La cattiva strada
eBook - ePub

La cattiva strada

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La cattiva strada

Informazioni su questo libro

«Sugli stolti e sugli ubriaconi vegliano gli dèi in persona», scriveva James Crumley nell' Ultimo vero bacio, ma tutto questo non sembra valere per Milo Milodragovitch, reduce dal clamoroso fallimento professionale e umano del Caso sbagliato e ridotto a sbarcare il lunario come guardia giurata, nell'attesa di entrare in possesso della cospicua eredità paterna. E proprio le antiche scappatelle di suo padre lo trascinano in un nuovo caso, ancor piú intricato del precedente: Sarah Weddington, amante occasionale del defunto Milodragovitch senior, gli offre un banale ma poco chiaro lavoretto di sorveglianza e pedinamento che innesca ben presto una folle spirale di violenza. Milo si trova cosí invischiato nella ragnatela di fascino e lusinghe ordita da tre donne di grande carattere e personalità, ciascuna delle quali sembra avere misteriosi legami con la storia e i beni della famiglia Milodragovitch. Tra cadaveri e complotti, Milo è costretto suo malgrado a districare una matassa apparentemente insolubile, che lo porterà ancora una volta a masticare fino in fondo il sapore amaro de La cattiva strada.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La cattiva strada di James Crumley, Luca Conti in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806192242
eBook ISBN
9788858402283

10.

Tre giorni dopo, al mattino, mentre ero seduto all’indietro sul coperchio del water nei cessi dell’Eastgate, a tagliare righe della poca cocaina rimasta, udii la porta che si apriva e smisi di picchiettare la lametta sulla porcellana. Ma qualcuno mollò una pedata alla porta del mio scomparto, facendo saltare il chiavistello – che mi volò fischiando sopra la testa – per poi afferrarmi per la collottola e trascinarmi fuori. Quando mi ebbe sbattuto contro il muro, iniziò a prendermi a schiaffi. Jamison.
– Signore, non si trova un po’ fuori dalla sua giurisdizione? – dissi, piegato in due dalle risate.
Tenendomi fermo con una mano, Jamison fece volare per terra tutta quanta la coca, e mentre piagnucolavo aprí il coperchio del water e mi spinse la testa verso il basso, come a volermi mettere davanti a uno specchio, come a volermi affogare nella mia immagine riflessa. – Guarda che roba, – disse, spingendomi il volto a pochi centimetri dalla schiuma sanguinolenta. – Dice Janey che vomiti sangue da due giorni.
– Maledetta vecchia pettegola, – dissi, tra una risatina e l’altra.
Con una spallata Jamison mi gettò contro la parete, mi prese per il giubbotto e attaccò a farmi rimbalzare finché non udii l’intonaco che mi si incrinava dietro la testa. Quando infine smise, fu per tastare il rivestimento interno – in Kevlar – del giubbotto. – Ma che cazzo ci fai, con questa roba addosso? – ringhiò. Mica lo sapevo, cosa rispondere. – Eh? – mi chiese, facendomi rimbalzare per l’ennesima volta.
– Non me lo ricordo piú.
– Non ti ricordi cosa?
– Non lo so, amico, – dissi. – Proprio questo significa non me lo ricordo, nella nostra lingua –. Chissà, magari mi era parsa una battuta spiritosa, perché scoppiai di nuovo a ridere.
– In che razza di guaio ti sei cacciato? – mi chiese, per poi rifilarmi un nuovo sganassone in assenza di risposta.
– Sono morto, – dissi alla fine. – Non li leggi, i giornali? – A quel punto ebbi uno sprazzo di lucidità, di quelli che ogni tanto ti vengono quando sei nella merda e hai già cominciato a scavare, e mi tornò in mente di aver letto sul «Missoulian» l’annuncio della mia morte, cosí come di aver raccomandato a Janey di tenere la bocca chiusa sull’intera faccenda. – Ma non sono morto, vero?
– L’idea è stata tua, figlio di troia, – disse, con le lacrime agli occhi, – e se io non fossi un rappresentante della legge ti avrei già ammazzato con le mie stesse mani, o quantomeno ti avrei lasciato suicidare in santa pace.
– Non conti piú un cazzo, – dissi lamentoso, – e nemmeno io. Bella sfiga, fare il cadavere.
– Insomma, che ci fai qui?
– Ero venuto a farmi un whisky e a sistemarmi un po’ il naso, – risposi. – Almeno prima del tuo arrivo. Poi volevo andare all’aeroporto a recuperare il mio vecchio e fido pickup…
– Il tuo pickup? – mi interruppe. – Testa di cazzo, il tuo pickup è posteggiato qua fuori.
– Ha, – dissi, ridacchiando ancora una volta, – m’era passato di mente. Chissà dove ho ficcato la Blazer, allora… Mi sa che ho seccato tutte le carte di credito di Sarah…
– Chi è Sarah?
– Non la conosci. Tu non arriverai mai al livello sociale di questa gente, nullità come sei, burino di uno sbirro di paese…
– Milo, Milo, – disse lui piano.
– Sí, capo, mi spiace, – dissi ridacchiando ancora di piú. – Lascia che ti offra da bere, capo.
– Sicuro, – disse, ma quando mi guidò fuori dal cesso mi costrinse a tirare dritto. Tentai di resistere, e Jamison mi bloccò con una presa a croce. Che razza di pappamolla ero diventato? – Grazie della chiamata, Janey, – disse.
– Già, proprio grazie, vecchia pettegola, – dissi io.
– Vaff… Stammi alla larga, okay? – A Janey non piacevano i vaffa, e mi costringeva sempre a usare degli eufemismi. È cosí che capisci se un barista è quello giusto per te, ovvero quando apprezzi le sue paturnie anche se non ci sei piú con la testa. – Stammi alla larga, sí. E i miei ringraziamenti te li puoi scordare, okay?
– Mi spiace, Milo, – disse, con lo sguardo dolce e tenero di una madre. – Se vuoi spassartela, nessuna obiezione, ma se ti vuoi ammazzare cerca di non farlo nel mio bar.
– Anche moralista, – dissi, mentre Jamison mi spingeva fuori. – Dove cazzo mi sta portando, reagente?
– A casa, – disse, congedando con un cenno della mano l’autopattuglia che doveva averlo portato fin lí dall’aeroporto. – A casa.
– Non ce l’ho, una casa, – dissi. – Stupida testadicazzofigliodiputtana, non ce l’ho una casa.
– A casa mia, – disse, mentre attaccavo a frignargli sulla spalla. – Casa mia –. Poi mi caricò sul pickup.
page_no="208"
Immagino che, in questa valle di lacrime chiamata vita, chi è ammalato, zoppo o storpio trovi quantomeno singolare che certa gente dal fisico di un torello veda in certi casi la propria buona salute come una maledizione e non una benedizione. Ma capita. Nelle scazzottate, anche se ne becchiamo tante da farci perdere i sensi, non andiamo mai giú troppo presto; l’eccesso di droga e le sue gioie non sembrano costarci piú di tanto; a volte, quando cerchiamo di bere fino ad ammazzarci, facciamo una figura meschina. Ma meschina sul serio.
Il padre di mia madre, che avevo visto una sola volta quando se n’era venuto in macchina da Boston a Meriwether, a settant’anni suonati, aveva iniziato a bere una bottiglia al giorno di rum della Giamaica – oltre che a fumare almeno una decina di sigari – durante la grande epidemia di spagnola del 1917: un’abitudine che a suo dire gli salvò la vita mentre, attorno a lui, la gente cadeva come mosche, e che mantenne fino alla morte a ottantadue anni. Il padre di mio padre si scolò la medesima quantità giornaliera di whisky, assieme a un bel po’ di sigarette Prince Albert, dai venti anni al compimento dei settanta; poi decise di smettere, e ne visse altri venti. Dio solo sa cosa significhi tutto questo; i medici no. Avere una costituzione robusta e non stare tanto a lamentarsi? Non lo so neanch’io.
Ma dopo ventiquattr’ore sul divano di Jamison e una sosta a mangiare uova e bistecca in una trattoria per camionisti a ovest della città, nella speranza di non incontrare nessuno di mia conoscenza che mi chiedesse perché non ero morto, avrei dovuto essere contento. Invece, avviandomi lento verso il pickup, mi resi conto che dovevo affrontare le grane, che dovevo piantarla di scappare e prendere il toro per le corna.
page_no="209"
Nell’attraversare a bassa velocità Meriwether, per vedere alla luce del giorno i resti della mia casa, lasciai la mente lavorare pigra, quasi in folle. In mia assenza la tormenta aveva finito per esaurirsi, lasciandosi però alle spalle le tracce di un doloroso passaggio. Un cielo plumbeo e opprimente gettava una cappa sul pomeriggio, e Meriwether si tirava fuori dalla neve preparandosi all’ennesimo, lungo inverno. Il fumo delle stufe a legna si muoveva lento sulla città come una nube tossica e assassina, nascondendo dietro di sé la gran massa di montagne simili a spettri irsuti. Per la strada, la gente aveva volti pallidi e vacui, come animaletti rintanati sotto berretti di pelliccia e sciarpe di lana o nascosti sotto i cappucci. Certo, sapevo benissimo che non era vero, che la maggior parte di costoro abitava lí per libera scelta e che l’inverno non era un prezzo troppo alto da pagare, ma sembrava che l’allegria e le risate fossero tutte in letargo. O forse solo il mio riso di ubriaco, le risatine indotte dalla cocaina.
Quando arrivai a casa mi parve che le montagnole che spuntavano qua e là, coperte dalla neve, potessero nascondere di tutto: un campo di battaglia, una pila di cadaveri congelati, la risulta di un ghiacciaio in via di scioglimento. Qualunque cosa. Appena fermai il pickup, la mia vicina piombò fuori in lacrime, mulinando le braccia.
– Milo, Milo, – mi gridò nel finestrino, – sei vivo! – Mi ero scordato di essere ufficialmente defunto. – Entra, – disse, – ti offro un caffè o quel che vuoi, e hanno anche lasciato posta per te. Entra. Un caffè.
– Sicuro, – risposi. Non sapevo come rifiutare.
Seduto al tavolo di cucina, sorseggiai caffè solubile e aprii la posta: bollette, per lo piú, ma anche qualcosa che mi serví a non dimenticare in che razza di mondo viviamo. Tre diversi individui, gente che con ogni evidenza non aveva letto molto bene i giornali, si offrivano di ricostruirmi la casa non appena avessi incassato i soldi dell’assicurazione. L’amministrazione cittadina voleva sapere che accordi avessi preso per rimuovere i detriti, che costituivano un rischio per la salute pubblica. Era anche arrivata la valigetta che mi ero spedito da Seattle.
– Ascolta, – dissi alla mia vicina, – devo chiederti un favore enorme.
– Qualunque cosa, – rispose. – Be’, quasi.
– Sai, il giorno stesso del tuo trasloco sei venuta da me a presentarti, e ormai ci conosciamo da un anno o giú di lí… – Sorrise, quando mi interruppi, e mi resi conto che non l’avevo mai guardata sul serio, non avevo mai pensato per un solo istante a lei se non come un oggetto che ogni tanto passava da me a fare qualche porcheriola. Dietro la superficiale aria di superiorità del suo sorrisetto c’era una donna viva e autentica, magari estremamente infelice e di certo molto confusa, se si imbrancava con uno come me per soddisfare i saltuari impulsi della carne. – Mi spiace, – dissi. – Neanche so come ti chiami.
– Già, – rispose lei. – Ci ho fatto caso tanto tempo fa, ma poi ho deciso che mi piaceva cosí. Oh, e sapessi che pianto che mi sono fatta, Milo, al pensiero che eri morto senza nemmeno sapere il mio nome… Insomma, è Ann-Marie.
– Grazie, – dissi. – Ann-Marie, ho un enorme favore da chiederti.
– Cosa?
– Non dire a nessuno che sono vivo, almeno per un po’, – dissi, togliendo la valigetta dall’imballaggio e ficcandoci dentro tutta quella fantastica corrispondenza.
– Perché?
– È questo il favore, non devi domandarmi il perché.
– Come vuoi.
page_no="211"
– Grazie.
Scucii il rivestimento del manico, tirai fuori la bustina arrotolata di coca e gliene regalai circa mezzo grammo. Non la finiva piú di ringraziarmi, ma io non avevo tempo.
L’Amc Eagle era ancora ferma davanti a casa di Abner, e a tal punto coperta di neve – omaggio delle spazzatrici stradali – da farmi capire che in mia assenza nessuno l’aveva mossa di lí. Simmons era rimasto ad aspettarmi, come gli avevo chiesto, ma quando aprii la porta e lo trovai seduto sul divano a prendere il tè in compagnia di Abner e Yvonne, il mignolo a mezz’aria come la zampa di un cane, intento a sgranocchiare biscottini allo zenzero e a ridere delle battutine televisive di Richard Dawson nel bel mezzo di qualche fittizia lite di famiglia, mi chiesi se non fosse il caso di lasciarlo lí.
Quando entrai nella stanza si alzò persino in piedi e divenne tutto rosso. – Cristo santo! – esclamò, per aggiungere subito dopo: – Mi perdoni, signora O’Leary. Non sapevo piú cosa fare, capo, quando ho visto che non tornavi, e cosí sono rimasto qui ad aspettarti…
– Hai fatto benissimo, – dissi. Capivo che Abner, saltellando da un piede all’altro, moriva dalla voglia di presentarmi l’affettatissima Yvonne, ma dissi a Simmons di preparare i bagagli. – Scusatemi un istante, – aggiunsi. – Torno subito. È una promessa –. Uscii di nuovo e mi diressi verso la casa usata per la sorveglianza.
Dalle finestre vidi che avevano ripulito tutto: le stanze erano vuote e linde, le pareti della cucina ridipinte, le piastrelle e persino gli elettrodomestici sostituiti. Un lavoro ben fatto, roba da professionisti. Mi chiesi cosa avessero fatto dei rifiuti, come si fossero liberati dei corpi. Per la prima volta, da quella sera, tirai fuori il taccuino per controllare i nomi: Willis Strawn ed Ernest Ramsey. Ero costretto a pensare che Strawn avesse appiccato il fuoco a casa mia per l’insostenibile dolore di aver perso l’amico grazie al mio stupido giochetto, e poi mi avesse aspettato per prendersi la sua perversa vendetta. Invece di uccidermi, mi aveva lasciato un’immagine di morte che mi sarei portato nella tomba. C’erano tante cose che non capivo. Come faceva a sapere che l’avrei trovato? Forse aveva notato le mie impronte la sera in cui ero andato a sbirciare dalla finestra. Non lo sapevo, punto e basta. Come per fin troppe cose nella mia vita, il meglio che potessi inventarmi era una brillante deduzione.
Tornando da Abner fui attanagliato dalla stanchezza. La neve sembrava risucchiarmi gli scarponcini per congelarmi in una morsa di gelida ignoranza. Forse potevo trovare qualche risposta a Seattle, scavando nel passato di Strawn e Ramsey, frugando negli angoli di un qualcosa chiamato Multitechtronics, Inc. Forse io e Simmons potevamo ancora prendere il volo del pomeriggio. Ma nell’alzare gli occhi al cielo vidi che lo strato nuvoloso si era cosí abbassato sulla valle da lasciar scorgere solo la base delle montagne. Anche se l’aeroporto di Meriwether fosse rimasto aperto, quel giorno, proprio non avevo voglia di attraversare quell’ammasso di nuvoloni fitti e gelidi: l’alternativa, quindi, erano dodici e piú interminabili ore di macchina su strade ghiacciate e banchi di neve per raggiungere Seattle.
A casa, Abner rifiutò gli altri soldi che gli porgevo, e io ero troppo sfinito per discutere. Lo ringraziammo, io e Simmons, e ci congedammo per dirigerci a ovest.
Fino a ovest di Missoula, l’Interstate si mantenne sgombra, ma appena fuori Alberton si scatenò una nuova tempesta, con raffiche di neve tanto forti da soffiare quasi parallele alla strada ghiacciata. Restammo sobri e con il naso sgombro, procedendo nella tormenta, ma tutto questo non fu sufficiente e, poco prima di mezzanotte, facemmo un testacoda sul lato est di Lookout Pass, finendo in oltre un metro di neve. Ci volle soltanto una sfacchinata di un’oretta, per liberare il pickup e montare le catene su tutte e quattro le ruote: un bel casino, visti i quaranta sottozero e il vento sferzante. A un certo punto, mentre ci scaldavamo a bordo del pickup, Simmons si voltò verso di me e mi chiese, sbatacchiando i denti: – Secondo te ci danno ancora dentro, i due vecchiardi?
– Abner e Yvonne, dici?
– Già.
– È l’unica cosa che ha in testa, quel vecchio trombone, – risposi, cercando di sorridere anche con la faccia surgelata.
– Sai, quando si è giovani non si capisce un cazzo, – disse lui. – Mai pensato a una cosa del genere, per le persone anziane, e mi sono sempre chiesto, be’, insomma, chissà com’è che fanno –. Non capivo se stava diventando rosso o se gli era ripresa la circolazione del sangue.
– Quindi vorresti dire che io sono abbastanza vecchio per saperlo.
– Ma no, capo, niente del genere, – disse lui. – Solo che pensavo che agli uomini di una certa età non gli tirava piú e che alle donne…
– Ci vuole coraggio, – risposi, – e poi tutto è possibile –. Al che, scoppiammo a ridere. – Adesso montiamo l’ultima catena e togliamoci da questo casino.
Ma neanche le catene servirono a molto. Ci toccò prendere dalla cassetta degli attrezzi una mazza da otto chili e un picchetto d’acciaio per ancorare il verricello. Mentre piantavamo il picchetto nell’asfalto ghiacciato, Simmons smise di martellare per riprendere fiato.
– Spero che gliela stia facendo uscire dalle orecchie, in questo preciso istante, – disse, sorridendo nel vento. – Se mi è rimasto simpatico, quel vecchio figlio di puttana… Non mi era mai capitato di avere a che fare con gente di quell’età, a parte gli ubriaconi che passano le giornate al Deuce, ma quei due vecchietti sono in gamba.
– Fligliolo, le gambe finiremo per lasciarcele noi, in questa neve, – dissi. – Dacci dentro, con quella mazza.
Ben presto il viaggio iniziò ad assomigliare a una spedizione artica – via le catene sull’altro versante di Lookout Pass, su di nuovo per valicare il Fourth of July Summit, Idaho, via ancora una volta, per poi rimontarle allo Snoqualmie Pass e toglierle subito dopo – e, per l’utilità della faccenda, tanto valeva restarsene a Meriwether, dove almeno potevo mettermi al calduccio a sognare Cassandra Bogardus.
Quando arrivammo a Mercer Island, all’indirizzo di Strawn e Ramsey corrispondeva una carcassa bruciata sulla sponda del Lake Washington, le cui acque calme e grigiastre erano battute da una pioggia sottile.
– Cos’è che dovremmo cercare, capo? Case bruciate? – mi chiese Simmons, scoppiando poi in una risata. Tutta colpa della stanchezza.
– Degli autentici farabutti, – risposi. E la mano di Simmons scivolò sotto il giubbotto per toccare il calcio della .357 in un brivido di paura. O forse era il ricordo del vento gelido e della neve.
– Occhio, – lo misi in guardia, notando una giovane donna che, uscita dalla casa accanto e infagottata in una cerata color blu elettrico, si stava dirigendo verso di noi.
– Salve, – disse a bassa voce quando ci fu vicina. Aveva uno di quei volti intelligenti e vivaci, oltre che privi di preoccupazioni economiche, che ci si aspetta di trovare a Mercer Island: chissà, forse la seconda, piú giovane moglie di un medico o un avvocato o un ricco capo indiano. – Posso aiutarvi? – chiese con educazione.
– Stavamo cercando mister Strawn o mister Ramsey, – dissi, – ma vedo che non sono in casa.
– Ah, allora non lo sapete, – disse lei, ancora sottovoce. – Spero che non fossero vostri amici…
– Colleghi di lavoro, – risposi e lei annuí, come se avesse capito cosa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Uno
  5. Due
  6. Tre
  7. Quattro
  8. Cinque
  9. Sei
  10. Sette
  11. Otto
  12. Nove
  13. Dieci
  14. Undici
  15. Dodici
  16. Tredici
  17. Indice