Parte terza
Lupo
1.
– È un miracolo che sia vivo. Il proiettile è stato deviato da una costola, roba di millimetri, ha bucato il polmone sinistro ma ha mancato il cuore.
– Può parlare?
– Non ha capito. Qui si tratta di coma. C’è stata un’imponente emorragia interna. È subentrata la Cid.
– Prego?
– Coagulazione intravascolare disseminata. Si tratta... – Si risveglierà o no, dottore?
– In questi casi non si può dire.
– Quante probabilità ci sono, da uno a dieci?
– Le piace scommettere?
– Non particolarmente. Era per farmi un’idea.
– Diciamo... cinque... con un certo ottimismo...
– Potrebbe dirmi qualcosa sui tempi?
Il dottor Fera allargò le braccia. Il camice, sollevandosi, scoprà un Rolex sicuramente autentico che strappò un sorrisetto a Lupo. Avrebbe potuto redigere in quattro minuti la biografia di quel medico, vita morte e miracoli, compresi identità dell’amante e modello di fuoristrada.
– Il cervello umano rappresenta ancora un grande mistero, mi creda. Diciamo che piú tempo passa, maggiori sono le possibilità di sopravvivenza. A partire da questa notte, dico. Ma va anche detto che piú tempo passa e minori sono le chance di un recupero completo. Anche se in letteratura ci sono casi di risveglio dopo dieci, persino venti anni...
– Capisco.
Lupo annuÃ. Avevano strappato il ragazzo alla morte dopo undici ore di intervento. Adesso se ne stava al nono piano dell’ospedale San Giuliano, piantonato da una coppia di agenti che si domandavano che senso avesse impegnare tante risorse per curare il bastardo che aveva ammazzato Alessio Dantini. Lupo accennò a sfilarsi la mascherina, subito bloccato da un’occhiata allarmata del medico. Si scusò con un cenno del capo e si concentrò su Fera. Lupo aveva controllato gli elenchi. Il dottore era massone. Date le circostanze era una buona notizia. La corretta procedura avrebbe imposto una presa di contatto piú morbida. Ma il tempo era il vero problema, in questo caso. Se le cose stavano come cominciava a pensare, come Dantini gli aveva lasciato intuire, non c’era un momento da perdere. Appena si fosse sparsa la voce che il ragazzo era sopravvissuto, quegli altri avrebbero agito. Quindi, non gli restava che giocare il tutto per tutto.
– La ringrazio, dottore. Lei è stato bravissimo!
– Oh, non dica cosÃ! Il merito è dell’équipe, quei ragazzi sono...
– Non si sottovaluti, la prego!
Lupo, con gesto vago, gli porse la mano. Una lieve pressione del medio sul palmo, poi un graffio a scivolare via, come una carezza furba. Un’ombra di stupore attraversò lo sguardo dell’altro, baluginando per un istante dietro le spesse lenti (montatura d’oro, griffe Tom Ford, di indubbio buon gusto). Poi il dottore si rilassò, sorrise e ricambiò il saluto convenzionale. Lupo gli chiese il numero del cellulare.
2.
Daria lo aspettava nel corridoio. Dalle guance arrossate e dall’aria battagliera s’intuiva che era reduce da un acceso diverbio con i due agenti di piantone, che, dal canto loro, quando Lupo si sfilò la mascherina e i guanti, nemmeno accennarono a salutarlo.
– A certa gente non dovremmo permettere di vestire la divisa, – sibilò Daria, a voce abbastanza alta da essere intesa dai due colleghi.
– Mettiti nei loro panni. Volevano bene a Dantini e sono convinti che il ragazzo lo abbia ucciso...
– Questo lo credo anch’io, ma non è un buon motivo per sparare cazzate a raffica sulla tortura, Pinochet e la pena di morte!
– Non mi piace quando usi un linguaggio triviale. E nemmeno quando alzi la voce. Andiamo a fare il punto della situazione.
Daria lo seguà con un sospiro. Lavorava con Nicola Lupo da cinque anni e aveva ormai rinunciato a capirlo. Aveva rinunciato a interrogarsi sui pensieri che si agitavano dietro il cranio lucido e i baffetti che rimandavano al Marcello Mastroianni di Divorzio all’italiana. Lupo era e sarebbe rimasto per sempre un mistero. Un mistero affascinante, d’accordo, ma ci sono momenti in cui una ne ha abbastanza sia del fascino che del mistero. Un po’ di logica terra terra, ogni tanto, non guasterebbe.
«Non è colpa mia, – si era giustificato, agli inizi del loro rapporto. – Se vuoi prendertela con qualcuno, incrimina pure la mia Sicilia. Lo ha scritto da qualche parte Falcone, a proposito di Sciascia. Noi siamo ammalati di perversione logica. Siamo logici oltre ogni umano limite. La radice del nostro pensiero è contorta sino ai confini della perversione. Consideriamo Cartesio niente di piú che un dilettante di talento. Ma non è forse questo nostro humus profondo a renderci cosà unici e irresistibili? Prendere o lasciare, in ogni caso».
Era chiaro, per esempio, che sull’omicidio di Dantini stava elaborando qualche complessa teoria che avrebbe dovuto dimostrare, ancora una volta, che a questo mondo, macbethianamente, the fair is fool and the fool is fair. E invece a chiunque, a lei per prima, tutto sembrava cosà atrocemente, cosà banalmente evidente...
– Ci vediamo fra un’ora da me, Daria. Devo fare qualche telefonata.
Un’ora dopo, Lupo sedeva dietro sua grande e disordinata scrivania nella modesta ma attrezzatissima sede degli Affari interni, in un anonimo caseggiato nel cuore del quartiere Esquilino. Ogni volta che veniva ammessa nel sancta sanctorum, Daria non poteva fare a meno di chiedersi se l’ambiente di lavoro riflettesse effettivamente la personalità di Lupo o se non fosse solo un’abile montatura, l’ennesima messinscena del suo sfuggente capo. Lupo credeva davvero che il quadro di Grant Wood American Gothic rappresentasse «il lato oscuro della modernità »? E si chiedeva davvero, come Einstein, «se una scrivania ingombra è indice di personalità disordinata, che dobbiamo pensare di una scrivania vuota?» In ogni caso, la riproduzione del dipinto e la litografia con la celebre immagine del grande scienziato che fa la linguaccia colpivano i visitatori. Li spiazzavano. E Lupo approfittava del loro sconcerto per studiarli, per guadagnare un piccolo vantaggio.
– Hai fatto le tue telefonate?
– A tempo debito saprai, mia cara...
Daria gli porse la fotocopia del volantino.
– Questo l’ha trovato la mobile in un cassonetto vicino a quel centro sociale, l’Argentovivo.
Lupo inforcò gli occhialetti e lesse.
– «Abbiamo giustiziato lo sbirro Dantini, nemico del popolo palestinese, complice dei torturatori del compagno Mamoud».
– Io la chiamerei rivendicazione.
Lupo scosse il capo, per niente convinto.
– Alessio non era nemico del popolo palestinese e non c’entrava niente con questo Mamoud. Non era nemmeno stato lui ad arrestarlo.
– Che cosa vuoi che ne sappiano? Sono dei ragazzetti esaltati.
– Piú che un esaltato, questo ragazzo sembra un kamikaze... Guido di San Piero Colonna... orfano di grandi borghesi... suo padre aveva avuto qualche grana ai tempi di Mani pulite, se non sbaglio...
– Assolto trionfalmente, con relativa restituzione del patrimonio confiscato.
– Ovvio. Comunque, una biografia da romanzo d’appendice...
– A casa sua c’era un diario. Te ne leggo solo una frase, una a caso: «Piantare una pallottola nel cranio di un giudice o di uno sbirro... ecco il sogno di ogni anarchico!»
– Pubblicistica d’area, molto diffusa. Devo avere anch’io da qualche parte libri che dicono cose simili. Questo non fa di me un assassino di poliziotti.
– Cristo santo, Nicola...
– Moderati, ti prego.
– Nicola, ci sono le prove! Prove! Le prime analisi sull’arma confermano che ha sparato, e il dottor Mastino sostiene di averlo abbattuto dopo che l’ha visto colpire il povero Dantini.
Lupo restava a fissarla con i suoi occhi errabondi. Daria sapeva che era inutile insistere. Non era mai accaduto che qualcuno fosse riuscito a convincere Nicola Lupo di essere in torto. Quelle rare volte in cui, alla fine, aveva dovuto arrendersi, tutto ciò che aveva concesso all’interlocutore era stato un vago accenno di condiscendenza. L’autocritica non apparteneva al suo mondo. Il problema, si disse Daria, era l’amicizia. Alessio Dantini era stato piú di un fratello, per Lupo. Avevano diviso non solo e non tanto il rischio, ma la stessa visione del mondo. Forse lo stesso sogno. Una polizia pulita e democratica. Un corpo sano e senza ombre. Al funerale di Dantini, Lupo si era passato piú volte il fazzoletto sul viso. E quando la vedova si era avvicinata, con una scusa si era sottratto all’abbraccio. L’amicizia giocava contro la logica. E Lupo non sfuggiva alla regola.
– Sembra tutto cosà chiaro... Che cos’è che non ti convince?
– Ti risponderò fra ventiquattro ore.
– Mi stai nascondendo qualcosa? Qualcosa che non devo sapere?
– Cerco solo di ovviare a una momentanea stasi del pensiero con un po’ di sana azione, – sorrise Lupo, – quindi, ecco le disposizioni: primo, per quanto riguarda l’ospedale, manterrai i contatti esclusivamente con il dottor Fera. Voglio essere sempre informato sulle condizioni del ragazzo, se si risveglia, se peggiora, tutto...
– Perché proprio Fera?
– Mi fido di lui. Secondo. Manda qualcuno a interrogare i ragazzi del centro Argentovivo.
– Ci sono i verbali della mobile...
– E noi ci aggiungeremo i nostri, va bene? Terzo. Mi è venuto in mente che forse ci sarà qualche traccia visiva del delitto...
– In che senso, scusa?
– Sono stati momenti di panico, in questi casi ormai la gente invece di scappare fa le foto col cellulare.
– E noi come facciamo a...
– Chiama i nostri contatti nelle varie televisioni. Facciamo un annuncio. Qualcosa troveremo, vedrai.
Daria lo fissò, interdetta.
– Insomma, facciamo un’indagine autonoma?
– Non sarebbe la prima volta.
– Come pensi che la prenderanno in procura e... nelle alte sfere?
– Non siamo obbligati a informarli. Non in questa fase. Preparerò un rapporto interlocutorio. Venderò un po’ di fumo. Hai sempre sostenuto che è la mia specialità .
– Io non ho mai...
– Va bene, era solo una battuta, – tagliò corto Lupo, sfogliando un piccolo Moleskine dalla copertina nera. – Uscendo, per piacere, mandami Ronzani e Picone. Ah, dimenticavo, un’ultima cosa... c’è un giovane collega che era molto legato a Dantini, un suo stretto collaboratore. Me ne aveva parlato l’ultima volta che ci siamo sentiti. Ha partecipato anche lui all’annientamento della banda Pilić. Viceispettore Marco Ferri. Vado a parlarci, vieni?
Daria resse il colpo da professionista. Tutto ciò che Lupo riuscà a percepire fu un sorriso stentato e un lieve tremolio nella voce.
– Preferirei di no, – disse, asciutta.
– Potrei sapere il motivo?
– Una volta siamo stati insieme.
Lupo rimase impassibile. Daria strinse i pugni.
– Lo sapevi, vero?
– L’avevo immaginato. C’è nel suo stato di servizio. Lettera di segnalazione del vicequestore Marconi Daria al primo dirigente della mobile di Venezia... Il giovane Ferri dimostra eccezionali qualità eccetera... non è da te scomodarti per un qualsiasi giovane sbirro, a meno che...
– A meno che non ci sia andata a letto.
– Perché devi essere sempre cosà diretta e aggressiva, Daria?
– E tu perché devi essere sempre cosà obliquo e arrogante, Nicola?
3.
Anche se fra loro non c’era mai stato niente di passionale, capitava che litigassero, come una vecchia coppia. A dire il vero, a Lupo, a volte, era parso di cogliere in Daria qualche sottinteso erotico. Niente di esplicito, qualcosa come un profumo di seduzione, un evanescente offrirsi per poi ritirarsi con un misto di sorpresa e di sdegno davanti alla sua costante fin de non-recevoir. Il vicequestore Marconi risultava felicemente single. Ma che fosse un tipo focoso, e in qualche misura chiacchierato nell’angusto milieu della sbirraglia, se n’era accorto persino uno come Lupo. Uno che aveva tante qualità , ma che di sentimenti non ci capiva un’acca. E non era il lato della sua personalità di cui andasse piú fiero. Tuttavia, dopo il breve colloquio con il viceispettore Ferri, una cosa gli fu piú chiara. Esiste un’alchimia misteriosa che lega uomini e donne. Un fatto di molecole e di odori, che avrà di sicuro una base scientifica, ma che dev’essere maledettamente difficile isolare. Quanto a riprodurlo, poi! Era forse l’energia animalesca, della quale il giovanotto sembrava abbondare, che aveva sedotto Daria, una donna con vent’anni di esperienza e di vita in piú sulle spalle? O era la violenza, quella che trasforma, anche nelle performance amorose, le angeliche creature femminili in menadi assetate di piacere? Ma perché lui era cosà ignorante di tutto questo? Comunque, Ferri era un violento. Strano che Dantini gli avesse dato tanto credito. Forse aveva intuito in lui qualità insospettate. Ma non si era fidato sino al punto di accennare ai sospetti su Mastino. Né gli aveva mai parlato di Lupo, della loro amicizia fraterna. L’aveva mandato a «coprire» l’azione, ma era rimasto deluso dai risultati. D’altronde, per il ragazzo Mastino era un grande poliziotto. Uno con le corna dure – Dio, quanto odiava quel linguaggio da caserma! L’azione era stata un successo. SÃ, tra lui e Dantini c’erano stati contrasti, dovuti alla diversa visione del ruolo della polizia nella società (senti, senti!) Ma niente di personale, niente di particolare. Quanto all’anarchico, Ferri non nutriva il minimo dubbio sul fatto che fosse stato lui a cancellare dalla faccia della terra l’amato capo. Se avesse potuto, l’avrebbe strangolato con le sue mani. Tutto regolare. Tutto troppo regolare. Prima di congedarlo, si era concesso uno dei suoi giochetti di prestigio.
– Le porto i saluti della dottoressa Marconi.
Il giovanotto s’era fatto di mille colori. Aveva stretto i pugni, e per un istante Lupo aveva provato un autentico senso di paura. Ferri se n’era andato senza salutare, sbattendo la porta. Aveva forse esagerato? Ma che poteva farci? Era la sua natura... Poi qualcosa gli diceva che c’era ancora da indagare nel rapporto fra quei due. Obliquo e arrogante, l’aveva definito Daria. Non era molto lontana dal vero. Telefonò Picone. La situazione era sotto controllo. Fera non si allontanava un momento dalla stanza. Nemmeno per... insomma, era ligio alla consegna. Bene. Il tempo scorreva, ma il meccanismo era stato avviato.
4.
Marco buttò giú il terzo Campari e ne ordinò immediatamente un altro. Daria tardava. Al telefono lei aveva tentennato. Alla fine era riuscito a convincerla. Vieni, le aveva detto, vieni, per favore. Sento che la Furia sta tornando. Aiutami. È colpa tua, avrebbe dovuto aggiungere, ma s’era trattenuto in tempo. Colpa tua e dello sbirro terrone. Il tuo capo. Lo sbirro terrone l’aveva torturato di domande su Mastino. Come se avesse dei sospetti su di lui. Come se cercasse a tutti i costi un capro espiatorio per parare il culo a quell’anarchico di merda. Ma aveva fatto di peggio, lo sbirro terrone. Aveva tirato in ballo Daria. Quella era provocazione allo stato puro. Solo il pensiero che un’azione impulsiva si sarebbe potuta ritorcere contro di lei gli aveva impedito di cancellare da quella faccia da terrone quell’insopportabile sorrisetto. Ma Daria gli doveva delle spiegazioni.
Nell’attesa, il pensiero della Furia non lo abbandonava.
A undici anni aveva cominciato a frequentare gli ultras dell’Hellas Verona. Ne aveva quindici quando il capo della curva lo aveva portato nella palestra dove si riunivano i camerati. Gli avevano rasato i capelli e tatuato sul petto una svastic...