Cosí parlò il nano da giardino
I nani da giardino hanno un ruolo politico positivo.
Quando un tedesco ama il suo gnomo, aiuta la pace nel mondo.
HONAS GEIST, «Spiegel special», aprile 2005.
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I gerbilli in quel tempo stavano al Gerbido. Al Gerbido Nuovo, per la precisione. Anche prima stavano al Gerbido, ma non era lo stesso Gerbido, era quello Vecchio. Prima dell’esodo, voglio dire. Prima che la famiglia Luposki (di antica origine russa) decidesse di impiantare di fronte alla propria casa una pensione per cani di tutte le razze.
I cani – non tutti i cani ma quasi – non vanno troppo d’accordo coi gerbilli e sovente gli fanno dei brutti scherzi. Tipo corrergli dietro a piú non posso e quando li hanno raggiunti dargli delle zampate e dei morsicotti sul collo. Ai gerbilli (nome scientifico: meriones unguiculati) non piacciono le zampate e neppure i morsicotti sul collo. Anzi i morsicotti li detestano proprio. E ancora di piú detestano essere presi per la coda, che è lunga e impellicciata ma fragile. Un gerbillo con la coda spezzata o tronca si sente menomato e diventa furibondo perché la mutua non gli passa la protesi. Un brutto guaio, insomma.
Però per fortuna i gerbilli corrono forte e saltano, cosí la maggior parte delle volte i cani si stancano di inseguirli e si fermano con la lingua fuori e il fiato grosso. Non è che i cani siano cattivi di natura, è solo che pensano che i gerbilli siano come dei giocattoli e che come tutti i giocattoli si possano strapazzare un po’ quando se ne ha voglia. Anche ai cani capita ogni tanto di fare dei pensieri sbagliati.
Comunque, non appena i gerbilli del Gerbido Vecchio vennero a sapere della pensione per cani, diventarono all’improvviso molto tristi e preoccupati. Infatti a loro piace gironzolare, correre e saltare nell’erba, poi fermarsi a riposare a pancia all’aria guardando in cielo le nuvole che si spostano, soprattutto se le nuvole sono bianche e soffici come panna montata. I gerbilli non mangiano la panna montata, ma sanno che è un cibo buonissimo, perché cosí narrano le storie che si tramandano di generazione in generazione, da quando cioè il loro antenato Rapido, detto anche Rapido l’Incursore, entrò di nascosto in una casa di uomini, si arrampicò sul tavolo di cucina e vide una scodella piena di una spuma bianca che aveva un buon odore. Dopo averla annusata a lungo, l’antenato Rapido – cosí raccontano le storie – pucciò una zampetta nella spuma e poi, con molta diffidenza, provò a darle una leccatina. «Per tutti gli dèi dei gerbilli, – pensò, – che bontà!» Rapido si rileccò la zampetta, poi, dopo un attimo di indecisione, la pucciò di nuovo nella scodella.
A questo punto però ci sono due versioni della storia: la prima (chiamata dagli studiosi di storie antiche lectio difficilior) racconta che Rapido, con grande difficoltà, riuscí a scendere dal tavolo stringendo al petto la scodella di panna montata con le zampe davanti cioè anteriori, e poi, piano piano per non fare rumore, la spinse sino a dove lo aspettavano i suoi compagni, che pucciarono e si leccarono a turno le zampette e a turno dissero «che bontà!» La seconda versione (lectio facilior) racconta invece che Rapido si pappò da solo tutta la panna montata, perché – come disse poi ai suoi compagni che lo aspettavano fuori – non sapeva come fare a scendere dal tavolo con la scodella tra le zampe. Gli disse anche che quello che aveva mangiato, cioè la panna montata, era la cosa piú buona del mondo e da allora il grande desiderio di tutti i gerbilli, sia che credano alla prima versione, sia che credano alla seconda, è poterla assaggiare.
Comunque, tornando alla preoccupazione circa la pensione per cani, bisogna anche aggiungere che gli asili e le
page_no="6" scuole per i gerbilli piccoli, cioè gerbillini, sono tutte all’aperto, sotto le fronde di un albero se c’è troppo sole, in mezzo all’erba se ce n’è poco o niente, cioè se ci sono le nuvole grigie. Se invece piove, le lezioni sono sospese e i gerbillini restano nelle tane, con grande gioia loro e grande dispiacere delle mamme, perché i piccoli sono irrequieti e mettono tutto in disordine. Però anche la gioia dei gerbillini dura poco, perché le tane sono buie e non è piacevole starci dentro di giorno, mentre durante la notte il buio va bene e il sonno arriva piano piano come camminando sul velluto.
Essendo, come già s’è detto, molto preoccupati, i gerbilli si erano riuniti in assemblea plenaria per valutare la situazione e cercare una via di scampo. La prima mossa, decisa all’unanimità, era consistita in un appello rivolto all’AGS (American Gerbil Society), una potente associazione privata senza fini di lucro che tutela i diritti gerbilleschi, ma questa a stretto giro di posta aveva dichiarato, sia pure con molto rammarico, di essere impotente a risolvere la questione, dato che i gerbilli del Gerbido Vecchio non risiedevano negli Stati Uniti. Aveva perciò suggerito – anche per sbolognare la grana a qualcun altro – di rivolgersi all’OGU (Organizzazione dei Gerbilli Uniti), che essendo sovranazionale avrebbe potuto intervenire a loro difesa, e la tribú del Gerbido Vecchio aveva accolto il suggerimento, pur non riponendoci molte speranze. Aspetta e aspetta e poi ancora aspetta: i membri dell’OGU non fissavano mai la data della riunione e quando finalmente la fissarono non si misero d’accordo sulla risoluzione da adottare, ma bisogna ammettere che anche se si fossero accordati, non sarebbe cambiato molto, dal momento che le decisioni dell’OGU non le rispettava nessuno.
Stando cosí le cose, i gerbilli decisero di rivolgersi a qualcuno che fosse piú affidabile e chiesero quindi consiglio al loro amico Gongolo, che era un nano. Un nano da giardino (nome scientifico: nanus hortorum vulgaris), uno di quelli che stanno in mezzo alle aiuole di notte e di giorno, e se piove si prendono la pioggia perché non possono mettersi al riparo.
A Gongolo non piaceva stare da solo in mezzo a un’aiuola e infatti nonostante il suo nome non gongolava per niente, dato che, mancandogli la compagnia di altri nani da giardino e soprattutto di Biancaneve, le giornate erano lunghissime e noiose. Cosí, quando i gerbilli andavano a trovarlo, era tutto contento di fare un po’ di conversazione ed eventualmente dar loro dei consigli dall’alto della sua saggezza. Non tanto dall’alto, però, dal momento che era un nano. Un nano da giardino.
– Cosa dobbiamo fare? – gli chiese Altoparlante, portavoce di tutta la tribú in quanto si faceva sentire anche da lontano.
Gongolo rifletté a lungo e poi parlò. Disse, sia pure molto a malincuore, che i gerbilli dovevano abbandonare il Gerbido Vecchio.
– E dove possiamo andare? – chiese ancora Altoparlante.
Gongolo rifletté ancora piú a lungo e gli vennerro due rughe sulla fronte. Due rughe di riflessione, come quelle dei forti pensatori. A Gongolo quelle due rughe stavano benissimo (prima aveva un po’ l’aria da scemotto) e quando piú tardi si specchiò nell’acqua della fontana e si trovò piú bello, decise che da allora in poi avrebbe pensato di piú, mezz’ora al giorno come minimo.
Poi, dopo la lunga riflessione, Gongolo finalmente parlò e disse cosí:
– Dovete andare in un altro gerbido.
– Noi non sappiamo dove ce n’è un altro! – esclamò Altoparlante a gola spiegata.
– Io invece sí, – ribatté Gongolo, questa volta senza stare a pensarci su. E raccontò che prima di essere piantato lí in mezzo all’aiuola, stava in un recinto, lontano lontano, insieme a Biancaneve e agli altri nani, e c’erano pure puffi cerbiatti vasoni e barbecue. Ma un certo giorno i signori Luposki l’avevano comprato e l’avevano portato via.
– Però un recinto non è un gerbido, – fece presente Altoparlante a nome di tutti.
– Lo so benissimo, – puntualizzò Gongolo un po’ stizzito per essere stato interrotto. – Ma proprio di fronte a dove stavo io ce n’è uno bellissimo che farebbe davvero al caso vostro.
Un gerbido, per chi non lo sapesse, è un terreno incolto, dove gli uomini in genere non mettono piede, dove cresce l’erba e prosperano i cespugli selvatici, che sono la minestra e la pietanza dei gerbilli. Nei gerbidi piú belli e quindi piú richiesti c’è anche qualche albero, nato dai semi portati dal vento o lasciati cadere dagli uccelli. Qualche volta lasciati cadere dal becco e qualche volta dentro la cacca, che, essendo un buon concime, li fa germogliare prima e piú robusti.
– Se il gerbido che dici tu è bellissimo, di sicuro è già abitato, – osservò Rognetto, un gerbillo pessimista e piantagrane.
– No, – rispose secco Gongolo.
– E come fai a saperlo? Ormai sono mesi e mesi che stai qui, – insistette Rognetto non senza ragione.
– Lo so perché ho le mie fonti.
A queste parole i gerbilli restarono sconcertati. Pensarono che Gongolo fosse avvertito misteriosamente dalla fontana su quanto accadeva in quel gerbido lontano, però lui aveva detto «fonti» e quindi ce ne dovevano essere almeno due, ma nelle vicinanze non ne avevano mai vista un’altra. E come si fa ad avere informazioni da una fonte lontana, quando già non si capisce come si possa averle da una vicina? Evidentemente Gongolo sapeva parlare con le fontane, pensarono, e questa presunta dote accrebbe molto il prestigio di cui godeva. Anche ai gerbilli, infatti, capita di fraintendere certe espressioni e quindi di prendere delle cantonate. Probabilmente fraintenderebbero anche l’espressione «prendere delle cantonate», perché molti di loro hanno difficoltà a capire chi parla per metafora, cioè dicendo una cosa che rimanda a una cosa diversa che però ha un legame con la prima. Per esempio, se uno cammina guardando in alto, cioè con la testa tra le nuvole, può andare a sbattere contro l’angolo di una casa ovvero cantonata. Dopo, a causa della botta, per un po’ non capisce piú niente di quello che gli si dice e piglia lucciole per lanterne o anche fischi per fiaschi, cioè delle cantonate. Coi gerbilli bisogna stare molto attenti a come si parla. E anche con certe persone che hanno una fantasia piuttosto limitata.
– Quali sarebbero le tue fon… – cercò di chiarire Rognetto, ma fu subito interrotto dallo zio Proverbio, che non era zio di nessuno, ma che tutti chiamavano zio perché gli sarebbe tanto piaciuto esserlo, e Proverbio perché aveva l’abitudine di rifarsi sempre alla saggezza popolare, cioè ai proverbi.
– Calma, calma! Chi va piano, va sano e va lontano, – disse, e tutti i gerbilli scossero la testa perplessi. Infatti sapevano per esperienza personale che solo correndo forte arrivavano lontano dove i cani non ce la facevano a raggiungerli con i loro morsicotti. Però, siccome Proverbio era molto anziano, non osarono contraddirlo e lo lasciarono continuare. – Inoltre non bisogna mai fare il passo piú lungo della zampa, ricordatevelo!
A queste parole i gerbillini guardarono interrogativamente le mamme, perché erano nel bel mezzo di un conflitto di informazioni e non sapevano a chi credere. Al vecchio Proverbio o alle mamme che li avevano svezzati insegnandogli a fare dei grandi balzi in avanti, balzi che erano molto molto piú lunghi delle loro ancor corte zampette?
Dovendo rispondere, furono allora le mamme a entrare in conflitto, e precisamente in conflitto di interessi: era piú conveniente lasciare che i piccoli continuassero ad avere fede negli insegnamenti che gli avevano impartito o che invece credessero alle massime di Proverbio? Le mamme se la cavarono con un compromesso, perché non volevano perdere autorevolezza nei confronti dei figl...