Il buon ladro
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Il buon ladro

  1. 368 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

New England, intorno alla metà del XIX secolo. Cattolico tra i protestanti, orfano accolto appena nato nel convento di Saint Anthony, a undici anni Ren è ancora in attesa di qualcuno che lo adotti, risparmiandogli così l'arruolamento forzato nell'esercito. Ma come sperarci, con quella sua diversità tanto lampante? Ren, in compenso, ha già scoperto di possedere un innegabile talento: quello per il furto. Quando il misterioso Benjamin Nab, sedicente ex soldato e avventuriero dal sorriso irresistibile, viene a reclamarlo sostenendo di essere suo fratello, per Ren avrà inizio una serie di peripezie travolgenti in cui mettere a frutto il suo «dono». Benjamin, in compagnia di Tom, maestro in disgrazia e alcolizzato, lo coinvolgerà in una sfilza di affari loschi infarciti di tonici miracolosi, esibizioni pietose per abbindolare i gonzi, fino ad arrivare all'esumazione di cadaveri da rivendere agli ospedali per le autopsie. Sarà proprio in una di queste sortite che Ren farà amicizia con il gigantesco e «frankesteiniano» Dolly, assassino letteralmente risorto dalla tomba. E il ragazzo avrà bisogno di tutti loro per andare incontro al suo destino, nella città ferita di North Umbrage, sotto l'ombra dell'enorme e tetra ciminiera della fabbrica di trappole per topi del temibile contrabbandiere McGinty e dei suoi scagnozzi in cappello e guanti rossi.
Con una ricostruzione storica vivida e puntuale senza mai essere invasiva, tra echi di Dickens, Mark Twain e Stevenson, la storia di Ren ci porta alla scoperta di un mondo marginale e picaresco, dove ciascun individuo ha una storia inattesa alle spalle e dove un «piccolo ladrone» può davvero aver modo di dimostrare tutto il suo buon cuore. In un alternarsi di episodi commoventi e situazioni esilaranti, Ren andrà alla ricerca della famiglia che ha sempre desiderato e scoprirà - oltre alle storie edificanti delle Vite dei santi e alle avventure del Cacciatore di cervi - nei momenti in cui lui e Benjamin avranno bisogno di trarsi d'impaccio, il potere inarrestabile e il fascino irresistibile di una storia raccontata bene. «Oscuro e trascinante... Nel Buon ladro il lettore trova un romanzo ricco di virtù tradizionali: struttura solida, estrema lucidità, un impeto viscerale e una totale assenza di manierismi stilistici. Hannah Tinti ambienta in America un racconto dickensiano con tratti di humour e fantasia alla Harry Potter, e un tocco macabro d'inquietante storia del New England».
The New York Times «Davvero un bel libro... Ti fa ricordare perché ti sei innamorato della lettura tanto tempo fa... L'immaginazione fervida della Tinti... ci fa riscoprire la nostra. È un dono da tenere caro...».
Boston Globe

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806202521
eBook ISBN
9788858403051
Parte seconda

Capitolo dodici

Era ormai buio quando varcarono il ponte per entrare a North Umbrage. Le case si ergevano dietro la collina, e mentre vi si insinuava nel mezzo la strada si faceva più stretta. Lì non c’era traccia alcuna della confusione del porto. Le vie erano quasi deserte e le persone che stavano all’aperto si raccoglievano agli angoli a fumare, guardando con sospetto il passaggio del carro. Ren vide un branco di cani denutriti che si azzuffavano e un uomo e una donna che si stringevano l’uno contro l’altra in fondo a un vicolo. I canali di scolo puzzavano di immondizia. Tom tirò fuori la pistola e la mise sul sedile accanto a sé.
Era la stessa pistola che Benjamin aveva mostrato a Ren sulla via per Granston. Benjamin gli era parso felice e rilassato a quei tempi; ora invece se ne stava schiacciato sul bordo del sedile. Si tirava i bottoni del colletto e continuava a girare la testa verso le finestre, come se si aspettasse di vedere qualcuno che conosceva nascosto dietro le tende.
Il carro sobbalzava su e giù sui ciottoli. In alto, più avanti, una grande ombra oscurava la strada. Correva per l’intera lunghezza della via e proiettava un muro nero sui tetti e sulle case di North Umbrage. Il cavallo entrò nella cittadina e l’aria intorno si fece fredda. Ren alzò la testa, aspettandosi di vedere un gigante troneggiare sopra le loro teste. Invece vide una fabbrica, un edificio costruito come una fortezza, che si innalzava nel cielo.
Era alta quattro piani, con una grossa ciminiera che sputava fumo nero. Al secondo piano, i muri di mattoni cedevano il posto a enormi finestre chiuse da sbarre. Sull’entrata principale, scolpita nella pietra che formava l’arco, si leggeva la scritta: FABBRICA DI TRAPPOLE PER TOPI MCGINTY.
– Che posticino allegro, – disse Tom.
– Una volta questa era una città di minatori, – spiegò Benjamin.
– Non l’avevo mai sentita nominare.
– Non avresti potuto, – disse Benjamin. – Ci fu un incidente e da quel momento niente è più stato come prima. Un carrello pieno di esplosivo scoppiò vicino all’entrata e tutti gli uomini rimasero intrappolati. Non hanno mai ritrovato i corpi e la società mineraria, dopo aver chiuso le gallerie, ha abbandonato la città. Quando passai da queste parti, parecchio tempo fa, vidi donne inginocchiate in mezzo alla piazza del mercato, con l’orecchio a terra nella speranza di sentire le voci dei loro uomini.
Il carro urtò il bordo del marciapiede e Ren pensò agli uomini intrappolati sottoterra insieme a tutte le altre cose che la gente aveva gettato via nel corso degli anni: pentole e padelle arrugginite, stivali vecchi, ferri di cavallo e piatti di porcellana rotti. Il carro superò un vecchio castagno e Ren immaginò le sue radici che affondavano nel terreno, setacciando il suolo, proprio come le dita delle vedove mentre frugavano la terra che imprigionava i minatori, con le vanghe e i picconi, insieme alle altre donne e ai bambini e ai contadini delle colline lì intorno. L’immagine prese vita nella testa di Ren, i dettagli si aggiungevano uno dopo l’altro finché non vide l’intera città intenta a scavare, in lotta contro il tempo... poi si sentiva un fischio e tutti si fermavano, in ascolto. E dopo pochi minuti una delle donne gridava: «Che cosa state aspettando?» E un’altra diceva: «No! Qui proprio qui, ecco, adesso, lo sentite? Qui, qui!»
Tom condusse il carro lungo una strada costeggiata ai lati da case sbarrate con le assi e abbandonate. Nella strada successiva gli edifici erano chiassosi, illuminati da luci accecanti, e dalle finestre veniva un rumore di bicchieri rotti e musica. Il carro svoltò un altro angolo, dove tutto era silenzioso e buio, e poi un altro, e un altro e un altro ancora. In nessuna di queste case c’erano luci accese. Alla fine ne comparve una illuminata. Aveva una piccola insegna di legno attaccata al cancello, dipinta a mano: CAMERE IN AFFITTO.
– Eccoci, – disse Benjamin. – Fermati qui.
– Sei sicuro? – chiese Tom.
– Resta con il cavallo –. Benjamin scese dal retro del carro e Ren lo seguì.
Bussarono a lungo prima che una donna venisse a rispondere. Era più alta di Benjamin di almeno una spanna e aveva le spalle larghe, le braccia massicce e un collo molto lungo e sottile. Dal viso si sarebbe detta una donna di mezza età, con gli occhi vispi e luminosi e un naso che aveva una narice più larga dell’altra. I capelli erano raccolti in una cuffia e indossava un grembiule grossolano che copriva un abito marrone. Legato a una spessa cintura di cuoio che le cingeva la vita c’era un anello pieno di chiavi.
PERCHÉ BUSSATE? – gridò.
– Cerchiamo una stanza, – disse Benjamin.
NON APRO AGLI ESTRANEI.
– Mi chiamo Benjamin Nab –. Le tese la mano, sfoderando il suo sorriso. – Ecco, vedete, non sono più un estraneo.
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SIGNOR NAB, SONO UNA DONNA CHE LAVORA SODO E HO UNA VITA DIFFICILE, E NON HO CERTO BISOGNO CHE LE COSE SI FACCIANO ANCORA PIÚ DIFFICILI –. Mostrò il fucile che teneva accanto a sé. – ADESSO LEVATEVI DI MEZZO.
Ren capì che quello era il suo momento, doveva suscitare pena e lo fece al meglio delle sue capacità, rannicchiandosi un po’ per sembrare più piccolo e sbattendo velocemente le palpebre.
– Lo farei, – disse Benjamin, – se non fosse per il mio povero nipote mutilato, che ha appena perso entrambi i genitori e ha viaggiato per miglia e miglia per arrivare fin qui.
Ren alzò il braccio e sventolò il moncherino davanti al viso della donna, come se volesse salutarla.
– Sua madre prestava le cure a una vicina malata, – disse Benjamin. – E si è ammalata a sua volta. Suo marito la vegliava notte e giorno. Ha lasciato che i campi andassero in rovina. Ha venduto tutto quello che avevano per pagare i dottori. Mi hanno raccontato che mia sorella si era fatta tutta gialla, e le erano venuti i denti verdi. Poi è rimasto contagiato anche il padre del ragazzo, urlava e delirava e leccava le pareti. Quando ho ricevuto la notizia ho ingaggiato il mio amico Tom, laggiù, perché mi conducesse al loro villaggio, ma quando sono arrivato erano già stati sepolti, lasciando solo questo povero orfano –. Benjamin si tolse il cappello mentre pronunciava le ultime parole e se lo tenne sul cuore.
Improvvisamente i denti della donna fecero capolino. Una dentatura lunga e sottile, con alcuni buchi di un certo rilievo, una dentatura irregolare e storta come quella di quasi tutti i contadini. – AH, – esclamò e prese a succhiarsi il labbro inferiore, ripensando a ciò che aveva appena sentito. Poi ripose il fucile, prese Ren fra le braccia e lo sbatacchiò da una parte all’altra, come se stesse cercando di finirlo. Era una creatura spigolosa, ma con alcune parti soffici e ben proporzionate contro le quali iniziò a premere la faccia di Ren. Aveva l’odore del lievito di pane – un odore acre e forte – e Ren ne fu talmente sopraffatto che si abbandonò completamente a quella stretta. Si rilassò fino a quando si sentì soffocare e a quel punto la locandiera lo rimise a terra.
Benjamin fece cenno a Tom, che scese dal carro e portò la giumenta in una piccola stalla dietro la casa. – Vi siamo molto grati. Non so per quanto tempo ancora ce l’avremmo fatta a proseguire su questa via. E io non sono che un giovane uomo solo e non so come ci si prende cura di un bambino.
CERTO CHE NON LO SAPETE! – disse la donna. E li fece entrare in casa. – SONO TRE DOLLARI A NOTTE PER LA STANZA. UN DOLLARO A TESTA PER IL VITTO.
– Molto ragionevole, – disse Benjamin. Ma non accennò a pagare.
La locandiera gli prese il cappotto e lo appese nell’armadio. Benjamin la ringraziò e le chiese il suo nome. Lei rispose: signora Sands.
– E vostro marito si occupa della locanda?
MIO MARITO È MORTO E SEPOLTO NELLA MINIERA.
– Povera, povera signora Sands –. Benjamin si lasciò cadere su un ginocchio e prese la mano della donna fra le sue. La signora Sands rimase perfettamente immobile. A quel punto entrò Tom, la barba arruffata. Mentre chiudeva il chiavistello gli cadde la pistola, che si chinò lesto a raccogliere per poi infilarla nel davanti dei pantaloni. La donna fece un verso e si liberò.
BEGLI AMICI AVETE, SIGNOR NAB.
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Non ci volle molto a capire che la signora Sands urlava sempre. Aveva avuto un incidente con una pistola da bambina e dal quel momento riusciva a capire quello che la gente diceva leggendo le labbra, ma non riusciva a sentire quello che lei stessa rispondeva. Mandò Benjamin e Tom a lavarsi nella tinozza al piano di sopra. – C’È UNA STANZA CHE POTETE USARE PER LA NOTTE. NELL’ARMADIO TROVERETE DEI VESTITI CHE DOVREBBERO ANDARE BENE AL BAMBINO. AVEVO UN’AMICA CON UN FIGLIO DI QUESTA ETÀ. PENSAVA CHE UN GIORNO AVREI AVUTO UN FIGLIO E MI HA MANDATO LE SUE COSE DOPO CHE È ANNEGATO NEL FIUME. PENSATE: UN RAGAZZINO ANNEGATO! E ANCHE QUESTO SEMBRA RIPESCATO DA UN FIUME, NON È VERO? – Afferrò il retro della giacca di Ren e cominciò a tirare su e giù, poi andò nella stanza accanto, trascinandolo con sé.
Entrando in cucina Ren sentì un profumino delizioso: un grosso arrosto affogato nella salsa. Doveva essere stato cucinato di recente, sebbene non ve ne fosse traccia sul tavolo o sul mobile, entrambi pulitissimi, come le pentole che brillavano e i piatti riposti nella credenza di vetro nell’angolo.
La stanza era occupata di fatto da un camino, il più grande che Ren avesse mai visto. Copriva un’intera parete e poi, come se non fosse abbastanza, girava l’angolo e continuava per metà di quella successiva, in un intrico di mattoni e mensole. Sopra la cappa era appeso un quadro a punto croce con il Padre Nostro e sotto la cappa c’era un complesso intrico di ferri e alari in grado di muoversi avanti e indietro, insieme a un tale numero di braccia e bricchi e pentole che il tutto pareva un essere capace di distendere le zampe e mettersi a camminare. Al centro ardeva imperioso un fuoco alimentato da una mezza dozzina di ciocchi ben tagliati.
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Da quell’ammasso di ferraglia la signora Sands estrasse una tinozza che aveva le dimensioni e la forma di un maiale all’ingrasso. – STAVO RISCALDANDO L’ACQUA PER ME, – disse, – MA TE LA LASCIO.
Ren non aveva mai visto una tinozza così grande e prima di rendersene conto si ritrovò seduto al suo interno, dopo che la signora Sands lo aveva spogliato e, vedendo la sua esitazione, gli aveva dato una pacca sul sedere per convincerlo a entrare. Ora avvicinò una panca, vi si sedette e prese un coltello per mettere mano a un enorme cesto di patate. Ren sentiva il profumo dell’arrosto nell’aria e gli brontolava lo stomaco.
La donna disse: – TI DOBBIAMO FAR INGRASSARE UN PO’, EH?
Ren tenne il moncherino nascosto sotto l’ascella, le gambe incrociate e le ginocchia ben strette. Con i gomiti colpì la tinozza che risuonò come un gong. L’interno della tinozza era ruvido, l’acqua appena tiepida.
La signora Sands strizzò gli occhi per osservare meglio Ren, poi allungò la mano nella tinozza e afferrò il suo braccio sinistro per esaminare la cicatrice. – COME SI CHIAMA TUA MADRE?
Ren abbassò lo sguardo fingendo di non aver sentito.
CHI È TUO PADRE?
Ren scrollò le spalle.
NON FARMI SPALLUCCE –. La signora Sands schiaffeggiò l’acqua. – E NON FINGERE DI NON SAPERE QUELLO CHE SAI.
Ren si immerse per metà in quella specie di pentolone.
ALLORA, – disse, posando la patata mezzo pelata e viscida e chinandosi verso Ren finché lui non sentì il suo fiato sulla guancia. – SIAMO SICURI CHE QUEL SIGNOR NAB SIA DAVVERO TUO ZIO?
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Ren affondò le unghie nel moncherino e annuì.
E I TUOI SONO VERAMENTE MORTI?
Ren annuì con più forza.
La signora Sands schiacciò la patata in grembo. Il ragazzo si sentì perduto. Ma proprio in quel momento Benjamin e Tom tornarono con un corredo di vestiti che erano appartenuti al bambino annegato.
La signora Sands rivolse ai due uomini uno sguardo carico di sospetto, poi strappò i calzoni dalle mani di Tom, li esaminò in cerca di buchi e dichiarò: – QUESTI ANDRANNO BENE PER IL MOMENTO –. Indicò il fuoco e Ren vide che i suoi vestiti stavano bruciando sui ciocchi di legno. Fumavano e si dileguavano tra le fiamme, lingue arancioni che brillavano nell’oscurità. Il ragazzo rimase a guardare i brandelli e pensò alla prima volta in cui li aveva indossati, almeno due anni prima. Erano un regalo delle signore anziane che andavano all’orfanotrofio a lavare i bambini due volte al mese. Ren si era sentito orgoglioso di quei vestiti, con le cuciture in vista e i pantaloni lunghi. Non si era reso conto che fossero ridotti così male da doverli bruciare. Invece eccoli lì, in mezzo ai ciocchi fumanti, ed ecco lui, immerso in una tinozza davanti al fuoco, a guardarli ridursi in cenere, nudo che più non si poteva.
Benjamin si sedette accanto alla signora Sands sulla panca. Le chiese il permesso di togliersi gli stivali e quando lei glielo accordò, li sistemò accanto al fuoco. Indossava pesanti calzettoni di lana bucati in punta e sul tallone, fradici di sudore. Ren riusciva a sentirne il puzzo dalla tinozza in cui era immerso. Tom rimase in piedi a disagio fino a quando la signora Sands non gli urlò di sedersi, per l’amore del cielo, che ora gli avrebbe preparato qualcosa da mangiare.
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Dalla cucina prese una forma di pane nero, prosciutto tagliato a fette, e una brocca di caffelatte. Li posò sulla tavola, e diede un pezzo di pane e prosciutto al bambino nella tinozza, poi tornò a pelare le patate. Non mangiavano da quasi un giorno e tutti e tre si avventarono sul cibo con furia.
DOVE SI TROVA LA VOSTRA CASA, SIGNOR NAB?
– Ho trascorso quasi tutta la vita sulle navi. Dapprima su un mercantile che navigava verso le Indie, e poi a bordo di una baleniera. Sarei ancora per mare se non avessi saputo della malattia di mia sorella.
È UN MESTIERE PERICOLOSO, QUELLO.
Benjamin trangugiò il caffè. – E solitario.
Tom alzò gli occhi al cielo.
E IL VOSTRO AMICO?
– Disoccupato, – disse Tom.
– È maestro di scuola, – disse Benjamin.
– BEL MAESTRO.
Tom si alzò. – Che cosa vorreste dire?
Ma la signora Sands gli voltava le spalle e continuò senza aver sentito. – UN MAESTRO LO DOVREBBE SAPERE CHE UN BAMBINO NON DEVE STARE IN GIRO A QUEST’ORA. UN MAESTRO NON DOVREBBE PERMETTERE A UN BAMBINO DI VESTIRSI DI STRACCI.
– Vi dirò una cosa, – iniziò Tom, ma non finì la frase. Rimase a fissare la locandiera e poi il suo pasto e infine disse: – Me ne vado a dormire –. Afferrò il piatto, ci mise altre due fette di prosciutto e di pane, e salì le scale pestando i piedi.
– Perdonatelo, – disse Benjamin. – Era innamorato di mia sorella.
LEI È STATA FURBA A NON SPOSARLO.
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– Immagino di sì, – disse Benjamin con aria pensosa e vagamente triste. Infilò la mano nella tasca alla ricerca della pipa e prese un rametto di legno dal camino per accenderla. Poi afferrò una patata ed estrasse il coltello. Cominciò a pelarla e continuò il lavoro in silenzio insieme alla signora Sands.
Ren era infreddolito e desiderava un altro pezzo di pane, ma aveva paura di spezzare quel silenzio o di cercare di uscire dalla tinozza senza il permesso della signora Sands. Aveva le dita dei piedi vizze. Una parte della tinozza, quella che dava verso il fuoco, era più calda dell’altra e Ren ci si appoggiò.
La signora Sands osservava il viso di Benjamin. Alla luce del fuoco, con la camicia sbottonata al collo e i capelli all’indietro sembrava più giovane di quello che era. Quando ebbe finito di pelare la patata, Benjamin si piego in avanti e aspirò una boccata di fumo dalla pipa. Il fumo aveva l’odore dello zucchero. Ren inspirò a fondo. Poi vide Benjamin che sollevava un lembo del vestito marrone della signora Sands e le faceva scivolare le dita sul ginocchio. Con l’altra mano Benjamin continuava a fumare la pipa mentre la signora Sands rivolgeva l’attenzione alla patata, continuando a pelarla diligentemente. Un leggero rossore le si diffuse in viso.
Ren appoggiò il mento sul bordo del pentolone. Il fuoco cominciava a spegnersi. I ciocchi si erano consumati al centro, anneriti dal fuoco. I vestiti del ragazzo avevano finito di bruciare. Non ne restavano che alcuni frammenti sotto la grata. Ren li guardò finché non ne poté più, poi trattenne il respiro e si immerse nell’acqua. Era immerso da pochi secondi quando sentì bussare sulla pentola. Sollevò la testa, sbattendo le palpebre. Benjamin teneva ancora la mano sotto la gonna della signora Sands, ma faceva l’occhiolino a Ren e con la testa gli indicava la porta.
– Devo uscire, – disse Ren. La signora Sands lo guardò in modo strano. La donna chiuse gli occhi, e tutt’a un tratto Benjamin riebbe di nuovo tutt’e due le mani, che usò per riprendersi gli stivali.
La signora Sands mise da parte il lavoro e si alzò. Con un solo gesto tirò fuori Ren dalla tinozza e lo posò sul focolare, poi prese a sfregargli il collo con un piccolo asciug...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dedica
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. Epilogo
  9. Ringraziamenti
  10. Indice