Figlio di Dio
eBook - ePub

Figlio di Dio

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Lester Ballard, il protagonista di questo romanzo, è uno dei tanti «poveri bianchi» che popolano le catapecchie e i cortili del Sud rurale, le campagne fuori dal tempo dove la Storia è scandita dai linciaggi e dalle pubbliche impiccagioni, dove la promiscuità e l'incesto sono la regola, dove la miseria e l'abiezione rendono incongrua, quasi surreale, la sporadica comparsa di un'aula di tribunale o di una stanza d'ospedale.
Nello spazio di una breve gelida stagione, Ballard, il contadino solitario, amante della caccia e del whisky fatto in casa, si trasforma in un animale da preda: da feticista a stupratore, ad assassino, a necrofilo.
Le scorribande sempre piú sanguinose di questo serial killer controcorrente hanno come cornice la natura violenta e il paesaggio incantato delle montagne del Tennessee, e a commentarle è un coro di personaggi che, come sempre, attinge a quel museo degli orrori che è l'immaginazione di uno scrittore peraltro capace di insospettate, improvvise delicatezze.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806168957
eBook ISBN
9788858402238
Parte prima
Arrivarono come una sfilata di carri da fiera, e sotto il sole del mattino salirono su per la collina fra i campi di ginestre, con il camioncino che traballava e beccheggiava lungo i solchi del sentiero mentre i musicisti, seduti sulle loro sedie sopra il cassone, vacillavano all’unisono e accordavano gli strumenti, e il grassone con la chitarra sorrideva e gesticolava verso altri che li seguivano in macchina, e si piegava per dare una nota al violinista che girava un bischero e ascoltava con la faccia tutta grinze. Passarono sotto meli in fiore, rasentarono una mangiatoia fatta di grossi tronchi fra cui si aprivano fessure tappate con fango secco arancione, e giunsero in vista di una vecchia casa di assi che sorgeva nell’ombra azzurra sotto il fianco della montagna. Dietro la casa c’era un granaio. Uno degli uomini sul camioncino diede un pugno sul tetto della cabina e il camion si fermò. Macchine e autocarri proseguirono fra le erbacce che infestavano il cortile, e qualcuno andava a piedi.
Sulla porta del granaio, un uomo guarda tutto ciò scaturire da un mattino bucolico e per il resto completamente muto. È piccolo, sporco, con la barba lunga. Si muove con impacciata ferocia tra la paglia secca, in mezzo alla polvere e alle strisce di luce. Sangue di sassoni e celti nelle sue vene. Nient’altro che un figlio di Dio come voi, forse. Le vespe attraversano i fasci di luce che erompono scalati uno sull’altro fra le assi del granaio, si aggirano dorate e tremolanti fra buio e buio, come lucciole nella fitta oscurità del sottotetto. L’uomo tiene le gambe divaricate, ha appena fatto nella terra scura una pozzanghera ancora più scura su cui galleggiano fili di paglia e una schiuma biancastra. Mentre si riabbottona i jeans cammina lungo il muro del granaio. La luce gli dà una sagoma di violino, una cosa da niente che barbaglia dietro la finestrella sul muro.
Ora si staglia sulla porta d’ingresso del granaio e sbatte gli occhi. Alle sue spalle una corda pende dal soffitto. Le sue mascelle coperte di setole sottili si contraggono e distendono come se stesse masticando qualcosa, ma non sta masticando niente. Il sole lo costringe quasi a chiuderli, gli occhi, e attraverso le palpebre sottili e venate di azzurro si scorgono globi mobili, guardinghi. Un uomo vestito di blu sta gesticolando dal cassone del camioncino. Qualcuno prepara un baracchino di limonate. I musicisti attaccano un motivo della Virginia, il cortile si riempie di gente e dall’altoparlante escono i primi suoni striduli.
Bene, bene, adesso venite tutti quassù e mettetevi a registro, preparate i soldi, dollari d’argento. Quassù, sì. Da questa parte. Come state, signorina? Oh, benissimo. Sissignori. Così va bene. Jessie? Sei riuscito a...? Così va bene. Jess e gli altri hanno aperto la casa per chi vuole dare un’occhiata dentro. Bene così. Fra un minuto avremo un po’ di musica, sono quasi pronti, e vogliamo che siate tutti registrati prima di fare le assegnazioni. Sissignori. Cos’è quello? Sissignore, va bene. Va bene, gente, le offerte saranno per i singoli terreni ma poi si potrà fare anche un’offerta su tutto quanto. Di qua e di là della strada, giù giù oltre il torrente fino a quei grossi alberi laggiù, dall’altra parte. Sissignore. Ci arriviamo subito.
Inchini, sorrisi, spiegazioni. Il microfono in una mano. La voce del banditore echeggiava querula e smorzata fra i pini montani. Un’illusione di voci multiple, un coro fantasma tra vecchie rovine.
Oh, ce n’è di legna buona quassù. Ottima legna. Gli alberi sono stati tagliati quindici anni fa, perciò magari non sono ancora ricresciuti del tutto, ma basta guardarli. Di notte voi ve ne state tranquilli nel vostro letto e intanto gli alberi crescono. Sissignori. Dico sul serio. Questa è una proprietà che ha futuro. Tutto il futuro possibile in qualunque angolo di questa vallata. Forse anche di più. Amici, non ci sono limiti alle possibilità di un terreno come questo. Se avessi qualche soldo in più ne comprerei anch’io. E credo sappiate tutti che ho investito in terreni fino all’ultimo centesimo che ho. E ogni centesimo che ho l’ho guadagnato dai terreni. Se avessi un milione di dollari, nel giro di tre mesi li investirei in terreni, fino all’ultimo centesimo. E questo lo sapete tutti. Ci si può soltanto guadagnare. Sono sinceramente convinto che un pezzo di terra come questo vi renderà il dieci per cento dell’investimento. Forse anche il venti per cento. Mettete i soldi in banca e non ne ricaverete altrettanto, lo sapete tutti. Non c’è nessun investimento più solido della proprietà fondiaria. La terra. Sapete tutti che un dollaro non comprerà domani quello che comprava ieri. Può darsi che fra un anno un dollaro finirà per valere solo cinquanta cent. E voi lo sapete bene. Invece il valore dei terreni è destinato a crescere, su, su, sempre più su.
Amici, sei anni fa, quando mio zio venne qui e si comprò la casa di Prater, laggiù, cercavano tutti di convincerlo a non farlo. La pagò centonovantacinquemila dollari, la fattoria. So quello che faccio, disse. E voi tutti sapete cos’è successo poi. Sissignori. Rivendette per trecentottantamila. Un terreno come questo... Certo, ha bisogno di qualche miglioria. È incolto. D’accordo. Ma, amici, potete guadagnarci il doppio dei soldi che ci mettete. Un investimento in terreni, e soprattutto in questa vallata, è il più sicuro che potete fare. Sicuro come i soldi. E sono assolutamente sincero quando vi dico questo.
Fra i pini, le voci cantilenavano una litania dimenticata. Poi smisero di colpo. Un mormorio percorse la folla. Il banditore aveva allungato il microfono a un altro uomo. L’altro uomo disse: Date una voce allo sceriffo laggiù, C B.
Il banditore gli fece un cenno con la mano e si chinò verso l’uomo che gli stava davanti. Un uomo piccolo, malrasato, che ora aveva in mano un fucile.
Cosa volete, Lester?
Te l’ho già detto. Voglio che porti il tuo stramaledetto culo fuori dalla mia proprietà. E portati dietro questo mucchio di coglioni.
Attento a come parlate, Lester. Ci sono delle signore.
Me ne sbatto di chi c’è e di chi non c’è.
Non è vostra proprietà, questa.
Col cazzo che non lo è.
Vi hanno già messo in galera una volta per questo. A quanto pare avete voglia di tornarci. Lo sceriffo capo è giusto laggiù.
Me ne strafotto di dov’è lo sceriffo capo. Voglio che voialtri figli di puttana ve ne andiate fuori dalla mia proprietà. Mi avete sentito?
Il banditore se ne stava accoccolato sulla ribalta del camion. Si guardava le scarpe, cercava distrattamente di togliere dal guardolo un pezzo di fango secco. Quando tornò a sollevare lo sguardo sull’uomo con il fucile, sorrideva. Disse: Lester, se non ti dài una calmata ti metteranno in manicomio.
L’uomo fece un passo indietro, tenendo il fucile con una sola mano. Era quasi accovacciato e stese la mano libera, con le dita aperte e puntate contro la folla come per tenerla indietro. Scendi da quel camion, sibilò.
L’uomo sul camion sputò e lo guardò socchiudendo gli occhi. Cos’hai intenzione di fare, Lester, spararmi? Non sono stato io a toglierti la proprietà. È stata la contea. Io sono stato assunto solo per fare il banditore.
Giù da quel camion.
Dietro di lui, i musicisti sembravano pezzi di porcellana presi dal baraccone del tiro a segno di una vecchia fiera di paese.
È matto, C B.
C B disse: Se vuoi spararmi, Lester, puoi spararmi qui dove sono. Non ho intenzione di andare da nessuna parte per fare un piacere a te.
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Da quel giorno Lester Ballard non fu più in grado di tenere la testa dritta. Doveva essergli andato fuori posto il collo, in un modo o in un altro. Io non vidi Buster colpirlo, lo vidi quando era già caduto a terra. Stavo con lo sceriffo, io. Lui era steso giù a terra e guardava gli altri con i suoi occhi strabici e quel tremendo bernoccolo sulla testa. Se ne stava lì, con il sangue che gli usciva dalle orecchie. Buster aveva ancora l’ascia in mano. Lo caricarono sulla macchina della contea, e C B andò avanti con l’asta come se non fosse successo niente, poi però disse che era stato a causa dell’incidente se non erano arrivate offerte da parte di certe persone che altrimenti le avrebbero fatte, il che forse era proprio lo scopo di Lester, chissà. John Greer veniva dalla contea di Grainger. Non voglio insinuare niente, ma insomma veniva da lì.
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Quando arrivò Ballard, Fred Kirby se ne stava seduto a gambe incrociate nel cortile davanti a casa sua, vicino al rubinetto dell’acqua, perché era lì che aveva l’abitudine di passare il tempo. Ballard si fermò per la strada, alzò gli occhi e lo guardò. Disse: Ehi, Fred.
Fred sollevò una mano e accennò con il capo. Vieni, Lester, disse.
Ballard arrivò ai piedi del terrapieno e guardò su, dove stava seduto Kirby. Disse: Hai del whisky?
Dovrei averne un po’.
Ti spiacerebbe darmene una fiasca.
Kirby si alzò. Ballard disse: Te la posso pagare la prossima settimana. Kirby tornò a sedersi.
Te la pago domani, disse Ballard.
Kirby girò la testa, strinse il naso fra pollice e indice e schizzò nell’erba uno spruzzo di moccio giallo, poi si asciugò le dita sul ginocchio dei jeans. Guardò lontano, verso i campi. Non posso, Lester, disse.
Ballard si voltò a metà per vedere cosa stava guardando, laggiù, ma non c’era nient’altro che le solite montagne. Strusciò i piedi a terra e si frugò nelle tasche. Vuoi fare uno scambio? disse.
Perché no. Cos’hai?
Ho qui questo coltello a serramanico.
Vediamo.
Ballard aprì il coltello e lo lanciò a Kirby al di sopra del terrapieno. Il coltello si conficcò a terra vicino alla scarpa dell’altro. Kirby rimase un attimo a guardarlo, poi allungò un braccio, lo prese, pulì la lama sfregandosela sul ginocchio e guardò il nome del fabbricante. Lo chiuse, lo riaprì e pelò via una striscia sottile dalla suola della scarpa. Va bene, disse.
Si alzò, si mise il coltello in tasca e attraversò la strada dirigendosi al torrente.
Ballard stette a osservarlo gironzolare lungo il margine del campo, prendendo a calci cespugli e caprifogli. Una o due volte si girò a guardare dietro di sé. Ballard allora alzava gli occhi verso le colline azzurre.
Dopo un po’ Kirby tornò indietro, ma whisky non ne aveva. Restituì a Ballard il coltello. Non riesco a trovarlo, disse.
Non riesci a trovarlo?
No.
Oh, merda.
Andrò a cercarlo più tardi. Mi sa tanto che ero ubriaco quando l’ho nascosto.
E dove potresti averlo nascosto?
Non lo so. Credevo di poterci arrivare facilmente, e invece non devo averlo messo dove pensavo che fosse.
Be’, cazzo.
Se non riesco a trovarlo me ne procurerò dell’altro.
Ballard si infilò il coltello in tasca, si voltò e tornò sulla strada.
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Tutto ciò che rimaneva della latrina esterna era qualche pezzo di tavolato fradicio, coperto di muschio verdastro, caduto da tempo dentro una buca poco profonda da cui spuntavano gigantesche erbacce mutanti. Ballard ci passò vicino e proseguì dietro il granaio, poi camminò fino a uno spiazzo in mezzo a macchie di stramonio e solano, si accucciò e cagò. Un uccello cantava nel felceto torrido e polveroso. L’uccello volò via. Lui si pulì con un rametto, si alzò e tirò su da terra i pantaloni. Le mosche verdi stavano già zampettando sullo stronzo scuro e grumoso. Si abbottonò i pantaloni e tornò alla casa.
Questa casa aveva due stanze. Ogni stanza, due finestre. Guardando fuori dal retro si vedeva un muro compatto di erbacce che arrivavano all’altezza della gronda. Davanti c’era un portico, e altre erbacce. Dalla strada, un centinaio di metri più in là, i passanti potevano vedere giusto il grigio tetto di assi e il camino, niente di più. Ballard si diresse verso la porta sul retro, camminando su un sentiero in mezzo all’erba. Un nido di calabroni penzolava da un angolo della tettoia del portico e lui lo buttò giù. I calabroni uscirono uno dopo l’altro e volarono via. Ballard entrò in casa e spazzò il pavimento con un pezzo di cartone. Spinse da parte i vecchi giornali, spazzò via lo sterco vecchio di volpe e di opossum e spazzò via anche pezzetti di argilla color mattone caduti dal soffitto d’assi e coperti di neri gusci di larve. Chiuse la finestra. L’unico vetro rimasto venne giù silenziosamente dal telaio rinsecchito e ormai fragile, e gli cadde fra le mani. Lui lo appoggiò sul davanzale.
Nel caminetto c’erano una pila di mattoni e della malta. Un mezzo alare di ferro. Buttò fuori i mattoni, ammucchiò la malta e si accucciò a quattro zampe allungando il collo per guardare su per il camino. Una ragnatela immobile in quella luce catarrosa. Odore rancido di terra e di vecchio fumo di legna. Fece un bel mucchio dei giornali, lo mise dentro il caminetto e gli diede fuoco. La carta bruciava lentamente. Qualche modesta fiamma crepitava e si faceva strada mangiandosi bordi e margini. I giornali si annerirono e arricciarono tremando, e il ragno scese attaccato a un filo e si fermò a riposare nella cenere sul fondo del caminetto.
Più tardi nella mattina, un piccolo e sottile materasso di tela macchiata guadava il felceto alla volta della baracca. Lester Ballard lo teneva sopra la testa e le spalle, e le imprecazioni soffocate che rivolgeva a more e smilaci non raggiungevano orecchio umano.
Arrivato alla baracca, scaricò il materasso sul pavimento. Una cornice di polvere si sollevò da sotto i quattro lati, si gonfiò sulle tavole storte del pavimento e tornò a depositarsi. Ballard tirò su il davanti della camicia e si asciugò il sudore dalla fronte e dalla testa. Sembrava un pazzo, o quasi.
Quando fece buio, tutti i suoi averi erano ormai disposti intorno a lui nella stanza spoglia, e l’uomo aveva acceso una lampada, l’aveva messa proprio in mezzo al pavimento e ci stava seduto davanti con le gambe incrociate. Teneva sopra il tubo di vetro della lampada una gruccia di ferro su cui erano infilate delle patate tagliate a fette. Quando furono quasi nere le sfilò con il coltello dal filo metallico facendole cadere in un piatto, poi ne infilzò una, ci soffiò sopra e diede il primo morso. Riaprì la bocca e cominciò a soffiare aria dentro e fuori, tenendo il pezzo di patata appoggiato sui denti inferiori. Mentre masticava la patata imprecò perché era ancora bollente. Nel mezzo invece era cruda, e sapeva di petrolio.
Dopo aver mangiato le patate si arrotolò una sigaretta e la accese accostandola al tremolante cono di gas che usciva dall’orlo del tubo di vetro, poi se ne restò lì seduto inspirando il fumo e soffiandolo fuori a riccioli e volute dalle labbra, dalle narici, scuotendo oziosamente la cenere con il mignolo e facendola cadere nei risvolti dei pantaloni. Allargò i giornali che aveva ammucchiato e ci si piegò sopra bofonchiando, formando le parole sulle labbra a una a una. Vecchie notizie di gente morta da tempo, storie dimenticate, annunci che pubblicizzavano specialità farmaceutiche e vendite di bestiame. Fumò la sigaretta finché non fu che un mozzicone bruciato fra le sue dita, finché non fu che cenere. Abbassò la lampada fino a ridurne il lume a un vago bagliore arancione che tingeva la parte bassa e svasata del tubo di vetro, poi si sbarazzò di scarpe, pantaloni e camicia e si lasciò andare supino sul materasso, tenendosi addosso soltanto i calzini. I cacciatori avevano strappato la maggior parte delle assi delle pareti interne per farne legna da fuoco, e dall’architrave nudo sopra la finestra penzolava parte della pancia e della coda di un serpente corridore. Ballard si rizzò a sedere e alzò di nuovo il lume. Si levò dal letto, allungò una mano e tastò con un dito il ventre azzurrino del serpente. Quello schizzò in avanti, cadde a terra con un lieve tonfo e filò via sulle assi del pavimento come inchiostro in una scanalatura, e in un attimo fu fuori dalla porta e scomparve. Ballard tornò a sedersi sul materasso, riabbassò il lume e si sdraiò. Nel silenzio e nella calura sentiva il ronzio delle zanzare che si avvicinano. Rimase in ascolto. Dopo un po’ si girò sulla pancia. E dopo un po’ si alzò di nuovo, prese il fucile da dove l’aveva lasciato, vicino al caminetto, lo appoggiò a terra di fianco al materasso e tornò a stendersi. Aveva una gran sete. Quella notte sognò torrenti di gelida acqua nera di montagna, sdraiato prono a bocca aperta come un morto.
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Mi viene in mente una cosa che fece, una volta. Io sono cresciuto con lui, ci conoscevamo fin da bambini. A scuola ero più avanti di lui. Un giorno una palla da softball gli sfuggì, rotolò oltre la strada e andò a infilarsi in un campo vicino... era finita davvero lontano, in un intrico di rovi ed erbacce, e allora lui disse a un ragazzo, uno della famiglia ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Indice