
- 260 pagine
- Italian
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Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo
Informazioni su questo libro
Nel 1816 Lord Byron, durante una sera tempestosa nella sua villa a Ginevra, propone ai suoi ospiti - Mary e Percy Shelley, e William Polidori - di scrivere, per gioco, cun racconto dell'orrore. Ricollegandosi al mito di Prometeo, Mary scriverà Frankenstein.
Una storia che è un groviglio etico, un ragionamento profondo sull'origine della vita: l'angosciante storia di uno scienziato che conduce macabri esperimenti nel tentativo di restituire la vita ai cadaveri. Una favola terribile capace di imporsi con la forza delle immagini e la sua autonomia di mito universale. Uno sconvolgente racconto dell'orrore in cui il mostro è piú umano del suo creatore.
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Informazioni
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9788806206628eBook ISBN
9788858404478Capitolo ventiquattresimo
La mia situazione era tale da impedire e annullare ogni pensiero razionale. Mi sentivo sospinto da furore: soltanto l’idea della vendetta mi dava forza e controllo; dava forma ai miei sentimenti e mi permetteva di essere calmo e calcolatore in un momento in cui altrimenti mi sarei abbandonato alla follia o alla morte.
La mia prima decisione fu di abbandonare Ginevra per sempre. Il mio paese, che mi era stato cosà caro quando ero felice e amato, ora, nelle avversità , mi riusciva odioso. Raccolsi una somma di denaro e alcuni gioielli che erano appartenuti a mia madre e partii.
Cominciarono allora i miei vagabondaggi che cesseranno solo al termine della mia vita. Ho traversato gran parte della terra e ho sopportato tutti i disagi che i viaggiatori sono avvezzi a incontrare nei deserti e nelle contrade barbare. Non so come abbia potuto sopravvivere; molte volte mi sono lasciato cadere esausto, su una distesa di sabbia, a invocare la morte. Ma il desiderio di vendetta mi ha tenuto in vita: non volevo scomparire lasciando vivo il mio avversario.
Quando lasciai Ginevra, mi preoccupai innanzi tutto di ottenere qualche indizio che mi mettesse sulle tracce del mio diabolico nemico. Ma non avevo un piano ben definito, e vagai molte ore nei dintorni della città , incerto sulla strada da prendere. All’approssimarsi della notte, mi trovai all’ingresso del cimitero dove riposavano William, Elizabeth e mio padre. Entrai, e mi avvicinai alle tombe che segnavano il luogo della loro sepoltura. Tutto taceva, salvo le foglie degli alberi, mosse da una lieve brezza; la notte era molto scura, e la scena sarebbe apparsa solenne e suggestiva anche a uno spettatore disinteressato. Lo spirito dei trapassati sembrava aleggiare tutto attorno e proiettare sul capo del dolente un’ombra che si avvertiva, pur senza essere visibile.
Il profondo dolore che questa scena aveva, sulle prime, suscitato in me, cedette presto all’ira e alla disperazione. Essi erano morti, e io vivevo; viveva anche il loro assassino, e per distruggerlo io dovevo trascinare la mia stanca esistenza. Mi inginocchiai sull’erba, baciai la terra e, con labbra tremanti, esclamai: «Per la sacra terra su cui poso le ginocchia, per le ombre che mi vagano accanto, per il dolore profondo ed eterno che provo, io giuro; e per te, Notte, e per gli spiriti che a te presiedono, giuro di perseguitare il demone che ha causato tanta infelicità , fino a quando uno di noi non soccomba nella lotta mortale. Per questo resterò in vita: per portare a termine questa cara vendetta, vedrò ancora il sole e calcherò le verdi zolle della terra, che altrimenti sparirebbero per sempre ai miei occhi. E prego voi, spiriti dei morti, e voi, errabondi ministri della vendetta, di aiutarmi e di guidarmi nella mia missione. Fate che il maledetto e diabolico mostro beva profondamente alla coppa dell’angoscia, che provi la disperazione che ora tormenta me».
Avevo incominciato la mia invocazione con solennità e con un senso di timore reverenziale tale da farmi credere che le ombre dei miei cari assassinati mi ascoltassero e mi approvassero; ma, sul punto di concludere, le furie si impossessarono di me, e l’ira soffocava le mie parole.
Nel silenzio della notte mi rispose una risata diabolica e fragorosa. Mi risuonò alle orecchie, lunga e assordante, le montagne la riecheggiarono, ed ebbi l’impressione che tutto l’inferno mi circondasse di scherno e di risa. Certo in quel momento avrei potuto cedere a un accesso di follia e privarmi della mia miserabile esistenza, se il mio giuramento non fosse stato udito e io non mi fossi dedicato alla vendetta. La risata si spense, poi una voce ben nota e aborrita, apparentemente vicina al mio orecchio, si rivolse a me in un bisbiglio appena percettibile: «Sono soddisfatto, miserabile sciagurato! Tu hai deciso di vivere, e io sono soddisfatto».
Mi precipitai verso il luogo da cui giungeva la voce; ma il demone mi sfuggÃ. All’improvviso si levò il gran disco della luna che illuminò in pieno la figura diabolica e deforme del mio nemico che si allontanava a velocità sovrumana.
Lo inseguii, e per molti mesi questo è stato il mio compito. Guidato da una lieve traccia, discesi il corso sinuoso del Rodano, ma invano. Apparve l’azzurro Mediterraneo, e per uno strano caso, una notte, vidi il mio nemico salire e nascondersi su una nave diretta al Mar Nero. Mi imbarcai sulla stessa nave, ma egli mi sfuggÃ, non so come.
Sempre seguii le sue tracce fra le steppe dei Tartari e della Russia, anche se sempre riuscà a sfuggirmi. Qualche volta i contadini, atterriti dalla sua apparizione, mi indicavano la strada che egli aveva preso; qualche volta egli stesso, temendo che mi sarei abbandonato alla disperazione e sarei morto se avessi perso le sue tracce, lasciava qualche indizio per guidarmi. La neve cadeva sul mio capo e vedevo le sue enormi impronte sulla bianca distesa della pianura. Come potete capire quello che provai e che ancora provo, voi che entrate ora nella vita, che siete nuovo agli affanni e che ignorate l’angoscia? Freddo, inedia e stanchezza erano il meno fra ciò che ero destinato a sopportare. Ero maledetto da un demone, e portavo chiuso in me l’inferno eterno. Eppure uno spirito benigno mi seguiva e dirigeva i miei passi; quando piú disperavo, all’improvviso mi traeva da difficoltà in apparenza insormontabili. Qualche volta, quando il fisico, vinto dalla fame, piegava sotto il peso della stanchezza, nel mezzo del deserto mi veniva preparato un pasto che valeva a ridarmi energia e volontà . Il cibo era rozzo, certo, quello che mangiavano i contadini del paese; ma, non ne dubito, mi veniva apprestato dagli spiriti che avevo invocato in aiuto. Spesso, quando tutto era arido, il cielo terso, ed ero tormentato dalla sete, una piccola nube oscurava il cielo, lasciava cadere qualche goccia che mi rianimava, poi svaniva.
Seguivo, quando potevo, il corso dei fiumi; ma il demone in genere li evitava, perché era soprattutto lungo i fiumi che si raccoglieva la popolazione di quei paesi. In altri luoghi raramente si vedevano esseri umani, e io di solito mi cibavo di animali selvatici che traversavano il mio cammino. Avevo del denaro con me, e mi guadagnavo l’amicizia degli abitanti dei villaggi distribuendolo; oppure portavo con me la preda che avevo ucciso, e, dopo averne prelevata una piccola parte, ne facevo dono a coloro che mi fornivano il fuoco e utensili per cuocerla.
La mia vita, che cosà trascorreva, mi era odiosa, e solo durante il sonno potevo gustare la gioia. Oh, benedetto il sonno! Spesso, quando mi sentivo troppo infelice, mi sdraiavo a terra a riposare, e i sogni mi cullavano, con qualcosa di simile al rapimento. Gli spiriti che mi custodivano mi concedevano questi momenti, o meglio queste ore, di felicità , perché potessi trovare la forza di condurre a termine il mio pellegrinaggio. Privato di questo ristoro, le fatiche mi avrebbero piegato. Nel corso del giorno, ero sostenuto e incoraggiato dall’attesa della notte: durante il sonno, infatti, vedevo i miei cari, mia moglie e il mio diletto paese, vedevo di nuovo il volto benevolo di mio padre, udivo la voce argentina della mia Elizabeth, scorgevo Clerval nel pieno vigore della salute e della giovinezza. Spesso, prostrato da una lunga marcia, mi persuadevo di sognare durante il giorno, mentre la notte avrei veramente vissuto fra le braccia dei miei cari. Quale acuta tenerezza provavo per loro! Come mi abbarbicavo alle loro care immagini, che qualche volta mi ossessionavano anche durante le ore di veglia, e come mi persuadevo che essi ancora vivessero! In quei momenti il sentimento di vendetta che mi ardeva in cuore svaniva, e proseguivo nella mia strada verso la distruzione del demone, non spinto da un desiderio imperioso della mia anima, ma come si trattasse di un compito che mi era stato affidato dal Cielo, dall’impulso meccanico di qualche forza di cui non ero cosciente.
Quali fossero i sentimenti di colui che inseguivo, non so. A volte lasciava, scritte sulle cortecce degli alberi o incise nella pietra, parole che mi guidavano e suscitavano la mia ira. «Il mio regno non è ancora finito, – (cosà si leggeva in una di queste iscrizioni). – Tu vivi, e il mio potere è assoluto. Seguimi; mi sto dirigendo verso i ghiacci eterni del nord, dove tu soffrirai le torture del freddo e del gelo a cui io sono insensibile. Se mi segui abbastanza da presso, troverai qui vicino una lepre morta; mangiala e rimettiti in forze. Vieni, mio nemico; dobbiamo ancora lottare per le nostre esistenze; ma prima che quel momento arrivi, dovrai ancora sopportare molte ore durissime e angosciose».
Diavolo beffardo! Ancora giuro vendetta, ancora, miserabile nemico, ti prometto tortura e morte. Non desisterò dalla mia ricerca, fino a quando uno di noi due muoia; e allora con quale giubilo raggiungerò la mia Elizabeth e coloro che già mi stanno apprestando la ricompensa della mia lunga fatica e del mio orribile peregrinare!
Via via che proseguivo il viaggio verso nord, la neve si faceva piú alta e il freddo aumentava, fino a diventare quasi insopportabile. I contadini restavano chiusi nelle loro capanne, e solo pochi ardimentosi si avventuravano fuori per catturare gli animali che la fame spingeva fuori dalle tane in cerca di preda. I fiumi erano coperti di ghiaccio, ed era impossibile procurarsi pesce; venni cosà privato della mia fonte principale di sostentamento.
Il trionfo del mio nemico aumentava con il crescere delle mie difficoltà . Un’iscrizione da lui lasciata recava queste parole: «Preparati! Le tue fatiche sono solo all’inizio. Copriti di pellicce e fa’ scorta di cibo, perché presto inizieremo un viaggio, nel corso del quale le tue sofferenze soddisferanno il mio odio perenne».
Queste note beffarde davano nuovo vigore al mio coraggio e alla mia costanza; deciso com’ero a non fallire il mio scopo, invocai il cielo in mio aiuto e continuai con inesausto vigore ad attraversare lande desertiche sconfinate, fino a quando, in distanza, non apparve l’oceano che si stendeva fino all’estremo limite dell’orizzonte. Oh, quanto era diverso dai mari azzurri del sud! Coperto di ghiaccio, si distingueva dalla terra solo perché era piú impervio e irregolare. I greci piansero di felicità quando scorsero il Mediterraneo dalle colline dell’Asia, e salutarono con gioia il termine delle loro peripezie. Io non piansi, ma mi inginocchiai e, con cuore riconoscente, ringraziai lo spirito che mi guidava di avermi condotto sano e salvo là dove speravo di cogliere il mio avversario, nonostante la sua astuzia, e di ingaggiare con lui una lotta corpo a corpo.
Alcune settimane prima mi ero procurato slitta e cani, e in tal modo viaggiavo sulla neve a velocità straordinaria. Non sapevo se il mio nemico possedesse simili risorse, ma mi accorsi che, mentre prima perdevo ogni giorno terreno nel mio inseguimento, ora invece ne guadagnavo, al punto che, quando vidi l’oceano, egli aveva un solo giorno di vantaggio su di me, e sperai di raggiungerlo prima che toccasse la spiaggia. Con rinnovato coraggio, dunque, mi spinsi avanti, e due giorni dopo arrivai a un misero tugurio sulla riva del mare. Chiesi agli abitanti notizie del mio nemico, ed ebbi informazioni precise. Un mostro gigantesco, mi dissero, era giunto la sera precedente, armato di un fucile e di numerose pistole e, con il terrore che il suo orribile aspetto ispirava, aveva messo in fuga gli abitanti di una casa solitaria. Aveva portato fuori tutti i viveri che essi avevano accumulato per l’inverno, li aveva caricati su una slitta, aveva attaccato una numerosa muta di cani addestrati, di cui si era impadronito per potersi servire del suo nuovo mezzo di trasporto. Quella sera stessa, con sollievo degli atterriti abitanti del luogo, aveva continuato il suo viaggio attraverso l’oceano, in una direzione che non portava verso terra alcuna: essi pensavano che presto sarebbe stato inghiottito dalla rottura del ghiaccio o assiderato dai geli eterni.
Nell’udire questa notizia, mi abbandonai a un momentaneo accesso di disperazione. Mi era sfuggito, e dovevo iniziare un viaggio disperato e quasi senza fine tra le montagne di ghiaccio dell’oceano, esposto a una temperatura che pochi uomini potevano sopportare a lungo, e a cui io, nato in un clima temperato, non potevo sperare di sopravvivere. Eppure, all’idea che il mio nemico dovesse vivere e trionfare, ira e desiderio di vendetta rinacquero in me e, come una possente marea, travolsero ogni altro sentimento. Dopo un breve riposo, durante il quale gli spiriti dei morti mi si strinsero attorno e mi incitarono a intensificare gli sforzi e a conseguire la mia vendetta, mi preparai al viaggio.
Cambiai la mia slitta da terra con un’altra adatta alla superficie irregolare dell’oceano ghiacciato e, dopo aver acquistato una buona riserva di viveri, lasciai la terraferma.
Non so dire quanti giorni siano passati da allora; ma ho sopportato travagli che solo il sentimento della giusta vendetta che mi arde in cuore può avermi messo in grado di superare. Immense e aspre montagne di ghiaccio sbarravano spesso il mio cammino, e spesso ho sentito sotto i piedi il rombo delle profondità del mare che minacciava di distruggermi. Poi il gelo tornava di nuovo a rendere sicure le vie dell’oceano.
A giudicare dalla quantità di provviste che ho consumato, credo di aver viaggiato in questo modo per tre settimane; e il continuo differirsi della speranza, torturandomi il cuore, mi strappava spesso dagli occhi lacrime di scoraggiamento e di dolore. La disperazione si era quasi completamente impadronita della mia anima e avrei ceduto presto sotto il peso di questa angoscia. Un giorno, dopo che i poveri animali che mi trainavano ebbero raggiunto con incredibile fatica, che costò la vita a uno di essi, la cima di una scoscesa montagna di ghiaccio, esploravo con ansia la distesa che mi si apriva dinanzi quando a un tratto notai una macchia sulla pianura fosca. Aguzzai lo sguardo per scoprire di che cosa si trattasse, e levai un selvaggio urlo di gioia, quando scorsi una slitta e, in essa, la ben nota figura dall’aspetto deforme. Oh, con che fiotto bruciante la speranza mi inondò il cuore! Calde lacrime mi riempirono gli occhi; le asciugai in fretta perché non mi impedissero la visione del demone, ma di nuovo la vista mi venne offuscata da gocce ardenti, finché, dando libero sfogo all’emozione che mi opprimeva, scoppiai in un pianto dirotto.
Ma non era il momento di indugiare. Liberai i cani dal compagno morto, diedi loro una buona razione di cibo, e, dopo un’ora di riposo assolutamente necessaria, anche se per me insopportabile, mi rimisi in cammino. La slitta era ancora visibile, la perdevo d’occhio solo quando i dirupi di qualche montagna di ghiaccio la celavano per brevi istanti. Guadagnavo impercettibilmente terreno, e quando, dopo quasi due giorni di viaggio, scorsi il mio nemico a non piú di un miglio di distanza, il cuore mi balzò nel petto.
Ma proprio nel momento in cui mi sembrava di avere il nemico a portata di mano, a un tratto le mie speranze svanirono e io persi ogni traccia di lui come mai era capitato prima. Il mare si fece sentire sotto il ghiaccio; il suo rombo aumentò, mentre le onde passavano e si gonfiavano sotto di me, levandosi via via sempre piú sinistre e spaventose. Accelerai l’andatura, ma invano. Si levò il vento, l’oceano ruggà e, con la possente scossa di un terremoto, spaccò e divise la crosta di ghiaccio fra rombi tremendi e assordanti. Tutto finà in breve: pochi minuti dopo un mare in tempesta danzava fra me e il mio nemico, e io andavo alla deriva su una lastra di ghiaccio che rimpiccioliva gradatamente, preparandomi cosà una morte spaventosa.
Passarono in questo modo alcune ore d’angoscia; molti cani morirono, e anch’io ero sul punto di soccombere alla disperazione, quando la vista del vostro naviglio all’ancora fece rinascere in me speranze di soccorso e di vita. Non sapevo che le navi si spingessero tanto a nord, e quello spettacolo mi riempà di meraviglia. Distrussi in fretta parte della mia slitta per farne dei remi e cosà mi riuscÃ, con infinita fatica, di dirigere la mia zattera di ghiaccio verso la vostra nave. Se voi foste stato diretto verso sud, ero deciso di affidarmi alla mercé del mare, piuttosto che desistere dalla mia impresa. Speravo di indurvi a concedermi una scialuppa, con la quale avrei ancora potuto inseguire il mio nemico. Ma voi eravate diretto verso nord. Mi raccoglieste a bordo quando le mie forze erano all’estremo, e presto, sotto il peso delle innumerevoli difficoltà , sarei annegato trovando una morte che ancora temo, perché la mia missione non è compiuta.
Oh, quando lo spirito che mi guida mi condurrà dinanzi al demone e mi concederà il riposo che tanto desidero? O devo forse morire mentre egli continuerà a vivere? In questo caso, giuratemi, Walton, che egli non potrà scampare, che lo cercherete voi e compirete con la sua morte la mia vendetta. Ma come oso chiedervi di continuare il viaggio da me intrapreso, di affrontare le fatiche che ho dovuto sopportare? No, non sono tanto egoista. Ma se, quando sarò morto, egli dovesse apparirvi, se i ministri della vendetta dovessero condurlo davanti a voi, giuratemi che non vivrà , giuratemi che non trionferà sul cumulo dei miei dolori e che non sopravvivrà per allungare la lista dei suoi crimini. Egli è eloquente e persuasivo, e una volta le sue parole ebbero potere persino sul mio cuore; ma non fidatevi di lui. La sua anima è diabolica come il suo aspetto, è tutta tradimento e subdola malvagità . Non ascoltatelo: invocate i nomi di William, di Justine, di Clerval, di Elizabeth, di mio padre e dello sciagurato Victor, e conficcategli la spada nel cuore. Io vi sarò accanto e ne guiderò la lama.
page_no="227" WALTON: CONTINUAZIONE
26 agosto 17...
Ora, Margaret, che hai letto questa storia strana e terribile, non ti senti, come me, raggelare il sangue di un orrore simile a quello che ancora agghiaccia il mio? A volte, vinto da un’improvvisa angoscia, egli non riusciva a continuare il racconto; altre volte la sua voce, rotta ma penetrante pronunciava con difficoltà parole cosà piene di angoscia. I suoi occhi belli e gentili ora si accendevano di indignazione, ora esprimevano il piú cupo scoraggiamento e una sconfinata tristezza ne spegneva la luce. A volte controllava viso e tono, e riferiva gli avvenimenti piú orribili con voce tranquilla, dominando ogni segno di agitazione; poi, come un vulcano scosso da una improvvisa eruzione, il suo volto prendeva a un tratto un’espressione d’ira selvaggia, ed egli imprecava all’indirizzo del suo persecutore.
Il suo racconto è coerente, ed è stato narrato con tutte le apparenze della piú semplice verità ; eppure debbo confessarti che le lettere di Felix e di Safie che egli mi ha mostrato e la visione del mostro che abbiamo avuto dalla nostra nave hanno contribuito a convincermi della verità di ciò che mi ha detto, assai piú delle sue asserzioni, per quanto precise e coerenti. Un mostro tale, allora, esiste realmente! Non posso dubitarne, anche se la cosa desta in me profondo stupore e meraviglia. Talvolta ho cercato di ottenere da Frankenstein qualche particolare circa l’origine della sua creatura, ma su questo punto egli è impenetrabile.
«Siete pazzo, amico mio? – mi ha detto. – Dove vuole condurvi la vostra insensata curiosità ? Volete forse creare per voi e per il mondo un nemico infernale? A che cosa tendono le vostre domande? Lasciate stare! Imparate dalle mie sofferenze, e non cercate di aumentare le vostre».
Frankenstein ha scoperto che io ho preso appunti sulla sua storia; mi ha chiesto di vederli, e li ha corretti e ampliati in molti punti, specie per quanto riguarda le conversazioni che ha avuto con il suo nemico. «Dal momento che avete conservato la mia narrazione, – ha detto, – non voglio che essa giunga ai posteri mutilata».
Cosà è passata una settimana, mentre io ascoltavo il racconto piú strano che mai immaginazione abbia creato. I miei pensieri, e persino i miei sentimenti, sono stati assorbiti dall’interesse per il mio ospite, dovuto tanto alla sua storia quanto ai suoi modi educati e gentili. Vorrei dargli sollievo, ma come si può consigliare di vivere a chi prova simile angoscia, a chi ha perduto ogni speranza? La sola gioia che può ancora attendere è quella di comporre il proprio animo straziato nella pace della morte. Tuttavia gode di un conforto che nasce dalla solitudine e dal delirio: quando parla in sogno con i suoi cari e da questa comunione ricava un balsamo per i suoi dolori e nuovo incentivo alla vendetta, crede che ess...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Introduzione
- Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo
- Prefazione dell’autrice
- Introduzione all’edizione del 1831
- Lettera I
- Lettera II
- Lettera III
- Lettera IV
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Capitolo quarto
- Capitolo quinto
- Capitolo sesto
- Capitolo settimo
- Capitolo ottavo
- Capitolo nono
- Capitolo decimo
- Capitolo undicesimo
- Capitolo dodicesimo
- Capitolo tredicesimo
- Capitolo quattordicesimo
- Capitolo quindicesimo
- Capitolo sedicesimo
- Capitolo diciassettesimo
- Capitolo diciottesimo
- Capitolo diciannovesimo
- Capitolo ventesimo
- Capitolo ventunesimo
- Capitolo ventiduesimo
- Capitolo ventitreesimo
- Capitolo ventiquattresimo