Nonostante fosse immersa nel rituale collettivo del lutto, la fretta con cui Maria aveva lasciato la casa dei Bastíu non era passata inosservata a Bonaria Urrai, che aveva intuito il motivo di quella sconvenienza solo per metà. Ma la vecchia non si poteva permettere il lusso di agire d’impulso in un giorno come quello, e Nicola Bastíu meritava il suo rispetto fino in fondo alla terra dove l’avrebbero deposto. Per lei non ci sarebbero stati altri momenti che quello per onorare le segrete promesse che gli aveva fatto, invece Maria sarebbe stata a casa anche al suo ritorno. Questo pensò la sarta di Soreni, mentre rimaneva accanto a Giannina e a Salvatore Bastíu come la parente che sempre l’avevano considerata, a cantare il Requiescat insieme ai presenti, come se per lei quello fosse un morto come gli altri, diverso solo nel nome.
In effetti il volto di Nicola, disteso nella serenità artificiale di chi non ha piú niente da chiedere, sembrava finalmente placato, ma quell’illusione ottica non bastava ad arrestare il tumulto di incertezze nell’animo di Bonaria Urrai. La vecchia però era troppo abituata al riserbo per palesare qualcosa di diverso da quello che ci si aspettava da lei, e quindi rimase composta accanto alla salma come sempre aveva fatto negli anni, aiutando i genitori del morto nella fatica di ripescare dai ricordi i molti momenti lieti per restituire un Nicola Bastíu sano e ridente, rispettabile per intero nell’anima e nel corpo. Per diverse ore intorno al corpo si susseguirono le voci delle donne e degli uomini, secondo una liturgia che alternava il pianto, la preghiera e la memoria in sequenza. Nessun passaggio poteva essere saltato, perché quel codice era indispensabile alla comunità per ricomporre la frattura tra le presenze e le assenze. Nell’atto di impedire la negazione del singolo dolore, anche il piú controverso dei trapassi si riconciliava con la naturale tragicità delle cose di ogni vita. Per questo, quando il prete se ne era andato dopo aver fatto la sua predica sulla comunione dei santi, le donne e gli uomini di Soreni si riunivano per celebrare insieme la comunione dei peccatori, assolvendo i parenti sopravvissuti dalla colpa di un dolore unico al mondo. Per risolvere le altre questioni, il tempo ci sarebbe stato.
Ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno, e Maria la differenza la conosceva benissimo. Non era questione di giusto o sbagliato, perché nel mondo in cui era cresciuta quelle categorie non trovavano posto. A Soreni la parola «giustizia» aveva lo stesso spazio di senso delle peggiori maledizioni, e veniva pronunciata solo quando c’erano da evocare cieche persecuzioni contro qualcuno. Per la gente di Soreni la giustizia ti avrebbe forse potuto rincorrere, e se ti avesse preso ti avrebbe scorticato come un majale o crocifisso come un cristo, ti avrebbe fottuto per gioco come fanno gli uomini quando si comportano come le bestie, ti avrebbe stanato ovunque ti fossi nascosto e di sicuro non avrebbe dimenticato mai il tuo nome, né quello di chi era uscito da te; ma tutto questo non c’entrava nulla con il fatto che ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno.
Mentre tagliava la cipolla a fettine sottili, Maria ragionava ossessivamente su quella differenza, sistemando gli ingredienti della cena con la stessa ipnotica lentezza con cui cercava di porre ordine nei pensieri. Le parole di Andría erano state folli come la luce nel suo sguardo mentre le diceva, e per Maria non avevano alcun senso; eppure accostate a determinati ricordi un senso cominciavano ad averlo. Mentre spartiva il pomodoro in tocchi, rivedeva la figura della vecchia sarta raggomitolata vicino al camino quella mattina stessa, perfettamente vestita e pettinata come se fosse appena rientrata, o sapesse già che ci sarebbe stato motivo di uscire. Maria aveva smesso da tempo di interrogarsi sulle misteriose uscite notturne dell’anziana madre adottiva, ma ora quella dimenticanza le tornava addosso come un elastico di fionda, e bastava a insinuarle il dubbio che Bonaria Urrai avesse qualcosa di grave da nasconderle. Era la prima volta che accadeva, e Maria non sapeva gestire quel sospetto, tanto era incongruente con la fiducia che la legava alla donna che l’aveva fatta figlia. Non era concepibile che potesse averle mentito, perché ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno, pensava mentre lasciava cadere nell’olio sfrigolante il resto delle verdure sminuzzate. Il mestolo di legno nel soffritto agitava gli odori e i ricordi, e ruotandolo lentamente in circolo Maria si lasciò circondare da entrambi, riportando alla mente un pomeriggio di molti anni prima, appena qualche mese dopo essere divenuta fill’e anima di Tzia Bonaria.
Non le era ancora passato quel vizio, quello di rubare piccole cose di cui non aveva bisogno, ma che desiderava. Era venuto via con lei da casa di Anna Teresa Listru, e per qualche tempo aveva continuato a farle compagnia, eludendo le richieste di permesso ogni volta che poteva farne a meno. A volte era un frutto, o un pezzo di pane, altre un giocattolo, oppure uno scampolo di stoffa colorata lasciato da parte per una rifinitura: se credeva che nessuno la guardasse, Maria lo prendeva e lo nascondeva, incapace di separare il desiderio dal sotterfugio. Bonaria Urrai se n’era accorta presto, anche perché i piccoli ammanchi si ripetevano con una certa frequenza. Ma quel pomeriggio fu l’ultima volta che accadde, e Maria se lo ricordava molto bene.
Era una fine di ottobre con preparativi di dolci, e sul tavolo della cucina erano stati lasciati gli ingredienti per i pabassinos dei morti; c’erano la scorza d’arancia, i semi di finocchio, le lamelle di mandorle e un barattolo di saba di fichi d’india scura e viscosa come caramello, con un sapore dolce pieno di sentori fioriti che avrebbe legato l’impasto come una malta aromatica. Ciascun ingrediente stava nel suo cartoccio, tranne l’uvetta passa che era stata messa a rinvenire in una ciotola con acqua di fiori d’arancio. Bonaria si era accorta all’ultimo momento che le mancava la semola, indispensabile per infornare i dolci senza che si attaccassero. Prima di uscire non le aveva vietato di toccare le cose sul tavolo, ma Maria non aveva dubitato nemmeno per un momento di stare infrangendo un comando, quando aveva preso due manciate di lamelle di mandorle ed era corsa in camera a nasconderle in un cassetto. Quando Bonaria era tornata con la semola, al mucchio delle mandorle ne mancava metà, e seduta per terra Maria giocava con sul viso l’espressione serena degli innocenti. Bonaria le si avvicinò, e la prima parola non era un’accusa.
– Mancano delle mandorle.
Maria sollevò il viso verso l’alto, guardando la Tzia con aria interrogativa. Poteva essere già una risposta, ma Bonaria non aveva intenzione di accontentarsi.
– Le hai toccate tu?
– No.
Lo schiaffo arrivò preciso e violento, prendendo Maria sulla guancia sinistra e lasciandole il segno esangue dell’impatto. Incredula, le pupille dilatate dalla sorpresa, la bambina guardò la vecchia con la bocca aperta, dimenticandosi di piangere.
– Alzati, – disse Bonaria con voce grave.
Maria si alzò lentamente, puntando il viso al pavimento per nascondere la fortissima vergogna che adesso fioriva sul volto insieme al rossore del ceffone incassato. Bonaria le afferrò un braccio, trascinandola senza molta grazia verso la sua camera. La porta le si chiuse alle spalle a doppia mandata, e una volta assicuratasi che fosse chiusa bene, la vecchia se ne andò a preparare i dolci senza dire piú neanche una parola. Maria rimase chiusa in camera fino all’ora della cena, e fece diverse cose per dimenticarsi di quel che aveva fatto: dapprima pianse in silenzio, poi cercò di distrarsi con i giocattoli per fingere che non stesse accadendo nulla, infine si stese sul letto, sfinita dalla frustrazione, e dormí persino. Quando la porta si riaprí però era sveglia, e si mise a sedere sul letto come in attesa. Bonaria le venne vicino, prese dal muro la sedia che vi stava appoggiata e si sedette esattamente di fronte a lei.
– Hai capito perché ti ho picchiato?
Maria si aspettava quella domanda e annuí, mentre nuovamente il viso le si faceva rosso dall’umiliazione.
– Perché?
– Perché ho rubato le mandorle.
– No.
Il diniego categorico di Bonaria la sorprese, sventando la sua personale interpretazione dei fatti del pomeriggio. Non parlò piú, fissando la vecchia con occhi meravigliati.
– Ti ho picchiato perché mi hai detto una bugia. Le mandorle si ricomprano, ma alla bugia non c’è rimedio. Ogni volta che apri bocca per parlare, ricordati che è con la parola che Dio ha creato il mondo.
A sei anni non si è molto ferrati in teologia, e infatti Maria non trovò una buona replica davanti al senso di quella frase, troppo grande per lei da cogliere per intero. Ma la parte che comprese fu piú che sufficiente a giudicare sé stessa, e mentre con le labbra strette provava ad annuire, Bonaria si sporse ad abbracciarla senza stringerla, come un bozzolo di seta con un baco dentro. Al termine di quella riconciliazione rimasta unica nel suo genere tra loro, Maria uscí dalla stanza mano nella mano con la vecchia, trovando la casa invasa dal profumo intenso dei dolci ormai cotti, messi ad asciugare sulle graticelle come mattonelle scure. Per anni avrebbe associato il profumo dei pabassinos appena fatti a quel ricordo, e senza rendersene conto smise di sentire il desiderio di rubare cose già palesemente sue, perché una volta realizzata quell’evidenza, non restava nessuno a cui mentire.
Maria Listru sorrise di sé stessa in quel ricordo, e aggiunse dell’acqua alla pentola dove il pomodoro si era ormai sciolto in una salsa densa e aromatica. Qualunque cosa fosse accaduta quella notte, qualunque cosa Andría pensasse di aver visto, alla fine di quel sugo Maria si era convinta che la donna che le aveva insegnato a lavarsi le mani prima di parlare non poteva averla ingannata in alcun modo, tanto meno in quello. Ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno, pensò; e le cose che si fanno, si fanno cosí, concluse mentre assaggiava la salsa per vedere se andava aggiustata di sale.
Maria si sbagliava, ma non seppe di quanto prima che arrivasse sera, quando Bonaria rientrò a casa al termine di una delle giornate piú difficili della sua vita. Non l’aveva attesa per mangiare, perché con le nascite e le morti si sa quando si esce e mai quando si torna, ma la pentola dell’acqua era fredda in attesa sul fornello, e il sugo non aveva perso ancora la freschezza del primo fuoco. Maria leggeva, come spesso faceva la sera dopo cena, e Bonaria era troppo provata per accorgersi subito che qualcosa nella sua postura non era naturale.
– Come mai te ne sei andata? Hai litigato con Andría?
Quando era certa di conoscere già la risposta che cercava, a volte partiva da una domanda diretta.
– Sí.
Maria la guardò con placida apparenza, misurandole con gli occhi l’inclinazione stanca delle spalle, il viso segnato e la gonna nera scomposta dal lungo star seduta. Le parve vecchia nel senso comune che le persone danno alla parola, vicina al suo termine come le promesse mantenute.
– Ti pareva giorno, con il fratello morto in casa? Invece di consolarlo…
– L’ho fatto.
– Non mi è sembrato. Te ne sei andata.
Se solo non avesse mostrato tanta insistenza. Se solo non l’avesse incalzata per dare una spiegazione a ogni costo, forse Maria non avrebbe smesso di pensare a quello come a un buon momento per tacere. La mancanza di rispetto di cui Bonaria la stava accusando la spinse a replicare a tono, portando il discorso in acque piú infide.
– Se restavo era peggio. Diceva cose che non si potevano stare a sentire.
– I parenti dei morti dicono sempre le stesse cose. Cosa voleva, morire anche lui? Si sentiva in colpa per la morte di Nicola?
Maria chiuse il libro senza curarsi di tenere il segno. Quando parlò, lo fece con deliberata inespressività.
– No, non si sentiva in colpa. Dava la colpa a voi, invece.
Bonaria era già immobile, e la sua espressione non cambiò in nulla.
– A me? E perché mai?
– Dice che vi ha visto stanotte entrargli in camera e soffocarlo con un cuscino.
Dirlo cosí, se non si fosse trattato di Nicola, sarebbe persino suonato divertente, e Maria trasformando l’a...