Il ritratto di Dorian Gray (Einaudi)
eBook - ePub

Il ritratto di Dorian Gray (Einaudi)

Con un saggio di Javier Marías

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il ritratto di Dorian Gray (Einaudi)

Con un saggio di Javier Marías

Informazioni su questo libro

Conservare bellezza e giovinezza a ogni costo, vivere in un infinito presente anche se il prezzo è un'infinita dannazione: la storia di Dorian Gray è probabilmente una delle piú note che la letteratura abbia mai raccontato, e non c'è generazione di lettori che non si sia confrontata con la straordinaria favola per adulti scritta da Oscar Wilde. Una favola che intreccia personaggi, o meglio anime molto diverse tra di loro: da Dorian Gray, il dandy che espia il proprio edonismo con la vecchiaia, a Lord Henry, il cui spirito cinico e decadente richiama quello dello stesso Wilde. Ma proprio l'intrecciarsi di tante anime, insieme alla fortissima tensione narrativa, fa sí che l'incanto del Ritratto resti intatto nonostante il passare del tempo.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il ritratto di Dorian Gray (Einaudi) di Oscar Wilde, Franco Ferrucci in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806151287
eBook ISBN
9788858401996

Capitolo undicesimo

Per anni Dorian Gray non riuscí a liberarsi dall’influenza di quel libro. O forse sarebbe piú esatto dire che non cercò mai di liberarsene. Si fece arrivare da Parigi non meno di nove copie dell’edizione speciale, e le fece rilegare in diversi colori, in modo che potessero adattarsi ai vari stati d’animo e alle mutevoli fantasie di un carattere del quale, a volta, egli sembrava aver perso ogni controllo. Il protagonista, quel meraviglioso giovanotto di Parigi in cui sembravano fondersi in modo strano il temperamento romantico e quello scientifico, diventò per lui una specie di prefigurazione di se stesso. E infatti tutto il libro gli sembrava contenere la storia della sua vita scritta prima di essere vissuta.
Su un particolare egli fu piú fortunato del fantastico protagonista del romanzo. Non conobbe mai – e non ebbe alcuna ragione di conoscere – quella paura un po’ grottesca degli specchi, e delle superfici di metallo lucente, e dell’acqua stagnante, che calava sul giovane parigino fin dai suoi primi anni, e che era causata dall’improvviso deperimento di una bellezza che un tempo, cosí si diceva, era stata assai notevole. Con una gioia quasi crudele – e forse in quasi ogni gioia, e certo in ogni piacere, la crudeltà ha la sua parte – rileggeva l’ultima parte del libro, con la sua descrizione tragica, anche se un po’ esagerata, della sofferenza e della disperazione di qualcuno che aveva perduto ciò che aveva apprezzato maggiormente negli altri e nel mondo.
page_no="135"
Poiché la meravigliosa bellezza che aveva talmente affascinato Basil Hallward e molti altri, sembrava non abbandonarlo mai. Anche coloro che avevano udito le cose peggiori su di lui (e di tanto in tanto strane chiacchiere sul suo modo di vivere si spargevano per Londra e diventavano pettegolezzi da club) non potevano credere a nulla che fosse a suo sfavore quando lo vedevano. Aveva sempre conservato l’aspetto di chi è rimasto incontaminato dal mondo. Uomini che parlavano volgarmente si zittivano se Dorian Gray entrava nella stanza. C’era qualcosa di cosí puro nel suo viso che sembrava rimproverarli. La sua semplice presenza sembrava riportare alla loro memoria l’innocenza che avevano sciupato. Si domandavano come mai un essere cosí affascinante e pieno di grazia fosse riuscito a evitare la corruzione di un’epoca ad un tempo sordida e sensuale.
Spesso, tornando a casa dopo una di quelle assenze misteriose e prolungate che suscitavano tante strane congetture fra i suoi amici o cosiddetti amici, egli saliva nascostamente fino alla stanza chiusa, apriva la porta con la chiave che portava sempre con sé, e stava ritto con uno specchio in mano davanti al ritratto che Basil Hallward aveva fatto di lui. Guardava ora il viso sulla tela, malvagio e invecchiato, ora il bel viso giovane che gli sorrideva dallo specchio nitido. L’acutezza del contrasto acuiva il suo senso di piacere. Era sempre piú innamorato della propria bellezza e sempre piú interessato alla corruzione della propria anima. Esaminava con grande attenzione, e talvolta con un piacere terribile e mostruoso, le orrende rughe che marcavano la fronte appassita e circondavano la bocca larga e sensuale; e si chiedeva talvolta se fossero piú terribili i segni del peccato o quelli dell’età. Posava le sue bianche mani vicino a quelle sciupate e gonfie del ritratto, e sorrideva. Si burlava del corpo sformato e delle membra indebolite.
Ma c’erano momenti durante la notte, quando giaceva insonne nella sua camera delicatamente profumata, o nella sordida stanza di una piccola taverna malfamata vicino ai Docks che aveva l’abitudine di frequentare con un falso nome e sotto un travestimento, nei quali pensava alla rovina che si era portato nell’anima, e sentiva una pietà tanto piú acuta quanto piú egoista. Ma erano momenti rari. La curiosità della vita, che lord Henry aveva suscitato per primo mentre sedevano nel giardino del loro amico, sembrava aumentare a ogni soddisfazione. Quanto piú conosceva, tanto piú desiderava conoscere. Sentiva una fame che si faceva tanto piú vorace quanto piú veniva nutrita.
Eppure non era affatto incurante dei suoi rapporti sociali. Una o due volte al mese in inverno, e ogni mercoledí sera durante la stagione mondana, egli apriva alla gente la sua bellissima casa e invitava i piú famosi musicisti del momento per intrattenere i suoi ospiti con la meraviglia della loro arte. Le sue cene intime, nella preparazione delle quali lo assisteva sempre lord Henry, erano celebri tanto per l’accurata selezione e disposizione dei posti, quanto per il gusto squisito nella decorazione della tavola e gli arrangiamenti sinfonici di fiori esotici, e le tovaglie ricamate, e il vasellame antico d’oro e d’argento. In realtà molti vedevano in Dorian Gray l’incarnazione di un tipo umano di cui avevano spesso sognato ai tempi di Eton e di Oxford: un tipo che riunisse in sé la vera cultura dello studioso e la grazia e la distinzione dell’uomo di mondo. Sembrava che egli appartenesse alla compagnia di coloro che, secondo Dante, cercano di rendersi perfetti adorando la bellezza. Come Gautier, egli era uno di quelli per i quali «il mondo visibile esiste».
E certo per lui la vita era la prima e piú grande delle arti, quella per cui tutte le altre arti sembravano essere soltanto una preparazione. La moda, che per un attimo rende universali le cose piú fantastiche, e il dandismo, che a modo suo è un tentativo di affermare l’assoluta modernità della bellezza, esercitavano naturalmente un forte fascino su di lui. Il suo modo di vestire e i diversi stili che adottava di volta in volta influenzavano marcatamente i giovani eleganti dei balli al Mayfair e al club del Pall Mall, che lo imitavano in tutto ciò che faceva, e cercavano di riprodurre la grazia disinvolta delle sue aggraziate, anche se per lui non troppo serie, affettazioni.
Infatti, pur accettando prontamente l’incarico che gli era stato offerto quasi subito appena ebbe raggiunto la maggiore età, e pur trovando un sottile piacere al pensiero di poter diventare nella Londra dei suoi giorni quello che un tempo era stato l’autore del Satyricon nella Roma dell’imperatore Nerone, pure nel fondo del cuore egli desiderava essere qualcosa di piú di un semplice arbiter elegantiarum da consultarsi a proposito della scelta di un gioiello da indossare, o del nodo da fare alla cravatta, o del modo di tenere un bastone da passeggio. Egli cercava di elaborare un qualche nuovo schema di vita che avesse una filosofia razionale e dei principî ordinati, e trovasse nella spiritualizzazione dei sensi la sua piú alta affermazione.
L’adorazione dei sensi è stata spesso e con ragione criticata, poiché gli uomini sentono un istinto naturale di terrore verso le passioni e le sensazioni che sembrano piú forti di loro, e che a loro sembra di condividere con le forme di esistenza meno sviluppate. Ma sembrava a Dorian Gray che la vera natura dei sensi non fosse mai stata compresa, e che la gente fosse rimasta animalesca e primitiva solo perché il mondo aveva cercato di asservirli con la privazione o di ucciderli con la sofferenza, invece di cercare di fare di loro gli elementi di una nuova spiritualità, della quale un nobile istinto della bellezza sarebbe stato l’elemento caratteristico. Se guardava indietro verso il cammino dell’uomo nella Storia, si sentiva oppresso da un sentimento di spreco. Quanto era stato tralasciato, e per quali misere ragioni! C’erano state folli e testarde rinunce, forme mostruose di auto-tortura e di auto-negazione, originate dalla paura, e il cui risultato era stata una degradazione infinitamente piú grave di quella supposta degradazione alla quale, nella loro ignoranza, avevano cercato di sfuggire. La Natura, nella sua meravigliosa ironia, costringeva l’anacoreta a nutrirsi con le bestie selvagge dei deserti, e dava come compagni all’eremita gli animali dei campi.
Sí: come lord Henry aveva profetizzato, doveva nascere un nuovo edonismo che ricreasse la vita e la salvasse da quell’aspro e sgraziato puritanesimo che ai nostri giorni conosce un curioso risveglio. Certo, esso doveva farsi assistere dall’intelletto; ma egli non avrebbe mai accettato una teoria o un sistema che sacrificasse l’esperienza passionale. In verità il suo scopo doveva essere l’esperienza stessa, e non il frutto dell’esperienza, dolce o amaro a seconda dei casi. Avrebbe respinto sia l’ascetismo che soffoca i sensi sia la volgare dissolutezza che li ottunde. Doveva insegnare all’uomo a concentrarsi sui momenti singoli della vita, la quale è essa stessa soltanto un momento.
Pochi di noi non hanno mai fatto l’esperienza di svegliarsi prima dell’alba dopo una di quelle notti senza sogni che ci rendono quasi innamorati della morte, in una di quelle notti di orrore o di gioia deforme quando nei territori della mente passano fantasmi piú terribili della stessa realtà, fantasmi pervasi da quella vita vivace che si nasconde nel grottesco e che fornisce all’arte gotica la sua perenne vitalità; e si potrebbe pensare che sia questa l’arte tipica di chi ha avuto la mente turbata dal morbo della fantasticheria. A poco a poco, bianche dita si intrufolano fra le tende, e sembrano tremare. Con nere forme fantastiche strisciano negli angoli ombre silenziose, e vi si acquattano. Fuori si sentono gli uccelli agitarsi fra le foglie, e il rumore di uomini che vanno al lavoro, e il sospiro e i singhiozzi del vento che viene dalle colline e si aggira intorno alla casa solitaria come se avesse paura di svegliare i dormienti ma fosse costretto a richiamare il sonno dalla sua grotta purpurea. A uno a uno si sollevano gli ombrosi veli della foschia, e a poco a poco le cose riacquistano le loro forme e i loro colori, e osserviamo l’alba che restituisce al mondo il suo antico aspetto. I pallidi specchi tornano alla loro vita di imitazione. I candelabri senza fiamma sono dove li abbiamo lasciati, e accanto a loro giace il libro mezzo intonso che abbiamo incominciato a studiare, e il fiore fissato dal fil di ferro che portavamo al ballo, o la lettera che abbiamo avuto paura di leggere, o quella che abbiamo letto troppo spesso. Niente ci sembra cambiato. Dall’ombra irreale della notte torna la vita che conoscevamo. Dobbiamo riprenderla dove l’avevamo lasciata, e un sentimento terribile della necessità di continuare a prodigare energia nello stesso stancante movimento di abitudini stereotipate aleggia su di noi, o forse il folle desiderio che un giorno i nostri occhi si aprano su un mondo che è stato rifatto a nostro gusto nel buio, un mondo in cui le cose avrebbero nuove forme e colori, un mondo in cui il passato conterebbe poco o niente, e comunque sopravviverebbe in forme inconsapevoli di obblighi e di rimpianti, poiché anche il ricordo della gioia ha una sua amarezza, e le memorie del piacere contengono una loro sofferenza.
La creazione di questi mondi sembrava a Dorian Gray il vero scopo della vita, o uno dei suoi veri scopi. Nella ricerca di sensazioni al tempo stesso nuove e deliziose che possedessero l’elemento di stranezza che è cosí necessario a una vita romantica, spesso egli adottava certi modi di pensare che sapeva essere in verità estranei alla sua natura, e si abbandonava alla loro sottile influenza; e alla fine, dopo aver colto il loro colore e soddisfatto la propria curiosità intellettuale, li abbandonava con quella curiosa indifferenza che non è incompatibile con un temperamento davvero ardente, e che anzi, a sentire alcuni psicologi moderni, ne è sovente una condizione.
Una volta corse la voce che egli fosse sul punto di convertirsi alla religione cattolica; e certamente il rituale Romano aveva sempre avuto una grande attrazione per lui. Il sacrificio quotidiano, piú terribile in realtà di tutti i sacrifici del mondo antico, lo impressionava non solo per il suo superbo rifiuto dell’evidenza dei sensi ma anche per la semplicità primitiva dei suoi elementi e per l’eterno pathos della tragedia umana che si sforzava di simboleggiare. Gli piaceva inginocchiarsi sul freddo pavimento di marmo e guardare il prete, vestito di paramenti rigidi, spostare lentamente e con mani bianche il velo del tabernacolo, o sollevare in alto l’ostensorio adorno di gemme e a forma di lanterna, con quella pallida ostia che a volte, si sarebbe pensato, è davvero il panis coelestis, il pan degli angeli, o quando, nelle vesti della passione del Cristo, rompeva l’ostia dentro il calice, battendosi il petto per i suoi peccati. I turiboli fumanti che i ragazzi severi, vestiti di pizzo e di rosso vivo, scagliavano nell’aria come grandi fiori dorati, avevano per lui una sottile fascinazione. Quando usciva era solito guardare con stupore i neri confessionali, e bramava sedere nell’ombra profonda ad ascoltare uomini e donne bisbigliare attraverso la grata consunta la vera storia della loro vita.
Ma non commise mai l’errore di bloccare il suo sviluppo intellettuale con l’accettare formalmente un credo o un sistema, o con lo scambiare per una casa di abitazione un albergo che è adatto al breve soggiorno di una notte o alle poche ore di una notte senza stelle e in cui la luna è affaticata. Il misticismo, con il suo meraviglioso potere di rendere strane le cose normali, e con il sottile antinomismo che sembra sempre accompagnarlo, lo interessò per qualche tempo; e per un altro breve periodo egli fu inclinato ad accettare le dottrine materialistiche del movimento darwinista tedesco, e trovò un curioso piacere nel rintracciare i pensieri e le passioni degli uomini in qualche perlacea cellula cerebrale o in qualche bianco nervo del corpo, deliziandosi all’idea di una completa dipendenza dello spirito da certe condizioni fisiche, fossero sane o malate, normali o morbose. Ma, come abbiamo già detto, nessuna teoria sulla vita gli sembrava avere molta importanza se paragonata alla vita stessa. Si sentiva profondamente consapevole di quanto sia arida ogni speculazione intellettuale che sia separata dall’azione e dall’esperienza. Sapeva che i sensi, non meno che l’anima, hanno i loro misteri spirituali da rivelare.
E cosí ora si metteva a studiare i profumi, e i segreti della loro fabbricazione, distillando oli pesantemente profumati e bruciando resine odorose che venivano dall’Oriente. Si accorse che non c’era stato d’animo che non trovasse la sua controparte nella vita dei sensi, e si propose di scoprire il loro vero rapporto, chiedendosi che cosa ci fosse nell’incenso che rendesse mistici, e che cosa nell’ambra grigia muovesse le passioni, e perché le violette evocassero memorie di defunte storie d’amore, e perché il muschio turbasse la mente, e la champaca macchiasse l’immaginazione. Spesso cercava di elaborare una vera e propria psicologia dei profumi, e di valutare i diversi influssi delle radici dolcemente odorate, dei fiori profumati di polline, dei balsami aromatici, dei legni ombrosi e fragranti, dello spicanardo nauseabondo, dell’ovenia che rende pazzi, dell’aloe che si dice possa espellere dall’anima la malinconia.
Un’altra volta si dedicò completamente alla musica, e in una lunga stanza dalle finestre con grata, sotto un soffitto color vermiglione e oro, e fra mura di lacca verde oliva, era solito dare strani concerti nei quali zingari scatenati strappavano musiche selvagge da piccole cetre, o gravi tunisini dai barracani gialli pizzicavano le corde tese di liuti mostruosi, mentre negri sorridenti battevano monotonamente su tamburi di rame, e, accucciati sopra materassi scarlatti, i magri indiani inturbantati soffiavano entro lunghi pifferi di giunco o di ottone, e incantavano, o fingevano di incantare, i grandi serpenti dal cappuccio e le orribili vipere cornute. Gli aspri accordi e le acute dissonanze della musica barbara lo agitavano a volte, quando ormai la grazia di Schubert e le bellissime afflizioni di Chopin e le grandi armonie dello stesso Beethoven non lo eccitavano piú. Collezionava da ogni parte del mondo i piú strani strumenti che si potessero trovare, sia nelle tombe di morte popolazioni, sia tra le poche tribú selvagge che erano sopravvissute al contatto con la civiltà occidentale, e gli piaceva toccarli e provarli. Possedeva il misterioso juruparis degli indios del Rio Negro, quello che le donne non possono guardare e che i giovani non possono vedere prima di essere stati sottomessi alle prove di digiuno e di flagellazione; e le giare di terracotta dei peruviani che mandano lo strido acuto degli uccelli; e i flauti di ossa umane come quelli ascoltati nel Cile da Alonso de Ovalle; e i sonanti diaspri verdi che si trovano vicino a Cuzco ed emettono note di singolare dolcezza. Possedeva zucche dipinte riempite di ciottoli che sbatacchiavano quando venivano scosse; il lungo clarino messicano nel quale i suonatori non soffiavano ma aspiravano l’aria; l’aspro ture delle tribú dell’Amazzonia che viene suonato dalle sentinelle che siedono tutto il giorno sugli alti alberi, e possono essere sentite, si dice, a tre leghe di distanza; il teponaztli, che ha due lingue vibratili di legno e viene percosso con bastoncini spalmati di una gomma elastica che si ottiene dal succo lattiginoso di certe piante; le campane yotl degli Aztechi, che pendono come grappoli d’uva; e un grosso tamburo cilindrico coperto di pelli di grandi serpenti, come quello che fu visto da Bernal Díaz quando andò con Cortés nel tempio messicano, e delle cui note dolenti ci ha lasciato una cosí vivida descrizione. Il carattere fantastico di questi strumenti lo affascinava, e sentiva un curioso piacere al pensiero che l’arte, come la natura, ha i suoi mostri, esseri di forme bestiali e dalle voci orrende. Ma dopo qualche tempo si stancava, e andava a sedersi in un palco dell’Opera, da solo o in compagnia di lord Henry, e ascoltava rapito il Tannhäuser, e riconosceva nel preludio di questa grande opera d’arte la rappresentazione della tragedia della sua anima.
Una volta si mise a studiare i gioielli, e apparve a un ballo in costume di Anne de Joyeuse, Ammiraglia di Francia, abbigliato in un vestito ricoperto di cinquecentosessanta perle. Questa inclinazione lo possedette per anni, e forse si può dire che non lo lasciò mai. Sovente passava una giornata intera a risistemare nei loro astucci le varie pietre preziose che aveva collezionato, come il crisoberillo che diventa rosso alla luce della lampada, il cimofane con la sua striatura d’argento, il crisolito color pistacchio, i topazi rosa o color del vino, i carbonchi dall’intenso color scarlatto e dalle tremule stelle a quattro raggi, i granati dal colore rosso fiamma, gli spinelli arancioni o violetti, e le ametiste con i loro strati alternati di rubino e di zaffiro. Amava l’oro rosso dell’arenaria, e il candore perlaceo della pietra lunare, e l’arcobaleno spezzato dell’opale lattea. Si fece venire da Amsterdam tre smeraldi di dimensioni straordinarie e di colore ricchissimo, e si procurò una turchese de la vieille roche che ogni esperto gli invidiava.
Scoprí anche storie meravigliose a proposito dei gioielli. Nella Clericalis disciplina di Alfonso era menzionato un serpente dagli occhi di vero giacinto, e nella romantica storia di Alessandro si diceva che il conquistatore di Emazia aveva trovato nella valle del Giordano dei serpenti «con collane di autentici smeraldi che crescevano loro sul dorso». Filostrato ci dice che c’è una gemma nel cervello del drago e che «esibendo lettere d’oro e una tunica scarlatta» si potrebbe gettare il mostro in un sonno magico, e ucciderlo. Secondo un grande alchimista, Pierre de Boniface, il diamante rende l’uomo invisibile, e l’agata d’India lo rende eloquente. La cornelia placa la collera, e il giacinto induce al sonno, e l’ametista dissipa i fumi del vino. Il granato scaccia i demoni, e l’opale ha preso il suo colore dalla luna. La selenite cresce e diminuisce a seconda della luna, e il meloceo, che fa scoprire i ladri, può essere macchiato soltanto dal sangue dei capretti. Leonardo Camillo aveva visto un’intera pietra bianca tolta dal cervello di un rospo appena ucciso e che era un antidoto certo contro i veleni. Il bezoar, che si trova nel cuore del daino arabo, è un rimedio contro la peste. Nei nidi degli uccelli arabi si trova l’aspilate, il quale, a detta di Democrito, protegge chi lo porta dai pericoli del fuoco.
page_no="144"
Il re di Ceylon, durante la cerimonia della propria incoronazione, attraversò a cavallo la città tenendo nella mano un grosso rubino. I cancelli del palazzo del Prete Gianni erano «fatti di sardio e portavano incapsulate le corna del serpente cornuto, affinché nessuno potesse recar dentro un veleno». Sul frontone v’erano «due mele d’oro, nelle quali erano due carbonchi», cosicché di giorno brillasse l’oro, e di notte i carbonchi. Nello strano racconto di Lodge Una margherita in America si afferma che nella camera della regina si potevano osservare «tutte le caste signore del mondo, incise nell’argento, che guardavano attraverso begli specchi di crisoliti, di carbonchi, di zaffiri e verdi smeraldi». Marco Polo aveva visto gli abitanti del Cipango porre perle rosate nella bocca dei morti. Un mostro marino si era innamorato della perla che un pescatore aveva portato al re Perozes, e aveva ucciso il ladro, e pianto la sua perdita per sette lune. Quando gli Unni attirarono il re nella grande fossa – lo racconta Procopio – egli gettò via la perla, ed essa non fu piú ritrovata, malgrado l’imperatore Anastasio avesse offerto cinquecento libbre d’oro per averla. Il re del Malabar aveva mostrato a un veneziano un rosario di trecentoquattro perle, una per ognuno degli dèi che adorava.
Quando il duca di Valentinois, figlio di Alessandro VI, fece visita a Luigi XII di Francia, il suo cavallo, secondo Brantôme, era coperto di piastre d’oro, e il suo cappello aveva un doppio giro di rubini che mandavano una grande luce. Carlo d’Inghilterra andava a cavallo con staffe sospese a quattrocentoventuno diamanti. Riccardo II possedeva un mantello di rubini del valore di trentamila marchi, ricoperto di rubini balasci. Hall descrive Enrico VII mentre si reca alla Torre di Londra per l’incoronazione con indosso «un farsetto ricamato d’oro, il davanti ricamato con diamanti e altre pietre preziose, e al collo una grande gorgiera con ampi rubini». I favoriti di Giacomo I portavano orecchini di smeraldo entro una filigrana d’oro. Edoardo II donò a Piers Gaveston un’armatura d’oro rosso tempestata di giacinti, un collare di rose d’oro con pietre turchesi, e un elmo costellato di perle. Enrico II portava guanti ingioiellati fino al gomito e aveva un guanto da falcone cucito con dodici rubini e cinquantadue grandi perle orientali. Il cappello ducale di Carlo il Temerario, ultimo duca di Borgogna della sua casata, era ornato di perle a goccia, e trapunto di zaffiri.
Com’era stata raffinata, un tempo, la vita! Quanto fastosa nella sua pompa e decorazione! Anche leggere intorno al lusso dei morti era meraviglioso.
Poi si dedicò ai ricami e agli arazzi che sostituiscono gli affreschi nelle fredde stanze del Nord Europa. Mentre investigava l’argomento – ebbe sempre una straordinaria capacità di concentrarsi completamente in quello che lo interessava al momento – era quasi rattristato nel riflettere sulla rovina che il tempo infliggeva alle cose belle e meravigliose. Egli, comunque, era sfuggito a tale rovina. Un’estate seguiva l’altra, le gialle giunchiglie sbocciavano e morivano piú volte, notti d’orrore raccontavano la storia della loro vergogna, ma Dorian Gray non cambiava. L’inverno non segnava il suo viso né macchiava il suo incarnato fiorente. Com’era diverso per le cose materiali! Dov’erano andate a finire? Dov’era il grande manto color croco per cui gli dèi avevano combattuto contro i Giganti e che brune fanciulle avevano lavorato per il piacere di Atena? Dov’era il grande velario che Nerone aveva disteso a Roma sopra il Colosseo, quel titanico drappo di porpora sul quale era dipinto il cielo stellato e Apollo che guidava un carro trainato da bianchi cavalli dalle redini d’oro? Avrebbe voluto vedere le curiose tovaglie tessute per il Sacerdote del Sole e sulle quali erano apparecchiate tutte le vivande e i manicaretti che si potevano desiderare a una festa; e il sudario del re Cilperico, con le sue trecento api d’oro; le vesti fantastiche che avevano causato l’indignazione del vescovo di Ponto, e raffiguravano «leoni, pantere, orsi, cani, foreste, rocce, cacciatori – tutto ciò che, in realtà, un pittore può copiare dalla natura»; e il soprabito indossato un tempo da Carlo d’Orléans, sulle maniche del quale erano ricamati i versi di una canzone che cominciava con «Madame, je suis tout joyeux», e l’accompagnamento musicale era lavorato in filo d’oro, e ogni nota, allora di forma quadrata, era trapunta di quattro perle. Aveva letto della sta...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Oscar Wilde dopo il carcere di Javier Marías
  5. Bibliografia
  6. Cronologia
  7. Il ritratto di Dorian Gray
  8. Capitolo primo
  9. Capitolo secondo
  10. Capitolo terzo
  11. Capitolo quarto
  12. Capitolo quinto
  13. Capitolo sesto
  14. Capitolo settimo
  15. Capitolo ottavo
  16. Capitolo nono
  17. Capitolo decimo
  18. Capitolo undicesimo
  19. Capitolo dodicesimo
  20. Capitolo tredicesimo
  21. Capitolo quattordicesimo
  22. Capitolo quindicesimo
  23. Capitolo sedicesimo
  24. Capitolo diciassettesimo
  25. Capitolo diciottesimo
  26. Capitolo diciannovesimo
  27. Capitolo ventesimo