoli dei Balcani.
Ma il Kosovo, in cui per secoli questi popoli hanno convissuto, alla fine degli anni Novanta sanguina. Ed è l'ennesima ferita al cuore dell'Europa balcanica.
Tra i botti di Capodanno e gli spari della guerriglia, Ajkuna e Zlatan si promettono amore eterno «come solo due ragazzi possono promettersi».
La Storia però li separa: militare di leva lui, profuga lei.
Ajkuna si ritrova in Svizzera, dove partorisce Sarah. Zlatan finisce in Italia, dove incontra Ines. Una ragazza minuta, con i capelli lisci che le cadono sulle spalle. Proprio come Ajkuna.
In un montaggio alternato, il romanzo segue le vite dei due protagonisti, il loro rincorrersi e sfiorarsi, e forse perdersi. Lungo il cammino, in una babele arruffata di lingue, Zlatan e Ajkuna incroceranno una piccola folla di personaggi intensi, veri, col loro bagaglio di storie al seguito.
Anilda Ibrahimi ci racconta, con la sua leggerezza, con la sua scrittura cruda e poetica, una vicenda struggente, di sentimenti forti, senza essere sentimentale. Ci porta di nuovo a un passo da qui, stavolta nel Kosovo, per farci scoprire un mondo e la sua repentina distruzione. Rintracciando però quel filo che continua a legare vecchio e nuovo, passato e futuro, in un flusso ininterrotto di vita.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806199722
eBook ISBN
9788858402948

Capitolo ventiseiesimo

Jacqueline passa molto tempo con Ajkuna. Le parla, le dice che deve trovare una normalità tutta sua. E le racconta la sua normalità costruita in nove anni in un paese lontanissimo e diversissimo da Bienne, in un paese su un’isola italiana che si chiama Sicilia.
Ajkuna si sforza, cerca di seguire le tracce della normalità di cui parla Jacqueline, ma ne è ancora lontana.
Il peggio è passato ma continua a vivere in uno stato di emergenza perenne. Agitata, si sente sempre pronta per qualcosa che è già finito da un pezzo. Jacqueline ha paura che questa situazione duri per sempre. In fondo per Ajkuna è ormai questa la sua normalità.
«Forse ha bisogno di amiche, ragazze giovani come lei», pensa Jacqueline.
Dopo il parto l’ha portata a casa sua. Non se la sentiva di lasciarla da sola con Sarah appena nata. Le donne quando partoriscono hanno bisogno della mamma. – Starai qui da noi fino al capoparto, – le ha detto, – poi tornerai a vivere a casa tua.
Rientrando dopo la spesa, un giorno la trova con la neonata nuda sulla bilancia pesapersone. Non crede ai suoi occhi: sul tavolo della cucina, la bilancia che di solito sta dietro la porta del bagno, e sopra la bilancia il corpicino nudo della piccola. Sembra una rana, agita le gambe e le braccia per il freddo. Una rana bianca gigante che sopporta le torture che sua madre le infligge in buona fede. Anche Ajkuna sta soffrendo, del resto: piegata in due cerca disperatamente di seguire l’ago della bilancia che si sposta di continuo per i movimenti della ranocchia.
Jacqueline corre a prendere in braccio la bambina e l’avvolge in una coperta.
– Volevo solo applicare scrupolosamente ciò che è scritto in questa lista, – si discolpa Ajkuna agitando un foglio di carta davanti agli occhi di Jacqueline. – Ecco, punto numero cinque: pesare il neonato all’inizio di ogni settimana!
Ormai lo sa, Jacqueline: a questa ragazza stanno molto a cuore le regole.
Qualche giorno dopo, Jacqueline entra nella stanza degli ospiti, che ora è di Ajkuna e Sarah. Ajkuna è seduta con un libro in mano: La langue française pour les étrangers.
– Voglio riprendere le lezioni, – dice Ajkuna, – sto studiando per recuperare quelle perse in queste settimane.
Jacqueline sorride. Bene, pensa, forse siamo sulla buona strada.
Poi va verso la culla, Sarah starà dormendo, si dice. Ma la culla è vuota. – Dov’è Sarah? – chiede preoccupata.
– Dorme beatamente, – risponde Ajkuna indicando il letto.
Di fronte ad Ajkuna, sul letto, dormono solo le bambole di Jacqueline. Lei colleziona bambole. Di tutte le grandezze, di tutti i colori, di tutti i Paesi. Aveva cominciato perché le dispiaceva buttare quelle delle sue figlie. Prima le metteva negli scatoloni in cantina. Quando le figlie erano andate a vivere per conto proprio, le aveva tirate fuori e aveva allestito quella piccola mostra nella stanza degli ospiti.
– Dov’è? – strilla Jacqueline. – Non la vedo!
– Ecco, non è bella? – dice pacatamente Ajkuna.
In mezzo alle bambole, dorme davvero Sarah. Addosso, il vestito rosa di una bambola grande che ora giace nuda ai piedi del letto. Derubata del suo vestito fa quasi pena. Anche Sarah fa un po’ pena. In testa, un fiocco giallo pieno di fiori di plastica. Una neonata vestita vintage, l’effetto estetico non è poi cosí male.
Jacqueline spiega con pazienza che ai neonati non bisogna stringere la testa, non bisogna mettere vestiti non sterili, non bisogna fare tutte queste cose che Ajkuna s’inventa.
– Era per farla giocare, – si difende lei. – Era cosí bella in mezzo alle bambole.
– No, cosí non può andare, – dice Jacqueline a Adnan la sera stessa. – E se le presentassimo qualche ragazza che parla la sua lingua?
– Dev’essere una che ha un bambino, se le presentiamo una senza figli sarà anche peggio. Penserà a cosa sta perdendo a causa di Sarah.
Trovare una ragazza che parli la sua lingua non è difficile. Ma sono tutte nate qui o arrivate da tempo con i genitori. Sono svizzere ormai, e nessuna si sogna di avere un figlio a quell’età.
Alla fine ne trovano una. Si tratta di una ragazza albanese, di Tirana, che ha sposato un amico di Adnan. Un signore di una certa età, ma che c’entra l’età del marito con Ajkuna? Un matrimonio bizzarro, forse, ma in fondo lo sono tutti i matrimoni. E se non lo sono in partenza, lo diventano dopo.
– Io non ho bisogno di amiche, – dice Ajkuna, – ho Sarah.
– Sí, ma Sarah è tua figlia. Le amiche sono un’altra cosa, – le dice dolce Jacqueline.
– Ho te, – continua Ajkuna.
– Ma io posso essere tua nonna! Tu hai bisogno di frequentare giovani come te.
Con in mano un biglietto su cui è segnato un indirizzo, Ajkuna va a trovare la sua nuova amica raccattata nel bar dove Adnan gioca a biliardo.
Arriva davanti a un bel palazzo elegante. Come le succede sempre, la colpisce l’odore del detersivo. L’odore viene dalla lavanderia comune che sta in fondo alle scale. Tutti i palazzi in questo Paese odorano di bucato appena fatto. Ajkuna invece è cresciuta in case che odoravano di pane sfornato.
Le apre la porta una ragazza, che a dire la verità non ha esattamente l’età di Ajkuna. Avrà tra i venticinque e i trenta.
Parla la sua lingua anche se con un accento strano. È il dialetto dell’Albania centrale deformato. Non per abitudine, ma per scelta. Forse per essere piú vicina al marito che è del Kosovo.
Hanno un bellissimo bambino. Lo hanno chiamato Unione. Non è uno scherzo, è solo un sogno. L’etnia di Ajkuna, che si sentiva minoranza in Jugoslavia, ha sempre sognato l’unione con quelli che erano rimasti dentro i confini, cioè gli albanesi dell’Albania. Loro due, per fortuna, si erano incontrati e dal loro incontro era nato questo figlio: non poteva che chiamarsi Unione. Erano riusciti a coronare il sogno dei loro due popoli. Avevano sfidato i destini dei loro Paesi. Avevano sfidato le paure delle grandi potenze del mondo che non hanno mai nessuna fretta di decidere. Unione è la loro Grande Albania, tutto qui.
La donna le mostra la casa. Spaziosa, bianca, essenziale. Tre bagni con enormi vasche, anche il piccolo Unione ha la sua. La donna si sente orgogliosa, lei sí che ce l’ha fatta.
Lei e il marito si sono conosciuti in uno strano modo. Lei era sbarcata in Italia sette-otto anni prima, non se lo ricorda piú di preciso. Era stata per giorni chiusa in uno stadio dove il cibo veniva buttato dall’alto. Era riuscita a scappare per miracolo, gli altri erano stati rimpatriati. Aveva preso un treno ed era arrivata in Svizzera, dove delle sue amiche erano finite con l’esodo delle ambasciate.
– Ma ci siamo sposati solo tre anni fa, ecco l’anello, – dice lei. – Ci siamo sposati quando mio marito ha avuto il divorzio dalla prima moglie. La fortuna è stata dalla mia parte: dopo quattro femmine con la prima moglie, il maschio gliel’ho dato io.
Ajkuna non capisce tutto ciò che le dice. Ma la casa è bella, le piace qualunque sia stata la moglie che l’ha arredata.
– Gli uomini del tuo Paese, come mio marito, vanno pazzi per le donne del mio Paese. Il confine ci ha idealizzato ai loro occhi. L’avevo capito subito io, appena lui e la moglie mi hanno portato a casa per ospitarmi. Dovevo dare una mano, pensa che allora lei era incinta, della quarta femmina.
Sveglia questa ragazza. Altre donne piú ingenue, al posto suo, mica avrebbero attribuito il fatto di soffiare il marito a un’altra alla provenienza geografica. Il sentimento patriottico del marito era stata la molla, certo.
La sciocca moglie quarantenne, trasformata in mongolfiera dalle gravidanze, aveva messo vicino al suo uomo una splendida ventenne perché intenerita dalla sua condizione disagiata: questa è la versione dei maldicenti.
Ma il fatto era che il marito era andato in vacanza nel loro Paese con la moglie e poi l’aveva lasciata lí a riprendersi dal parto, con i suoi genitori. Cosí lui era rimasto a casa da solo con lei per piú di un mese. Poi aveva chiamato i genitori della moglie per dire che non la voleva piú, perché quella puttana lo aveva tradito varie volte.
– Ed era vero? – chiede Ajkuna un po’ stranita dal racconto.
– E che ne so? – risponde l’altra. – Mica le reggevo il moccolo. Ma credo di sí, tutte le mogli prima o poi si fanno un amante, non lo sai?
Ajkuna non lo sapeva, non era ancora moglie.
– Mio marito ha tanti amici sposati, – aggiunge la donna. – Troveremo qualcuno anche per te.
Quando nota la perplessità sulla faccia di Ajkuna dice: – Cosí vai a colpo sicuro. Gli scapoli la tirano per le lunghe, mica hanno fretta. Invece gli sposati una volta mandata via la moglie non sopravvivono da soli. Vogliono le cose esattamente come prima, ci tengono alla famiglia.
Quella notte Ajkuna non riesce a dormire.
– Non ho bisogno di amiche, – dice il giorno dopo a Jacqueline. – Sto bene cosí.
Alla fine la trova da sola un’amica.
Un giorno, sta tornando a casa con le borse della spesa e Sarah nel marsupio. Mentre cerca disperatamente le chiavi del portone, una signora le arriva alle spalle, la saluta e apre. Chiama l’ascensore e poi senza dire una parola si ferma al piano di Ajkuna. Vuole aiutarla. La signora abita tre piani sopra. Ajkuna la invita a entrare. – Perché no? – le sorride la signora.
Il tutto in un tedesco rudimentale. Ajkuna l’aveva incrociata tante volte sulle scale con il marito e il figlio. Da come vestiva, e dai tratti del marito, aveva pensato che fossero arabi.
A casa di Ajkuna non entra mai nessuno. Tranne Jacqueline e la concierge. Quest’ultima con sé porta pure le birre, e il cane. «Mi fermo un po’ qui, ti tengo compagnia», aveva detto la prima volta che era venuta. Era diventata un’abitudine. Cane, birre e giornali. Si mette seduta e bevendo le sue birre a volte parla con Ajkuna altre volte con il cane. È piuttosto vecchia. Dev’essere anche sola. L’unico figlio che ha avuto vive in Uruguay. Ci è andato in vacanza e ci è rimasto. La concierge porta una foto nel portamonete, la mostra a tutti dicendo: «Ecco il mio bambino». Il suo bambino, che ormai avrà i capelli bianchi, sorride dalla foto in costume da bagno.
La concierge ama molto i pettegolezzi. Da Ajkuna viene anche per questo. Ajkuna non parla mai, la ascolta. Una vera manna per gli amanti del pettegolezzo: qualcuno che ti ascolta, senza limiti di tempo. E ad Ajkuna il tempo non manca.
– Hai saputo? Liliana, l’italiana di sotto, si è messa con un curdo! – dice appena seduta. – Almeno non è di colore, l’ultimo era di colore. Ormai questo palazzo sta diventando uno zoo!
Ajkuna sorride. Forse perché non capisce. La concierge spesso passa dal francese allo Suisse romand.
– Lo ha perfino portato a vivere in casa. Fortunato, il curdo: da un campo profughi, dritto dritto a casa di Liliana. È piú vecchia di lui, ma non si può lamentare. La voleva pure di prima scelta?
La concierge non la finisce piú.
Ora, mentre guarda questa signora che ha invitato a entrare, Ajkuna cerca nella memoria, tra i pettegolezzi della concierge, qualche frase che possa riguardarla. No, non le viene in mente nulla. Com’è possibile?
La donna sorride mentre si siede sul divano. Ha tre denti d’oro sopra e due sotto.
– Un caffè? – chiede Ajkuna imbarazzata.
– Ja, – dice la signora.
Mentre Ajkuna prepara il caffè, la signora parla a Sarah con quel tono ridicolo che tutti gli adulti usano per comunicare con i neonati.
Ajkuna è in difficoltà. Il tedesco non è il suo forte, anche se sta seguendo un corso. Studia sia il francese che il tedesco. Con le lingue è come con le persone, o ti piacciono subito e nasce un’attrazione o niente. Lei se la cava di sicuro meglio con il francese. La signora sta chiedendo qualcosa indicando i vestiti di Sarah. Vorrà sapere dove li compra, o con cosa li lava.
Ajkuna si butta. Andrà per esclusione, prima elencherà i negozi dove si serve, e se non funziona passerà ai detersivi.
– H&M, C&A, EPA… – dice i nomi delle catene.
– Nein, – fa la signora.
Vada per i detersivi, pensa Ajkuna, ma la signora è piú veloce.
S’impegna molto con parole e gesti per dire che è tutto sbagliato e sono solo soldi buttati. Esistono negozi di seconda mano dove per pochissimi franchi si compra roba quasi nuova. Brockenhaus, si chiamano questi negozi.
Ajkuna non conosce questa parola.
La signora mima, ripete, alla fine, disperata, lo dice in un altro modo.
– Otpad, – dice, poi beve il suo caffè. Con questa parola ha chiuso la conversazione.
Ma questa parola accende il cervello di Ajkuna, che si emoziona, trema. Non riesce a controllarsi. Poggia il suo caffè sul tavolo, ride a voce alta, tocca il braccio della signora. Non sa cosa fare.
Otpad è una parola serba.
L’altra vede che Ajkuna è turbata. Si chiede se ha sbagliato qualcosa.
Ajkuna comincia a parlare in serbo-croato. La signora sbarra gli occhi, poi l’abbraccia.
Le due donne parlano contemporaneamente, tra le lacrime, nessuna ascolta l’altra.
– Sentivo un’aria familiare, ma vai a pensare che siamo compaesane.
Ora sono diventate addirittura compaesane.
Mahira, cosí si chiama la signora, dice che è musulmana. – Anche tu sei musulmana? – chiede ad Ajkuna.
Ajkuna risponde che i suoi genitori sono delle parti di Pejë, abitata da cattolici.
Mahira è un po’ delusa. – Allora, – dice, – non siamo esattamente compaesane.
Ajkuna capisce che Mahira è bosniaca, di solito sono loro a considerare la religione come nazionalità. Nel cuore della Grande Jugoslavia era successo di tutto, chissà se non c’entrava anche l’istinto di sopravvivenza religiosa.
Parlano per tanto tempo. Di cose senza importanza, ma che diventano le cose piú importanti del mondo. Parlano di negozi turchi che vendono cibi simili a quelli del loro Paese. È cosí, Bosnia e Kosovo sono diventati il loro Paese. Con l’odore delle ricette comuni e con l’odore del comune passato.
Mahira vive qui dal 1995. Non precisa se è arrivata dopo il massacro di Srebrenica o prima. Forse durante l’assalto di Sarajevo. Ajkuna non lo chiede.
È sposata con un altro musulmano, come dice lei. L’altro musulmano però non viene dal loro Paese. È dell’Arabia Saudita. Hanno un figlio maschio, e non ne vogliono altri. Vivono ancora in quella casa pagata per metà dai servizi sociali, perché per il momento lavora solo il marito.
Passano due ore in chiacchiere. Sarah dorme tutto il tempo in braccio alla madre.
Quando Mahira se ne va, Ajkuna sorride. Ora ha un’amica, e l’ha trovata senza l’aiuto di Jacqueline.
Piú tardi, nel pomeriggio, Mahira scende per invitarla a cena. Cosí, per non perdersi di vista, le dice. Abitano nello stesso palazzo a pochi piani di distanza, come possono perdersi di vista?
Il salone di Mahira è diverso da quello di Ajkuna. Non ci sono divani. Solo un tavolo rotondo, bassissimo, occupa il centro della stanza. Però ci sono tappeti, tanti tappeti, bellissimi tappeti con comodi cuscini.
– Abdel Ahad, – il marito di Mahira si presenta alzandosi in piedi.
È un bel signore con i baffi. Folti baffi che gli coprono il labbro superiore. Ha gli occhi gentili.
Quando la cena è pronta, Mahira apparecchia il tavolo nel salone. Lui guarda tutto il tempo la televisione, non parla quasi mai. Segue con grande interesse il notiziario in lingua araba. Ha installato una grande parabola sul terrazzo e segue solo la Tv del suo Paese. In un certo senso è come se non fosse mai andato via.
Ajkuna nota che Mahira e Abdel Ahad parlano pochissimo tra di loro, ma si sorridono tanto. Sembra sufficiente per far funzionare il matrimonio.
Il loro unico figlio si chiama Samir. Con il padre parla in tedesco, quel poco che il padre riesce a capire. Con la madre in serbo-croato, quel poco che il ragazzo riesce a parlare. Sembr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dedica
  5. Capitolo primo
  6. Capitolo secondo
  7. Capitolo terzo
  8. Capitolo quarto
  9. Capitolo quinto
  10. Capitolo sesto
  11. Capitolo settimo
  12. Capitolo ottavo
  13. Capitolo nono
  14. Capitolo decimo
  15. Capitolo undicesimo
  16. Capitolo dodicesimo
  17. Capitolo tredicesimo
  18. Capitolo quattordicesimo
  19. Capitolo quindicesimo
  20. Capitolo sedicesimo
  21. Capitolo diciassettesimo
  22. Capitolo diciottesimo
  23. Capitolo diciannovesimo
  24. Capitolo ventesimo
  25. Capitolo ventunesimo
  26. Capitolo ventiduesimo
  27. Capitolo ventitreesimo
  28. Capitolo ventiquattresimo
  29. Capitolo venticinquesimo
  30. Capitolo ventiseiesimo
  31. Capitolo ventisettesimo
  32. Capitolo ventottesimo
  33. Capitolo ventinovesimo
  34. Capitolo trentesimo
  35. Capitolo trentunesimo
  36. Capitolo trentaduesimo
  37. Capitolo trentatreesimo
  38. Capitolo trentaquattresimo
  39. Capitolo trentacinquesimo
  40. Capitolo trentaseiesimo
  41. Capitolo trentasettesimo
  42. Capitolo trentottesimo
  43. Capitolo trentanovesimo
  44. Capitolo quarantesimo
  45. Capitolo quarantunesimo
  46. Capitolo quarantaduesimo
  47. Capitolo quarantatreesimo
  48. Capitolo quarantaquattresimo
  49. Capitolo quarantacinquesimo
  50. Capitolo quarantaseiesimo
  51. Capitolo quarantasettesimo
  52. Capitolo quarantottesimo
  53. Capitolo quarantanovesimo
  54. Capitolo cinquantesimo
  55. Capitolo cinquantunesimo
  56. Capitolo cinquantaduesimo
  57. Capitolo cinquantatreesimo
  58. Capitolo cinquantaquattresimo
  59. Capitolo cinquantacinquesimo
  60. Capitolo cinquantaseiesimo
  61. Capitolo cinquantasettesimo
  62. Capitolo cinquantottesimo
  63. Capitolo cinquantanovesimo
  64. Capitolo sessantesimo
  65. Capitolo sessantunesimo