La malattia
eBook - ePub

La malattia

  1. 170 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

«Sono loro due. Da che ha memoria, sono loro due. Sua madre è morta quando lui aveva dieci anni. Da che Andrés ricorda, è figlio unico di un vedovo, un uomo forte, capace di combattere con il dolore piú immenso, con una grande perdita. Sua madre morí in un incidente aereo, su un volo Caracas-Cumaná. L'aereo rimase in aria pochi minuti e poi cadde in picchiata. Fu una tragedia nazionale. [...] Quella notte suo padre tornò a casa pallido, stravolto. Rimase per un po' in cucina a discutere con altri membri della famiglia, poi uscí, prese il bambino in braccio e se ne andarono. Andrés sapeva già cos'era successo. Per quanto le zie avessero cercato di proteggerlo, lui era riuscito a sgusciare via e, di nascosto, aveva visto l'accaduto alla televisione. Suo padre, con gli occhi rossissimi, fece un grosso sforzo per comunicargli la notizia e dirgli che la mamma era andata via, la mamma era partita per un viaggio lungo, molto lungo, la mamma era partita per un viaggio senza ritorno; senza aver capito del tutto, Andrés, impaurito, confuso, gli domandò solo se la madre fosse su quell'aereo caduto in mare. Il padre lo guardò, indeciso, ma alla fine gli disse di sí. E lo abbracciò. Andrés non ricorda bene, ma crede che a quel punto abbiano pianto insieme».

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La malattia di Alberto Barrera Tyszka, Paola Tomasinelli in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806194079
eBook ISBN
9788858405338

Parte prima

– Sono pronti i risultati?
Ha appena pronunciato la domanda, e si è subito pentito. Andrés Miranda vorrebbe bloccarla in aria, riportarla nel suo luogo d’origine, nasconderla di nuovo sotto un silenzio. Ma non può, ormai è troppo tardi. Adesso ha davanti a sé solo la faccia del primario di radiologia: le sue labbra sono un nodo in mezzo alla bocca, i suoi occhi neri due macchie; si limita a offrirgli un sorriso di solidarietà forzata mentre gli porge una busta grande, color tabacco. Non dice niente, ma la sua espressione è quasi una sentenza: lesioni multiple che indicano una malattia metastatica, per esempio. Quella smorfia dice qualcosa del genere. I medici non usano quasi mai aggettivi. Non ne hanno bisogno.
– Ci sono anche le lastre delle tomografie?
Il primario di radiologia fa cenno di no con la testa, e intanto devia lo sguardo verso il corridoio.
– Mi hanno detto che le avrebbero spedite direttamente a te.
Andrés si sente avvolto in uno strano disagio, come se in fondo entrambi stessero facendo un grande sforzo per non rompere il fragile equilibrio del momento. Ringrazia e si dirige di nuovo verso il suo ambulatorio. Non gliel’hanno detto, non ha visto le lastre, non ne conosce i risultati, ma sa già che suo padre ha un cancro.
Perché ci costa tanto accettare che la vita è un caso? È quello che Miguel si chiede sempre prima di iniziare un intervento. Tutti indossano il camice verde, i guanti, la mascherina chirurgica; la luce bianca della sala operatoria sembra fluttuare sul freddo dell’aria condizionata. E allora Miguel alza il bisturi, guarda Andrés e domanda: perché ci costa cosí tanto accettare che la vita è un caso? Alcune infermiere detestano iniziare in questo modo. Forse intuiscono che non è un buon prologo, che è quasi una giustificazione preventiva, casomai qualcosa andasse storto. Andrés sa che non è cosí, conosce bene Miguel, da quando studiavano all’università. Sa che la domanda non contiene nessun cinismo. Piuttosto gli sembra un’espressione autocompassionevole, una preghiera pietosa; un modo di riconoscere i limiti della medicina di fronte all’infinito potere della natura, che equivale a riconoscere i limiti della medicina di fronte all’infinito potere della malattia.
Appena entra nel suo ambulatorio, appena chiude la porta, inizia a tremare. Sente che, all’improvviso, il corpo respira in un altro modo, con altri suoni e altri movimenti. Come se avesse dentro un’altra creatura, disarmata, che scalcia; come se stesse partorendo una rovina. Si affretta a raggiungere la sedia dietro la scrivania, si siede. Ha ancora la busta in mano. All’interno devono esserci due lastre del torace. Foto blu, trasparenze dure, taglienti. Il corpo di suo padre trasformato in un disegno confuso, in cui, tuttavia, si può ritrarre la morte con crudele precisione. Andrés ha paura, ma non è una paura nuova: lo minaccia da anni. Dev’essere lo stesso timore che, senza spiegazioni e con tanta frequenza, lo assale lanciandosi dalla sua stessa ombra. È l’angoscia che certe notti gli opprime il petto, impedendogli di dormire. Probabilmente nasciamo tutti con una paura del genere, indefinita quanto indiscutibile. Vaga dentro di noi, senza sapere dove andare ma senza mai abbandonarci. Si prepara, si coltiva, in attesa del momento esatto in cui presentarsi. È un presagio, una voce che ancora non sa con chiarezza cosa deve comunicarci. Ma risuona. Ed è un suono indecifrabile, incomprensibile, che gocciola con insistenza, un segnale d’allarme. Lo sente da anni, lo sfugge da anni, cercando di spaventarlo. Non ci è mai riuscito. Adesso quest’ansia ha finalmente una forma: la faccia del primario di radiologia, quello sguardo schivo, quell’espressione rassegnata. Andrés ha visto troppe volte quella smorfia. Lui stesso ha dovuto dipingersela in faccia in piú di un’occasione. È l’immagine che accompagna una brutta notizia clinica, un anticipo di condoglianze. È preparato a questo? Non lo sa.
Suona il telefono. È Karina, la sua segretaria. Lo informa che c’è di nuovo suo padre in linea, ha richiamato, domanda se adesso è disponibile.
– Sto cosí male che non vuoi nemmeno parlarmi?
Suo padre esordisce cosí. In tono scherzoso, è ovvio. Andrés conosce anche questa forma di nervosismo. È un classico. Molti pazienti ricorrono a questa strategia, si pongono su una linea debole, in cui tutto è a metà fra il serio e il faceto; cercano di apparire normali quando in realtà sono terrorizzati e non hanno smesso di pensare, nemmeno per un secondo, al possibile risultato dei loro esami. Hanno passato ore perseguitati dal timore di malattie mortali; hanno trovato un dolore inedito in ogni movimento; hanno scorto macchie sospette dove prima vedevano solo la propria pelle… Ma si avvicinano al medico cercando di fingere una particolare naturalezza: sorridono, anche se pare che stiano per scoppiare a piangere. Lasciano cadere domande come quella che gli ha appena fatto suo padre.
– Non ti ho chiamato prima perché mi hanno portato i tuoi esami proprio adesso, – dice Andrés.
– E allora?
– In linea di massima tutto bene, – dice, toccando con le dita i bordi sigillati della busta.
– In linea di massima? Che cazzo vuol dire, Andrés?
– Tranquillo. Ti sto dicendo che stai bene.
– Mi stai dicendo che in linea di massima sto bene: è diverso.
Conosce perfettamente anche questa prassi. In generale, i pazienti hanno bisogno di scandagliare ogni parola; le spremono cercandone il significato piú diretto, liberandole da ogni allusione. Vogliono allontanare il minimo dubbio anche dalla punteggiatura. Un paziente sospetta sempre che non gli venga detta la verità, o almeno non tutta la verità, che gli si nasconda qualcosa. Perciò insiste, fruga disperatamente dappertutto, anche nel linguaggio. In questo caso, tuttavia, suo padre ha ragione. Andrés ha detto «in linea di massima» perché non ha ancora visto le lastre. Perché non le prende ora, perché non apre la busta e le osserva? Cosa gli impedisce di guardare i referti?
La faccia del radiologo è rimasta sospesa nell’ambulatorio, come un palloncino. I corridoi degli ospedali sono pieni di palloncini cosí. Fluttuano lenti nell’aria, tutti uguali, plastica sottile su cui si dipingono sopracciglia piegate verso il basso, bocche severe, espressioni neutre: puri segni di rassegnazione. È un rituale, un protocollo clinico. Gli ospedali sono luoghi di passaggio: templi per l’addio, grandi monumenti alle separazioni.
– Ti ho detto in linea di massima perché non ho ancora tutti i risultati. Quelli che mi hanno appena consegnato vanno bene.
– Questo significa che…
– Che non c’è nessun problema, papà, – taglia corto Andrés, ormai a disagio. Non riesce a mentire troppo a lungo. – Esci, va’ a fare due passi, beviti un caffè, fatti una chiacchierata con gli amici. Va tutto bene, sul serio.
– Sicuro?
– Sicuro.
Rimangono un istante in silenzio. È una pausa tesa, insopportabile. Andrés vuole riagganciare. Sa che suo padre è indeciso, che non è ancora convinto. Lo immagina nel suo appartamento, seduto sul bracciolo del divano verde, accanto al telefono, mentre stringe il ricevitore, pensieroso. A un tratto Andrés si sente rinchiuso in un profondo nulla, in una vertigine. Piú che in silenzio, rimangono un istante sospesi nel vuoto, finché:
– Tu non mi mentiresti, vero? – Il padre parla dalle viscere. Con quella voce aspra ma vicina con cui parlano le viscere. – Andrés, – prosegue, – se io avessi qualcosa di grave, non me lo nasconderesti, no?
Andrés ha un riccio sulla lingua. Da un momento all’altro sente la gola piena di scaglie di pigna. Suo malgrado, gli si riempiono gli occhi di lacrime. Teme che possa mancargli la voce. Fa un grosso sforzo per parlare.
– Non ti ingannerei mai, papà, – dice, infine, con una roca intimità.
– Era proprio quello che volevo sentire. Grazie.
Egregio Dottor Andrés Miranda,
spero si ricordi di me. Non è stato facile ottenere il suo indirizzo di posta elettronica. Sapesse cosa ho dovuto fare per averlo! Ma questa è un’altra storia. Il punto è che adesso sono qui e le sto scrivendo. Non creda che mi senta a mio agio. Non mi è mai piaciuto scrivere. Non mi riesce bene, non mi piace farlo, non so dove mettere le parole né cosa dire. In qualche modo, però, le circostanze mi obbligano, non ho scelta.
Dobbiamo vederci al piú presto, dottore. Sono disperato. Da tre settimane mi trovo in una situazione stranissima e misteriosissima. Quando le telefono in ambulatorio, mi dicono che lei non c’è, o che è impegnato. Se chiedo un nuovo appuntamento, me lo rifiutano, mi dicono che non possono darmelo. Senza nessuna spiegazione. Sono sicuro che lei non ne sa niente, che ne è all’oscuro. È impossibile che si comporti cosí con me. Ma allora… chi mi sta facendo questo? E perché?
Ecco il motivo di questa lettera, dottore. È l’unico modo che ho per chiederle un appuntamento. La mia situazione è sempre la stessa e la mia salute peggiora di giorno in giorno. Risponda a me direttamente, attraverso lo stesso canale. Non si fidi di nessuno, per favore. Ho bisogno di vederla al piú presto.
La ringrazio fin d’ora per l’attenzione e le ripeto che sono qui, in attesa di una sua risposta.
Ernesto Durán
Il sangue è molto pettegolo, racconta tutto. Chiunque lavori in un laboratorio d’analisi sa che è cosí. Dietro quel liquido scuro, conservato in piccoli tubi, si nascondono torbidi melodrammi, nature sconfitte o sordidi racconti fuorilegge. Quando suo padre era svenuto, Andrés l’aveva costretto a fare tutti gli esami del sangue. Il vecchio Miranda si era rifiutato. Aveva cercato di minimizzare l’accaduto. Preferiva la parola malore alla parola svenimento. Si era intestardito in modo quasi ridicolo.
– È stato un malore, – ripeteva, attribuendo l’episodio all’umidità atmosferica, al sopore estivo.
Secondo lui, dipendeva dal clima, piú che da qualcosa di fisico. Ma era caduto come un sacco di patate davanti alla vicina del 3-B. Parlavano del piú e del meno – nessuno dei due ricorda l’argomento – quando all’improvviso suo padre era collassato e la vicina si era messa a gridare, disperata.
– Pensavo fosse morto! Era cosí pallido, livido! Non volevo toccarlo perché avevo paura che fosse già freddo! Non sapevo cosa fare! Ecco perché ho urlato! – racconta la vicina.
Qualche secondo piú tardi lo stesso Miranda, di nuovo cosciente, aveva dovuto tranquillizzarla e giurarle che era tutto a posto, che in effetti non era successo niente. Era stato solo un malore, le aveva detto qualcosa di simile. Quello stesso pomeriggio, tuttavia, la donna aveva chiamato Andrés riferendogli l’accaduto.
– Vecchia ficcanaso! – aveva borbottato di nuovo suo padre quando Andrés era andato a prenderlo per portarlo al laboratorio dell’ospedale.
Mentre l’infermiera gli prelevava il sangue, Andrés si rese conto che suo padre era diventato piú piccolo. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma vedendolo seduto lí, con il braccio teso, mentre guardava in alto per evitare il contatto visivo con la siringa, a un tratto si accorse che la statura del padre era cambiata, che era diventato piú basso. Javier Miranda è un uomo alto, quasi un metro e ottanta. Alto e magro, con un aspetto piuttosto atletico. Cammina sempre diritto, come se la schiena non gli pesasse. Nonostante l’età e i capelli bianchi, è giovanile, sano. I capelli ricci hanno vinto la battaglia contro la calvizie incipiente. La sua pelle ha il colore dell’argilla chiara. Anche gli occhi sono marroni. Non ha mai fumato, beve solo di tanto in tanto, cammina tutte le mattine nel parco Los Caobos, evita i grassi, al mattino mangia frutta e fiocchi d’avena, e ogni sera mastica sette ceci crudi per cospirare contro il colesterolo. «Cos’è successo?» sembrava domandarsi in quel momento. Aveva saputo fronteggiare il tempo con una certa destrezza. Andava tutto relativamente bene fino al pomeriggio in cui era stato fermato da un inspiegabile svenimento. Quel semplice battito di ciglia dell’equilibrio li aveva portati fin lí. Quel breve istante trasformava improvvisamente suo padre in un personaggio debole, ferito, piccolo, piú piccolo. «La malattia è la madre della modestia». Andrés, suo malgrado, ricordò la frase. Si trova nel libro Anatomia della malinconia, di Robert Burton, pubblicato nel 1621. È una lettura obbligatoria nel primo semestre della facoltà. Eppure, quel ricordo lo infastidí. La citazione gli sembrò, piú che ingrata, stupida; nascondeva la pretesa di fare della malattia una virtú. Guardò di nuovo suo padre. Non sarà, piuttosto, un’umiliazione?
Fino a quel giorno la salute del vecchio non aveva oltrepassato la soglia dei raffreddori. Una lieve infezione urinaria, un paio d’anni prima, nient’altro. Aveva una salute invidiabile e, al momento, non c’era alcun segnale preoccupante. Ma Andrés ebbe un brutto presentimento.
Quell’evento gli aveva suscitato un’apprensione particolare. Anche se non c’era nessuna evidenza, per la prima volta aveva pensato che il peggio poteva accadere, poteva accadere da un momento all’altro. Si irritò anche perché si sentiva in quel modo, sequestrato da un palpito, ostaggio di qualcosa di cosí poco razionale, senza fondamento scientifico, come una cattiva vibrazione. Suo padre alzò lo sguardo e lo osservò. Non seppe cosa dirgli. A un tratto gli sembrava patetico che il destino di un uomo di sessantanove anni potesse riassumersi in quattro provette piene di un liquido scuro, zero Rh positivo. Come doveva sentirsi suo padre in quel momento? Rassegnato? Disposto ad ammettere che si stava avviando verso un destino già deciso, che quella era la naturale conclusione della sua vita; che stava entrando in una fase in cui sarebbe stato sottomesso alle siringhe, avrebbe vissuto dominato da quell’odore asettico dei laboratori? Lo guardò fisso e non riuscí a evitarlo, ebbe un’impressione spaventosa. Non era piú suo padre quello che con forzata mansuetudine sopportava che lo bucassero, lo toccassero, gli prelevassero il sangue. Era un corpo. Un altro. Un corpo piú vecchio e vulnerabile in cui si rivoltava inquieto, desideroso di protestare, lo spirito di suo padre. Spirito è una parola strana. Andrés non la usava da tempo. Sentí che, per la prima volta dopo anni, tornava a pronunciare la parola spirito.
Sono loro due. Da che ha memoria, sono loro due. Sua madre è morta quando lui aveva dieci anni. Da che Andrés ricorda, è figlio unico di un vedovo, un uomo forte, capace di combattere con il dolore piú immenso, con una grande perdita. Sua madre morí in un incidente aereo, su un volo Caracas-Cumaná. L’aereo rimase in aria pochi minuti e poi cadde in picchiata. Fu una tragedia nazionale. Le operazioni di recupero erano sempre ardue, e il piú delle volte inutili. Fu allestita una sorta di camera ardente, in un padiglione dell’ospedale di La Guaira, dove accorsero i famigliari delle vittime per cercare di identificare i pochi resti ritrovati: un piede, mezzo braccialetto, la corona di un dente… Quella notte suo padre tornò a casa pallido, stravolto. Rimase per un po’ in cucina a discutere con altri membri della famiglia, poi uscí, prese il bambino in braccio e se ne andarono. Andrés sapeva già cos’era successo. Per quanto le zie avessero cercato di proteggerlo, lui era riuscito a sgusciare via e, di nascosto, aveva visto l’accaduto alla televisione. Suo padre, con gli occhi rossissimi, fece un grosso sforzo per comunicargli la notizia e dirgli che la mamma era andata via, la mamma era partita per un viaggio lungo, molto lungo, la mamma era partita per un viaggio senza ritorno; senza aver capito del tutto, Andrés, impaurito, confuso, gli domandò solo se la madre fosse su quell’aereo caduto in mare. Il padre lo guardò, indeciso, ma alla fine gli disse di sí. E lo abbracciò. Andrés non ricorda bene, ma crede che a quel punto abbiano pianto insieme.
Andrés passò molte notti a sognare la madre. Era lo stesso sogno che si ripeteva, con alcune varianti. L’aereo è in fondo al mare. Come se non si fosse schiantato, come una nave affondata: è intatto, addormentato tra le alghe e i pesci e le ombre che, come brandelli di stoffa, danzano su una sabbia opaca. Dentro l’aereo, sul soffitto, si è formata naturalmente una bolla d’ossigeno. È fragilissima e si riduce a poco a poco. Sua madre cerca di mantenersi a galla, con la testa dentro la bolla, per poter respirare. Sembra essere l’unica sopravvissuta, non c’è nessun altro, solo pesci di vari colori e di grandezze diverse, che le scivolano accanto con sorprendente serenità, quasi annoiati. È strano, ma nel sogno la madre è in costume, anche se ai piedi ha un paio di scarpe. Il costume è un due pezzi arancione, mentre le scarpe sono dei mocassini neri, di pelle.
Via via che il tempo passa, la disperazione di sua madre aumenta. Con la mano batte piú volte sul soffitto dell’aereo. Il suono è metallico ma distante, come una lattina che rotola sul fondale. Sua madre guarda fuori da un finestrino: non c’è niente. Tutto intorno è acqua scurissima, una penombra liquida dove gli occhi si perdono. Il mare non ha memoria, distrugge tutto con troppa fretta. Sua madre allora, sconvolta, quasi asfissiata, colpisce piú forte il soffitto e grida: «Andrés! Andrés! Sono viva! Vieni! Vieni a tirarmi fuori di qui!»
Al risveglio, inevitabilmente si era pisciato addosso e tremava. Anche in piedi continuava a essere preda del sogno. Impiegava quasi un minuto a uscirci lui da quell’aereo, a fuggire dal fondo del mare, a non sentire piú le grida della madre. In quella circostanza suo padre era stato un guerriero instancabile. Con molta pazienza, l’aveva aiutato a difendersi da quei nemici. Era sempre stato lí, in riva al sogno, ad aspettarlo.
I ricordi arrivano proprio in quell’attimo, come una raffica di vento, mentre osserva il padre nel laboratorio. Avrà provato anche lui la stessa sensazione? Di sicuro, Andrés avrebbe voluto risparmiargliela. A quasi settant’anni un brutto presentimento è come una pugnalata. A quell’età n...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La malattia
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Copyright