Libertà
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Libertà

  1. 632 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

« Libertà, come il precedente Le correzioni, è un capolavoro del romanzo americano. Non si limita a raccontarci una storia avvincente: la profonda intelligenza morale del suo autore inonda di luce nuova il mondo che crediamo di conoscere».
The New York Times Book Review «Se Libertà non è il Grande Romanzo Americano, onestamente non so cosa possa esserlo. La ragione per celebrarlo non è che fa qualcosa di nuovo, ma che fa qualcosa di antico, qualcosa che si credeva morto, e lo fa alla grande».
The Telegraph Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici.
Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell'America come terra di libertà «dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale».
Avevano dimenticato però che «niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali».
E infatti qualcosa dev'essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po' troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come «arrogante, tirannico ed eticamente compromesso».
Siamo negli anni Duemila, quelli della presidenza Bush e dell'operazione Enduring Freedom, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo...) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie. Che si combattano guerre imperiali o guerre domestiche, in gioco c'è sempre la libertà e il senso da dare a questa parola.
Nove anni dopo Le correzioni, Jonathan Franzen torna con un romanzo spietato e divertente, un vasto affresco storico capace di un'umanissima, malinconica attenzione per il dettaglio: una riflessione sulla libertà e sulle cose cui siamo disposti a rinunciare per essa, sull'ambiguità di un diritto che a volte si fonda sulla sopraffazione dell'altro, sulle catene che ci imprigionano e su quelle che in realtà ci rendono più liberi. Ma questo è anche un romanzo sul matrimonio, su ciò che ci lega a un'altra persona, e sulla politica, che è ciò che ci lega a tutti gli uomini. Sul desiderio e il risentimento, sull'invidia che fonda le amicizie, sul conformismo della società di massa e sulle aspettative deluse: tutte cose che, a ben vedere, sono modi diversi di pensare la libertà.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2011
Print ISBN
9788806191115
eBook ISBN
9788858404362

Buoni vicini

SONO STATI COMMESSI DEGLI ERRORI

Autobiografia di Patty Berglund

(redatta da Patty Berglund
su consiglio del suo terapeuta)

Capitolo primo

Compiacente

Se non fosse atea, Patty ringrazierebbe il buon Dio per i programmi sportivi scolastici, perché le hanno praticamente salvato la vita e le hanno offerto la possibilità di realizzarsi come persona. Patty è grata in particolare a Sandra Mosher della North Chappaqua Middle School, a Elaine Carver e Jane Nagel della Horace Greeley High School, a Ernie e Rose Salvatore del Gettysburg Girls Basketball Camp, e ad Irene Treadwell della University of Minnesota. È da questi meravigliosi allenatori che Patty ha imparato la disciplina, la pazienza, la concentrazione, il lavoro di squadra e lo spirito sportivo, che l’hanno aiutata a compensare la sua competitività morbosa e la sua bassa autostima.
Patty è cresciuta nella contea di Westchester, nello stato di New York. Era la prima di quattro figli, seguita da altri tre che corrispondevano meglio alle aspettative dei genitori. Era parecchio Piú Grossa degli altri, e anche Meno Originale, e anche considerevolmente Piú Tonta. Non del tutto tonta, ma relativamente piú tonta. A furia di crescere diventò alta un metro e settantasette, quasi come il fratello e molto piú delle sorelle, e a volte le dispiaceva di non essere arrivata fino al metro e ottanta, visto che nella sua famiglia si sarebbe sentita comunque fuori posto. Forse, se fosse riuscita a vedere meglio il canestro, a prendere posizione in post alto nella calca dei difensori e a ruotare piú liberamente in difesa, Patty avrebbe avuto una vena competitiva meno rabbiosa e, di conseguenza, una vita piú felice dopo il college; probabilmente non sarebbe andata cosí, ma era interessante pensarci. Quando giocava a livello universitario era quasi sempre una delle piú basse in campo, cosa che stranamente le rammentava la sua posizione in famiglia e l’aiutava a mantenere alta l’adrenalina.
La prima volta che Patty ricorda di aver visto sua madre fra il pubblico di una partita è anche una delle ultime. All’epoca frequentava il campo estivo Sportivo per persone normali nella stessa struttura dove le sue due sorelle frequentavano il campo estivo Artistico per persone straordinarie, e un giorno la madre e le sorelle vennero a vedere gli ultimi inning di una partita di softball. Patty, dalla sua posizione di esterno sinistro, doveva aspettare che qualcuno le battesse una palla in profondità, mentre assisteva frustrata agli errori commessi sul diamante da ragazze meno brave di lei. Cominciò ad avanzare verso il centro, e fu cosí che la partita si concluse. Corridori in prima e seconda base. La battitrice effettuò una rimbalzante sulla scoordinatissima interbase, Patty corse davanti a quest’ultima per raccogliere la palla ed eliminare il corridore piú avanzato e poi cominciare a inseguire l’altro corridore, una ragazza tutta delicatina che probabilmente aveva raggiunto la prima base per un errore della difesa. Quando Patty le piombò addosso, la ragazza corse strillando nel campo esterno, uscendo dal percorso fra le basi per venire automaticamente eliminata; Patty però continuò a rincorrerla ed effettuò la toccata, e la ragazza cadde a terra, urlando per il dolore in apparenza terribile provocato da quel lieve colpo di guanto.
Patty si rendeva conto di non aver dimostrato un grande spirito sportivo. Si era lasciata trasportare perché i suoi famigliari la stavano guardando. Nella station wagon di famiglia, con una voce ancora piú tremula del solito, sua madre le chiese se doveva proprio essere cosí… aggressiva. Se era necessario essere, be’, essere cosí aggressiva. Cosa c’era di male nel condividere un po’ la palla con le compagne di squadra? Patty replicò che come esterno sinistro la palla non le arrivava MAI. E sua madre disse: – Non mi dispiace se fai sport, ma solo se ti aiuta a imparare la cooperazione e lo spirito comunitario –. E Patty rispose: – Allora mandami in un campo VERO, dove non sono l’unica capace di giocare! Non posso cooperare con gente che non riesce neanche a prendere la palla! – E sua madre disse: – Non sono sicura che sia una buona idea, quella di stimolare cosí tanto l’aggressività e la competizione. Certo, io non sono un’appassionata di sport, ma non vedo cosa ci sia di divertente nello sconfiggere una persona per il semplice gusto di sconfiggerla. Non sarebbe molto piú divertente collaborare a costruire qualcosa tutti insieme?
La madre di Patty era una democratica di professione. Al momento della stesura di questo scritto, è una deputata dello stato di New York, l’onorevole Joyce Emerson, nota per il suo impegno in favore degli spazi aperti, dei bambini poveri e delle Arti. Per Joyce il paradiso è uno spazio aperto dove i bambini poveri possono praticare le Arti a spese dello stato. Joyce nacque a Brooklyn nel 1934 con il nome di Joyce Markowitz, ma a quanto pare rifiutò la propria ebraicità fin dagli albori della sua coscienza. (L’autobiografa si domanda se uno dei motivi per cui le trema sempre la voce non sia il perpetuo sforzo di nascondere l’accento di Brooklyn). Joyce ottenne una borsa di studio per laurearsi in materie umanistiche nei boschi del Maine, dove incontrò il padre di Patty, un gentile purosangue che sposò nella chiesa unitariana universalista All Souls nell’Upper East Side di Manhattan. Secondo l’autobiografa, Joyce ebbe la prima figlia quando non era ancora emotivamente pronta per la maternità, anche se forse in questo caso l’autobiografa stessa dovrebbe astenersi dallo scagliare la prima pietra. Quando Jack Kennedy ottenne la candidatura democratica, nel 1960, Joyce trovò un nobile e stimolante pretesto per uscire da una casa che evidentemente non poteva fare a meno di riempire di marmocchi. Poi vennero i diritti civili, e il Vietnam, e Bobby Kennedy: altre buone ragioni per starsene fuori da una casa decisamente troppo piccola per quattro bambini, piú una tata barbadiana residente nel seminterrato. Joyce partecipò alla sua prima convention nazionale nel 1968, come delegata vincolata al defunto Bobby. Diventò tesoriera e in seguito presidente del partito per la contea, e organizzò la campagna locale per Teddy nel 1972 e nel 1980. Ogni estate, dal mattino alla sera, orde di volontari marciavano dentro e fuori dalle porte aperte della casa, trasportando scatoloni di materiale per la campagna. Patty poteva esercitarsi nei palleggi e nei tiri in sottomano per sei ore di fila senza che nessuno badasse a lei.
Il padre di Patty, Ray Emerson, era un avvocato e un umorista dilettante, con un repertorio di barzellette sconce e maligne parodie degli insegnanti dei figli, dei vicini e degli amici. Si divertiva soprattutto a tormentare Patty imitando Eulalie, la barbadiana, non appena quest’ultima gli girava le spalle. «Basta gon il giogo, adesso, basta giogare», diceva, e andava avanti a voce sempre piú alta, finché Patty non scappava via da tavola, mortificata, seguita dalle grida euforiche dei fratelli. Un’altra fonte di perenne sollazzo era lo sfottimento dell’allenatrice e mentore di Patty, Sandy Mosher, che Ray si divertiva a chiamare Saaaandra. Chiedeva continuamente a Patty se negli ultimi tempi Saaaandra avesse ricevuto la visita di qualche gentiluomo, o forse, hi hi, hi hi, di qualche gentildonna? E i fratelli, in coro: Saaaandra, Saaaandra! Un altro modo spiritoso di tormentare Patty era nascondere il cane di famiglia, Elmo, e fingere che Elmo fosse stato soppresso mentre lei si trovava all’allenamento serale di pallacanestro. Oppure deriderla per certe cantonate che aveva preso anni e anni prima, chiedendole come stavano i canguri in Austria, e se aveva letto l’ultimo romanzo della famosa scrittrice contemporanea Louisa May Alcott, e se pensava ancora che i funghi facessero parte del regno animale. «L’altro giorno ho visto uno dei funghi di Patty che inseguiva un camion, – diceva suo padre. – Ehi, guardatemi, sono il fungo di Patty che insegue un camion».
Spesso, dopo cena, suo padre usciva di nuovo per incontrare la povera gente che difendeva in tribunale, a titolo gratuito o quasi. Il suo studio si trovava di fronte al palazzo di giustizia di White Plains. Fra i clienti che difendeva gratis c’erano Portoricani, Haitiani, Travestiti, e Disabili mentali e fisici. Alcuni erano talmente nei guai che Ray non rideva neppure alle loro spalle. Nei limiti del possibile, tuttavia, i loro problemi lo divertivano. In seconda superiore, per una ricerca scolastica, Patty assistette a due processi in cui la difesa era affidata a suo padre. In uno di essi l’imputato era un disoccupato di Yonkers che per il Puerto Rican Day si era ubriacato, era andato a cercare il fratello di sua moglie per sfregiarlo a coltellate e, non avendolo trovato, aveva sfregiato uno sconosciuto in un bar. Non solo suo padre, ma anche il giudice e persino il pubblico ministero sembravano divertiti dalla patetica stupidità dell’imputato. Continuavano a strizzarsi l’occhio di nascosto. Come se la miseria, lo sfregio e il carcere fossero un semplice spettacolino offerto dai ceti inferiori per ravvivare una giornata altrimenti noiosa.
Piú tardi, mentre tornavano a casa in treno, Patty gli chiese da che parte stesse.
– Ah, bella domanda, – rispose suo padre. – Devi capire che il mio cliente è un bugiardo. La vittima è un bugiardo. E il padrone del bar è un bugiardo. Sono tutti dei bugiardi. Naturalmente il mio cliente ha diritto a un’energica difesa. Ma bisogna anche cercare di servire la giustizia. A volte io, il pubblico ministero e il giudice lavoriamo insieme, tanto quanto il pubblico ministero lavora con la vittima e io con l’imputato. Hai sentito parlare del nostro sistema accusatorio?
– Sí.
– Bene. A volte io, il pubblico ministero e il giudice accusiamo la stessa persona. Cerchiamo di ricostruire i fatti ed evitare errori giudiziari. Questo però non, ehm. Non scriverlo nella tua ricerca.
– Credevo che ricostruire i fatti fosse compito della giuria speciale e della giuria ordinaria.
– Proprio cosí. Scrivi questo nella tua ricerca. Giudicato da una giuria di tuoi pari. Questo è importante.
– Ma la maggior parte dei tuoi clienti è innocente, vero?
– Pochi si meritano una punizione grave come quella che qualcuno vorrebbe infliggergli.
– Ma molti sono del tutto innocenti, vero? La mamma dice che hanno problemi con la lingua, e che la polizia non fa molta attenzione a chi arresta, e che sono persone svantaggiate, vittime di pregiudizi.
– È tutto verissimo, mia dolce Patty. E tuttavia, ehm. A volte tua madre è un po’ ingenua.
Gli sfottimenti paterni la infastidivano meno, quando prendevano di mira sua madre.
– Insomma, li hai visti anche tu, – le disse. – Cristo santo. El ron me puso loco.
Una caratteristica importante della famiglia di Ray era il fatto di essere molto ricca. I suoi genitori vivevano nella grande proprietà avita sulle colline del New Jersey nordoccidentale, in una bella villa modernista progettata, a quanto pareva, da Frank Lloyd Wright, e piena di opere minori di famosi impressionisti francesi. Ogni estate l’intero clan degli Emerson si radunava nella proprietà per dei picnic in riva al lago dove Patty non si divertiva quasi mai. Suo nonno, August, amava afferrare per la vita la nipote piú grande e farsela saltellare sulla coscia, ricavandone Dio solo sa quale sottile fremito; di certo non aveva molto rispetto per i confini fisici di Patty. A partire dalla seconda media le toccò anche giocare in doppio sul campo da tennis in terra battuta dei nonni, insieme a Ray, al socio giovane dello studio e alla moglie del socio, sentendo gli sguardi del socio sul proprio completino succinto e provando imbarazzo e confusione per quei palpeggiamenti oculari.
Il nonno di Patty, come lo stesso Ray, si era comprato il diritto di essere eccentrico in privato compiendo buone azioni giuridiche in pubblico; si era fatto un nome difendendo obiettori di coscienza e renitenti alla leva di alto profilo nel corso di tre guerre. Nel tempo libero, che non gli mancava, coltivava l’uva nella sua proprietà e la faceva fermentare in una delle dépendance della villa. La sua «azienda vinicola», che aveva chiamato Coscia di Cerva, era la barzelletta della famiglia. Durante i picnic estivi, August si aggirava barcollando in ciabatte infradito e calzoncini da bagno cascanti, stringendo in mano una delle sue bottiglie dall’etichetta grossolana e riempiendo i bicchieri che gli ospiti avevano svuotato con circospezione sull’erba o fra i cespugli. «Cosa te ne pare? – chiedeva. – È un buon vino? Ti piace?» Era una specie di incrocio fra un ragazzino assiduamente dedito al proprio hobby e un torturatore deciso a punire ciascuna vittima in ugual misura. Rifacendosi all’usanza europea, August sosteneva la necessità di dare il vino ai bambini, e, quando le giovani madri erano distratte a sgranare le pannocchie o a competere su chi guarniva meglio l’insalata, annacquava il Coscia di Cerva Riserva e lo propinava persino ai piccoli di tre anni, tenendoli delicatamente per il mento, se necessario, e versandogli la mistura in bocca per assicurarsi che la mandassero giú. «Lo sai cos’è questo? – diceva. – È vino». Se il pargolo cominciava a comportarsi in modo strano, gli diceva: «Quello che provi si chiama essere ubriaco. Hai bevuto troppo. Sei ubriaco», guardandolo con disgusto non meno sincero per il fatto di essere benevolo. Patty, che era sempre la piú grande dei ragazzini, assisteva a queste scene con silenzioso raccapriccio, aspettando che fosse un fratello o una sorella minore, o magari un cuginetto, a suonare l’allarme: «Il nonno sta facendo ubriacare i piccoli!» Mentre le madri correvano a rimproverare August e a strappargli i bambini, e i padri ridacchiavano sconciamente dell’ossessione di August per i quarti posteriori delle cerve, Patty entrava di soppiatto nel lago e restava lí a galleggiare, lasciando che l’acqua bassa e tiepida le chiudesse le orecchie alle voci dei suoi famigliari.
Perché le cose andavano cosí: durante ogni picnic, su nella cucina della vill...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Libertà
  3. Copyright
  4. Buoni vicini
  5. Canterbridge Estates Lake