
- 296 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Le lune di Giove
Informazioni su questo libro
In queste storie Alice Munro racconta di donne alle prese con una relazione sentimentale difettosa - una relazione, piú precisamente, il cui immancabile difetto si va in quel momento manifestando, o si è già manifestato - e del loro tentativo di affrontarla senza illusioni ma contemporaneamente senza cinismo, con una conoscenza antica che però non vuole rinunciare al privilegio di farsi sorprendere appena un po'. Donne caparbie, spiritose, amare, sempre lucidissime, creature di un'autrice che non svia mai lo sguardo da ciò che pulsa e vive.
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Informazioni
Print ISBN
9788806204228eBook ISBN
9788858400289I Chaddeley e i Fleming
1. Agganci
C’era la cugina Iris di Philadelphia. Infermiera. La cugina Isabel di Des Moines. Proprietaria di un negozio di fiori. La cugina Flora di Winnipeg, maestra; la cugina Winifred di Edmonton, ragioniera. Le signorine, le chiamavano. Zitelle era troppo restrittivo, non sarebbe bastato a definirle. Avevano petti poderosi e allarmanti – una massa unica, corazzata – e pance e didietro pieni e imbustati come quelli di ogni donna sposata. Al tempo pareva che, per un corpo femminile dotato di una qualunque ambizione esistenziale, la tendenza giusta fosse lievitare e rimpannucciarsi fino al raggiungimento di una buona taglia cinquanta; poi, a seconda delle mire e del ceto, quel corpo poteva afflosciarsi in un budino tremulo e foderarsi di vestiti pallidi in tessuto fantasia e grembiuli umidi, o lasciarsi inguainare in stampi le cui curve immobili e le cui linee audaci non avevano alcuna pretesa di sensualità , e parecchie invece in fatto di diritti e di potere.
Mia madre e le sue cugine appartenevano alla seconda delle due categorie. Portavano busti allacciati di lato da decine di ganci e occhielli, calze che sibilavano ogni volta che, accavallando le gambe, facevano frizione, abiti da pomeriggio in jersey di seta (quelli di mia madre, smessi da una delle cugine), cipria (tinta rachel), fard compatto, acqua di colonia, pettini in tartaruga o imitazione-tartaruga tra i capelli. Senza questo armamentario non erano nemmeno immaginabili, se non quando si fasciavano fino al mento in vestaglie di raso imbottito. Per mia madre non era facile mantenere quello stile: ci voleva ingegno, perseveranza, disciplina ferrea. Per il plauso di chi? Suo.
Un’estate vennero a stare da noi. Scelsero casa nostra, perché mia madre era l’unica con un marito e abbastanza posto per ospitarle tutte, e perché era troppo povera per spostarsi lei. Abitavamo a Dalgleish, nella Huron County, nell’Ontario occidentale. Un cartello all’ingresso del paese indicava il numero di abitanti: duemila. – E cosà facciamo duemila e quattro, – esclamò la cugina Iris, issandosi fuori dal posto di guida della sua Oldsmobile del ’39. Era andata a Winnipeg a prendere Flora, e Winifred, scesa in treno da Edmonton. Da lÃ, erano partite per Toronto e avevano caricato Isabel.
– E scommetto che noi quattro daremo piú filo da torcere di tutti e duemila i residenti messi insieme, – disse Isabel. – Dove è stato? A Orangeville? Abbiamo riso tanto che Iris ha dovuto fermarsi. Aveva paura di finire nel fosso!
I gradini di casa scricchiolavano sotto il loro peso.
– Senti che aria! Ah, non c’è niente di meglio dell’aria pura di campagna. È da là che prendete l’acqua potabile? Ci starebbe proprio bene adesso un sorso, eh? Acqua di sorgente!
Mia madre mi spedà a prendere un bicchiere, ma loro vollero a tutti i costi bere dal boccale di metallo.
Ci raccontarono che Iris si era appartata per soddisfare un bisogno naturale e, alzando lo sguardo, si era trovata accerchiata da un gruppo di mucche curiose.
– Mucche un corno! – precisò Iris. – Quelli erano buoi.
– Tori, forse, per quello che ne sappiamo, – disse Winifred, lasciandosi cadere sulla sedia di vimini. Era la piú grassa.
– Tori! Ve lo dico io! – fece Iris. – Speriamo che i mobili ti reggano, Winifred. È stata dura, là dietro, per la mia povera macchina, te lo assicuro. Tori! Che spavento, è un miracolo che sia riuscita a tirarmi su le mutande!
Raccontarono del paese da selvaggi nell’Ontario settentrionale dove Iris non si era voluta fermare nemmeno per comprare una coca. Le era bastato uno sguardo ai boscaioli per uscirsene in un: «Questi ci violentano tutte quante!»
– Che vuol dire «violentano»? – chiese mia sorella minore.
– Oh, oh, – fece Iris. – Vuol dire che ti rubano il portafoglio.
Portafoglio: lo chiamavano cosà in America. Mia sorella e io non capivamo neanche quella parola, ma non ce la sentivamo di fare due domande di seguito. Io comunque sapevo che «violentare» voleva dire tutt’altro: qualcosa di sporco.
– Borsellino. Che ti rubano il borsellino, – intervenne mia madre cordiale, ma all’erta. Niente volgarità , in casa nostra.
Era il momento di tirare fuori i regali. Barattoli di caffè, dolci ai datteri e noci, ostriche, olive, sigarette confezionate per mio padre. Fumavano anche loro, tutte tranne Flora, la maestra di Winnipeg. Un segno di intraprendenza mondana all’epoca; a Dalgleish però, sintomo di possibili costumi dissoluti. Che loro trasformavano in un lusso rispettabile.
Dalle valigie uscirono anche calze, sciarpe, una camicetta di voile per mia madre, due grembiulini di organza inamidata per me e mia sorella (forse l’ultimo grido a Des Moines o Philadelphia, ma un errore a Dalgleish, dove la gente ci chiedeva che ci facessimo in giro col grembiule addosso). E per finire, una scatola da due chili di cioccolatini. Per molto tempo dopo averli mangiati tutti, e dopo la partenza delle cugine, conservammo la scatola nel cassetto della biancheria del mobile in sala da pranzo, in attesa di destinarla a un utilizzo degno che non trovammo mai. Conteneva ancora i pirottini scuri di carta pieghettata. A volte d’inverno entravo nella gelida sala da pranzo ad annusarli, a riempirmi le narici di quell’aroma di lusso e ricercatezza; rileggevo le descrizioni sullo schema fornito all’interno del coperchio: nocciola, nougatine, caramello, gelatina alla rosa, crema alla menta.
Le cugine dormivano nella stanza al piano di sotto e sul divano letto in soggiorno. Se di notte era troppo caldo, non si facevano scrupolo e trascinavano i materassi in veranda, se non addirittura in giardino. Tiravano a sorte per accaparrarsi l’amaca. Winifred era esclusa dal sorteggio. In piena notte le si sentiva sghignazzare e zittirsi a vicenda, con un: «Cos’è stato?» Abitavamo oltre l’ultimo lampione di Dalgleish, e il buio pesto e la moltitudine di stelle le strabiliavano.
Una volta avevano deciso di cantare a canone:
Row, row, row your boatGently down the stream,Merrily, merrily, merrily, merrily,Life is but a dream.
Avevano l’impressione che Dalgleish fosse finta. Andavano in paese in macchina e al ritorno raccontavano le stravaganze dei negozianti: imitavano discorsi orecchiati per strada. Di mattina, il caffè che avevano portato riempiva la casa di un inconsueto aroma americano e loro chiedevano con fare indolente chi avesse un’ispirazione per la giornata. Una di queste ispirazioni fu una scampagnata per raccogliere frutti di bosco. Si riempirono di graffi, patirono il caldo e, a un certo punto, Winifred si ritrovò letteralmente bloccata, senza scampo, in un roveto e dovette strillare per avere soccorso; ciononostante, dissero di essersi divertite da matti. Un’altra ispirazione fu di prendere le canne da pesca di mio padre e andare al fiume. Tornarono con una cesta di boccapersici, pesci che noi di solito ributtavamo in acqua. Organizzavano picnic. Si infilavano vestiti vecchi, cappellacci di paglia, tute da lavoro di mio padre e si facevano fotografare in quella tenuta. Preparavano torte farcite a piú strati e meravigliosi piatti in gelatina, sontuosi come templi e colorati come gioielli.
Un pomeriggio allestirono una recita. Iris era la cantante lirica. Si drappeggiò addosso la tovaglia della sala da pranzo e mi spedà a procurarle delle penne di gallina da mettersi in testa. Cantò The Indian Love Call e La donna è mobile. Winifred faceva il rapinatore di banche, armata di pistola ad acqua che aveva preso al bazar. Ciascuno doveva fare qualcosa. Mia sorella e io cantavamo due volte: la canzone Yellow Rose of Texas e il Gloria. Mia madre, incredibile a dirsi, si mise un paio di calzoni di papà e fece la verticale sulla testa.
Le cugine erano l’una per l’altra attrici e pubblico in ogni momento della giornata. E qualche volta perfino della notte. Era Flora quella che parlava nel sonno. Essendo anche la piú signorile e riservata, le altre restavano sveglie per rivolgerle domande nella speranza di farle dire qualcosa che potesse metterla in imbarazzo. Dicevano che dormendo imprecava. Che si era tirata su di scatto chiedendo imperiosa: si può sapere dov’è finito il gesso, mondo boia?
Fra tutte era quella che mi piaceva di meno, perché cercava di affinarci la mente – a me e a mia sorella – uscendosene con certi quesiti aritmetici. – Se Pierino impiega sette minuti a percorrere sette isolati, cinque dei quali hanno la stessa lunghezza, mentre gli altri due sono il doppio di...
– Oh, va’ a quel paese, Flora! – diceva Iris, che era la piú sfrontata.
Se non trovavano l’ispirazione, o faceva troppo caldo per qualsiasi attività , si sedevano in veranda a bere limonata, punch alla frutta, gazzosa e tè freddo con ciliegie al maraschino e schegge di ghiaccio ricavato dal blocco tenuto in ghiacciaia. Qualche volta mia madre decorava i bicchieri intingendo il bordo nel bianco d’uovo sbattuto e poi passandolo nello zucchero. Le cugine dicevano di sentirsi fiacche purtroppo, buone a nulla; ma si intuiva una certa soddisfazione in quei lamenti, come se la canicola estiva avesse il preciso scopo di aggiungere un elemento drammatico alla loro vita.
Eppure il dramma non era certo mancato a nessuna.
Nel vasto mondo, ne avevano viste tante. Incidenti, proposte di matrimonio, incontri con svitati e gente ostile. Iris avrebbe potuto essere ricca. Un giorno era arrivata in ospedale la vedova di un miliardario, una vecchia pazza con in testa una parrucca che pareva un covone di fieno: stringeva fra le mani una borsa da viaggio di tessuto spesso. Piena di? Gioielli, sÃ, gioielli veri, smeraldi e perle e diamanti grossi come nocciole. Nessuno riusciva a farla collaborare, solo Iris. Fu lei che alla fine la convinse a gettare la parrucca nella spazzatura (era piena di pulci) e a mettere i gioielli in una cassetta in banca. La vecchia si affezionò tanto a Iris che voleva riscrivere il testamento, per lasciare a lei gioielli, azioni, soldi e appartamenti. Iris non glielo permise. La sua etica professionale lo vietava.
– Godi di una posizione di fiducia. Un’infermiera gode sempre di una posizione di fiducia.
Poi raccontò di quando aveva ricevuto la proposta di un attore che stava morendo dopo una vita di bagordi. Lei chiudeva un occhio quando lo vedeva attaccarsi al flacone del colluttorio, perché non vedeva che male potesse fargli. Era un attore di teatro, perciò, se anche ci avesse detto come si chiamava, non avremmo saputo chi era.
Aveva anche conosciuto altri grandi nomi, celebrità , la crema della Philadelphia che conta. Non nel momento di massimo fulgore, s’intende.
Winifred disse che aveva visto le sue pure lei. Ma la verità vera, l’atroce verità riguardo ad alcuni di quei pezzi grossi, veniva fuori quando si ficcava il naso nelle loro finanze.
Abitavamo in fondo a una via che usciva da Dalgleish in direzione ovest e attraversava una zona incolta con casette di legno e frotte di polli e bambini. Il terreno saliva a una discreta altezza verso la casa e da là declinava in vasti campi e pascoli ingentiliti da olmi, fino alla curva del fiume. Anche casa nostra era discreta, un vecchio edificio in mattoni di una certa grandezza, ma pieno di correnti d’aria, mal esposto e con le finiture da ritinteggiare. Mia madre aveva in mente di sistemare e cambiare certe cose, non appena fossero arrivati dei soldi.
Del paese, di Dalgleish, mia madre non aveva una grande opinione. Rimpiangeva spesso Fork Mills, il centro dell’Ottawa Valley dove lei e le cugine avevano frequentato il liceo, e dove si era stabilito il nonno arrivando dall’Inghilterra; e rimpiangeva anche l’Inghilterra che, naturalmente, non aveva mai visto. Di Fork Mills incensava le case di pietra, gli edifici pubblici sobri e garbati (assai diversi, secondo lei, da quelli della Huron County, dove era prevalsa la tendenza a erigere qualche mostruosità in muratura e piazzarci sopra una torre), le strade lastricate, il servizio nei negozi, la migliore qualità delle merci in vendita e dei residenti. Gente che a Dalgleish si dava un mucchio di arie avrebbe fatto sorridere le famiglie di spicco di Fork Mills. Del resto, queste ultime si sarebbero sentite mortificate dal confronto con certe famiglie inglesi con cui mia madre aveva degli agganci.
Agganci. Ecco il punto. Le cugine ad esempio erano tutto un programma, ma al tempo stesso garantivano un aggancio. Con il mondo vero, prodigo e pericoloso. Loro sapevano come muoversi in quella realtà , l’avevano costretta a prendere nota della loro esistenza. Sapevano dominare una scolaresca, un reparto maternità , una clientela; se la cavavano con tassisti e controllori ferroviari.
L’altro aggancio che le cugine fornivano, come pure mia madre, era quello con l’Inghilterra e la storia. È un fatto che i canadesi di origine scozzese – i cosiddetti «scotch» della Huron County – e irlandese non si fanno nessuno scrupolo a raccontare che i loro antenati sono arrivati durante la carestia delle patate, equipaggiati dei soli stracci che avevano addosso, oppure che erano pastori, braccianti agricoli, miserabili contadini senza terra. Mentre chiunque abbia antenati di sangue inglese tirerà fuori una storia di pecore nere e figli cadetti, rovesci finanziari, eredità perdute, o di sventurate fughe d’amore. È possibile che in tutto questo qualcosa di vero ci sia; le condizioni sociali di Scozia e Irlanda erano tali da costringere la popolazione a emigrare in massa, là dove un inglese poteva scegliere di abbandonare il proprio paese per ragioni piú personali e piú pittoresche.
Come nel caso dei Chaddeley, la famiglia di mia madre. Isabel e Iris non erano delle Chaddeley, ma lo era stata la loro madre; mia madre era nata Chaddeley, ma era diventata una Fleming; Flora e Winifred invece lo erano tuttora. Discendevano da un nonno che aveva lasciato l’Inghilterra da ragazzo per motivi sui quali le nipoti non concordavano. In base alla convinzione di mia madre, era studente a Oxford ma, avendo perso tutto il denaro che la famiglia gli spediva, si era vergognato di tornare a casa. L’aveva perso al gioco. Macché, diceva Isabel, quella era solo la versione ufficiale; la verità era che aveva messo nei guai una domestica e cosà gli era toccato sposarla e portarsela in Canada. Le proprietà di famiglia erano nella zona di Canterbury, a sentire mia madre (i pellegrini di Canterbury, le campanule di Canterbury...) Le altre non ci avrebbero giurato. Secondo Flora stavano nell’Inghilterra occidentale e il cognome Chaddeley era collegato a quello di un certo Lord Cholmondeley, di cui i Chaddeley potevano essere lontani discendenti. Esisteva però anche la possibilità , aggiungeva, che si trattasse di un nome francese, in origine Champ de laiche, vale a dire campo di falaschi. In tal caso, la famiglia doveva essere arrivata in Inghilterra con Guglielmo il Conquistatore.
Isabel commentò che lei non era un’intellettuale e che di personaggi storici inglesi conosceva soltanto Maria di Scozia. E voleva che qualcuno le dicesse se Guglielmo era venuto prima o dopo Maria di Scozia.
– Campi di falaschi, – disse mio padre cordiale. – Non si saranno di certo arric...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Le lune di Giove
- I Chaddeley e i Fleming
- Dulse
- La stagione dei tacchini
- L’incidente
- Bardon, autobus n. 144
- Prue
- Festa di fine estate
- Mrs Cross e Mrs Kidd
- Storie finite male
- La visita
- Le lune di Giove
- Dello stesso autore
- Il libro
- L’autore
- Copyright