Casa d'altri
eBook - ePub

Casa d'altri

e altri racconti

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Casa d'altri

e altri racconti

Informazioni su questo libro

In gioventú, lo chiamavano Doctor Ironicus per la sua intelligenza sottile; ormai sessantenne, il protagonista di Casa d'altri non è che un «prete da sagre», confinato in un paesino della provincia emiliana dove non succede mai niente e dove «appaiono strane anche le cose più ovvie». Zelinda, però, una vecchia che passa le sue giornate a lavare i panni al fiume, senza avere alcun contatto con la gente, così ovvia non è; e non è ovvio neppure il tentativo di comunicazione che cerca d'instaurare con il prete, interrogandolo vagamente sulla legittimità di derogare a una «regola» della Chiesa cattolica. Quale sia questa regola, lo si scoprirà soltanto alla fine: quando il Doctor Ironicus, «così goffamente da provare vergogna di tutte le parole del mondo», non saprà dare alla vecchia che una risposta convenzionale e inadeguata. Intanto il lettore si trova coinvolto in una vicenda dal ritmo sempre più serrato, in un intreccio di tensioni e conflitti, in una lingua densa insieme di concretezza e di lirismo. Lo stesso clima di attesa incalzante si ritrova negli altri racconti: da Elogia alla signora Nodier, dove la protagonista, morto il marito, si chiude in una quieta infelicità, ai Due vecchi la cui serenità coniugale è turbata dal ricatto di uno studente. Nei temi comuni della solitudine, dell'isolamento, della diversità, c'è la disperazione lucida e modernissima di vivere il proprio tempo e il proprio luogo come «casa d'altri».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806187026
eBook ISBN
9788858401064

Casa d’altri

– Cosí in treno non ci si arriva, lassú…
– No. E neanche in corriera.
– …
– Vi ci vogliono tre ore di mulo. E poi non d’inverno, s’intende. E neanche quando le nevi si sciolgono. Allora, non ce la fareste nemmeno con cinque.
– Beh… e suppongo che avrà pure un nome.
– Sí, mi pare di sí. Dev’essere l’unica cosa che abbia.
1.
All’improvviso dal sentiero dei pascoli, ma ancora molto lontano, arrivò l’abbaiare di un cane.
Tutti alzammo la testa.
E poi di due o di tre cani. E poi il rumore dei campanacci di bronzo.
Chini attorno al saccone di foglie, al lume della candela, c’eravamo io, due o tre donne di casa, e piú in là qualche vecchia del borgo. Mai assistito a una lezione di anatomia? Bene. La stessa cosa per noi in certo senso. Dentro il cerchio rossastro del moccolo, tutto quel che si poteva vedere erano le nostre sei facce, attaccate una all’altra come davanti a un presepio, e quel saccone di foglie nel mezzo, e un pezzo di muro annerito dal fumo e una trave annerita anche piú. Tutto il resto era buio.
– Sentito niente, voi donne? – dissi io alzandomi subito in piedi.
La piú vecchia prese il moccolo in mano e lentamente andò ad aprir la finestra. Per un minuto fummo tutti nel buio.
L’aria intorno era viola, e viola i sentieri e le erbe dei pascoli e i calanchi e le creste dei monti: e in mezzo all’ombra, lontano, vedemmo scendere al borgo quattro o cinque lanterne.
– Sono gli uomini che scendon dai pascoli, – mormorò ritornando da noi, – e fra dieci minuti son qui.
Era vero, e cosí respirai. Le parole mi fanno vergogna, ecco il fatto: e i commiati non sono mai stati per me. Specie quelli. Senza parere mi avviai verso l’uscio.
– Allora, cosí, reverendo, – mi disse una venendomi dietro, – noi lo laviamo e gli facciamo la barba: e a vestirlo ci penseranno loro stanotte.
– A cucire il lenzuolo manderò domattina la Melide, – dissi. – E per le donne che piangono?
– Volevano trecentocinquanta: piú mangiare e dormire una notte. Facciamo senza, cosí. Tanto piú che c’è il caso che arrivino anche i nostri parenti da Braino.
– Sí: forse non ne valeva pena, – dissi io, – gente non dovrebbe mancarne domani. Lavorava anche nei «maggi», o mi sbaglio?
– Sí. Giacobbe. E una volta re Carlo di Francia. E poi, dopo cinquant’anni di pastura su a Bobbio, si finisce che ci conoscono tutti.
Vicino al saccone di foglie se ne stava seduta la vedova. Difficilmente si piange quassú: e anche lei rimaneva immobile e fissa come la vecchia del Duomo in città che sta lí ad aspettare il suo soldo. I nipoti erano stati portati in istalla.
– Buona notte, – dissi io a bassa voce, – domattina alle sette son qui.
Fece segno di sí con la testa. Due o tre donne mi accompagnarono giú.
Adesso cani e campanacci di bronzo si sentivano anche piú chiaramente, misti a tratti a un rumore di peste. Dietro un vetro un bambino tossiva e nelle stalle si sentivano calci di mulo e rumori di morsi di ferro. Cominciava a far freddo. Attraversai la piazzetta di pietre e due strade non piú larghe di un braccio: cosí strette, vi dico, che un Falstaff come me deve strisciarci coi gomiti contro.
Dallo stagno mi voltai per guardare giú in basso. Sette case. Sette case addossate e nient’altro: piú due strade di sassi, un cortile che chiamano piazza, e uno stagno e un canale, e montagne fin quanto ne vuoi.
Le tre vecchie erano ancora là ferme, proprio sullo scalino di casa, sotto la finestra illuminata ed aperta.
– Ecco tutta Montelice, – dissi. – Tutta quanta: e nessuno lo sa.
E salii per la strada di monte.
2.
Io alzai appena appena le spalle.
Non dirò che fosse una sciocca domanda, come al momento poté anche sembrarmi: il fatto è che sciocca sarebbe stata qualsiasi risposta.
Il giovanotto mi guardava aspettando. Sí, avrà avuto vent’anni. E poi forse neanche: diciotto. Diciotto, a ogni modo, è l’età che si meritava: e, fatta eccezione della sua tonaca nera, impossibile imbattersi al mondo in qualcosa piú nuovo di lui.
– Cosa fanno qui a Montelice? – dissi. – Beh. Vivono… ecco. Vivono e basta, mi pare.
L’amico non dovette sentirsi gran che soddisfatto. Mi aveva sorpreso lí, sulla mia seggiola, senza nemmeno le scarpe, con una corporatura e una faccia alla Falstaff, e anche un po’ addormentato per giunta: e adesso, ecco, anche quella risposta.
Per fortuna era ancora piuttosto educato e in certo senso perfino distinto: una cosa nuova nuova, v’ho detto, appena uscita dal conio.
– Ah. Capisco, – ebbe la presenza di dire, come se si fosse trattato in realtà di un’informazione confidenziale e precisa. – Vi capisco benissimo. Vivono.
Era il nuovo curato di Braino. Appena appena arrivato s’era presa la briga di salir fin da me a consigliarsi. E a far conoscenza con me, si capisce. Mi aveva subito chiesto un bel mucchio di cose, ballo, comunisti, moralità e via dicendo, e tutto sommato non mostrava voglia di andarsene via tanto presto. Ma ogni cosa col massimo garbo, e sempre di striscio, cosí, senza nemmeno parere. Starlo a sentire era un po’ un divertimento per me. Beh, anche una cosa triste però. Un poco triste. Voi guardate il vestito di quell’ometto laggiú, impiegato al Comune o anche vedovo, e la prima cosa che vien da pensare è che un giorno è stato nuovo anche lui. E anche l’ometto, s’intende.
– E poi muoiono, – aggiunsi.
Coi miei sessant’anni passati e quelle scarpe slacciate lí in terra, non c’era per niente pericolo che potessi passare per cinico.
– Sí. Qui non succede niente di niente. E neppure a Braino, vedrete. E neppure in tutta quanta la zona fino quasi alla valle. Gli uomini sono ai pascoli, adesso, e non tornano prima di notte: qualcun altro sta verso le torbe, e le donne a far legna qua e là. Se vi affacciate un momento in strada, tutt’al piú riuscirete a trovare una vecchia a soffiar sul fornello. Sempre che abbiate fortuna… O una capra. Magari anche solo una capra. (In certo senso le padrone del paese son loro: stanno affacciate perfino sugli usci a godersi il passeggio se c’è). E fra due settimane non troverete piú neanche quelle. L’inverno viene presto da noi, e dura quasi mezz’anno.
Non mi doveva credere molto, e benevolmente anche un po’ disprezzarmi.
– Alludevo alla gente… agli uomini, – precisò lui civilmente.
– Ah, la gente. La stessa cosa anche lí. La vecchia storia del medico condotto anche lí. Il ragazzo arriva su fresco fresco con il suo centodieci e la lode e s’immagina di fare chissà: gli piace anche di fare un po’ il martire. A certa gente – per un po’, si capisce – il martirio non spiace per niente. Sul momento gira tutta la montagna col mulo, entra in tutte le stalle e via ancora. E oltre a tutto, per tenersi informato, s’abbona anche a tre o quattro riviste.
Votai il mio bicchierino di grappa. E anche lui sfiorò il suo con le labbra, ma appena appena, cosí, come farebbe uno scoiattolo giovane.
– Poi s’accorge che non ci sono che casi d’artrite: sciatiche e artriti, sciatiche e artriti e nient’altro… Allora non gli resta che prescrivere iodio, e ingrassare.
Mi rispose semplicemente guardandomi.
– Sí, come me. Esattamente.
– Per carità, – mi sorrise. – Non volevo dir questo.
– Beh, posso anche capirvi, – dissi io: un po’ troppo paternamente ho paura. Ma il ragazzo non era tipo da accettare regali del genere.
Si alzò sorridendo.
– Certo, bisognerà darsi d’attorno, – concluse ignorandomi con urbanità. – Bisogna cercare mezzi nuovi. Ogni tempo richiede il suo mezzo, trovate?
Aveva ragione, d’accordo, e io avrei potuto tranquillamente dirgli di sí. Il fatto è che lui aveva troppa ragione, e questo per me è su per giú come aver torto e anche peggio. E poi c’erano tante altre cose. Gli risposi in tutt’altra maniera.
– Una cosa, – dissi io. – Siete mai stato in un paese di monte, su per giú come questo diciamo, per un mese continuo di pioggia?
Mi guardò un po’ stupito. Non piú di tanto, a ogni modo, e mi pare anche un po’ divertito.
– E magari due mesi di neve? Neve-neve, mi spiego. Certamente non come in città o come a valle.
Aspettò dove andavo a finire.
– Io invece sí, ci son stato. E per piú di trent’anni. Piú di trenta Natali, sapete?
Davvero aveva dei numeri, l’uomo. Riuscí a guardarmi con la piú deferente diffidenza del mondo. Adesso, dovevo sembrargli un curioso esemplare di tipica fauna locale, neanche troppo antipatico in fondo: l’ultimo dei Mille o la vecchia domestica sorda che ha servito cent’anni in città dalla stessa famiglia.
– E che cosa succede? – mi chiese unicamente per educazione.
– Niente, v’ho detto. Non succede niente di niente, – cercai di rifarmi. – Solo che nevica e piove. Nevica e piove e niente altro.
E finalmente trovai anche il coraggio d’infilarmi di nuovo le scarpe. L’amico ebbe la delicatezza di voltarsi a guardare il cappello.
– E la gente, – conclusi, – se ne sta giú nelle stalle a guardare la pioggia e la neve. Come i muli e le capre. Cosí.
Dalla porta ci fermammo un momento. Qualche cosa doveva pur dirmi. Una capra mise dentro la testa: ci considerò un po’ delusa e se ne andò via come uno di casa. Sarebbe tornata piú tardi.
– Vedete? – dissi io ancora una volta, seguendo con gli occhi la capra. – Niente di niente. Ecco qui.
– Beh, qualche volta possono succedere anche incontri del genere. Come quello con lei di quest’oggi, – sgusciò lui sorridendo. – È già qualcosa quassú. Mille grazie.
Scese giú dalla parte di Braino. A sinistra voltò. Era svelto e slanciato e tutto vestito di nuovo. Sí: diciott’anni, evidente. La piú giovane cosa del mondo. O anche la piú vecchia: chissà.
3.
Fu una sera. Sul finire d’ottobre.
Me ne venivo giú dalle torbe di monte. Né contento né triste: cosí. Senza nemmeno un pensiero. Era tardi, era freddo, ero ancora per strada: dovevo scendere a casa, ecco tutto.
L’ombra proprio non era ancor scesa: campanacci di pecore e capre si sentivano a tratti qua e là un po’ prima della prata dei pascoli. Proprio l’ora, capite, che la tristezza di vivere sembra venir su assieme al buio e non sapete a chi darne la colpa: brutt’ora. Uno scoiattolo attraversò di corsa la strada sgusciandomi quasi fra i piedi.
Solo allora, giú in fondo al canale che scorreva un venti metri di sotto, china a lavar biancheria o stracci vecchi o budella o qualcosa di simile, vidi una donna un po’ piú vecchia di me. Sulla sessantina, sapete.
In mezzo a tutto quel silenzio e a quel freddo e a quel livido e a quell’immobilità un poco tragica, l’unica cosa viva era lei. Si chinava, e mi pare anche a fatica, affondava gli stracci nell’acqua, li torceva e sbatteva su un sasso: poi li affondava, torceva e sbatteva, e via ancora cosí. Né lentamente né in fretta, e senza mai alzare la testa.
Mi fermai sopra il ciglio a guardarla. Un sasso scivolò giú, fino in acqua, ma la vecchia nemmeno s’accorse. Solo una volta s’interruppe un momento. Si mise una mano sul fianco, diede un’occhiata alla sua carriola sull’argine e alla capra che frugava tra l’erba: e poi ancora riprese.
«Beh, – dissi allora con me, – quando ci si mette sul serio, il mondo sa ben essere triste, però. Ha perfino intelligenza per questo: e neanche un uomo ci arriverebbe mai e mai».
Era tardi. Davvero era tardi: si vedevan qua e là due o tre stelle. Continuai la mia strada.
Ma la sera dopo lo stesso. E cosí l’altra sera e poi l’altra. Alla medesima ora, eccola là ancora in fondo al canale.
Niente sole, niente luna, non un’anima viva all’intorno: quegli stessi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Casa d'altri
  3. Casa d’altri
  4. Prefazione a «Nostro lunedí»
  5. Alla giornata
  6. Una fasciatura ben fatta
  7. L’aria della sera
  8. Elegia alla signora Nodier
  9. Due vecchi
  10. Un minuto cosí
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Copyright