![]()
La grande fame
![]()
Racconti 1932-1966
![]()
Quelle vocine
Tuo fratello ti tirò i capelli fino a svegliarti. Verso le due del mattino. Mormorò: – Svegliati. Ci risiamo con mamma e papà.
Dalla camera a fianco, sentisti le voci di quei due. La porta era aperta, ma la luce spenta. Tutta la casa era al buio. La cattiveria che c’era in quelle voci era la stessa di altre notti. Il fuoco della voce di tuo padre spingeva te e tuo fratello a stare a contatto di pelle mentre ascoltavate le imperscrutabili parole dei due, che erano talvolta impercettibili parole inglesi, ma per lo piú inaudite parole italiane.
Tuo fratello Pete, che ti stava vicino e aveva dieci anni, disse: – Questa casa è un inferno.
Nella camera a fianco, tuo padre disse: – È finita, basta. È finita.
Tua madre disse: – E i bambini?
Tuo padre disse: – Pigliateli e vattene a quel paese.
Tua sorella nell’altra camera si mise a piangere. Ti chiamò nell’oscurità di quella vecchia casa e tu rispondesti: – Che c’è? – Tua madre e tuo padre si zittirono per sentire che cosa voleva tua sorella, e lei chiamò di nuovo e la sua voce oltrepassò le porte e ti raggiunse là dove giacevi. – Va’ a vedere perché mamma e papà stanno litigando, Jimmie. Vacci, per piacere. Ho paura.
E Tommy, il piú piccolo dei tuoi fratelli, che dormiva nel letto con tua sorella, gridò rivolto a te che avevi dodici anni ed eri il piú grande: – Io non ho paura, Jimmie. E lei ha otto anni, e io soltanto sei.
Poi ci fu il ruggito di tuo padre, quella voce che faceva vibrare la casa intera: – Bambini, se non fate silenzio ve lo do io qualcosa di cui avere paura.
Il fratello che dormiva a fianco a te disse: – Tommy è proprio un tipetto tosto.
Tua madre disse a tuo padre: – Ora li hai svegliati tutti.
Tuo padre disse: – Che si sveglino, allora. Sai quanto me ne frega.
La tua camera stava fra quella dei tuoi genitori e quella di tua nonna, e a questo punto sentisti che quest’ultima stava alzandosi. Sarebbe venuta in camera tua come sempre faceva quando tua madre e tuo padre bisticciavano di notte. A ogni passo emetteva uno strano gemito: «Oh oh oh».
Il fratello al tuo fianco fece una risatella, ed ecco la tua piccola nonnina lí vicino al letto, con quella manina secca secca che tastava il guanciale in cerca della tua testa.
In lacrime, come sempre succedeva in quelle notti, mormorò: – Va’ a vedere, Jimmie, va’ a vedere. Falli smettere. Tuo padre finirà per ammazzarla.
Spaccone com’eri, dicesti a voce abbastanza alta da farti sentire da tuo padre: – Ma va, papà è a posto.
La casa era silenziosa, a parte gli «oh oh oh» che si sprigionavano dal vecchio petto della nonna.
Dicesti: – Visto? Non litigano piú.
Tuo padre ti sentí. E ci fu il consueto rumore della rete del letto, e tuo padre che si alzava e mitragliava una sequenza di maleparole all’indirizzo della nonna. In quell’italiano di cui non capivi nulla. E infatti non afferrasti il senso di una singola parola. Tua nonna, in punta di piedi, se ne tornò lentamente in camera sua, chiuse la porta, e si sentí il cigolio della rete del suo letto.
Tua madre disse a tuo padre: – Belle cose le dici, a tua madre.
Dall’altra camera, tua sorella disse: – Mamma, per favore, non ricominciamo.
Tuo fratello piccolo Tommy disse a tua sorella: – Cacasotto.
E il fratello accanto a te disse in un amen: – Che gli ha detto papà alla nonna?
E tu: – Non lo so. Dormi.
Le pareti della camera erano uno strato sottile di incannicciata e gesso, piene di crepe, e la nonna nel suo letto la si sentiva come fosse lí. Quei suoi strani «oh oh oh» adesso erano diventati veri singhiozzi che scuotevano il letto.
Il fratello al tuo fianco disse: – La nonna piange.
Tu dicesti: – Non sono sordo. La sento.
Tuo fratello, quello di sei anni, disse alla sorella che dormiva accanto a lui: – Ehi, Jo, la nonna piange.
Tua sorella disse: – Be’, al suo posto piangeresti pure tu, ci scommetto.
E lui: – Ma dài, e come potrei essere lei?
Il fratello accanto a te disse: – Senti un po’ Tommy.
Tuo padre, nel buio, fece una domanda: – Chi è che piange?
– La nonna.
Tua madre disse: – Sua madre.
Tuo fratello Tommy disse: – Papà, perché la nonna piange?
Tuo padre disse: – Dormi, Tommy. È tardissimo.
Il fratello accanto a te disse: – Ne fa di domande, Tommy.
Tua madre si alzò dal letto e si mise la vestaglia. La sentisti ciabattare per la camera con quelle sue pantofole rosse coi buchi in punta.
Tuo padre disse: – E adesso dove vai?
Tua madre disse: – Non mi parlare.
La luce della luna entrava dalle finestre della sala da pranzo, e ci vedesti passare davanti tua madre. Udisti il cigolio della vecchia sedia a dondolo, e capisti che tua madre s’era seduta vicino alla stufa. I tizzoni che c’erano dentro erano ormai quasi consumati, ma lei non ci avrebbe messo dell’altro carbone perché avrebbe prodotto un rumore fastidioso. La sedia faceva dolcemente le fusa mentre mamma la faceva andare avanti e indietro, e ben presto fu tutto molto tranquillo, e tua madre si addormentò nella sala da pranzo.
Dal cortile lí vicino sentisti un tonfo di scatole dietro il negozio del droghiere. Erano i gatti del vicinato che andavano in cerca di avanzi.
Tua nonna ora dormiva. Dalla sua camera non proveniva alcun rumore.
Tuo padre sospirava. Le molle del suo letto cigolavano arrabbiate. Tuo padre non riusciva ad addormentarsi.
Il fratello accanto a te ronfava il sonno sereno dei ragazzini.
Tuo fratello piccolo Tommy e tua sorella Josephine erano muti.
E dopo un po’ sentisti tuo padre che sussurrava a tua sorella.
La chiamò piano piano: – Jo, Jo... Josephine.
Lei non rispose, e tuo padre si alzò e andò nella camera in cui lei dormiva.
Tuo padre la scosse fino a farla svegliare.
Poi le sussurrò: – Josephine, vuoi far la brava di papà tuo e andare a dormire con la nonna?
Lei disse: – Oh, mi piace dormire con la nonna.
– Bene, allora vai. Dille soltanto che vuoi dormire con lei.
Ormai era sveglio anche tuo fratello piccolo Tommy, e disse: – Io voglio dormire con qualcuno. Ho paura a dormire da solo.
Tua sorella disse: – Cacasotto.
Tuo padre disse: – Tu vieni a dormire con papà, Tommy. Tu e papà da soli.
E prima che ognuno se ne andasse al suo letto, ti eri addormentato anche tu.
![]()
La madre di Jakie
Io, se avessi una madre come quella di Jakie Shaler, farei qualcosa. Farei qualcosa di molto strano. Prenderei su e me ne andrei in cerca di un’altra madre.
Jakie è uno perfetto per andarci in giro, ma non parla molto. Anche suo padre è in gamba, ma non è che uno se ne va in giro col padre di un amico. Il signor Shaler non è cattivo come la signora Shaler. Lui, a Jakie gli compra palloni da football, palle da baseball e da basket e poi mazze e guantoni da boxe, slitte, racchette da tennis, archi e frecce e altra roba. Il signor Shaler ha comprato a Jakie anche una pistola. Insomma Jakie ha tutto quello che vuole, però non può venire in giro con noi per via che sua madre è la peggio che c’è. Suo padre è molto diverso. Suo padre è uno in gamba.
A casa sua, è la madre quella che mena. A Jakie, lei non gli lascia fare quasi niente. Non lo lascia uscire in cortile di sabato, e nei giorni di scuola bisogna che lui se ne torni dritto filato a casetta. Prima che morisse Petey, suo fratello piccolo, Jakie doveva stare in casa e giocare con lui tutto il tempo. E questo lo avviliva, perché Petey era troppo piccolo per giocarci. Quindi cercava di filarsela. Ma nel preciso istante in cui se la svignava oltre il recinto, Petey incominciava a piangere a piú non posso, e la signora Shaler veniva fuori dalla cucina e si metteva all’inseguimento di Jakie. Lo acciuffava, lo trascinava giú nel seminterrato e lo picchiava di santa ragione. E tutta la città poteva sentirlo gridare. Lo suonava con un manico di scopa, e lo suonava con tutte le sue forze. Poi lui ci mostrava certi lividi blu sul culo e sulle gambe!
Jakie ci stava male ad avere una madre cosí perfida. Piú che perfida: una fetentona, ma Jakie questo non lo diceva. E quando era a scuola odiava sedersi dopo che le aveva prese. Si metteva a sedere piano, con cautela. Prima con le mani in modo da non sentir troppo dolore. Quando lo picchiava, poi non poteva neanche correre. E allora faceva l’arbitro delle nostre partite, che è una roba meno impegnativa. Gli toccava di arbitrare per una intera settimana.
La signora Shaler lo obbligò due volte a mangiare il sapone. E un’altra volta gli bruciò la lingua con un attizzatoio. Jakie fu obbligato a mangiare sapone perché aveva giurato, e se non avete idea di quanto sia caldo il sapone, be’, assaggiatelo. La ragione per cui gli fu bruciata la lingua coll’attizzatoio fu perché l’aveva sorpreso a fumare. Stavamo tutti fumando chiusi nel granaio, a un isolato di distanza dalla casa degli Shaler. La signora Shaler non è che ci sorprese veramente a fumare, però vide il fumo, e capí. E fu una fortuna per Jakie che la signora Shaler non scoprisse che cosa stavamo fumando. Ragazzi! Dico questo perché si trattava di cacca di cavallo.
Ed ecco come morí il fratello piccolo di Jakie, Petey. Un giorno stava giocando in cortile, e arriva un’auto. Petey scappa fuori sulla strada, dritto contro il paraurti. Cade giú e la macchina gli passa sopra e lo fa secco sul colpo.
Il funerale lo fecero di venerdí. Tutti noi della nostra classe andammo a vedere il piccolo Petey il giovedí nella casa degli Shaler. Ciascuno dovette portare un nichelino per i fiori, perché Petey era il fratello di Jakie, e Jakie era un nostro compagno. Ma alcuni non portarono il nichelino. Robert Teale per esempio.
Il piccolo Petey stava in una bara bianca. Aveva il vestito nuovo. Mandava un odore un po’ troppo dolciastro, e non aveva un aspetto naturale. Aveva la faccia cosí bianca che pareva portasse una parrucca. Le tapparelle erano calate e la stanza era illuminata dalle candele, e insomma c’era un’atmosfera da paura.
Ci inginocchiammo e dicemmo il rosario. Alcune delle ragazze già piangevano. Era difficile non piangere. Dopo un po’, l’unico che non stava piangendo era Robert Teale. Oh, quel Robert Teale è un tosto. È il tipo che non piange mai, per niente.
Entra la signora Shaler. Vestita di nero, e con gli occhi molto arrossati. Si mette a urlare e corre verso la bara e l’abbraccia e poi appoggia la testa sul petto di Petey e gli scompiglia i capelli e grida e invoca il Signore di non portarle via il suo Petey.
– Prendi me, Dio! Non prendere il mio bambino. Oh oh oh oh oh –. Cosí, insomma.
Una cosa ben triste. La piú triste che ti possa capitare di vedere. Noi eravamo dispiaciuti per la signora Shaler. Potete immaginare come si sentiva, lei che era la madre di Petey. Io speravo che Dio prendesse lei invece di Petey.
Alcune delle ragazze piangevano cosí forte che dovettero andarsene. Piangevano tutti fuorché Robert Teale. Ce ne vuole per farlo piangere, a quello. È uno tosto. Ma le ragazze sarebbero dovute restare lí, perché alla fine si persero qualcosa. Si persero il meglio.
Fu quando la signora Shaler cominciò a parlare con Petey come se non fosse morto, ma stesse dormendo. Si inginocchiò sul pavimento e tirò giú anche Jakie. Mise un braccio intorno al collo a Jakie e quasi lo strangolava. Si vedeva la faccia di Jakie che diventava rossa e poi paonazza.
Lei gridò: – Oh, mio piccolo Petey! Tua madre non è stata brava con te. Oh, torna indietro, figliolino mio!
Tutti piangevano tranne Robert Teale. Anch’io piangevo. Le ragazze continuavano a uscire coi fazzoletti davanti al naso. I capelli di Petey erano tutti scompigliati come se si fosse appena svegliato quella mattina. Ma in effetti non si svegliò. Era morto, era nella bara. Solo che pareva che si fosse svegliato.
La signora Shaler cominciò a urlare. Ogni volta che lo faceva, mi veniva male allo stomaco. Avevo piú paura adesso. Piú paura che tristezza.
– Dio, Dio, riportalo qui!
Jakie poteva parlare a malapena, per via di tutto quel piangere.
Disse: – Non parlare cosí, mamma –. Penso che si vergognasse un po’ davanti a noi.
La signora Shaler gridò: – Scusa! Scusa! Scusa!
Afferrò Jakie. Per poco non lo faceva cadere.
Disse: – Oh Jakie, ti prometto qui davanti a Petey, qui davanti a tutti i tuoi splendidi amici che d’ora in poi sarò per te una buona madre. Te lo prometto, Jakie, te lo prometto.
Jakie disse: – Tu sei già una buona madre, mamma. La migliore, mamma. Davvero lo sei.
Entrò il signor Shaler. Tirò su la signora Shaler e la portò in camera da letto. Anche Jakie andò via quando suo padre lo chiamò. Dopo un po’ il signor Shaler venne fuori e pettinò Petey. Non disse nulla. Poi uscí di nuovo. Noi ragazzi e ragazze restammo da soli con la bara. C’era da aver paura. Eravamo inginocchiati. A stento riuscivamo a vedere la faccia di Petey e le sue mani. Alcune delle ragazze volevano tornare a casa, ma non si alzarono. Ormai era dura resistere in ginocchio cosí a lungo. Uno dei ragazzi chiese che cosa dovevamo fare.
Robert Teale si alzò. E cominciò a uscire. Lui sí che ha coraggio. Si avvicinò alla bara, si piegò vicino alla faccia di Petey e lo guardò dritto.
Poi disse: – Be’, voialtri potete fare quello che vi pare. Io qui non ci rimango, me ne vado a casa. Vado –. E uscí. E allora tutti cominciammo ad avere paura per davvero. Scappammo fuori. Fu una sensazione piacevole. Tutti se ne andarono a casa.
Continuai a pensare alla signora Shaler. Ero contento che avesse promesso di essere buona con Jakie. Questo voleva dire che Jakie poteva venire in giro con noi se ne aveva voglia, e che potevamo usare i suoi palloni da football, da basket e da baseball, e le mazze e i guantoni e le slitte e le racchette e gli archi e le frecce e il resto. Potevamo usare pure la sua pistola.
Il funerale fu il giorno dopo. Pensavamo di dover uscire da scuola per andarci, ma invece no. Scuola del cavolo. L’unico che dovette andare fu Jakie. E per l’unico motivo che Petey era suo fratello. Scuola del cavolo. Mia madre andò al funerale. Disse che la chiesa era piena di gente.
Disse: – Non ho mai visto cosí tanti bei fiori. L’Elks Club ne ha mandato un canestro enorme –. Sono contento che l’Elks l’abbia fatto, perché mio padre è uno dei loro.
Mia madre disse: – Oh, mi sono sentita cosí triste per quel piccolo ragazzo Jakie. Ha urtato la bara col candeliere quando ci è passato vicino. Era cosí spaventato. Stava cosí male.
Jakie tornò a scuola lunedí. Nessuno gli domandò quella storia del candeliere. Tutti la sapevano già. Le madri erano andate quasi tutte al funerale e gliel’avevano raccontata. Fummo carini con Jakie, dato che il funerale era stato soltanto due giorni prima.
In seguito facemmo le squadre, e i nostri avversari scelsero Jakie. Ma Jakie non voleva giocare.
Disse: – Non posso, però faccio l’arbitro.
Robert Teale disse: – Cristo santo! Ma che razza di madre hai? Non ti ha promesso che non te le suonava piú? Allora non è che uno sporco trucco del diavolo!
Jakie non parlava a voce alta. Riuscimmo appena a sentirlo.
Disse: – Voi non lo sapete che cosa ...