Solomon
Alle 2:30 del mattino, a letto, Solomon Silverfish, sassone segreto, celta teorico, aveva due notizie per Ira Schoenweiss, all’altro capo del filo. La prima era che a sentire le vicende di quella notte il culo troppo-stupido-e-ciccione-anche-solo-per-commentare-quanto-fosse-stupido-e-ciccione di Ira Schoenweiss era ancora il culo di Ira Schoenweiss solo perché stava dentro una grossa imbracatura giudiziaria che glielo teneva attaccato al corpo. La seconda era che se Silverfish non sbagliava quello era il terzo e peggiore arresto per guida in stato di ebbrezza in due anni, e che si credeva, che Silverfish era un superman? Che faceva miracoli giudiziari? La notizia premio per Ira era che se Ira non teneva la bocca chiusa e questo significava cucita, specie con Zero Kretzman, fino all’arrivo di Silverfish, Silverfish avrebbe ridotto Ira a un colabrodo con le sue mani, risolvendo cosí i problemi di tutti. Solomon disse che Ira lo conosceva troppo bene per non sapere che dicendo che l’avrebbe ridotto a un colabrodo non scherzava. Ira Schoenweiss si disse a un passo dalle lacrime tanto gli dispiaceva dover coinvolgere Silverfish in quella faccenda. Silverfish gli disse di non muoversi, che l’avrebbe raggiunto cosí in fretta da non trovare nemmeno un attimo per vestirsi o mandare giú un boccone. Schoenweiss disse che stava per mettersi a piangere. Silverfish gli disse di non preoccuparsi e di non piangere, non era proprio il caso, poi riattaccò il telefono che teneva sul comodino.
Silverfish si sedette sul letto schiaffeggiando varie volte l’aria a mani aperte, prese a saltellare con il sedere sul materasso per la rabbia, il fastidio e la scocciatura in senso lato. I saltelli servivano anche a far scivolare i pantaloni del pigiama alle caviglie perché Dio non voglia che uno si presenti al Quarantesimo Distretto di Polizia per affrontare Kretzman su una vicenda del genere con i pantaloni del pigiama.
E attraverso le tende bianco diafano della camera da letto di Silverfish, alla vampa color zucca del lampione al sodio giú in strada, si scorgeva la linea drittissima di Sophie Schoenweiss Silverfish che, girata su un fianco, saltellava leggermente anche lei, per effetto dei saltelli di Solomon. Aveva l’ago di una flebo fissato al polso, un tubicino che conduceva alla piantana sul suo lato del letto, una boccia di vetro piena di glucosio, analgesico e antimetabolico, trasparente consommé ora acceso di arancione sporco nella boccia e nel tubicino alla luce filtrata dalle tende diafane della camera da letto e proveniente dal lampione al sodio giú nella strada molto tranquilla e altrettanto rispettabile dove i Silverfish abitavano a Skokie, una certa zona di Chicago. Silverfish, i pantaloni del pigiama ancora ai piedi, guardò per un istante, forse due, l’attutita luce arancione che scendeva goccia a goccia dentro Sophie. Dall’estremità della linea del suo profilo, dal suo cuscino, dove cadeva piú luce, giunse la voce di Sophie.
– È Ira, vero, che chiama a quest’ora? – Silverfish si alzò dal letto con soltanto la giacca del pigiama. Sophie non aveva dormito, si capiva dalla voce. Silverfish scrollò una pila di vestiti su una sedia riconoscendo i pantaloni del giorno prima dal peso nelle tasche. I boxer per fortuna erano ancora dentro i pantaloni. Annusò i boxer che fecero da filtro alla sua voce. – È proprio quell’Ira-sono-un-artista-troppo-importante-e-sensibile-e-neanche-a-dirlo-intellettuale-per-rispettare-le-regole-elementari-del-vivere-civile-che-tutti-dobbiamo-rispettare-e-invece-me-ne-vado-sbevazzando-e-guido-per-la-città-cosí-ubriaco-da-non -reggermi-in-piedi-e-Dio-sa-se-non-poteva-capitare-solo-a-Ira-di-schiantarsi-contro-la-macchina-di-Kretzman-proprio-davanti-al-distretto-di-Dempster-street Schoenweiss, che lo possano appendere al soffitto per le budella mentre Kretzman gliele suona sul culo con la prima cosa appuntita che gli capita a tiro, e piú è appuntita meglio è, fino al mio arrivo –. Silverfish trovò le scarpe e due calzini che chissà se erano uguali.
Sophie si girò con cautela sulla schiena a guardare la sagoma di Silverfish, che si allacciava le scarpe contro il bordo del letto. – La macchina di Zero Kretzman? Parli del signor procuratore distrettuale nonché pubblico ministero Kretzman?
– Parlo di Ira-mi-ficco-sempre-in-qualche-casino-notturno Schoenweiss che a mia moglie è toccato in sorte come fratello! – tuonò Silverfish. Balzò sul letto con l’agilità di una persona molto piú giovane e si mise a cavalcioni su Sophie. Le morse la spalla. Prese la parrucca dal comodino e la lanciò con la scioltezza che viene dall’esercizio sulla boccia di vetro della flebo, che tintinnò oscillando sulla piantana. Silverfish baciò Sophie sullo sterno. Le diede un buffetto sulla pancia. – Cicciona! – sibilò. – La mia oscena cicciona rosa sorella di un giudeo piantagrane, ciccione pure lui.
Sophie rideva forte quanto poteva. Il suono le riecheggiava nel petto come in un impianto elettrico. Con il braccio scollegato sfiorò i bottoni della giacca di Silverfish. – Sei ancora in pigiama, signor imparentato-con-giudeo-piantagrane-e-moglie-cicciona-avvocato-in-missione-umanitaria Silverfish.
– Dovrei mettermi in frac per Ira e Kretzman? Con tanto di code, magari? Fingere che non sia una scocciatura? – Silverfish sentí Sophie sforzarsi in silenzio di respirare sotto il suo peso e si tolse delicatamente, camminò sul materasso con passo lieve e andò a prendere le chiavi sul comò. Vicino alle chiavi trovò una cravatta e se la mise al collo. Sophie respirò guardandolo in quella luce sporca.
Silverfish prese la spazzola e si girò verso il contorno dello scheletro di sua moglie sotto le coperte. – Di’, ti senti in forma? Posso andarmene qualche ora?
– Vattene per sempre, – disse Sophie. – Salva un pittore paffuto da una vita da criminale in prigione. L’infermiera della clinica viene alle dieci ed è a mia completa disposizione tutto il giorno.
– Io non torno molto prima delle dieci, per il tuo Ira sarà dura continuare a vivere dopo che l’avrò ridotto a un colabrodo! – Silverfish schiaffeggiò l’aria.
– Guida come uno che ha la testa sul collo, Solomon.
Silverfish aprí la porta della camera da letto. – Luce accesa, che dici? Un libro da leggere? Televisione?
Sophie sorrise e si passò la mano sul cranio. – Niente luce. Dormivo cosí bene. Un ciocco.
– Un ciocco?
– Un pezzo di legno inanimato, ecco cos’ero, – disse Sophie. – Dormivo come una cosa morta.
– Allora torna a fare il legno inanimato, – bisbigliò Silverfish.
Sophie sorrise. – Cosí mi esercito per quando sarà il momento.
Silverfish strinse gli occhi nella penombra. Sophie lo guardò. Cominciò a scusarsi con bisbigli che solo lui sapeva sentire. Giú in strada, nell’auto in fondo all’isolato, nel buio tra due lampioni, Alan Schoenweiss si puliva l’unghia del pollice con il fermacravatta.
– Sta’ zitta e dormi, in quest’ordine, – disse Silverfish alla moglie. Scese in cucina a mangiare un boccone. Sophie fissò lo spazio della porta socchiusa e il fievole bagliore bianco caldo che ora veniva dal piano di sotto illuminato, mischiandosi al sodio che veniva dalla finestra e creando un arancione verdognolo. Respirò.
Alan
ISTRUZIONI PER UNA PERSONA CHE AMMESSO CHE STIA FACENDO UNA COSA LEGITTIMA E IO PREFERIREI CHE NON FOSSE COSÍ LEGITTIMA POTREBBE VOLER IDENTIFICARE SOLOMON SILVERFISH, L’AVVOCATO, E MAGARI ANCHE SEGUIRLO FINO AL QUARANTESIMO DISTRETTO DEL DIPARTIMENTO DI POLIZIA DI CHICAGO, ALL’ANGOLO TRA DEMPSTER E PROSPECT STREET, CHICAGO, ILLINOIS, ALLE 3:00 DEL MATTINO DI STAMATTINA.
Tenere gli occhi bene aperti casomai comparisse Ford Thunderbird rossa del 1961, nuova di zecca che mantenerla costa Dio sa quanto, decappottabile, con pneumatici da neve ancora montati il tredici di maggio per via del fatto che il proprietario dell’auto ha una paura mortale di guidare sulla neve d’inverno e se ne infischia del rumore, figuriamoci poi dell’usura del battistrada, pur di risparmiarsi la scocciatura di togliere gli pneumatici solo perché il tempo si è aggiustato un po’, che anche a maggio con la neve non si sa mai, qui a Chicago. Questa Thunderbird di notte gira spesso a fari spenti per via del fatto che il soggetto che è proprietario dell’auto ha la testa tra le nuvole, e comunque saprebbe andare nella Quarantesima a occhi chiusi e a proposito, prima di seguirlo troppo da vicino, date retta a me, probabilmente è proprio quello che sta facendo. Alla voce testa tra le nuvole vedi anche il fatto che il soggetto nella Ford Thunderbird rossa del 1961 indossa i pantaloni di un completo costosissimo e devo ammettere assai elegante preso al reparto chic di Marshall Field, in vendita ogni primavera ma meglio andarci in anticipo, e sopra un pantalone del genere ha una vecchia giacca del pigiama di flanella gialla con macchia blu alla dottor Rorschach sul taschino, dovuta al fatto che una volta il soggetto ha tenuto tutta la notte in tasca una penna che perdeva nel sonno. Una cravatta è legata intorno al colletto di flanella del soggetto, legata come spesso il soggetto lega la cravatta quando ha sonno e si lega le scarpe con un mezzo Scappino: sí, la cravatta è legata come si legherebbe il laccio di una scarpa. Attenzione a pericolose sterzate della Thunderbird rossa mentre il soggetto cerca di aggiustare la cravatta nello specchietto retrovisore. Il soggetto frusta l’aria come un demente con mani aperte da karateka quand’è arrabbiato, come lo si vede fare adesso per via della suddetta cravatta, e ha fama di ripetere minacce come la minaccia di «ridurre a un colabrodo» le persone, e la minaccia che le sue mani sono letali come armi. Tali minacce si disperdono spesso tra le raffiche di vento quando il tettuccio della decappottabile è abbassato, vedi adesso per esempio. Quando il tettuccio è abbassato si vede anche che il soggetto, affetto dal problema maschile della perdita dei capelli a chiazze che non auguri nemmeno al tuo peggiore nemico, si fa crescere i capelli grigi lunghi e prodigiosi su un lato della testa e poi li riporta sopra per nascondere una pelata da fare invidia a quel Kojak della televisione, solo che col vento forte, come in una decappottabile, l’aria li sposta facendoli svolazzare da tutte le parti, spesso drizzandoli di fianco e dietro la persona a mo’ di mezza aureola, come se non fosse ridicolo parlare di aureole in rif. a questo soggetto che stanotte potrebbe andarsene tranquillamente all’inferno. Ma avendo vento o gesti nervosi vanificato l’accurata pettinatura, i capelli lunghi del soggetto penzoleranno su un lato della faccia del soggetto come una specie di velo per il resto del giorno, o della notte, oscurando la visione periferica laterale del soggetto e costringendolo spesso a dare varie angolazioni alla testa quando ti parla, angolazioni cosí strane che spesso ti viene voglia di dire smettila di contorcerti e pettinati quei capelli!
Ma il soggetto Silverfish con comportamento e modo di vestire eccentrici e voce stentorea come un treno ha, a sentire chi sa il fatto suo, un’aria molto distinta per essere un sessantenne che, problemi di capelli a parte, dicono, non ha altri problemi nella vita, Silverfish con una rotondità fisica compensata dal ragguardevole metro e ottantatre di altezza e da un portamento che la signora Nussbaum moglie del suo socio davanti a un vermouth definisce «principesca» e da occhi intensi che la mia bella mogliettina Orly dice chissà di che colore sono perché ti accorgi soltanto che sono penetranti, e da fronte, guance e naso come quelli di tutti, e da un mento che chi se ne importa se non è il mento piú pronunciato mai attaccato a una persona, è raffinatamente coperto da una ragguardevole barbetta, color sale e pepe, che si collega intorno alla bocca a baffi del medesimo colore, un sistema di peli facciali che copre il labbro superiore e poi il mento sfuggente, molto ragguardevole, e piccolo, come quello che vedi agli intellettuali dell’Europa Orientale in dolcevita nera e giacca sportiva marrone, alla televisione pubblica, ma che direbbe Barbara Nussbaum se le raccontassero che certi della facoltà di giurisprudenza a Chicago, tipi che escludono a priori l’esistenza di una facoltà di giurisprudenza migliore in tutto il Paese, che certi compagni di corso e futuri avvocati di questa nazione sostenevano che il piccolo apparato di barba e baffi di Silverfish, da lui ostentato già alla facoltà di giurisprudenza, anche se un po’ meno ragguardevole, ma con lo stesso problema del mento, che il baffetto, la barbetta e la bocca messi assieme sembravano una certa parte dell’anatomia femminile, non so se mi spiego, e sai le risate che un Silverfish ubriaco e forse già allora squilibrato faceva fare a quei tizi quando teneva la testa da un lato e magari increspava pure le labbra dopo averle inumidite, sai le risate per una «somiglianza» che, credetemi sulla parola perché io c’ero, alla fin fine era solo il frutto sporcaccione di giovani menti cosí sporcaccione e luride che dovrebbero vergognarsi e se vi dicessi chi sono alcuni di costoro e quali uffici importanti occupano adesso vi scapicollereste all’ufficio postale per scrivere a un certo membro del Congresso cosí in fretta da stirarvi i legamenti!
Ma una persona che segue il soggetto Silverfish a distanza di sicurezza ma anche di osservazione dovrebbe stare attenta quando fa quei gesti esasperati con le braccia come certe mosse di karate mentre supera gli uffici dello studio legale Baum, Nussbaum, Schneewind e Silverfish sulla sinistra, tra la Clark e Vine, un angolo, dove Silverfish è socio anziano, come lo sono io al mio studio Alan Schoenweiss e Associati. – Allora, dov’è Mr Associati? – mi domanda quel burlone di Solomon Silverfish ogni volta che ha scolato un cocktail in mia presenza. – Quando riuscirò a incontrare Mr Associati? – Il soggetto Silverfish sa essere un vero cafone, e anche se l’ho sopportato per il bene di mia sorella devo dire Dio mi perdoni che non sono poi tanto sconvolto da quello che è saltato fuori come invece è sconvolto mio fratello Ira. Non mi sono mai fidato di Silverfish come si sono fidati gli altri Schoenweiss con loro presente e ora futuro dispiacere, ma per onestà e io desidero essere onesto a questo riguardo devo ammettere che questo Silverfish è una persona che ha davvero dei punti a suo favore, sempre che siano autentici e non messinscene come poi si scopre che quasi tutto quello che fa è una messinscena. Un esempio forse di un buon punto a suo favore è che anche se Silverfish finge in modo esagerato di considerare il suo lavoro di avvocato alla BNSS una scocciatura, di fatto ama quel lavoro con tutto il cuore che ha in corpo, si capisce anche da come agita la testa di capelli svolazzanti e mena fendenti verso gli uffici che gli sfilano accanto perché, e lo dico con orgoglio e affetto di vecchia data talmente mischiati fra loro che manco ve l’immaginate, Solomon Silverfish ha un profondo rispetto per le leggi degli Stati Uniti d’America e ha anche quello che è sempre sembrato un desiderio sincero di aiutare le persone che si trovano costrette a chiedere aiuto. A Solomon piace aiutare gli altri, questo è vero, tutti, senza distinzioni, perfino uno come l’odioso e delinquentissimo Londell «Troppo Carino» Tyson, un giovanotto nero che di mestiere fa il pappa e che Solomon ha cavato dai pasticci con arti e espedienti giudiziari tante di quelle volte che ormai ho perso il conto, e che nel corso dell’ultimo mese ha pure fatto a Silverfish un paio di favori che grazie a Dio non sono quelli che immagino stiate immaginando voi, il che sarebbe stato molto peggio di quello che Silverfish ha fatto alla nostra Sophie e alla nostra famiglia che l’ha accolto sulla base di una montatura ora smontata grazie a un certo ciabattino, che l’ha preso sotto l’ala della nostra famiglia come un componente della famiglia fidato, e guarda ora come tratta la dignità forse agli sgoccioli della nostra Sophie, che possa guarire presto con le sue forze anche se il marito è un goy disonesto che ora non riesce nemmeno ad aspettare che una certa persona Dio mi perdoni magari muoia prima di gettarsi tra le braccia di una donna piú giovane, tanto giovane da poter essere figlia di tutti noi. Però gli piace, devo ammettere, aiutare quasi tutti, e perfino ora che noi della famiglia Schoenweiss lo rinneghiamo per l’eternità e ci piange il cuore a sentir pronunciare anche solo le lettere del suo nome, devo ammettere che ha quello che può essere considerato un animo generoso per alzarsi nel cuore della notte sapendo che ad aspettarlo non c’è una gonnella ma ci sono Zero Kretzman e mio fratello Ira, che all’occorrenza si rivela un discreto attore drammatico anche se come artista mi convince poco. Cosa si può dire di uno che vende quadri che saprebbe fare anche una scimmia tirando un po’ di pittura su una tela, che vende quei quadri in cambio di denaro sonante a persone rispettabili, certe perfino con una laurea in tasca?
Cose da dire al mio ex parente acquisito Mr ––– ––––– ormai non lo voglio nemmeno piú nominare invece ce ne sono eccome, e Kretzman, che mi deve tanti di quei favori per il suo divorzio che non chiedetemi nemmeno di cominciare l’elenco, è pronto come Ira a recitare la sua parte e ad attirare ––––– in un luogo isolato che come –––– sa bene significa giustizia, per non dire verità, una volta tanto, dove non si potrà sottrarre a un confronto con i suoi cognati e dove, Dio m’assista, mani letali o meno, voleranno parole grosse, ci metterei la firma, e anche un solo tentativo di menare fendenti o ridurre a un colabrodo, non parliamo poi di negare, causeranno tanti di quei problemi che non sto nemmeno a dirlo. Allora lasciamolo parcheggiare nella Quarantesima, sono le 3:15 e saranno le 3:25 quando –––– avrà ultimato il suo leggendario parcheggio parallelo alla ––––, che ha mantenuto un esercito di figli di assicuratori fino all’università, lasciamolo parcheggiare nella Quarantesima tra uno svolazzare di capelli, cravat...