Bravo, burro!
  1. 136 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

«È un libro per ragazzi. Ma nel modo piú schietto e genuino conserva il tocco delizioso e inconfondibile di John Fante, quel misto di travolgente vitalità e di note patetiche che ne è cosí caratteristico».
Dall'introduzione di Francesco Durante Ecco finalmente, in prima edizione italiana, «il libro meno conosciuto di John Fante». È la storia, allegra e toccante, di un bambino e del suo asinello coraggioso. E di una formidabile alleanza che permetterà di ricondurre al suo recinto un meraviglioso toro da combattimento e redimere un padre alla deriva. Ambientata in un Messico da favola, bonario e festevole, trafelato e pittoresco e, in fondo, anche un po' «italiano», in origine avrebbe dovuto servire da base per un episodio di It's All True, il grande progetto cinematografico interrotto di Orson Welles, e fu scritta da Fante in collaborazione con lo sceneggiatore Rudolph Borchert e arricchita dalle bellissime illustrazioni di Marilyn Hirsh. Un Fante «diverso», in apparenza. In realtà, un testo che piú fantiano sarebbe difficile immaginare: centrato, come nella saga di Bandini, sul difficile rapporto tra padre e figlio, e di pieno umorismo, di commovente umanità.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806203276
eBook ISBN
9788858404171

Capitolo decimo

La fede muove le montagne

Il medico finí di bendare la ferita di Carlos. Il giovane era pallido ma sorrideva, confortato dalla presenza di Linda Hernández, che stava al suo capezzale e gli teneva una mano. C’erano pure don Francisco ed Hermano, intenti entrambi a seguire i movimenti del dottore che completava il suo lavoro.
– Vivrai, – sorrise il medico, – ma sei un giovane davvero fortunato. Un paio di centimetri piú su, e quell’incornata ti avrebbe squarciato le budella.
– Grazie a Dio, – sospirò don Francisco.
– Lo ringrazierei anche di piú se avessimo riportato a casa Montaña Negra, – mormorò Carlos.
– Dimenticati di quella bestia! – disse Linda, con un lampo negli occhi.
– Non rischierò altre vite per quel toro, – annunciò don Francisco.
– Quando gli uomini si saranno riposati, li manderemo a costruire un recinto intorno a Montaña Negra.
Linda gli lanciò un’occhiata impaziente. In quel momento il destino del toro era di ben minore importanza.
Il dottore richiuse la sua borsa e si dispose a visitare gli altri cavalieri feriti. Raccomandò a Carlos di riposarsi e di stare tranquillo, poi uscí dalla camera da letto precedendo gli altri.
Linda fu l’ultima a uscire. Come ebbe chiusa la porta e fu nell’atrio, sul suo volto si dipinse un’ansia profonda.
– Non dovete preoccuparvi, – la rassicurò don Francisco. – È un giovanotto pieno di salute, si riprenderà presto.
– Non rivolgetemi la parola! – sbottò lei, – la colpa è vostra! Siete voi che avete voluto che rischiasse la vita per salvare il toro! – Poi si girò verso Hermano: – Tutto quello a cui voi vecchi sapete pensare è questo animale brutale che genererà altri bruti i quali menomeranno e uccideranno altri giovani nell’arena! Vivete soltanto per questa stupida, barbarica tradizione che viene da un passato morto e sepolto! E pretendete di essere gentiluomini educati!
Scappò giú per le scale lasciandoli senza parole.
Dovunque, nella hacienda, si parlava di una sola cosa: quel toro favoloso. Ogni uomo aveva una sua idea su come riportarlo indietro. Intorno al pozzo del villaggio, Manuel andava di capannello in capannello ad ascoltare affascinato le parole dei piú anziani.
– Una volta, nella plaza di Durango, – ricordava un contadino, – ho visto Jaime Sierra ridurre un toro a un tale esaurimento da riuscire a portarlo in giro per l’arena tenendolo per la punta di un corno. Un uomo, da solo. Eppure tutti noi insieme non riusciamo a smuovere Montaña Negra.
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– L’arena è una cosa, ma l’estremità settentrionale della gola del rio Sucre è tutt’altro, – replicò un interlocutore. – È il diavolo in persona ad aver reso cosí desolata quella zona.
Manuel passò a un altro gruppetto, donne stavolta, intente a fare chiacchiere parlando in toni pessimistici del loro fato comune. Udí la sua vicina, la señora Valdez, che diceva: – Tutti noialtri dobbiamo pagare per quello che ha fatto un solo uomo, quella specie di pazzo buono a nulla e ubriacone!
Manuel ebbe un brivido, e cercò di filarsela.
– Sta’ attenta, – disse un’altra donna dando di gomito alla señora Valdez, – il ragazzo ti sta ascoltando.
La señora Valdez non ci fece caso. Alzò la voce e gridò: – Perché mai Manuel non dovrebbe conoscere la vera natura di suo padre? Juan Cabriz è un fannullone buono a nulla –. Si rivolse al ragazzo e agitando un dito davanti a lui disse: – A me non me ne importa nulla! Tuo padre è un piantagrane, ed è responsabile della distruzione di tutti noi!
Il mento di Manuel ebbe un tremito, mentre il ragazzo si sforzava di trattenere le lacrime. Riuscí comunque a guardare con fierezza la señora Valdez perché sapesse che, qualsiasi cosa fosse accaduta, lui era il figlio di suo padre, e gli sarebbe rimasto leale a dispetto di tutto.
Padre Alberto, il francescano, si accostò al gruppo delle donne. – Che succede qui? – domandò.
– Si stava parlando del toro, padre.
– Tutti parlano del toro, – disse lui. – Ma io mi domando se non faremmo meglio a indirizzare le nostre parole a Colui che piú di tutti può aiutarci. Stasera celebrerò una messa speciale per il ritorno di Montaña Negra. Cercate di venire, e portate con voi i vostri mariti. Possiamo affidarci a Dio soltanto per fare il nostro lavoro, e dobbiamo darci un aiuto. Ma dobbiamo anche aver fede, perché la fede muove le montagne.
Impartí loro la benedizione e si allontanò, mentre Manuel rimaneva a guardarlo pieno di meraviglia, ripensando a quel che aveva detto. Svelto, raggiunse il frate.
– Padre, che cos’è la fede?
– La fede? Perché me lo chiedi?
– Voglio saperlo.
– La fede è molte cose. È l’affidarsi a Dio, o la fiducia in un nostro simile, o il fidarsi ciascuno dell’altro. Credere nell’impossibile: questo è la fede.
– Gli animali ce l’hanno?
– Piú degli uomini, a volte, – sorrise il frate.
– E la fede può muovere le montagne?
– Io credo di sí.
– E una montagna come Montaña Negra?
Il frate ne fu sorpreso.
– Sí, perfino Montaña Negra.
Gli occhi di Manuel erano spalancati, e pieni d’eccitazione.
– Grazie, padre!
Si voltò e corse giú per la strada verso casa.
In un lampo mise insieme le provviste per il viaggio: un po’ di fagioli, un sacchetto di grano, una bottiglia d’acqua. Avvolse il tutto in una coperta e la assicurò alla groppa di El Valiente. E non si dimenticò la robusta corda che stava appesa alla porta di dietro. Saltò in groppa al burro e lo fece trottare fino alla strada e al deposito, dove suo padre stava imprigionato.
Juan Cabriz stava dormendo disteso su un pagliericcio quando Manuel lo svegliò chiamandolo. Assonnato, si accostò alla finestra sbarrata.
– Che mi hai portato, ragazzo? – chiese.
– Da mangiare, padre. Qualche dolcetto di grano.
Juan fece una faccia delusa. – Cibo. Ne ho abbastanza, – ma accettò i dolci avvolti in una pezza che Manuel gli passò attraverso le sbarre. Il ragazzo era impaziente di partire.
– Che fretta hai?
– Vado sulle colline.
– Bravo, abbandonami come tutti gli altri.
– Vado a cercare Montaña Negra.
Juan non poteva crederci.
– Ma sei pazzo?
– Ho fede, vado a prenderlo.
– Fede? E che c’entra? Il toro ti ammazzerà!
– La fede muove le montagne. Io ho fede, e ho El Valiente.
– Ma che pazzia è questa? Con chi hai parlato?
– Con il frate.
– E lui che ne sa dei tori?
Scosse le sbarre coi suoi polsi robusti. – Pensi che non abbia abbastanza guai anche senza questa follia? Va’ a casa e mettiti a letto! Te lo ordina tuo padre!
Cercò di acchiappare Manuel con un affondo improvviso delle dita, ma il ragazzo indietreggiò e si mise fuori dalla sua portata.
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– Ora devo andare, padre.
Le braccia di Juan si sporsero quasi implorandolo dalle sbarre.
– Ascolta, figlio mio. Non essere precipitoso. Tra un giorno o due sarò libero, e questa cosa la facciamo insieme… padre e figlio. Lo conosco quel vecchio toro. Ti aiuterò!
– Non c’è tempo. Vado adesso.
Juan si lasciò sfuggire un’imprecazione.
– Piccolo pazzo! Ma che ne sai tu? Pensi di poter portare Montaña Negra in giro come una capra? Fa’ quel che ti dico, vattene a casa!
Manuel montò sul suo burro.
– Addio, padre.
El Valiente incominciò una specie di galoppo, e i due piantarono in asso Juan che lí, alla finestra, continuava a gridare: – Torna indietro! Torna indietro!
Era mezzanotte passata quando Manuel arrivò da Montaña Negra. Il toro possente era al riparo nella piccola grotta vicino a dove s’era tenuta la battaglia con i charros: era un’enorme massa nera e il chiaro di luna gli faceva luccicare le corna bianche. Inquieto per la presenza di estranei, il toro si mosse e girò la testa verso Manuel, che stava piú in alto al di sopra di lui.
Manuel trattenne il respiro e fece un passo indietro, in soggezione. Come pareva terribile quel toro sotto l’ampio cielo e senza nemmeno una staccionata in mezzo! Ma come pareva bello, anche!
– Guarda, – mormorò Manuel, accarezzando il collo di El Valiente. – È per davvero una montagna nera.
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Condusse il burro giú per la collina, allontanandosi dal toro, fino a un piccolo spiazzo erboso. Affamato, El Valiente si diede subito a brucare i germogli.
– Buono, asinello. Mangia. Riposati. Ne abbiamo da fare quando torna il sole –. Stappò la bottiglia piena d’acqua e ne versò un po’ nel sombrero per il burro. Poi con cautela ritornò in cima al poggio per dare un’altra occhiata al toro. Sgomento davanti all’insuperabile impresa che gli stava di fronte, cadde in ginocchio e levò gli occhi alle stelle.
– Benedetta Vergine Maria, – pregò. – So quanto devi amare i burros, perché fu uno di loro che portò te e il Bambino a Betlemme. Per favore, aiutaci, me, ed El Valiente. Proteggilo da ogni male. Cosí tanto dipende da lui.
Manuel si svegliò all’improvviso. Era giorno. El Valiente stava pascolando nei pressi. Schizzando in cima al poggio, il ragazzo diede un’altra occhiata al toro, che girellava a qualche distanza dal punto in cui si trovava la notte prima. Si portava ancora appresso la sella attaccata a un capo della corda arrotolata intorno al collo. Bene, pensò Manuel, dato che un altro po’ di corda sarebbe stato utile.
Tornò da El Valiente e gli assicurò la corda al collo. Poi, districando la corda, fece un grosso lazo e portò il burro in cima al poggio. Vedendo Montaña al di sotto, El Valiente si bloccò impaurito, con l’orecchio buono ben teso e le narici che gli tremavano mentre il vento gli portava l’odore del toro.
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Con le parole giuste, Manuel lo persuase ad avviarsi giú per la collina, lentamente, cautamente. Montaña stava a guardarli, le corna abbassate, tutto il peso spostato in avanti. Nei suoi occhi cupi si disegnò un’espressione di perplessità.
A poco a poco, Manuel sbrogliò la sua lunga corda, consentendo a El Valiente di restare indietro mentre lui si avvicinava fino a una distanza di venti passi dal toro. Con l’ampio lazo stretto nelle mani, Manuel avanzò. La paura gli dilatava ogni poro, poteva sentire il sudore pizzicargli gli occhi.
Senza preavviso, la Montagna si decise a caricare. Per un momento Manuel si sentí gelare. Ma come il toro incominciò ad abbattersi verso di lui, Manuel lanciò il lazo verso le corna abbassate e poi scappò per mettersi in salvo. Il toro si girò per inseguirlo, Manuel inciampò sul terreno accidentato e si mise a rotolare come una palla mentre le corna del toro andavano in cerca del loro bersaglio. Di colpo, però, le corna cambiarono direzione, violentemente strattonate dalla corda. All’altro capo, ecco infatti El Valiente che aveva piantato i piedi e che ora veniva trascinato da parte. Il burro cadde a sua volta e il toro ricominciò a inseguire Manuel, ma ancora una volta la sua carica venne interrotta dal burro, ancorato all’altro capo della corda, quindi di nuovo trascinato nel terreno come un animale impagliato.
Montaña si voltò a guardare pieno di disprezzo il burro al quale era legato. El Valiente, per istinto, cercava di tirarsi indietro, tirando la corda con tutta la forza che aveva nelle zampe. Il toro, da parte sua, non era meno confuso che infastidito. Dovendosi confrontare con un animale che di norma aveva sempre ignorato, quell’insistente pressione della corda l’aveva irritato. Abbassando la testa e sbuffando, si preparò a caricarlo.
Nel frattempo, Manuel si muoveva di nascosto dietro il toro, in direzione della corda alla cui estremità c’era la sella. Allorché Montaña ripartí verso il burro, Manuel si tuffò sulla sella. Ragazzo e sella furono trascinati sulla terra nuda mentre il toro caricava. Manuel sentí che la sella gli si rompeva tra le mani dopo aver urtato una pietra e schizzò in alto per una decina di piedi. Quando si rialzò dalla nube di polvere, vide El Valiente che agilmente riusciva a evitare l’impeto del toro.
L’unico desiderio del burro era quello di mettere una certa distanza tra sé e il toro. La corda che li separava, però, non si allentava mai. A ogni carica El Valiente, spiritato dal terrore, faceva un balzo e tornava a tendere la corda. Il toro caricava, il burro correva. Quel dramma mortale continuò a ripetersi molte volte nel pianoro arroventato, con Manuel che osservava in preda alla meraviglia e alla paura, cacciando urla di incitamento e di avvertimento all’indirizzo del suo burro terrorizzato.
A un certo punto Montaña Negra fu stufo di tutto quel trambusto e ricominciò a brucare l’erba sparuta. El Valiente opponeva resistenza, non voleva essere spinto ancora, tutto il suo peso era sostenuto dalle robuste zampe posteriori e i suoi zoccoli aguzzi scavavano solchi nel terreno. Continuò a essere rovesciato e trascinato, a ruzzolare e a rimettersi in piedi per riprendere quel tiro alla fune.
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Il toro si arrabbiò. Attaccò il burro con cattiveria, deciso a finirlo, e lo buttò a terra, trascinandolo poi nella polvere e tra le pietre. Manuel gridava e agitava il cappello. Prese a tirare sassi al toro, a corrergli di lato agitando le braccia e urlando nel tentativo di distrarlo per dar modo a El Valiente di riguadagnare il proprio assetto. Ragliando all’impazzata, le zampe posteriori che parevano volare, il burro riprese la sua corsa e riuscí nuovamente a tendere la corda. Ma Montaña finalmente l’aveva colpito, e un lungo taglio scarlatto incominciò a colorargli la pelle impastata di polvere e sudore.
Vedendo il ragazzo avvicinarsi al burro, Montaña decise ancora una volta di non sprecare le proprie forze contro due antagonisti cosí assurdi, un ragazzo e un burro. E poi faceva troppo caldo per mettersi a rincorrerli, ed era stanco. Lí vicino c’era un po’ d’ombra, e dell’erba. Avrebbe semplicemente ignorato quel burro da quattro soldi e quel pestifero ragazzino. Fu cosí che tornò a occuparsi dell’erba.
Il ventre di El Valiente si sollevava e si contraeva mentre Manuel, strappata una manica della camicia, gli tamponava il sangue che usciva dalla ferita. – Non ce l’ha fatta a farti fuori, – mormorava per incoraggiarlo, – sei troppo intelligente per lui.
Il toro s’era spostato a brucare un cespo d’erba, e la corda s’era tesa. Manuel con il suo burro diede uno strattone, e insieme vennero trascinati di nuovo in mezzo al pianoro, lentamente ma senza sosta, per quanto il ragazzo e il burro cercassero di contendergli ogni centimetro, mentre il toro andava in cerca di erba.
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Quando Montaña si mosse ancora, masticando l’erba tenera, Manuel cadde a terra esausto. Guardò in alto, verso il piccolo burro infaticabile che continuava a resistere alla corda, e fu sopraffatto dall’ammirazione.
– Bravo, burro, – sussurrò.
Andò avanti cosí per tutta quella giornata bollente, col toro che di tanto in tanto se ne andava a pascolare,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Tutto vero (o quasi)
  5. Bravo, burro!
  6. Capitolo primo
  7. Capitolo secondo
  8. Capitolo terzo
  9. Capitolo quarto
  10. Capitolo quinto
  11. Capitolo sesto
  12. Capitolo settimo
  13. Capitolo ottavo
  14. Capitolo nono
  15. Capitolo decimo
  16. Capitolo undicesimo
  17. Indice