Cane giallo
eBook - ePub

Cane giallo

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Quando il «marito da sogno» Xan Meo viene aggredito per vendetta in un pub londinese, insieme al trauma cranico porta a casa disturbi della personalità e un'idea fissa: il sesso. Con l'entusiasmo e la determinazione del neofita, il modello di virtù famigliari diventa un anti-marito e anti-padre.
Veniamo introdotti nei mondi capovolti di Clint Smoker, il giornalista che si firma «Cane Giallo», schiavo del Viagra; Joseph Andrews, il malavitoso che crede di essere un personaggio di Henry Fielding; e Royce Traynor, un cadavere che cerca, persino da morto, di far precipitare l'aereo su cui viaggia la moglie. Nel frattempo, esploriamo le disavventure boccaccesche di una famiglia reale allo sbando: un Enrico IX ricattato perché, sfortuna vuole, la figlia Vittoria è stata filmata in pose compromettenti. «Se nel tuo cuore alberga l'ammirazione per l'estrema bellezza femminile, potrai rifarti gli occhi su mia moglie - la bocca, gli occhi, gli zigomi aerodinamici (e la luce di un'alta intelligenza: andava fierissimo dell'intelligenza di lei). O ancora, se la tua anima si scioglie al vivo ardore di un'infanzia mirabilmente graziosa, sana e ben educata, allora ci invidierai le nostre... E via. E avrebbe potuto continuare: Ma io, d'altronde, sono un marito da sogno: genitore al 50% con la madre, amante tenero e puntuale, sostentatore affidabile, divertente compagno, tuttofare versatile e disponibile, cuoco fine e accurato, nonché talentuoso massaggiatore che, per giunta (e malgrado occasioni il cui attributo più esatto sarebbe "ampie"), non farfalleggia mai... La verità era che lui sapeva cosa significasse essere un cattivo marito, un marito da incubo; che lo aveva provato la prima volta; ed era stata una catastrofe...»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806171087
eBook ISBN
9788858403075
Parte prima

Capitolo primo

1. L’Uomo del Rinascimento.
Ma io vado a Hollywood ma io vado all’ospedale, ma tu sei il primo ma tu sei l’ultimo, ma lui è alto ma lei è bassa, ma tu resti su ma tu vai giú, ma noi siamo ricchi ma noi siamo poveri, ma loro trovano la pace ma loro trovano…
Xan Meo andò a Hollywood. E pochi minuti dopo, a velocità d’urgenza e annunciato da corici ululati d’allarme elettrico, Xan Meo andò all’ospedale. Fu la violenza maschile a fare questo.
– Esco… sí, vado fuori, – disse a Russia, la sua moglie americana.
– Uh, – disse lei, pronunciandolo come dove in francese.
– Starò via poco. Farò loro il bagnetto. E gli leggerò qualcosa. Poi preparerò la cena. E riempirò la lavapiatti. E poi ti farò anche un lungo massaggio sulla schiena. D’accordo?
– Posso venire anch’io? – disse Russia.
– Mah, insomma… preferivo star solo.
– Cioè, preferivi star solo con la tua amante.
Xan sapeva che l’accusa non era seria. Ma adottò un’espressione vilipesa (ispessimento frontale), e rispose – non per la prima volta e per quanto ne sapeva con sincerità: – Non ho segreti per te, piccola.
– … Mmh, – disse lei, e gli porse la guancia.
– Non sai che giorno è oggi?
– Oh. Certo.
La coppia si abbracciò, in un ingresso dal soffitto alto. Ora il marito con una mossa del braccio fece tintinnare le chiavi nella relativa tasca. Suo intento semiconscio era manifestare l’impazienza di uscire. Xan non l’avrebbe ammesso pubblicamente, ma le donne tendono per natura a protrarre i commiati di routine. È il complemento al loro gusto di farsi attendere. Gli uomini non dovrebbero dolersene. Essere costretti ad aspettare è un rimborso moderato per i loro cinque milioni di anni al potere… Ora Xan sospirò piano, mentre la scala sopra di lui cigolava piano. Stava scendendo una figura complessa, fino alla cintola normale ma con due teste e quattro braccia: la figlia piú piccola di Meo, Sophie, incollata al fianco della tata brasiliana, Imaculada. Dietro di loro, a distanza sognante e insieme autosufficiente, si profilava l’altra di quattro anni: Billie.
Russia prese la piccola e le chiese: – È ora di far merenda… desideri uno squisito yogurt?
– No! – disse la bambina.
– Fai il bagnetto con i giochi di gomma?
– No! – rispose la bambina, e sbadigliò: i suoi primi denti inferiori sembravano due chicchi di riso identici.
– Billie. Recita le scimmiette a papi.
– C’erano troppe scimmiette che saltavano sul letto. Una cadde a terra e si ruppe il cervelletto. La visitò il dottore e disse molto schietto: d’ora in poi mai piú scimmie che saltano sul LETTO.
Xan Meo premiò la sua primogenita con il dovuto elogio.
– Quando ritorna, il papi leggerà per te, – disse Russia.
– Le ho già letto prima, – disse lui. Intanto aveva aperto la porta. – Mi ha fatto leggere lo stesso libro cinque volte.
– Che libro?
– Che libro? Cristo. Il libro su quegli stupidi polli che dicono che il cielo crolla. Cocky Locky. Goosey Lucy. E la volpe li ha sistemati tutti, è vero Billie?
– Come le ranocchie, – osservò la bambina alludendo a un’altra fiaba. – E tutta la famiglia morí. La mamma. Il babbo. La tata. E tutti i bambini.
– Vado –. Meo baciò Sophie in fronte (un lieve profumo di circo); lei reagí passandosi un pollice bagnato sulla guancia e mettendolo in bocca. Quindi Meo si chinò per baciare Billie.
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– È l’anniversario di papà, – spiegò Russia. – Dove andrai alla fine, – gli chiese, – per il tuo weekend perduto?
– In quel posto sul canale, una specie di bar. Come si chiama, l’Hollywood?
– Ciao, papi, – lo salutò Billie.
Mentre usciva si volse brevemente a fare il punto – un modo abituale di valutare se stesso, di valutare la propria posizione, dov’era situato. Non era il suo stile (al suo stile ci arriveremo poi), ma avrebbe potuto descriverlo cosí:
Se ami i materiali di qualità, dai una tastata al vello, lí, su quella poltrona di inconsueta profondità (prenditi il tempo che vuoi: sciala pure). Anzi, se ti interessano gli immobili di pregio o in generale il viver bene, potresti avere esperienze peggiori che un giro completo di casa mia. Se invece hai la passione della tecnologia tedesca, prova a sbirciare dentro il mio garage, lí da quella parte. E cosí via. Ma non erano i soldi. Se nel tuo cuore alberga l’ammirazione per l’estrema bellezza femminile, potrai rifarti gli occhi su mia moglie – la bocca, gli occhi, gli zigomi aerodinamici (e la luce di un’alta intelligenza: andava fierissimo dell’intelligenza di lei). O ancora, se la tua anima si scioglie al vivo ardore di un’infanzia mirabilmente graziosa, sana e ben educata, allora ci invidierai le nostre… E via. E avrebbe potuto continuare: Ma io, d’altronde, sono un marito da sogno: genitore al 50% con la madre, amante tenero e puntuale, sostentatore affidabile, divertente compagno, tuttofare versatile e disponibile, cuoco fine e accurato, nonché talentuoso massaggiatore che, per giunta (e malgrado occasioni il cui attributo piú esatto sarebbe «ampie»), non farfalleggia mai… La verità era che lui sapeva cosa significasse essere un cattivo marito, un marito da incubo; che lo aveva provato la prima volta; ed era stata una catastrofe.
Xan Meo camminò per St George’s Avenue e arrivò alla via principale (la città era Londra, nei pressi dello Zoo). Cosí passò davanti all’appartamento con giardino dall’altro lato della strada, che adesso utilizzava raramente. C’erano dei segreti, lí dentro?, si chiese. Forse una vecchia lettera; una vecchia foto; vestigia di donne scomparse… Xan si fermò un attimo. Prendendo a destra si sarebbe diretto verso Primrose Hill, logorata dalle carrozzine… e carrozzinesca a sua volta, vittoriano-edoardiana, inarcata in su con una posa di tiepida indignazione. Il percorso lo avrebbe portato all’Hollywood dall’altra via, quella lunga. Prendendo a sinistra sarebbe arrivato prima e avrebbe potuto rimanere piú a lungo. Insomma, la scelta era fra il giardino e la città. Scelse la città. Andò a sinistra e si diresse verso Camden Town.
Era tardo pomeriggio, e fine ottobre. Quel giorno, quattro anni prima, la sua sentenza provvisoria era diventata assoluta, e lui in piú aveva smesso di fumare e di bere (e anche l’erba, e la coca. Di recente aveva saputo che i magnaccia americani chiamano la coca girl; e l’eroina boy). Meo aveva preso l’abitudine di festeggiare la ricorrenza con due cocktail e quattro sigarette e mezz’ora di fremente rimembranza. Adesso era felice – una condizione delicata: si avvertiva il formicolio delle sue equazioni di stress. Ed era in recupero costante rispetto al suo primo matrimonio. Ma sapeva che il divorzio non l’avrebbe mai superato.
La pista di pattinaggio di Britannia Junction: Parkway, e Camden Lock, e Camden High Street, la nera dozzina di sagome di semafori, il sordido quartiere delle auto. Certe viste era meglio tenerle in disparte: quel mucchietto – no, quella montagnola – di cacca di cane; quella valanga di vomito; quell’ubriaco sul marciapiede con la faccia come il sedere di un babbuino; quel vecchio avventuriero che evidentemente nelle ultime cinque o sei ore si era preso una quantità di botte incredibile – e, altrettanto incredibile, gli occhi annidati tra quei segni di nocche e quelle impronte di scarponi non serbavano rancore, non cercavano un risarcimento…
Xan Meo guardò le donne o piú precisamente le ragazze, le ragazzine. Di regola l’esemplare calzava zeppe alte venti centimetri e pantaloni a zampa tipo tenda pellerossa; la sua pancia esibiva una striscia di mutande biancosporco e un ombelico traumatizzato dalla bijouterie; in una guancia teneva le chiavi dell’auto e nell’altra quelle di casa, un aratro nel naso e un’ancora nel mento; e i capelli spalmati del cerume delle sue orecchie, come per via di qualche condotto interno. Ma a parte questo – cosa? Lo scopo segreto della moda, per strada, l’arlecchinata, la moda nella sua forma anarco-bohémienne, è frenare la lussuria dei piú vecchi di te. Ebbene, ha funzionato, pensò Meo. Non mi sfagiola. Pensò anche alle acchiappamaschi di venticinque anni prima, con calze di seta, giarrettiere, scollature, profumi. Adesso le ragazze stavano dandoci un taglio con tutto quel sistema (e forse non finiva lí, stavano anche indicando il congedo della bellezza fisica a favore dell’egualitarismo). Meo non avrebbe affermato di condannare quello che vedeva, anche se lo sentiva estraneo. E quando notò due adolescenti baciarsi con veemenza – un inimmaginabile reticolato di anelli da labbra e chiodi da lingua – sentí che li approvava. Guarda i giovani baciarsi e passalo al vaglio del tuo cuore: se il cuore lo rifiuta, lo rifugge, allora è l’età, è il tempo – che ti prendono per il culo.
Mentre si accodava alla lunga fila dell’emporio per comprare le sigarette, Meo ricordò la sua penultima infedeltà (naturalmente l’ultima l’aveva commessa con Russia). In una stanza d’albergo di Manchester, aveva spogliato metodicamente una segretaria di produzione ventenne. «Lascia che ti aiuti a levarti quei brutti vestitacci pesanti», le aveva detto. Che era una delle sue battute. Ma la battuta sembrava adeguata: lo sciatto maglione cane-bagnato, i collant di lana, gli scarponi di gomma. Meo era seduto in poltrona quando infine la ragazza si drizzò davanti a lui. C’era il suo corpo, con i familiari cerchi e semicerchi, le divine simmetrie; ma con qualcosa, anche, che lui non aveva mai visto. Si trovava dinanzi a un pube rasato. Inoltre: «E quello che ci fa, lí?», le chiese. Lei rispose: «Mi aiuta a raggiungere l’orgasmo»... Ma non avrebbe aiutato lui, a raggiungere l’orgasmo. Dove tutto avrebbe dovuto essere morbido, qualcos’altro era duro: sembrava di pestare in un mortaio – contro un lingotto d’acciaio. Senza contare il bel livido rivelatore (con sopra nome e numero telefonico di lei) da riportare a casa a una moglie che era comunque, e non a torto, psicopaticamente gelosa (come lo era lui). Insomma, la segretaria di produzione non aveva prodotto niente. Distruzione, una radicale distruzione: ecco che cosa aveva segnalato. Quanto doveva essere chiaro? D’ora in poi mai piú scimmie che saltano sul letto. Faceva l’amore con Russia da quattro anni e mezzo. La passione sopravviveva, ma lui sapeva che si sarebbe affievolita; ed era preparato per questo. Xan Meo era sulla via di capire che, dopo un po’, il matrimonio diventa un rapporto fraterno – costellato da occasionali, e alquanto incresciosi, episodi di incesto.
Veniva l’imbrunire; ma il firmamento era maestosamente luminoso; e le scie degli aerei piú lontani sembravano spermatozoi incandescenti inviati a fecondare l’universo… Sulla strada, Meo si fermava a guardare le ragazze, e naturalmente le ragazze proseguivano senza guardare lui. Aveva raggiunto l’età (quarantasette anni) in cui le donne giovani guardano attraverso di te, al di là di te, guardano attraverso il tuo fantasma: una sventura risaputa, forse, ma senza dubbio una tappa nel tuo commiato, nel tuo viaggio verso il regno dei fantasmi. Sussurri addio, addio – Dio sia con voi (perché io non ci sarò. Non vi potrò proteggere). Eppure il caso di Meo non corrispondeva in pieno al cliché, in quanto lui era un uomo che si nota, e lo sapeva, e nel complesso gradiva di esserlo. Era titolare di un ampio spazio fisico, alto, robusto, compatto: i capelli castano scuro non erano piú folti e ondulati, ma coprivano ancora una bella percentuale del suo capo (la lozione che ne aumentava massa e fissità si chiamava Urban Therapeutic); e i suoi occhi contenevano molti piú balenii di quanto uno non voglia vedere. La faccia aveva un lume – un lume di talento, certo, ma che genere di talento? Nella sua versione piú debole e piú accattivante, la faccia di Meo era quella di un uomo che può mettersi al microfono e dare un’interpretazione sagacemente lasciva di canzonette infantili come Pop Goes the Weasel. Sembrava avere un’aria verosimile: plausibile per lo scopo in oggetto.
E, ancora piú importante, era famoso, quindi in lui c’era un che di fallace e inflazionato, un che di massiccio. Era, peraltro, silenziosamente famoso, come oggi accade a molti: molti sono famosi (e anche Meo ricordava un’epoca in cui non lo era quasi nessuno). La fama si era democratizzata a tal punto che l’oscurità era vissuta come una carenza, o perfino un castigo. E quelli che famosi non erano, si comportavano come se lo fossero. Anzi, in certe atmosfere mentali si poteva anche credere che l’isola su cui viveva Meo ospitasse sessanta milioni di superstar… In realtà lui era un attore, un attore che si era guadagnato un’improvvisa considerazione diversificandosi con accortezza in un altro campo. E il mondo ha un nome per questi individui che sanno fare piú di una cosa alla volta, per questi eroi del multitasking: li chiama Uomini del Rinascimento. Dunque Xan Meo era rischiarato ancora di piú dal silenzioso lume di una silenziosa celebrità. Ogni cinque minuti qualcuno sorrideva verso di lui – perché era convinto di conoscerlo. Lui ricambiava quei sorrisi.
La passeggiata verso l’Hollywood continuò – e resteremo in compagnia della passeggiata di Meo, dato che per qualche tempo sarà l’ultima che farà. Fece capolino oltre lo stipite della porta della libreria in High Street verificando con piacere che il suo tascabile (d’esordio: una raccolta di racconti intitolata Lucozade) era ancora sul tavolo contrassegnato da «Il libraio consiglia». Quindi, girando a destra in Delancey Street, passò davanti al caffè dove un mercoledí sí e uno no l’Uomo del Rinascimento suonava la chitarra ritmica con quattro vecchi hippie battezzatisi gli Original Hard Edge. Tagliò a sinistra per Mornington Terrace – un po’ piú povera, molto meno frequentata: poteva sentire i propri passi, malgrado lo stormire degli alberi sotto cui camminava e il baccano sommerso dei vagoni in basso, oltre il muro alla sua destra. Il tempo era del tipo che tuttora forbitamente si dice tempestoso. Insomma una bestiale turbolenza, a raffiche, un rodeo di vento – la terra che cerca di disarcionare chi le sta in groppa. E per la strada: mobili da giardino, bidoni roteanti, biciclette e (sempre piú) portiere d’auto spalancate nel senso della corrente. Xan era troppo vecchio per la moda, per i tagli e gli stili; ma ora il vento foggiava alternativamente i suoi calzoni a zampa e a tubo.
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Piú avanti vide una figura che gli ricordò, o ricordò al suo corpo, la sua prima moglie – cioè, com’era dieci anni prima. Pearl non avrebbe avuto la sigaretta in bocca e il tabloid sottobraccio, né i suoi abiti sarebbero mai stati cosí corti, cosí attillati, cosí riempiti di donna; ma il portamento aggressivo, o almeno di indubbia sfida, le braccia conserte con fare ribelle, il mento sollevato a dire che ormai tutte le scuse erano state valutate e scartate… Stava ritta, in attesa, nell’ombra di un semigrattacielo bigio. Dietro di lei indugiava un infante maschio, agitando un bastone tra le viscere denudate di un sacco di plastica nera. Quando Meo si voltò per attraversare i binari la sentí che diceva:
– Harrison! E muovi il culo, cazzo!
Sí, molto deplorevole; ma al riparo della schiena girata, Meo non si negò un sussulto di riso. Lui era un bravo uomo moderno: era progressista, femminista (anzi, ginocrate: «Lasciamo fare alle ragazze, – diceva. – Lo so che è chiedere troppo. Ma noi, non ci azzecchiamo. Lasciamo fare a loro»). Tuttavia gli scappava ancora da ridere. In fondo, la donna aveva espresso chiaramente il suo messaggio; e non si poteva dire che avesse edulcorato i termini. No: Pearl lo avrebbe detto diversamente… Ora vedeva l’edificio, con le sue variegate luci natalizie, l’insegna girevole da barbiere. Ogni tanto un aeroplano in discesa emetteva una nota ammonitrice; e uno l’emise, su in alto – una nota d’organo, a segnalare il proprio destino.
Meo si fermò e pensò: di nuovo quella sensazione. E inspirò l’essenziale erroneità dell’aria, con il suo retrogusto incasinato, come se tutti i sequitur ne fossero stati risucchiati con l’aspirapolvere. Un mondogiallo di fede e paura, e di meschina ingegnosità. E tutti noi cosí, in volo alla cieca. Poi avanzò.
Xan Meo andò a Hollywood.
– Buonasera.
– Tutto bene? – disse il barman, come sondando le facoltà mentali di uno che salutava ancora in quel modo: buonasera.
– Sí, socio, – rispose Meo, a suo agio. – E lei? – Era questo che lo caratterizzava: era grosso, era calmo, e si sentiva a suo agio. – Dove sono tutti?
– Football. L’Inghilterra. Arriveranno in massa verso le otto.
Meo, che a quell’ora non sarebbe stato lí, osservò: – Dovrebbe mettere quelle tivú, cosa sono?, al plasma. Cosí potrebbero guardare la partita qui dentro.
– Ma noi non vogliamo mica che la guardino qui dentro. Se la po...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dedica
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. Indice