I Traditori
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  1. 586 pagine
  2. Italian
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Informazioni su questo libro

Da Palermo a Londra, da Roma a Torino, da Venezia alla Transilvania, nelle carceri inglesi e nei boschi della Calabria, tra pittori preraffaelliti e camorristi promossi poliziotti, tra mercanti di carne umana e lord irrequieti, giovani uomini e donne sognano, combattono e amano.
E tradiscono. Ognuno va incontro al suo destino.
A qualcuno tocca in sorte una nuova vita.
Alcuni diventano faccendieri e delinquenti.
Alcune donne guardano piú avanti, piú lontano.
Gli ideali piú puri si fanno gretta convenienza.
Le organizzazioni criminali si innervano nella nazione che nasce.
I mafiosi intraprendono. I tagliagole tagliano gole.
E Mazzini tesse la sua tela di sangue e utopia.
Eppure, tra battaglie e cospirazioni, tra vite leggere e amori complicati, si compone potente e netto il disegno di una stagione e di un ideale che è sempre possibile.
E che di nuovo ci attrae, con l'innocenza di una forza giovane che non possiamo dissipare. I PERSONAGGI DEL ROMANZO EROI, TRADITORI E BANDITI Violet Cosgrave. Inquieta lady, discendente di corsari.
La Striga. Creatura delle foreste.
Janet Corrigan. Pasionaria irlandese.
Esther. La figlia dell'usuraio.
Rosie Wexingham. La maîtresse. Lorenzo di Vallelaura. Nobile veneziano senza patria.
Mario Tozzi. Repubblicano romano.
Terra di Nessuno. Guerriero sardo.
Michele Liberato di Villagrazia. Barone siciliano.
Paolo Vittorelli de la Morgière. Capo dei servizi segreti piemontesi.
Rudolf von Aschenbach. Funzionario dei servizi segreti austriaci.
Salvo Matranga. Mafioso.
Lord Jerome Chatam. Un aristocratico estenuato.
Il Calabrotto. Capobastone calabrese.
Don Totò 'o Meschiniello. Camorrista.
Don Tore De Lorenzo. 'O Masto.
Griffin McCoy. Reporter americano.
Lussardi. Trafficante di bambini.
Don Calò. Capomafia.
Saraceni. Giudice borbonico.
Solomon. Rabbino.
Cole. Pastore protestante.
Turrey. Un arrogante.
Il Trevigiano, er Berva, Perry il Ratto, Mickey Faccia di Morto, Frank Gozzo. Tagliagole. I PERSONAGGI STORICI Giuseppe Mazzini. Il Maestro.
Carlo Pisacane. Il socialista.
Camillo Benso conte di Cavour. Il ministro.
Giuseppe Garibaldi. Il Generale.
Vittorio Emanuele II. Il re.
Napoleone III. L'imperatore.
Massimo D'Azeglio. Il marchese.
Luigi Carlo Farini. Medico e dittatore.
Bettino Ricasoli, detto Bet-Bey. Barone fiorentino.
Luciano Buonaparte, principe di Canino. Aspirante statista.
Ciceruacchio. Eroico bottaio.
Sir Charles Babbage. Pioniere della scienza informatica.
Ada Lovelace. Matematica, figlia di Lord Byron.
Giovanni Corrao. Il garibaldino.
Francesco Crispi. Il rivoluzionario.
Felice Orsini. Il terrorista.
Simon-François Bernard. Il nichilista.
Algernon Charles Swinburne. Il poeta.
Dante Gabriel Rossetti. Il pittore.
Thomas Carlyle. Un reazionario lungimirante.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806202118
eBook ISBN
9788858403815

Parte quarta

1849

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Gennaio
Mario Tozzi ha capelli neri e ricci, e occhi ribaldi che, a volte, s’accendono di innocente crudeltà. Dal ponte della nave vede avvicinarsi il porto di Marsiglia. Chissà se riuscirà a incontrare Mazzini in persona e a consegnargli le lettere del comitato rivoluzionario romano. Roma: finalmente liberata dal papa e dai preti!
I preti, Mario, l’ha visti girare per casa sin da quando era alto du’ soldi e tutti lo chiamavano Mariolino e dicevano che un giorno avrebbe preso il posto di papà. I Tozzi, coi preti, ci commerciano da generazioni. Non c’è chiesa nell’Urbe che non risplenda dei paramenti lussureggianti amorevolmente cuciti da sarti e apprendisti nelle buie cantine della fabbrica di famiglia, a Borgo Pio. Non c’è papa, cardinale, vescovo o umile prelato che non sia passato, almeno per una volta, dalle mani der sor Bartolo, padre esemplare, perfetto pater familias e preclaro paternostraro agli occhi delle sottane che se so’ spolpate Roma, grandissimo fijo de madre ignota nelle conventicole del ceto operaio. Un devoto, devotissimo, sor Bartolo. Tanto devoto da mettersi a lutto quando, due anni prima, con sciagurata decisione Pio IX aveva deciso di spalancare le porte del ghetto, ponendo fine alla secolare segregazione degli ebrei. E poiché il papa, qualunque papa, anche quello che meno prossimo è alla tua visione del mondo, è comunque, per diritto divino, assistito dal dogma dell’infallibilità, era stato giocoforza, per il credente Bartolo, attribuire ad altri la responsabilità della nefandezza: ai cardinali mollacchioni, alle mene dei banchieri strozzati dai giudii ganavimme, cioè usurai, e, naturalmente, alla mala genia dei mazziniani.
– Si annidano dappertutto, quei dannati! – soleva ripetere ai famigliari, convenuti a gozzoviglie d’abbacchi e vino dei Castelli, e occasionalmente d’istrice, la spinosa che la nobiltà cacciava con accanimento nelle foreste ciociare. – Dappertutto! Pronti a colpire nell’ombra coi loro pugnali, gente senzaddio, diavoli che ti catturano l’anima con uno sguardo e una volta che te l’hanno presa sei fottuto, fottuto per sempre!
Il bastimento attracca. Mario Tozzi pensa a suo padre, pòro sor Bartolo. Quando ha saputo che suo figlio s’era messo coi senzaddio a momenti gli prende uno stranguglione, e poi voleva mettere mano alla cinghia, e Mario gliel’ha strappata con un colpo solo e ha cercato persino di convincerlo.
– Roma se merita quarche cosa de piú de ’sti papi rincojoniti e de ’sti preti magnoni.
Ma non c’era stato verso di spiegargli che tutti loro, a ben vedere, avrebbero avuto da guadagnarci, dalla causa. Er sor Bartolo aveva immantinente chiuso la baracca, licenziati lavoratori e servi, s’era caricato armi e bagagli sulla carrozza collo stemma volgare di famiglia – ago, filo e la chiave di san Pietro – e aveva seguito Pio IX nell’esilio a Gaeta. Mario l’aveva visti andare via con un certo sollievo. Almeno erano al sicuro. E, dopo la vittoria, sarebbero tornati. Ci avrebbe pensato lui a proteggerli. Quando, insieme ai compagni, sarebbero diventati i nuovi padroni di Roma.
Mario s’è fatto repubblicano a quindici anni. A furia de sta’ vicino ai preti, c’era qualche prete che s’era avvicinato troppo a quel ragazzotto dalla bellezza ribalda. E ancora portava sulla guancia il segno della zaccagnata del suo primo coltellino, ’sto debosciato. Da quel momento, Mario aveva cominciato a guardare ai preti in un modo diverso. Magnavano, bevevano, fottevano e se ne fottevano, ma la domenica predicavano predicavano, e guai a contraddire le loro prediche. Erano pieni de quatrini, e il popolo soffriva la fame e la miseria. Una persona che avesse un po’ de core, diteme voi, da che parte doveva stare? Si era legato ai rivoluzionari piú accesi. Aveva fomentato gli operai del padre. Passava le serate col capopopolo Ciceruacchio e i suoi figli, e con gli altri cospiratori. Manco due mesi prima avevano brindato insieme alla morte del ministro Pellegrino Rossi, ché se anche, come era opinione corrente, non era stato un pugnale rivoluzionario a spegnerlo, ma agenti piemontesi o isolati facinorosi, be’, se l’era meritata, e tolto de mezzo lui, la strada alla Repubblica era spianata.
Un giovane alto e biondo è sul molo ad accoglierlo. Si presenta come Lorenzo di Vallelaura. Ha l’aria cupa, lo sguardo sfuggente tipico della gente del Nord. Mario cerca di scambiare qualche battuta, ma ’sto Lorenzo continua a tacere, immusonito. Mario si domanda se la tetraggine sia un costume diffuso fra i mazziniani: se cosí è, i romani devono fare eccezione, perché anche nei momenti piú cupi, anche quando tutto sembrava perduto e papa Pio, ’sto ’nfame, tradiva una speranza dopo l’altra, anche allora c’era sempre chi stemperava la tensione con una battuta, chi metteva in tavola un po’ di fava e pecorino, chi te ricordava, insomma, che la vita può essere un gran casino, ma è anche, soprattutto, una e una sola. Una, una sola e saporita, e d’un sapore che se non lo cogli subito te lo perdi per sempre. Altro che diavoli e acquesante.
L’incontro con Mazzini è breve, e, se deve dirla tutta, un po’ deludente. Mazzini è proprio come se l’aspettava: grave e composto, di poche parole. Mario porge al Maestro le condoglianze per la morte del padre, che cosí duramente l’ha colpito, e gli consegna le lettere. Dentro, fra le altre cose, c’è l’annuncio della sua elezione a deputato della nuova assemblea costituente. Mario gli racconta la sua storia, quella del prete pervertito, e Mazzini lo esorta a non confondere la chiesa con Dio, il papa con la fede, le imperfezioni umane con l’armonia del creato. Anvedi che predica! Ogni accenno all’assassinio di Pellegrino Rossi è spento da un gesto fra l’indifferente e il dolente. E quando, infine, Mario gli dice che ha il compito di scortarlo a Roma, Mazzini, laconico, ribatte che è presto, poi gli dà la mano e scompare, seguito dai suoi. Mah, pensa Mario, tutto qui? Resta solo il biondo dall’aria lugubre. Mario chiede indicazioni. Il veneziano spiega che non è affar suo, gli consiglia un buon albergo. Mario decide di ripartire. A Roma sarà piú utile (e si sentirà meno stronzo). Il biondo annuisce, e gli fa capire che la conversazione, per quanto lo riguarda, ha avuto termine.
A sera, al porto, Mario fa amicizia con un altro compagno. Un sardo dal nome curioso, Terra di Nessuno. Si scoprono tutti e due impazienti dell’azione; esibiscono l’uno la pattadesa, l’altro il serratore dalla lama a scatto, decantano le qualità dei rispettivi coltelli.
Il sardo è davvero un tipo a modo. Riesce pure a convincere Mario a inghiottire cozze e altri molluschi, quella roba de mare che per un romano vero è veleno. Il sardo racconta le campagne del ’48, le marce nella notte, il sangue austriaco bevuto dalle baionette.
– Tutto sembrava perduto, e invece tutto ricomincia! – s’esalta, e tutto, dice piú e piú volte, tutto dipende dal Maestro. Mario capisce che Mazzini è, per lui, come il padre che ha perso quand’era ancora bambino. Un padre che vuole cambiare il mondo.
– Obiettivo ambizioso, – commenta Mario, tracannando l’ennesimo boccale di quel vinello rosato e spiritoso che monta leggero alla testa.
Il sardo sembra andare in puzza, indispettito dall’ironia di Mario.
– Perché? C’è un altro motivo per fare la rivoluzione?
– Io m’accontenterei de levàmme d’attorno un po’ de preti e un po’ de vecchi rompicojoni… e de vive’ un po’ mejo…
Il sardo lo guarda strano.
Mario s’affretta ad aggiungere: – Naturalmente, la causa è tutto! – Ma l’altro è poco convinto.
– Questo non è un gioco, romano. Mettitelo bene in testa!
Poco distante, in una stanzetta illuminata a stento da due candele che vanno immiserendosi, Lorenzo finisce di scrivere due lettere che spedirà la mattina seguente. Nella prima annuncia al cancellierato che presto Mazzini tornerà in Italia, e chiede disposizioni. Nella seconda, che gli è costata giorni e giorni di tentativi e rinunce, confessa a lady Violet di essere perdutamente innamorato.
Lady Violet ha una nuova amica. Janet Corrigan. Janet è irlandese. Suo padre ha accumulato una fortuna fabbricando birra. Janet ha i capelli rossi ed è già stata «segnalata» alle autorità per il suo attivismo nel movimento per i diritti delle donne. È naturale che cerchi di coinvolgerla nel suo grande progetto: una raccolta di fondi e di armi per i patrioti italiani, decisi a riprendere la guerra contro l’invasore.
– Finirai per finanziare anche la causa irlandese! – ride l’amica, che comunque accetta l’offerta. Sulla tovaglia di una casa da tè in Chelsea viene dispiegato il piano: lancio della sottoscrizione, coinvolgimento dei simpatizzanti e tentativo di (benevola) estorsione di denaro a vecchi nobili annoiati e disposti a lasciarsi (benevolmente) sedurre da due avvenenti fanciulle. Modello lord Chatam, per intendersi. Acquisto delle armi. Imballaggio delle stesse. Noleggio di un trasportatore di fiducia, da ingaggiare per mezzo di qualche circolo socialista. Infine, partenza a bordo di un piroscafo.
– Partenza? Vuoi andare in Italia?
– Potremmo andarci insieme… Se decidiamo di farlo, niente potrà impedircelo.
– E tuo padre?
– Non dipendo piú dalla sua autorità, dovresti saperlo.
– Tu mi nascondi qualcosa, Violet!
Violet arrossisce. Janet ha qualche anno piú di lei: Violet spera ardentemente che abbia piú esperienza nel campo dei sentimenti. Osa pensare, addirittura, che l’abbia già fatto, che si sia concessa a un uomo. Che sappia spiegarle, in altri termini, che cosa sia, o che cosa possa essere, l’amore. È cosí che le mostra la lettera di Lorenzo. Janet legge quelle pagine che grondano passione e desiderio, e quando restituisce la missiva, ha anche lei le guance imporporate, e lo sguardo acceso.
– Allora? – domanda Violet, sulle spine.
– È innamorato perso!
– Questo è chiaro, ma tu che ne dici?
– Come si fa a giudicare un sentimento per lettera? Com’è? Parlami di lui.
– È… cupo. Tenero, ma cupo.
– Lo ami?
– Non lo so.
– Lo desideri al punto da svegliarti nel cuore della notte fradicia di sudore e con la febbre? Senti che la tua carne urla quando lui si avvicina? Sogni che una palla nemica lo porta via e la mattina, al risveglio, sei decisa a farti monaca?
– Janet! Ma come puoi pensare…
– E mi sono limitata alla superficie. Come avrai notato, non ho ancora tirato in ballo l’argomento figli, famiglia, abito bianco…
– Janet, ti prego…
– Comunque, mia cara, non c’è che un modo per risolvere questo dilemma: andare in Italia.
– Allora verrai?
– Non mi tirerei indietro per tutto l’oro del mondo!
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Febbraio
Alla fine, Mario Tozzi c’è tornato, a Roma. E che ci restava a fare a Marsiglia, mentre il Maestro era perennemente chiuso a gran consiglio con i fedelissimi, e i giorni passavano, e le voci sull’entrata in guerra dei piemontesi si rincorrevano? Il sardo, Terra di Nessuno, s’è imbarcato anche lui. Forse Mazzini gli ha affidato una missione, o forse ha solo voglia di menare le mani.
Il viaggio pare a Mario interminabile. Il mal di mare lo tormenta. Quando il sardo gli offre formaggio e pane secco, gli vomita sui piedi. Il sardo ride, e lo forza a inghiottire un boccone dopo l’altro.
– E bulívisi fare ’a guerra! – commenta sarcastico il sardo. Mario lo guarda interdetto. Il sardo traduce: volevi fare la guerra e ti fai mettere al tappeto da un po’ di onde… È un’offesa di quelle che, dalle parti del Borgo, si lavano con la lametta. Ma tra fratelli – perché chi è pronto a versare il sangue per la causa questo è: un fratello – si deve lasciar correre. D’altronde, la cura del sardo fa il suo effetto. Mario rutta, e la nausea piano piano si attenua sino a svanire. Cosí, Mario ringrazia il sardo per avergli salvato la vita.
– Ricordatene al momento opportuno, – risponde quello, di colpo cupo. Fratelli, italiani, pensa Mario, d’accordo, ma ammàzzate, quanto semo diversi!
A Roma, Mario richiama i quindici operai del padre.
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– Riapro la fabbrica!
Quelli lo prendono per pazzo. Col papa lontano e i pochi preti rimasti rintanati nelle canoniche per paura delle sacrosante vendette, chi vuoi che si comperi i paramenti e gli arredi, le pianete e le tonache?
– Niente pianete e niente zuccotti, fratelli. Da ora in avanti produrremo solo abiti civili e divise per i soldati.
– E con che stoffa, Marioli’, – s’informa, scettico, un anziano sarto con gli occhi devastati da anni di lavoro nella tetra penombra dei magazzini der sor Bartolo, – tu’ padre s’è portato via puro le forbici.
– A questo penserò io.
Stringe un accordo con l’assemblea che ora comanda su Roma, in pratica diventa il fornitore ufficiale. In cambio, gli garantiscono un prestito, ma non è sufficiente per assumere tutti quelli che Mario ha richiamato in servizio. Mandarne via qualcuno? E come? E che figura ci fa, il repubblicano solidale? Allora li riunisce, e li convince ad accettare una paga ridotta. Promette che quando la situazione si sarà consolidata le cose miglioreranno per tutti. Chiede fiducia, offrendo un progetto, spacciando ideali. Molti accettano, qualcuno si defila. Fra loro, uno sfregiato che chiamano er Berva: per la leggendaria perizia nell’uso del coltello e perché, a giudizio unanime, è uno che il cuore o non l’ha mai avuto o s’è scordato presto d’averlo.
Nel rifutare l’accordo, er Berva si lascia scappare una frase che incuriosisce Mario.
– De ’sti tempi, ’n omo co’ li cojoni va a cerca’ fortuna a Ancona.
– Perché, Berva, che ce sta de diverso a Ancona?
– Certe domande è mejo nun farle, Marioli’…
Mario ci pensa un po’ su, poi riferisce all’assemblea. Un paio de capoccioni promettono che indagheranno. Viene a saperlo anche il sardo. E, secondo la sua natura impulsiva, invece di fare domande, attrezza una giberna e si mette in viaggio.
Del grottesco tentato suicidio del Natale gli è rimasto un segno indelebile. Il collo storto, che non vuol saperne di riprendere il suo posto naturale. Cosí abbiamo un nuovo inglese sciancato, dopo il povero Byron, ha commentato lord Chatam davanti all’ennesimo, vano e dolorosissimo intervento del medico personale della Regina. Un collare ortopedico, recente invenzione di un tedesco – o russo, vallo a sapere –, gli consente, quand’è in società, di assumere una postura meno ridicola. D’altronde, nessuno, in società, oserebbe ridere di lord Chatam. D’altronde, per dirla tutta, lord Chatam si astiene ormai da tempo da quella fiera del vaniloquio e della sciatteria che i suoi contemporanei chiamano «società». Negli ultimi due mesi ha cercato in ogni modo di riprendere la sua vecchia, cara vita. Ha organizzato un’orgia dopo l’altra, sguinzagliando i piú accreditati prosseneti di Londra alla ricerca di prelibatezze esotiche. Nell’avita magione sono transitate gemelle siamesi, nani dalle mostruose appendici, veneri dalla carne nera e dagli occhi a mandorla, due condannati a morte, un parricida e un ladro di cervi della corona, costretti ad accoppiarsi a turno, in cambio della grazia, con il cadavere di un’annegata davanti a una selezionata élite di invitati. Sei ragazze di campagna dello Yorkshire sono state comperate da un mercante di carne umana, legate, affidate alle cure di alcuni nordafricani e forzate a nutrirsi dei loro escrementi. Inutile. La noia, il disgusto hanno ormai preso il sopravvento. I figuranti sono stati lautamente ricompensati, le ragazze di campagna piú di chiunque. Il mercante di carne umana è stato bastonato dai servi e gli è stato proibito di rimettere piede in Inghilterra. Ma neanche le buone azioni hanno sortito il minimo effetto sul tedio di lord Chatam. Un ingegnoso francese ha mostrato immagini pornografiche in movimento, ispirate all’opera del marchese De Sade, con un apparecchio di sua invenzione. Lord Chatam si è addormentato a metà dello spettacolo. Ha raddoppiato il consumo di oppio. Voleva stordirsi, si è scoperto insensibile alle dosi progressive di droga. Una maledizione grava su di lui: il Bene e il Male lo opprimono in egual misura, giorno dopo giorno una prigione invalicabile gli succhia l’aria intorno, e la condanna ha il doloroso gusto dell’eternità. Vengono in visita lady Violet e una prosperosa ragazza di sangue irlandese. Chiedono soldi per una delle tante cause che accendono i cuori impetuosi. Lord Chatam lascia partire uno dei bons mots che l’hanno reso celebre.
– Denaro a della gente che lo userà per venire qui, a casa mia, farmi la pelle e bruciare tutto? Mi sembra un’ottima idea, lady Violet.
Il tono con cui lo pronuncia non ha niente dello spirito acre di una volta. Sembra la benevola reprimenda di un parroco di campagna, l’accondiscendente benedizione di un burbero padre. Per un breve istante si vede nei panni di lord Cos-grave, il «padre-conservatore-che-finge-di-contrastare-la-figlia-rivoluzionaria-e-poi-fa-esattamente-ciò-che-lei-pretende. Un innocuo ex cattivo convertito. Finirà abate in qualche monastero? Protettore di orfanelle?
– Prendete e levatevi dai piedi! – quasi ruggisce, elargendo alle «rivoluzionarie» uno scrigno colmo di gioie, come se la villania potesse scacciare le tetre nubi che opprimono il cielo della sua anima.
– Lady Lovelace mi incarica di mandarvi i suoi saluti. Stasera ci sarà un ricevimento nella sua casa di Holborn. Lady Lovelace gradirebbe molto averv...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Parte quarta
  8. Parte quinta
  9. Parte sesta
  10. Parte settima
  11. Parte ottava
  12. Parte nona
  13. Parte decima
  14. Parte undicesima
  15. Parte dodicesima
  16. Parte tredicesima
  17. Epilogo
  18. Paolo Vittorelli de la Morgière
  19. Lady Violet Cosgrave
  20. Salvo Matranga
  21. Lorenzo di Vallelaura
  22. Giuseppe Mazzini a lady Violet Cosgrave nel giorno della morte del suo bambino
  23. Indice