Notte di Natale
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Notte di Natale

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Notte di Natale

Informazioni su questo libro

È vero, nella notte di Natale possono accadere dei miracoli. Ma ci si può anche perdere tra i ghiacci delle montagne. Si può morire di fame e di freddo. Si possono percepire strane presenze.
Si può gioire per un regalo inaspettato.
Hoffmann, Andersen, Stifter, Gogol¿, Gaskell, Dickens, Dostoevskij, Maupassant, Van Dyke, Anstey, Le Braz, Hume, âechov, O. Henry, Yeats: un caleidoscopio di letture per aspettare insieme a quindici grandi autori l'arrivo della notte di Natale.
Voci diverse, atmosfere di sogno e di mistero, temi delicati e amari al tempo stesso: le storie qui raccolte ci raccontano miracoli, apparizioni di fantasmi, solitudini e improvvisi stupori.
Ma tutte ci parlano di speranza e di magia.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806205270
eBook ISBN
9788858403921

NIKOLAJ GOGOL’
La notte prima di Natale

La giornata della vigilia di Natale era finita: la notte era ormai calata, una limpida notte d’inverno. Le stelle scintillavano; la luna s’era levata maestosa nel cielo per illuminare gli uomini di buona volontà e tutto il mondo, affinché tutti potessero cantare allegramente le canzoni di Natale1 e glorificare il Cristo. Faceva piú freddo che al mattino; ma in compenso c’era una tale pace, che lo scalpiccio degli stivali sul ghiaccio si sentiva a mezzo chilometro di distanza. Nessun gruppo di giovanotti era ancora apparso sotto le finestre delle capanne; soltanto la luna vi sbirciava dentro furtiva, quasi per invitare le ragazze che si stavano agghindando, ad affrettarsi a correre fuori sulla neve scricchiolante. In quel momento il fumo uscí turbinando dal camino d’una capanna formando una nube nel cielo, e assieme al fumo si sollevò a volo una strega a cavalcioni d’una scopa.
Se in quel momento l’assessore di Soročinec si fosse trovato a passare con la sua slitta a tre cavalli, con il berretto alla moda degli ulani, orlato d’agnellino nero, con il pastrano di panno turchino imbottito d’agnello nero e con lo scudiscio, con cui suole incitare il suo cocchiere, attorcigliato in maniera diabolica avrebbe senza fallo notato la strega, perché nessuna strega al mondo potrebbe sfuggire all’occhio attento dell’assessore di Soročinec. Egli sa per filo e per segno quanti porcellini ha dato alla luce la scrofa di ogni contadina, e quanta tela essa tiene nella cassapanca, e quali capi di vestiario e quali merci Tizio o Caio daranno in pegno all’oste per le loro sbornie domenicali. Ma l’assessore di Soročinec non c’era, e del resto non c’era motivo ch’egli s’interessasse di paesi non compresi nella sua giurisdizione. Intanto la strega s’era sollevata a una tale altezza, che la si distingueva appena come una macchiolina nera, lassú. Ma dovunque quella macchiolina apparisse, le stelle scomparivano in cielo una dopo l’altra. Ben presto la strega ne ebbe una manica piena, e solo tre o quattro stelle scintillavano ancora. Improvvisamente, dalla direzione opposta, comparve un’altra macchiolina che andò ingrandendosi e ingrossandosi sino a diventare tutt’altra cosa. Un miope, se anche avesse inforcato sul naso a mo’ di occhiali le ruote del calesse dell’assessore non avrebbe capito di che si trattava. Visto di fronte, aveva tutto l’aspetto d’un tedesco2: il musetto allungato in continuo movimento, che annusava tutto quel che gli veniva a tiro e terminava in un grugno tondo come quello dei nostri maiali; le gambe poi erano cosí sottili, che se il sindaco di Jareskov ne avesse avute di simili se le sarebbe spezzate alla prima danza cosacca. In compenso, visto di dietro pareva un avvocato erariale in uniforme, perché portava penzoloni una coda cosí aguzza e lunga come le code di rondine delle uniformi di oggi. Soltanto dalla barbetta caprina sotto il grugno, dalle corna piccoline prominenti sulla testa e dal fatto ch’era nero come uno spazzacamino si poteva arguire che non era un tedesco né un avvocato erariale, ma semplicemente un demonio cui era rimasta quell’unica notte per andarsene a zonzo per il bel mondo e indurre al peccato la buona gente. Il giorno seguente poi, ai primi scampanii per il mattutino, sarebbe scappato via senza voltarsi indietro, con la coda fra le gambe, in direzione della sua tana.
Frattanto il diavolo si stava accostando furtivamente alla luna, e aveva già steso la mano per afferrarla; ma di colpo la ritirò come se si fosse scottato e si mise le dita in bocca, springò un calcio e corse dall’altra parte, fece un altro salto indietro e ritirò la mano. Tuttavia, malgrado questi tentativi falliti, l’astuto demonio non smise le sue monellerie. Prese la rincorsa e, afferrata di botto la luna, contorcendosi e sbuffando, la palleggiò da una mano all’altra, come fa un contadino quando prende una brace per accendere la pipa; infine se la ripose frettolosamente in tasca e, come se non c’entrasse per nulla, continuò la sua strada.
A Dikanka nessuno aveva udito come il diavolo avesse rubato la luna. Per la verità, il segretario comunale nell’uscire a quattro zampe dall’osteria vide che tutt’a un tratto la luna s’era messa a ballare in cielo, e lo giurava e lo spergiurava a tutti quanti; ma i paesani scuotevano la testa e si prendevano persino gioco di lui. Ma quale era stato il motivo che aveva spinto il demonio a compiere un’azione cosí sconveniente? Il motivo era questo: il diavolo sapeva che Čub, un cosacco agiato, era stato invitato dal sagrestano a mangiare il budino3, e insieme con lui erano stati invitati anche lo starosta, un parente del sagrestano (vestito d’un pastrano azzurro, che veniva dalla cantoria dell’arciprete, dove cantava come basso profondo), nonché il cosacco Sverbyguz e qualche altro. Oltre al budino ci sarebbe stata della vodka cotta con spezie, vodka allo zafferano e molte pietanze. Ma, durante l’assenza di Čub sua figlia, ch’era la piú bella ragazza del paese, sarebbe rimasta a casa e certamente il fabbro sarebbe andato a trovarla. Questo fabbro era un giovanottone robusto, che al diavolo era piú antipatico dei sermoni di padre Kondrat. Nelle ore che il suo mestiere gli lasciava libere, il fabbro si dilettava di pittura e godeva fama d’essere il miglior pittore dei dintorni. Persino il sotnik4 L...ko, che a quel tempo godeva ancora buona salute, lo aveva invitato appositamente a Poltava per dipingere l’assito della staccionata vicino a casa sua. Tutte le scodelle usate dai cosacchi di Dikanka per mangiare la zuppa di barbabietole, erano dipinte dal fabbro. Questi era un giovane timorato di Dio e dipingeva spesso immagini di santi, e anche oggi si può vedere nella chiesa di T... un evangelista Luca dipinto da lui. Il suo capolavoro però era un quadro dipinto sulla parete della chiesa, nel portico a destra, dove egli aveva raffigurato san Pietro nel giorno del giudizio universale, con le chiavi in mano, che scacciava dall’inferno lo spirito maligno: il demonio atterrito si dimenava come un ossesso, presago della propria fine, mentre i peccatori prima rinchiusi lo percotevano e lo rincorrevano agitando fruste e randelli e tutto ciò che capitava loro sotto mano. Per tutto il tempo che il pittore lavorò a quel quadro, eseguito su una grande tavola di legno, il demonio cercò con ogni mezzo di disturbarlo, urtandogli di soppiatto la mano, sollevando la cenere della forgia e spargendola sul dipinto; nonostante questi dispetti però l’opera venne condotta a termine, e la tavola fu appesa in chiesa alla parete del portico, ma il diavolo giurò di vendicarsi del fabbro.
Gli era rimasta soltanto quella notte per vagabondare intorno al mondo; ma anche in quella notte egli cercava qualche mezzo per sfogare la sua acrimonia contro il fabbro. A tale scopo aveva deciso di rubare la luna, poiché egli sapeva che il vecchio Čub era individuo pigro e di abitudini casalinghe, mentre dalla sua isba a quella del sagrestano c’era un bel pezzo di strada tortuosa, che per giunta correndo dietro al paese, rasente ai mulini e al cimitero, aggirava il burrone. La vodka cotta e la grappa allo zafferano potevano ancora allettare Čub in una notte di luna, ma in una notte buia, difficilmente qualcuno sarebbe riuscito a farlo scendere dalla sua stufa e uscire di casa. Cosí, se Čub rimaneva in casa, il fabbro (che da tempo era in poco buone relazioni con lui) nonostante la sua grande forza fisica, non si sarebbe azzardato a far visita alla figlia.
Perciò, appena il demonio si ficcò la sua luna in tasca, tutto il mondo fu invaso da tali tenebre, che pochi sarebbero riusciti a infilare non dico la strada per andare a casa del sagrestano, ma nemmeno quella dell’osteria. La strega, vistasi tutt’a un tratto al buio, cacciò uno strillo; allora il diavolo, le si accostò pian pianino, la prese sottobraccio e cominciò a bisbigliarle all’orecchio le solite frasi ch’è consuetudine bisbigliare a tutto il sesso femminile. Però, com’è organizzato in modo buffo questo nostro mondo! Tutti coloro che ci vivono non fanno che sforzarsi di scimmiottarsi e imitarsi a vicenda. Valga un esempio: una volta a Mirgorod soltanto il giudice e il sindaco portavano pellicce foderate di panno, mentre tutti i funzionari di minor conto indossavano pellicce semplici, non foderate di stoffa. Ora invece tanto l’assessore che il pretore si sono fatti delle pellicce d’agnellino nero, foderate di panno. L’archivista e lo scrivano del comune due anni fa si sono comperati del nanchino azzurro da sessanta copeche il braccio; il sagrestano si fece fare per l’estate scorsa un paio di pantaloni di nanchino e un panciotto di cotone a righe. Insomma, tutti vogliono darsi delle arie! Quand’è che costoro la smetteranno di fare tante storie? Si può scommettere che a molti parrà sorprendente il fatto di vedere che anche il demonio si lascia trascinare per questa china. Ma quello che piú indispone è ch’egli probabilmente si crede bello, mentre il solo vederlo provoca un senso di ribrezzo. Come dice Foma Grigor’evič, egli ha un ceffo mostruoso e abominevole; ma tant’è: anche a lui piace fare il galante. Frattanto sia in cielo sia in terra l’oscurità era diventata cosí profonda, che non fu piú possibile vedere nulla di quello che accadde poi fra il diavolo e la strega.
– Allora, compare, tu non sei ancora stato nella nuova casa del sagrestano? – diceva il cosacco Čub mentre usciva dalla sua casa, rivolto a un contadino lungo e magro, che indossava un pellicciotto corto e aveva la barba cosí lunga ch’era evidente come già da oltre due settimane non fosse stata toccata dal consueto pezzo di falce rotta con cui i contadini sono soliti farsi la barba, in mancanza di rasoio. – Laggiú ora ci sarà una bella bevuta! – continuò Čub, con un largo sorriso. – Purché non arriviamo tardi!
Cosí dicendo Čub si aggiustò la cintura che gli teneva il pellicciotto stretto alla vita, si ficcò piú saldamente il berretto in testa, strinse nel pugno lo scudiscio, terrore e spauracchio per i cani molesti; ma data un’occhiata al cielo si fermò...
– Ma che diavolo! Guarda, guarda, Panas!...
– Cosa? – disse il compare, e guardò anche lui in aria.
– Come, cosa? Non c’è la luna.
– Accidenti! È proprio vero: la luna non c’è.
– Precisamente! – esclamò Čub con una certa stizza per l’inalterabile indifferenza del compare. – Si vede che poco te ne importa.
– Che vuoi che ci faccia?
– Occorreva proprio, – seguitò Čub, forbendosi i baffi con la manica, – che ci mettesse lo zampino qualche demonio, che quel cane maledetto possa restare senza acquavite al mattino!... Davvero, sembra fatto per dispetto... Nemmeno a farlo apposta, ero in casa e guardavo dalla finestra: era una notte meravigliosa! C’era una bella luna, e la neve scintillava a quel chiarore: ci si vedeva come di giorno. Non faccio nemmeno in tempo a uscire di casa, che non ci si vede piú un accidenti!
Čub borbottò e imprecò ancora a lungo, e intanto rifletteva sul da farsi. Aveva una gran voglia di chiacchierare di questo e di quello in casa del sagrestano, dove certamente s’erano già riuniti lo starosta, il basso venuto di fuori e Mikita, il mercante di catrame, che ogni due settimane si recava al mercato di Poltava e raccontava certe storielle che tutti i paesani si tenevano la pancia dal gran ridere. Čub già vedeva con il pensiero la vodka cotta servita in tavola. Tutto ciò era davvero allettante; ma l’oscurità della notte lo induceva a quella pigrizia ch’è cosí cara a tutti i cosacchi. Come sarebbe stato bello stendersi ora sul suo giaciglio, fumando in pace la pipa e ascoltando semiassopito i canti di Natale e le canzoni degli allegri giovanotti e ragazze assiepate sotto le finestre! Egli sarebbe certo rimasto a casa se fosse stato solo; ma camminare in due nella notte buia sarebbe stato meno pauroso e noioso, e poi gli seccava di passare per pigro o vile di fronte all’altro. Smise perciò d’imprecare e si rivolse ancora verso il compare:
– Dunque, compare, la luna non c’è?
– No.
– È una cosa davvero stupefacente. Dammi un pizzico di tabacco! Il tuo tabacco, compare, è proprio eccellente! Dove lo pigli?
– Eccellente un corno! – ribatté il compare, chiudendo la tabacchiera di betulla intarsiata. – Non farebbe starnutire nemmeno una vecchia gallina!
– Ricordo, – continuò Čub sempre con lo stesso tono, – che il defunto oste Zuzulja mi portò una volta del tabacco da Niežin. Ah, che tabacco! Quello sí ch’era buono! Allora, compare, che facciamo? Fuori c’è scuro.
– E allora magari restiamocene a casa, – disse il compare, afferrando la maniglia dell’uscio.
Se il compare non avesse tenuto un simile discorso, Čub con tutta probabilità si sarebbe deciso a rimanere; ma ora sembrava che qualcosa lo spingesse a contraddire.
– No, compare, andiamo! Non è possibile farne a meno; bisogna che andiamo!
Aveva appena detto queste parole, che già era irritato contro se stesso per averle pronunciate. Non gli garbava affatto di andare in giro in una notte cosí buia; ma si consolava al pensiero di essere stato lui a volerlo, e di non aver fatto come gli era stato consigliato.
Il compare, senza mostrare il minimo segno di dispetto, come se per lui fosse stato perfettamente indifferente rimanere a casa o uscire, si guardò intorno grattandosi le spalle col manico del suo bastone, e i due si misero in cammino.
Vediamo ora quel che stava facendo la bella figlia, rimasta sola in casa. Oksana non aveva ancora diciassette anni, che già quasi nel mondo intero – al di qua e al di là di Dikanka – non facevano che parlare di lei. I giovani affermavano in coro che non c’era mai stata e non ci sarebbe mai stata nel villaggio una ragazza piú bella. Oksana sapeva e sentiva tutto ciò che si diceva di lei, ed era capricciosa come lo è ogni bella ragazza. Se, invece del suo bel costume ucraino, avesse indossato un pastrano qualunque, avrebbe eclissato ugualmente le piú belle ragazze del paese. I giovanotti le correvano dietro in folla; ma poi avevano finito per perdere la pazienza e un po’ alla volta avevano smesso di corteggiarla, per rivolgere le loro attenzioni ad altre ragazze meno viziate di lei. Soltanto il fabbro era ostinato, e non abbandonava il suo corteggiamento, sebbene per lui le cose non andassero affatto meglio che per gli altri.
Uscito il genitore, la ragazza si agghindò e s’acconciò ancora a lungo davanti a un piccolo specchio dalla cornice di stagno, e non si stancava d’ammirarsi.
– Ma cosa gli frulla per il capo a questa gente, di dire che sono bella? – mormorava con aria distratta, al solo scopo di ciarlare un pochino fra sé e sé. – La gente non dice la verità; non sono affatto bella –. Ma il suo viso fresco e vivace, fiorente di giovinezza, che si rifletteva nello specchio con quegli occhi neri e quel sorriso dalla ineffabile grazia, che incendiava l’anima di chi la guardava, affermava subito il contrario. – Forse che le mie sopracciglia nere e i miei occhi, – continuava la fanciulla, sempre reggendo lo specchio, – sono cosí belli che in tutto il mondo non ce ne sono di simili? Cosa c’è di bello in questo naso all’insú? e nelle guance? e nelle labbra? Sarebbero belle queste mie trecce nere? Uh! Di sera possono metter paura: sembrano lunghi serpenti che mi si avvinghiano e attorcigliano alla testa. Mi avvedo proprio di non essere affatto bella! – e poi, allontanato un po’ lo specchio, esclamò: – No, sono bella, e come! Sono uno splendore! Quanta felicità porterò a chi mi sposerà! Come sarà fiero di me il mio sposo! Egli sarà fuori di sé dalla gioia e mi colmerà di baci fino a soffocarmi!
– Che ragazza stupefacente! – sussurrò alle sue spalle il fabbro, entrato senza far rumore. – E non manca di presunzione! È un’ora che sta guardandosi allo specchio e non si stanca di ammirarsi, e per giunta si loda a voce alta!
– Già, giovanotti, credete proprio ch’io sia fatta per voi? Guardatemi dunque, – continuava la bella civetta, – come cammino maestosa; e poi ho la camicetta tutta a ricami di seta rossa. E che bei nastri ho in testa! Non avrete mai e poi mai l’occasione di vedere un gallone cosí ricco! Questa è tutta roba che mio padre m’ha comperato perché io vada sposa al miglior giovane del mondo! – e, sorridendo, si voltò indietro e vide il fabbro...
Allora cacciò uno strillo e gli si piantò davanti in atteggiamento corrucciato.
Il fabbro restò avvilito.
È difficile dire quello ch’esprimeva il viso bruno della bella ragazza: vi si leggeva la severità, nonché una certa aria di dileggio verso il confuso adoratore, e un rossore di dispetto appena percettibile le si effondeva sulle guance; e tutto ciò si combinava cosí bene ed era cosí indicibilmente vezzoso, che la miglior cosa da fare lí per lí sarebbe stata quella di darle un milione di baci.
– Perché sei venuto? – prese a dire Oksana. – Vuoi forse che ti cacci fuori a colpi di badile? Siete tutti molto abili nel farvi avanti. Annusate al volo quando il padre non è in casa! Eh, vi conosco bene! A proposito: è pronto il mio baule?
– Sarà finito dopo le feste, cuoricino mio. Se tu sapessi quanto lavoro m’è costato: ho passato due notti di seguito in fucina; ma in compenso nessuna figlia di pope avrà un baule cosí bello. L’ho rinforzato con un ferro di una qualità, come non ne ho impiegato nemmeno per riparare il calesse del sotnik, quando andai a lavorare a Poltava. E come sarà dipinto! Anche se tu percorressi tutti i dintorni con i tuoi bianchi piedini, non ne troveresti uno cosí! Tutto in giro sarà dipinto a fiori rossi e azzurri, e brillerà come il fuoco! Non essere corrucciata con me! Lascia almeno ch’io parli e ti guardi!
– Parla e guarda: chi te l’impedisce?
Qui la fanciulla sedette sulla panca e guardandosi di nuovo nello specchio cominciò ad aggiustarsi le trecce. Rimirò il collo, la blusa nuova a ricami di seta, e un sottile segno di soddisfazione le si disegnò sulle labbra, sulle guance fresche, le si rifletté negli occhi.
– Permetti che anch’io mi sieda accanto a te! – pregò il fabbro.
– Siedi pure, – disse Oksana, conservando sempre la stessa espressione di trionfo sulle labbra e negli occhi soddisfatti.
– Bellissima, incantevole Oksana, lascia ch’io ti baci! – esclamò il fabbro incoraggiato, e la strinse a sé con l’intenzione di darle un bacio.
Ma Oksana ritrasse il viso, che si trovava ormai a brevissima distanza dalle labbra di lui, respingendolo.
– Che vuoi ancora da me? Il signore ha il miele, e vuole anche il cucchiaio? Scostati, che hai le mani piú dure del ferro, e per giunta puzzi di fumo: sono sicura che m’hai insudiciata tutta di fuliggine.
Nel dir cosí, avvicinò di nuovo lo specchio al volto e riprese ad agghindarsi.
«Non mi ama! – pensò fra sé il fabbro, abbassando la testa. – Essa non pensa che a scherz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Nota dell’editore
  5. Notte di Natale
  6. Le avventure della notte di san Silvestro
  7. L’abete
  8. Cristallo di rocca
  9. La notte prima di Natale
  10. La storia della vecchia balia
  11. Un albero di Natale
  12. Il bambino e l’albero di Natale di Gesú
  13. Racconto di Natale
  14. L’angelo di Natale
  15. La maledizione dei Catafalques
  16. L’avventura del marinaio
  17. Il tocco del fantasma
  18. Van’ka
  19. Natale per forza
  20. La sorte di Frank M’Kenna
  21. Notizie sugli autori
  22. Fonti