Spooner (versione italiana)
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Spooner (versione italiana)

  1. 512 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Spooner (versione italiana)

Informazioni su questo libro

Nato in una cittadina della Georgia, orfano di padre e unico sopravvissuto di una coppia di gemelli, Warren Whitlow Spooner parte subito col piede sbagliato e prosegue in un'infanzia e adolescenza difficili, nelle quali per autolesionismo e dabbenaggine non fa che cacciarsi nei guai. Da sempre, il piccolo Spooner mostra un'innata inclinazione per il crimine ma anche uno strano talento, una facilità a vivere e a ripartire ogni volta da zero, come se i fallimenti e le disgrazie di cui il suo percorso è costellato non ne sfiorassero l'essenza piú profonda. Brevissimo astro del baseball, dopo essersi inaspettatamente ritrovato con una carriera da giornalista, Spooner attraverserà i decenni piú turbolenti della storia americana, difendendo con i denti il profondo legame con il patrigno Calmer Ottosson, sorta - suo malgrado - di angelo custode, e mantenendo intatta la sua meravigliosa, ingenua innocenza. «Spooner riteneva di aver varcato la soglia della criminalità un venerdí pomeriggio di inizio giugno del 1961. Aveva quattro anni.» «Si dà il caso che quella mattina Spooner fosse il secondo a sbucare fuori, qualche istante dopo un gemello dizigotico dall'aspetto migliore del suo, Clifford, che, come tipicamente capitava alla madre di Spooner, era venuto al mondo morto eppure prezioso come la vita stessa, e negli anni a venire con le sue visitazioni le sarebbe stato di conforto più di tutti gli altri figli (una nata prima di Spooner e due dopo).
Sarebbe sempre stato lui, in segreto, il suo favorito». «Spooner è variopinto, digressivo e fragorosamente spassoso... È un romanzo di formazione chiassoso e picaresco e, insieme, un profondo omaggio all'indipendenza di spirito cosí allo sbando in un'epoca di conformismi».
Guardian «Certo, Dexter sí che sa scrivere, e con grande umorismo... La storia scorre e fluisce ma torna sempre alla tranquilla chimica tra un ragazzo che diventa uomo e l'unico genitore che lui abbia mai avuto...»
Seattle Times

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806203702
eBook ISBN
9788858403853
Parte quarta
Filadelfia

31.

Spooner arrivò in città in treno, nel mezzo di una bufera di neve, una settimana prima di Natale. Aveva speso metà dei suoi soldi per un biglietto di sola andata dalla Florida, dove tutto quel che possedeva eccetto il cane e i vestiti nella lavatrice era andato in fiamme. Nonostante tutti i posti dove era stato e non era piú benvenuto, e tutte le occasioni che aveva avuto e aveva sprecato, ancora si lasciava sorprendere da quei barlumi del modo in cui funzionavano le cose, e da come il perdono giocasse una parte limitata.
Il pomeriggio dell’incendio, se ne stava seduto scalzo e nudo sul pavimento, disoccupato, ai ferri corti con la moglie, a parlare del tempo col suo bastardino Harry. Harry era appena rientrato da sotto la pioggia, bagnato come se fosse appena uscito dal grembo materno e con lo stesso odore delle coperte dell’esercito, e stavano osservando la fine del temporale attraverso la porta a zanzariera sul lato est del piccolo garage trasformato in locale lavanderia.
– Be’, a quanto si dice, avevamo bisogno della pioggia, – disse Spooner.
Quell’autunno Spooner avrebbe compiuto trent’anni, e lo stesso giorno il cane ne avrebbe compiuti tre. Dal punto di vista delle gonadi, non era cambiato niente, anche se con entrambi erano stati compiuti dei tentativi. Piú di Spooner, Harry era scafato, e sentiva arrivare i guai lontano un chilometro.
Proprio in quel momento tirò indietro le orecchie e sollevò leggermente i lembi che gli coprivano i denti. Sembrava quasi che sorridesse.
Il manovratore del carro attrezzi apparve come un’ombra nella porta a zanzariera, riparandosi gli occhi mentre si chinava in avanti per guardare dentro. Spooner per prime vide le mani e pensò ad ali di pipistrello, all’eventualità di essersi imbattuto nel piú grosso pipistrello della storia del Sud. Cattura il pipistrello, e il mondo farà la fila davanti alla tua porta.
Finalmente, un piano.
Comparve una faccia, ma Spooner non poteva ancora dire che si trattasse di una faccia, a quel punto, riguardo all’essere dall’altro lato della zanzariera, poteva solo dire che, se anche non era un pipistrello, portava malattie.
– Mr Spooner?
Il locale lavanderia e la relativa casa appartenevano all’unico amico rimasto a Spooner in Florida, con l’eccezione del bastardino che ora gli stava a fianco. Da quando il suo matrimonio era finito, quel cane non lo aveva mai lasciato solo per piú di qualche minuto di fila. L’amico veniva dal Tennessee orientale e in passato aveva avuto un gruppo country chiamato Melancholy Panties, il cui brano di maggior successo, il brano da cui il gruppo prendeva nome, parlava di un tizio che rovistava in un cassetto pieno di mutandine mozzafiato, e all’epoca pareva che ogni ragazza del Sud volesse spassarsela con lui. Adesso era giornalista, un giornalista bravo, né cinico né amareggiato, ma a vent’anni aveva avuto il suo gruppo country e da allora nulla aveva piú catturato davvero la sua attenzione.
Come l’amico fosse passato dall’una all’altra cosa era una lunga storia, che riguardava soprattutto sua moglie. Era stata una delle ragazze che se l’erano spassata con lui, ma quando lo spasso era finito non aveva voluto sloggiare. A volte va cosí: una di loro si ostina a restare. Si chiamava Honey, e ormai era una donna e, come molte donne di sua conoscenza, un giorno aveva guardato Spooner e tutt’a un tratto aveva preso coscienza di qualcosa. Era sempre cosí, come se fossero entrate in un negozio di animali e per poco non avessero comprato una scimmia. Ormai ce n’erano state un sacco, di quelle mogli dei suoi amici, donne che sulle prime lasciavano trapelare una certa giocosa, calorosa tenerezza nei suoi confronti, come se Spooner fosse una cosa che lei e il marito potevano condividere, poi un giorno restavano di sasso, ancora col sorriso sulle labbra, e cominciavano a sorvegliare ogni sua mossa e a segnarsi le cose, forse pensando che un accurato resoconto delle sue manchevolezze potesse in qualche modo arrestare le tendenze spooneriane dei loro mariti. Quale tasto premesse in loro, Spooner non l’aveva mai capito. Ormai però la cosa durava da parecchio. A Minneapolis, una volta la moglie di suo cugino era scoppiata in lacrime quando se l’era visto comparire in veranda.
Spooner si alzò in piedi, si avvolse un asciugamano intorno alla vita e andò alla porta. Non si infilò le scarpe da tennis perché era lí che conservava il portafoglio con i soldi, e poi entrambe le sue paia di calze erano in lavatrice e, quanto a infilare i piedi nudi nelle scarpe, tanto valeva ficcarli in una fossa biologica.
In quel periodo le scarpe da tennis erano questo, calzature vis-à-vis.
– Buon pomeriggio, signore, – disse il manovratore. Aveva quella consumata voce da brutte notizie che Spooner aveva già avuto occasione di udire. – In conformità alla legge, sono tenuto a informarla dei suoi diritti.
Spooner restò in attesa di sentire i suoi diritti, senza grande ottimismo. Ma poi l’uomo fece una pausa e parve smarrirsi mentre fissava le due cicatrici a forma di radice che si diramavano in opposte direzioni dal gomito di Spooner, ricordo della sua carriera di lanciatore di palle da baseball, uova e pietre.
– Lei ha il diritto, – disse l’uomo, cercando di ricordare dov’era arrivato, – lei ha il diritto di prelevare ogni suo avere personale dal veicolo sequestrato –. Già due volte nella sua vita Spooner si era sentito recitare i suoi diritti, ed entrambe le volte glieli avevano letti meglio. Quelle erano solo parole.
Spooner restò in attesa, ma lui e l’addetto all’espropriazione delle auto parevano a un punto morto.
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– È tutto? – disse Spooner.
– Signore, – disse l’uomo, – io sono solo una rotella nell’ingranaggio –. Era distratto dalle cicatrici, e cercava di non fissarle. Spooner voltò il palmo verso destra per dargli una visuale migliore.
– Sono stato colpito da un fulmine, – disse.
Il manovratore si sporse in avanti. Guardandole da vicino, le cicatrici si rivelavano frastagliate, come se il chirurgo avesse usato delle forbici seghettate, e non si limitavano a incontrarsi sul gomito, ma si incrociavano per poi continuare in una direzione alterata per circa un centimetro, come la sbandata di due pallottole che si scontrano. In quel periodo Spooner si guardava di rado il gomito, a meno che stesse bevendo, e allora immaginava lo squittio di minuscole ventose, le piccole bocche umide che, man mano che si avvicinavano, formavano «O» atterrite…
Le mani del manovratore erano enormi, e arrivavano un po’ troppo in basso per un essere umano, e su ciascuna delle due c’erano piú peli di quanti ne fossero rimasti in testa a Spooner. Vedendo quelle mani, Spooner si rese conto che quell’uomo non avrebbe mai potuto suonare uno strumento musicale, e nemmeno giocare a biliardo, a meno che ci fosse qualcun altro a tirar fuori le palle dalle buche. «E poi ci si chiede come la gente finisca a fare un lavoro del genere, – pensò Spooner. – Un motivo c’è sempre». Spooner era sempre solidale con i difetti della gente, forse l’aveva imparato da Calmer.
Seguí il manovratore davanti a casa, dove la sua auto e tutti i suoi averi sarebbero stati espropriati, un’espropriazione particolarmente pubblica, pensò vedendo il sedere della sua Mazda con motore a combustione interna a pistone rotante agganciato al carro attrezzi. L’indirizzo della casa era 419 Palm Tree Way, e ovunque c’era odore di benzina.
– Le darei una mano, – disse il manovratore, – ma in base alle leggi dello stato non posso toccare nulla che le appartenga. Teoricamente, se lei presentasse un reclamo, da Tallahassee potrebbero revocarmi la licenza.
Spooner non si mosse, eccetto per stringersi l’asciugamano alla vita. Stava riflettendo su quanto pesavano le sue cose, se avrebbe o meno potuto trasportarle. Nel bagagliaio c’erano una vecchia macchina per scrivere Underwood e cinquanta pagine di un racconto incompiuto a proposito della resa dei conti a Prairie Glen fra sua madre e l’allenatore Tinker. Era rimasto bloccato al punto in cui la madre dava tempo all’allenatore fino a mezzogiorno per fare i bagagli e andarsene. C’era anche una palla da basket e uno scatolone di libri, pochi dei quali gli interessavano. La verità era che Spooner continuava a non essere un gran lettore. C’era anche un annuario del secondo anno delle superiori con foto di Margaret nei panni di reginetta della scuola e di Dee Dee Victor in tenuta da majorette. Per ragioni che non ricordava, molto tempo prima aveva tagliato via tutte le foto in cui compariva lui, eliminando le prove della propria presenza in quella scuola.
Sul sedile posteriore c’erano frigoriferi portatili Coleman di diverse dimensioni e un ferro da stiro Sunbeam di cui aveva preteso il possesso nella grande suddivisione e, nell’intero spettacolo della sua vita, niente – nemmeno lo starsene a piedi nudi con un asciugamano alla vita in quell’appezzamento di trifoglio a guardarsi portar via quasi ogni cosa – gli pareva tanto ridicolo quanto l’essersi portato in giro in macchina per tutto quel tempo un ferro da stiro nel tentativo di dimostrarle che anche lui aveva dei progetti. Che questa volta sarebbe uscito nel mondo lavato e stirato.
– Signore, – disse il manovratore, – cerchiamo di restare concentrati su quel che stiamo facendo.
Stava già per perdere la pazienza.
– Ci sto provando, – disse Spooner, – ma non è cosí facile.
Il manovratore sollevò una mano per guardare l’orologio, semisepolto fra i peli del polso. E il pollice! Da piccolo riusciva a succhiarselo senza restare soffocato dal pelo?
– Senta, – disse, – sto cercando di essere gentile, ma ho una giornata bella piena –. Spooner pensò che forse il manovratore cercava di farsi dare la mancia. – Perciò, veniamo al punto, vuole una mano a tirar fuori la roba oppure no?
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Spooner notò una pozza di liquido sotto l’auto, che dava riflessi blu e verdi col mutare della luce. Quando c’erano piú di venti litri, il serbatoio perdeva e, invece di farlo aggiustare, Spooner aveva preso l’abitudine di mettere pochi dollari di benzina alla volta. Indicò la pozza. – Quella viene dall’auto, lo sa? – disse.
Ma il manovratore voleva venire al punto, e sapeva riconoscere un tentativo di guadagnare tempo. – L’auto non è piú un problema suo, signore, – disse. – È molto semplice. La questione è solo una: vuole o non vuole recuperare i suoi averi?
Ma non era cosí semplice. Tanto per dirne una, nell’auto c’erano anche i topi. Qualche giorno prima sotto il sedile del passeggero era nata una nidiata di cuccioli; la madre li allattava, e nutriva se stessa con gli avanzi dell’unico pasto della giornata di Spooner e Harry nel parcheggio dell’Hamburger Heaven, un ristorante a poco piú di un chilometro dalla catapecchia dove risiedevano al momento. Chi le avrebbe dato da mangiare se portavano via l’auto? L’Hamburger Heaven era sormontato da un’aureola azzurra di luce al neon che si spegneva ogni sera alle dieci in punto. Alle dieci e un quarto un ragazzino in blue jeans e cappello da cuoco usciva dalla porta di servizio e buttava nel cassonetto tutto quel che era rimasto invenduto, e ogni sera Spooner e Harry mangiavano lí nel parcheggio, nella quiete del sedile davanti, con il cibo che colava da entrambi i lati della bocca dell’animale. Poi però il cane spazzolava via tutto, anche le briciole, prima di cominciarne un altro. Una volta Harry si era strozzato nel tentativo di mandare giú un boccone troppo grosso, e Spooner aveva dovuto schiacciargli l’addome per liberargli le vie respiratorie, e dopo Harry aveva spazzolato via tutto quel che aveva rigettato, prima di passare a un altro cheeseburger.
In quel periodo Spooner tirava la cinghia, ora che non aveva piú una posizione nel mondo, e aspettava tutto il giorno con ansia di veder mangiare il cane. Harry preferiva i cheeseburger agli hamburger, però non gli piacevano i sottaceti. Anche quando ingoiava i cheeseburger in un sol boccone – come faceva con i primi due o tre –, anche quando ingoiava pure la carta, in qualche modo riusciva a eliminare i sottaceti e a lasciarli al suo fianco sul sedile, integri e luccicanti come erano usciti dal vasetto.
Da giorni, ogni volta che accendeva il motore, Spooner sentiva gli squittii. Forse i piccoli collegavano gli scossoni all’allattamento.
– Le spiace se le do un consiglio? – disse il manovratore. – In base alla mia esperienza, il principale motivo per cui la gente si ficca in questa situazione è l’indecisione. L’indecisione e la procrastinazione, sono questi i due grandi problemi.
– Lei quanto ci guadagna? – disse Spooner. – Quando espropria un’auto –. Il manovratore lo guardò in modo diverso ma non rispose. Spooner continuò: – Intendo dire, lei è un dipendente della finanziaria, o la pagano a cottimo?
– Non vedo che rilevanza abbia –. All’addetto alle espropriazioni non piaceva l’idea che uno come Spooner ficcasse il naso negli affari suoi.
Spooner disse: – Se la pagano a cottimo, allora forse guadagnerebbe di piú rimettendo giú l’auto e dicendo che non l’ha trovata –. Era un bluff senza senso. Spooner aveva ventotto dollari nelle scarpe da tennis sopra la lavatrice. Piú un assegno da novantanove dollari dalla stazione di servizio per cui aveva lavorato fino al martedí precedente. Valore netto.
Il manovratore scrollò il capo come a compatire Spooner, come se per lui non ci fosse speranza alcuna. – Santiddio, ­– disse. – Ma voialtri in che razza di mondo vivete? Le pare che oggi per caso sono passato di qui e ho visto la sua macchina? Che mi tenga a mente i numeri di targa?
Spooner si voltò a lanciare un’occhiata alla casa, notando per la prima volta che l’auto di Honey era sparita dal vialetto. Rendendosi conto di cos’era accaduto. Non la prese sul personale, però si chiese se avesse intascato una taglia o se solo non voleva piú che Spooner usasse la sua lavatrice e la sua asciugatrice. Questo lo poteva capire. Ultimamente in sua presenza diceva spesso che la sua casa era diventata una comune.
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– Non è nelle mie mani, ­– disse il manovratore. – Dal punto di vista etico, dal momento in cui le ruote si staccano da terra, non è piú nelle mie mani. Ora, ripeto, vuole o non vuole scaricare i suoi averi personali?
Il problema era quello, certo, da un anno e mezzo era quello. Spooner ci pensò su. Il manovratore lo lasciò perdere e salí nella cabina del carro attrezzi. Mise in moto e si spostò in avanti, sul cordolo e, quando l’auto salí su quello stesso cordolo, il telaio raschiò sul cemento, ci fu un suono come di uno che spegne una candela e, prima che il carro attrezzi superasse il primo incrocio, la Mazda di fabbricazione giapponese con il motore a combustione interna a pistone rotante faceva fuoco e fiamme come una festa universitaria in Texas.
Spooner, avvolto nel suo asciugamano, restò a guardare, accorgendosi tutt’a un tratto del trifoglio freddo e bagnato fra le dita dei piedi. Il manovratore si fermò sotto un gruppetto di palme, saltò giú dalla cabina lasciando la portiera aperta e corse a staccare l’auto dal verricello, e Spooner capí che il carro attrezzi apparteneva a lui e non alla ditta.
In ogni caso si trattava di un atto di eroismo cui ormai si assisteva di rado.
Il fuoco però era già troppo caldo e il manovratore fu costretto a non manovrare. Riemerse dal denso fumo nero che ora si alzava anche dalle sue braccia, sfregandosi il pelo bruciacchiato con le mani, senza preoccuparsi dell’eventualità che prendessero fuoco anch’esse, e sopra e dietro di lui il fumo si alzava fra le palme che costeggiavano Palm Tree Way. Dal bagagliaio dell’auto stava colando qualcosa della consistenza della pastella per frittelle. Il calore era impressionante. Spooner pensò ai topi – per un momento gli parve di sentirli squittire –, poi si incendiò anche un albero. Il manovratore stava urlando qualcosa – probabilmente rivolto a lui, ma non ne era certo – e, da quel che Spooner intese, voleva che chiamasse i pompieri. Evidentemente aveva cambiato idea sul fatto che l’auto non era piú affar suo.
Spooner e Harry però restarono dov’erano, a piedi nudi nel trifoglio, a guardare, come una coppia di newyorkesi che assistono a una rapina. Spooner avvolto nel suo asciugamano, Harry con l’aria di uno che è appena uscito dalla doccia, e poco dopo voltarono le spalle al calore e si guardarono, chiedendosi che fare per rimediare una cena.
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32.

Adesso anche Spooner era un giornalista. Non un giornalista bravo, come il suo amico, e nemmeno un giornalista assunto, come il suo amico, ma pur sempre un giornalista. Non era l’ultimo posto di lavoro che avesse avuto – proprio quella settimana aveva restituito alla Ron’s Belvedere Standard lo straccio per controllare il livello dell’olio – però suonava meglio di «benzinaio», o quanto a questo di «venditore di foto di bebè», «selezionatore di posta», «camionista trasporto birre» (il lavoro come camionista trasporto birre in particolare non era andato a buon fine) o qualunque altra cosa avesse fatto da quando aveva smesso con il baseball.
La sua carriera giornalistica era iniziata un giorno di agosto mentre Spooner tornava a casa dal lavoro di venditore e, trovandosi a passare davanti alle redazioni congiunte del «Ft. Lauderdale News» e del «Sun-Sentinel», attraverso la vetrina oscurata aveva visto che aspetto aveva una prateria di ragazze in minigonna e stivali bianchi e, attratto dai suoi ricordi della prateria, stranamente si era sentito spinto a entrare. Ormai Spooner era stato parecchie volte nella prateria, in vacanza con la famiglia a Conde, Sud Dakota, e una volta aveva messo un piede fra una traversa e l’altra di una griglia per il bestiame e si era rotto una caviglia. Non capiva come un’intera mandria di vacche potesse gironzolare per tutto il giorno senza mai ficcare una zampa in una griglia per il bestiame o su un mucchietto di sterco, mentre lui nel giro di un quarto d’ora aveva fatto entrambe le cose. Quand’erano tornati dall’ospedale, l’aveva chiesto a uno degli zii di Calmer, un agricoltore vecchio e triste seduto su una poltrona centenaria accanto all’organo di famiglia in un soggiorno che non sarebbe stato piú brioso di una soffitta se non ci fosse stato Spooner a violarne la cupezza con il suo nuovo gesso di un bianco accecante. Per i parenti di Calmer, ficcare un piede in una griglia per il bestiame fratturandosi un osso non era meglio che sprecare il cibo, e quasi tutti erano andati a letto subito dopo cena, come se la sbadataggine di Spooner fosse stata per loro un affronto personale.
Lo zio osservò Spooner e il suo gesso, forse calcolando a quanti giorni di lavoro persi equivaleva quella lesione, o a quanti sarebbe equivalsa se il ragazzo fosse stato suo figlio e avesse saputo lavorare.
Disse: – Buon senso, immagino.
E gli anni trascorsero e Spooner si fece piú alto, piú adulto e piú scaltro, ma quanto al buon senso e al guardare dove metteva i piedi non ci furono miglioramenti, però ognuno ha il suo momento di gloria, e per lui fu il momento in cui mise piede nelle redazioni del «Ft. Lauderdale Sun-Sentinel» e un quarto d’ora dopo era un reporter.
Il lavoro al «Sun-Sentinel» durò due anni. Anche il caporedattore aveva giocato a baseball, era stato un bonus baby e aveva giocato per sette anni nelle minor leagues. Si chiamava Sloan, e assunse subito Spooner ritenendo a torto che condividesse il suo stesso amore per quello sport.
Il capocronista si chiamava Jerry Bunns, non aveva mai giocato a baseball e non nutriva nessuna falsa aspettativa nei confronti di Spooner. E probabilmente riconobbe per istinto un potenziale nemico. Spooner fu assegnato a scrivere di pomodori, delinquenza minorile, sanità e di tutti gli enti pubblici che ricevevano fondi dal governo federale per migliorare le condizioni dei poveri, enti contro cui il giornale si scagliava nei suoi editoriali almeno tre volte alla settimana. Il capocronista stava forse già meditando di far ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Parte quarta
  8. Parte quinta
  9. Parte sesta
  10. Parte settima
  11. Parte ottava
  12. Ringraziamenti