Storie di uno scemo di guerra
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Storie di uno scemo di guerra

Roma, 4 giugno 1944

Ascanio Celestini

  1. 168 pagine
  2. Italian
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Storie di uno scemo di guerra

Roma, 4 giugno 1944

Ascanio Celestini

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«Il 4 giugno 1944 mio padre c'aveva otto anni.
Mio padre diceva che rischiò di morire per una cipolla. Per quella cipolla uno scemo di guerra gli sparò addosso. Mio padre diceva che lo mancò per un pelo, ma perse la cipolla.
Diceva che i tedeschi scappavano da Roma e gli alleati stavano arrivando. Tutti 'sti soldati attraversavano la città da sud verso nord, e invece lui per tornarsene a casa andava nella direzione opposta. Mio padre diceva che camminò contromano rispetto alla Storia». Il giorno della liberazione di Roma dentro gli occhi di un ragazzino. Una storia raccontata per trent'anni, poi ramificata nella memoria e nella fantasia, dove il bombardamento di San Lorenzo può stare accanto alla leggenda del barbiere dalle mani belle e il rastrellamento del Quadraro si trasforma nella parabola delle mosche pacifiche e perfette.
Nelle pagine di Ascanio Celestini, cosí come nei suoi spettacoli, non resta che arrendersi all'incantesimo della grande narrazione.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858401231

Seconda parte

Uno

Era il pomeriggio del 4 giugno del 1944.
Erano passate due ore e mio padre stava ancora con la cipolla in mano sotto alla grata arruzzinita. Stava ancora a parlare con quel braccio secco secco per convincerlo che l’americani erano quasi arrivati. Gli disse che insieme al resto della società del maiale era sceso per via Taranto, aveva ripreso la via Tuscolana e s’era fermato sotto la pensilina della scuola Cagliero all’angolo di via delle Cave.
Da quella pensilina aveva visto i soldati fermi sotto l’arco di Primavera. La gente diceva che «quelli so’ americani... finalmente so’ arrivati l’americani!»
Ma qualcuno era sicuro che «no, vedrai che quelli so’ sempre i tedeschi».
E qualcun altro diceva che forse «quelli so’ tedeschi travestiti da americani!»
Ma Nino era sicuro che erano proprio americani, e pure il barbiere resuscitato diceva che «so’ americani... so’ americani... io l’ho già visti i soldati americani e posso testimoniare che so’ fatti proprio cosí...»
Una piccola folla di gente s’era radunata sotto alla grata e tutti tifavano per Nino.
Tutti facevano sí... sí... con la testa e dicevano che «so’ americani... so’ arrivati l’americani...»
«Non so’ americani, – disse quello col braccio secco infilato nella grata. – Non sarà oggi che liberano Roma... e non la libereranno l’americani...»
Disse che s’era chiuso dentro a quella casa mezza bombardata piú di un mese prima. Che stava chiuso là dentro aspettando la fine della guerra. Disse che s’era rifornito e c’aveva robba da mangiare almeno per un anno. E disse pure che le cipolle sono un ortaggio che si mantiene perché non è un frutto... perché è il seme della pianta, il bulbo che sta sotto terra, e lui s’era messo sotto terra come ’na cipolla... e di cipolle se n’era stipate diversi chili... e non ne voleva perdere manco una... e l’avrebbe difese col fucile...
E disse pure che «se dovete arrivare al Quadraro è pericoloso andarci di giorno. Al Quadraro ci stanno i tedeschi che ci fanno i rastrellamenti.
Vi conviene aspettare la notte. La notte è tranquillo».

Due

Durante la guerra la notte è la fine del mondo.
Senza tutta la caciara dell’esseri umani ci sta solo il silenzio e le finestre chiuse.
Ogni tanto qualche sfollato si affaccia da qualche baracca costruita a pezze e bandoni sotto l’archi dell’acquedotto e si guarda il Quadraro che rassomiglia a una giostra ferma. Tutte ’ste case se ne stanno tramortite in mezzo all’oscuramento come i cavallucci di legno nelle fiere quando alla fine della serata arriva il padrone e stacca la spina della corrente.
O forse pare proprio che so’ tutti morti al Quadraro, ma non di quelle morti catastrofiche che lasciano ai sopravvissuti il lavoraccio di rimettere tutto a posto e seppellire le salme. Qui pare che l’anime di questi defunti si sono portate all’altro mondo pure il mucchietto d’ossa che gli avanza dalla vita. Che hanno fatto ’sto servizio da netturbini proprio per una certa educazione, per non lasciare sporco.
L’uomo col braccio secco infilato nella grata disse che «al Quadraro, poi, la notte dura pure di piú che nel resto dell’Urbe, qui il coprifuoco l’hanno anticipato alle quattro del pomeriggio per la colpa del Gobbo che ha sparato tre tedeschi il giorno di Pasquetta...»
Disse che «io ci conosco uno al Quadraro. Uno che abita a via dei Quintili, al terzo piano. Uno che si chiama Primo. Lo conoscete?»
Tutti restarono zitti. Solo mio padre fece sí... sí... con la testa per arruffianarselo nella speranza che gli lasciasse la cipolla.
Cosí quello dietro alla grata si mise a parlare e non lo azzittò piú nessuno...
Disse che Primo era stato chiamato a questa maniera da una madre speranzosa di avere tanti figli. Una che gli sarebbe piaciuto di arrivare almeno fino a un ipotetico Settimio. Invece era passata la guerra d’Africa a portargli via il marito e quello era rimasto Primo e Unico.
Mio padre diceva che questa storia dell’uomo dietro alla grata inizia in un giorno preciso. Inizia all’alba del 17 aprile del 1944.
In quell’alba Primo si era alzato per andarsi a cercare lavoro verso il centro di Roma, e doveva farsi a piedi la salita del Quadraro che è ’na maledizione. «A noi del Quadraro c’hanno messo in fondo a ’sta discesa per farci ricordare tutti i giorni che entrare dentro Roma è ’na fatica. Che per diventare cittadini dell’Urbe per noi è tutta ’na strada in salita» diceva alla madre nel mentre che si lavava la faccia. Intanto la madre si rimirava la fotografia del padre vestito da bersagliere e nel cervello suo si vedeva quel padre e quel figlio come due ritratti uguali. «Siete proprio uguali tu e tu’ padre» diceva, ma per Primo non era vero manco per niente. «C’avete la stessa faccia... lo stesso naso» diceva. E glielo ripeteva tutte le mattine verso quell’ora quando lo vedeva nel piccolo cesso ricavato da una specie di balconcino. «Lo stesso naso, la stessa faccia...» ma a Primo gli pareva che quel padre morto poteva rassomigliare solo all’altri sei figli che non gli erano mai nati. Però alla solfa della madre doveva rispondere e per farla contenta gli rispondeva che «sí... c’abbiamo lo stesso naso io e papà... lo stesso naso» e quella incominciava la giornata un po’ piú contenta. La patria gli aveva fatto morire ammazzato il marito, ma almeno il figlio glielo aveva risparmiato. Mo’ sulla faccia di quel figlio ci stava appiccicato il naso del padre morto. Diceva lei che «questo è il naso de tu’ padre. Tu’ padre era un eroe di guerra e tu devi essere fiero del naso di un eroe!» e lui si portava in giro ’sto naso come una medaglia al valor militare attaccata in mezzo alla faccia.
In quell’alba Primo si faceva la barba e si affacciava alla finestra e non vedeva nient’altro che la salita del Quadraro. Avrebbe dovuto vedere pure i tedeschi che erano arrivati da un pezzo. I tedeschi che stavano al Quadraro già da un paio d’ore. Ma affacciato alla finestra gli pareva di vedere solo quella salita sulla quale avrebbe dovuto incominciare la giornata. Se una salita del genere gli fosse capitato di farla verso la metà della strada gli avrebbe fatto un altro effetto... ma proprio lí, all’inizio della camminata, era un calvario a farsela tutta a piedi. E manco poteva prendere il tram perché al Quadraro non c’arrivava piú manco quello. Era una settimana che l’abitanti quadraroli stavano in punizione... che i tedeschi gli avevano tolto i tram e anticipato il coprifuoco alle quattro del pomeriggio per quel fatto che era successo. La storia dei tedeschi morti era girata subito e pure a Primo gliel’avevano raccontato che il lunedí di Pasqua tre tedeschi ubriachi erano stati ammazzati dai partigiani del Gobbo del Quarticciolo. Dice che il fatto era successo all’osteria del Piccione e cosí, per ripicca, i tedeschi gli avevano levato i tram e un’ora d’aria al giorno. Per questo fatto dei soldati ammazzati parecchia gente c’aveva paura di qualche rappresaglia.
Mo’ era passata ’na settimana precisa. Mo’ Primo si guardava la salita mentre la madre si rimirava il ritratto di suo marito, ma nessuno dei due pensò ai tedeschi.
I tedeschi invece pensavano a loro, e alle cinque precise gli arrivarono dentro casa.
Primo non fece in tempo a vestirsi che se lo portarono via co’ le ciavatte e i calzoni del pigiama. E manco la madre fece in tempo a spiegare. Un soldato gli mise in mano un foglio di carta, lui si infilò una giacchetta e scese con loro. Solo quando l’hanno infilato in un camion l’ha ritirato fuori per leggerselo. Ci stava scritto:
PORTARE CON SÉ DOCUMENTI PERSONALI E DICHIARAZIONE DELL’ATTUALE OCCUPAZIONE, SCODELLA (POSSIBILMENTE INFRANGIBILE) E POSATE, TENUTA DA LAVORO, SCARPE E BICCHIERI, ASCIUGAMANI, VIVERI. IL BAGAGLIO NON DEVE SUPERARE I 10 CHILOGRAMMI. PER FARE I BAGAGLI SONO CONCESSI NON PIÚ DI 10 MINUTI...
E invece lui non s’era portato manco una forchetta... manco una maglia di lana perché gli era parso che se cercava di recuperare qualcosa dentro a un cassetto gli sparavano pure!
Per strada era pieno di gente e tutti erano mezzi svestiti come lui, poi il camion è partito e s’è diretto al cinema Quadraro. Ce ne stavano due di cinema in borgata. Uno era quello lí e l’altro era il Folgore. Erano tutti e due di proprietà dei fratelli Cenci. Stavano a duecento metri uno dall’altro e spesso ci facevano lo stesso film a orari sfalsati. Mentre al Quadraro facevano il primo tempo al Folgore davano il secondo e nell’intervallo si scambiavano le pellicole.
Mo’ era di mattina presto e lí dentro al cinema Quadraro ci stava ’na fila di donne dietro alle macchine da scrivere che prendevano le generalità come all’anagrafe. I vecchi e i ragazzini li mandavano via e trattenevano solo gli uomini tra i 16 e i 55 anni, cosí di tutti i rastrellati ne rimasero un migliaio.
Poi l’hanno caricati sul tranvetto e gli hanno fatto fare qualche centinaio di metri fino agli studi di Cinecittà. Primo c’era già entrato dentro agli studi del cinematografo. C’era andato a segnarsi per fare la comparsa nel film Scipione l’Africano. E l’avevano pure preso per girare ’na scena di battaglie sui pratoni dell’Appio Claudio. E mentre giravano ’ste scene di lotte s’erano accorti che nella tenuta del principe Torlonia ci stava un vecchio servo mezzo ritardato di cervello che s’era stipato ’na montagna di mele. Cosí nelle pause delle riprese s’erano andati a fregare la frutta. E mentre se la portavano via s’erano accorti che ’sto vecchio andava in mezzo ai maiali e li trattava come tanti ragazzini. Dice che ci parlava pure e la scena comica era che parlava in ciociaro. ’Sto servo parlava talmente tanto burino che manco i maiali che so’ animali l’avrebbero mai capito!
Primo si ricordava ’sta scena delle comparse vestite da antichi romani che si mangiavano le mele e intanto si rimiravano di nascosto il burino che parlava in ciociaro coi porci...
Mo’ era tornato dentro a ’sta città del cinema che era l’orgoglio del fascismo e si ritrovava in un teatrone con la paglia buttata per terra. Ci restò fino alla sera del giorno appresso, quando li caricarono sui camion per portarli a Grottarossa e poi si ripartí col treno. Andarono verso Terni.
Quella era la prima volta che montava su un treno.

Tre

Ma durante il viaggio quel treno si ferma in mezzo alla campagna.
I vagoni sono tutti rincartocciati di tavole inchiodate sulle finestre per non far scappare nessuno, ma tra le tavole la gente si affaccia a turno per vedere di fuori e vede che il treno sta fermo vicino a ’na buca, ’na specie di voragine. Il primo a accorgersi di quella robba è un ragazzetto vestito bene. «Ce sta ’na buca qua di fuori, – dice mentre guarda attraverso una spaccatura nella parete del vagone, – stamo fermi vicino a ’na buca» e si sposta per far vedere pure l’altri. È in questo preciso momento che a Primo gli pare di non averlo mai visto a questo qui. E infatti glielo chiede pure che «io non t’ho mai visto... tu non sei del Quadraro!» E quello si dà una mezza spolverata ai vestiti zozzi per presentarsi in condizioni piú decenti e gli dice che «no, non so’ del Quadraro. Mi chiamo Giubileo e vengo dalla bassitalia. Il paese manco te lo sto a dire, ché tanto non lo conosci... e poi non era nemmeno il paese mio, ché io so’ nato in altitalia... ma mio padre faceva il ferroviere e l’hanno spostato sett’otto volte... ho conosciuto quasi tutte le regioni, so’ stato pure in Abissinia, però mio padre è di Roma e a Roma ci stanno tutti i parenti miei... stanno a Trastevere. Al Quadraro me ce so’ trovato quasi per sbaglio. Ma ci pensi? È una vita che vedo passare treni per tutto l’impero d’Italia e mo’ è proprio un treno che è diventato la dannazione mia! E tu come te chiami?»
«Io me chiamo Primo», gli dice quell’altro, ma lascia la frase mezza per aria e si mette a guardarlo come si guarda una strana razza di essere umano. Ma come?... il treno sta fermo vicino a una buca e tutti stanno zitti col presentimento che i tedeschi faranno una carneficina... che li lasceranno tutti là dentro come avevano fatto manco un mese prima alle Cave Ardeatine... e quel Giubileo gli si mette a sciorinare tutta la storia della vita sua? Infatti pure l’altra gente s’azzitta e si mette a guardare di fuori attraverso la spaccatura del vagone. Si mette a guardare quello scavo nella terra.
E fuori dal treno fermo ci sta pure una specie di primavera. Una bella stagione che pare che s’è fermata a mezza altezza con l’alberi carichi di frutti e la terra ancora tutta nera e senza manco un filo d’erba. E Giubileo continua a parlare e gli racconta che «so’ alberi de prugne. Prugne, fichi, albicocche, cerase... questo è il periodo loro. E quelli so’ proprio alberi de prugne».
E Primo gli chiede com’è che «per terra non ce cresce manco un filo d’erba?»
«Se vede che sei nato cittadino. Vedrai che c’avevano piantato piselli, fave o carciofi e mo’ che l’hanno raccolti c’è rimasta solo la terra. Tu te pensavi che c’era passato Attila e invece è solo la zappa del contadino... Io se rinasco me vojo mette a fa’ il contadino. E me piacerebbe di averci pure le pecore. E pure le vacche coi cavalli... e pure ’na scimmia!... no un uccelletto de quelli che la gente attaccano sul balcone, ma una scimmia vera! I scienziati dicono che l’uomo scende dalla scimmia. Per questo che l’uomo è un essere intelligente. Se scendeva dalla pecora o dalla papera era un povero imbecille, ma per fortuna che l’uomo scende dalla scimmia... E a me mi piacerebbe di prendermi ’sta scimmia e me la terrei vicina come un parente... come un parente un po’ ritardato di cervello, magari... ma insomma come un parente, come una vicinanza di compagnia. E io so’ sicuro che a una scimmia riuscirei pure a imparargli a parlare! Mica un discorso da scienziato, ma una qualche mezza frase... buongiorno e buonasera... tanto per farla entrare al bar per prendersi un caffè da sola senza che ’sta bestia si comporta male.
Io se rinasco mi metto a fare il contadino e mi compro pure la scimmia. La metto a fa’ la pastora co’ le pecore. Non la voglio mandare al circo a fare la pagliaccia co’ la gente che paga il biglietto per ridergli appresso... io gli darei un lavoro civile. La porterei a lavorare su un bel pezzo di terra come questa che in primavera c’ha l’alberi carichi di prugne che si stanno a maturare...
E poi mi piacerebbe ammaestrare le mosche.
I scienziati dicono che la mosca è un animale perfetto. Respira, mangia, piscia, caca, scopa e dorme come l’esseri umani, ma lo sa fare meglio di noi. I scienziati dicono che si riproduce piú dei conigli... e dicono pure che se noi pisciamo davanti e cachiamo di dietro... le mosche fanno tutto insieme dallo stesso buco. E poi dicono che anche la respirazione della mosca è una macchina perfetta. Non c’hanno il naso co’ ’sti buchi piccoli che si attappano sempre di moccolo e di caccole come noi. Le mosche so’ piene di buchi su tutto il corpo come una scolapasta. E se gli si attappa un buco nemmanco se ne accorgono. L’aria gli circola da tutte le parti.
Ma in quanto a mangiare le mosche sono proprio un capolavoro della natura. E sai perché?
Perché le mosche mangiano merda!
Ecco perché le mosche camperanno in eterno.
Ci stanno certe persone che devono mangiare di magro sennò non digeriscono. Ci stanno quelli che prendono solo verdure, quelli che gli serve la carne al sangue. Ci stanno pure certe razze d’uccelli che al cambio di stagione devono volare per centinaia di chilometri per trovarsi da mangiare... che traversano i continenti per una bestiola o per un ciuffo d’erba. E invece le mosche mangiano merda... Ma non una merda speciale... basta che sia una merda qualsiasi! E la merda non c’ha stagione. Non serve un albero speciale che la produce. Basta trovare il buco del culo di un’altra bestia qualunque. La fabbrica della merda sta da tutte le parti e non si esaurisce mai. E poi la merda è gratis!
Per questo io penso che la mosca è l’animale piú perfetto del mondo. Un essere superiore, ed è per questo motivo che nel passare dei secoli è diventata una bestia tranquilla. Tanto è vero che ci stanno bestie piú piccole della mosca che attaccano persino l’esseri umani. Bestie traditore come la zanzara e la zecca che succhiano il sangue. Ment...

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APA 6 Citation

Celestini, A. (2013). Storie di uno scemo di guerra ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3425382/storie-di-uno-scemo-di-guerra-roma-4-giugno-1944-pdf (Original work published 2013)

Chicago Citation

Celestini, Ascanio. (2013) 2013. Storie Di Uno Scemo Di Guerra. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3425382/storie-di-uno-scemo-di-guerra-roma-4-giugno-1944-pdf.

Harvard Citation

Celestini, A. (2013) Storie di uno scemo di guerra. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3425382/storie-di-uno-scemo-di-guerra-roma-4-giugno-1944-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Celestini, Ascanio. Storie Di Uno Scemo Di Guerra. [edition unavailable]. EINAUDI, 2013. Web. 15 Oct. 2022.