Viaggio (parte seconda) e sosta
Era infatti accaduto che il giorno prima i due amici avessero deciso di riprendere il viaggio, non perché ci fosse un’effettiva urgenza di rimettersi in cammino, ma perché il gatto voleva visitare altre biblioteche. E ne visitarono parecchie, prima di giungere in vista della Manica viaggiando sui mezzi di trasporto piú disparati – rimorchi di trattori, camioncini scoperti, sidecar di una splendida Harley d’epoca – e facendo anche parecchie diversioni rispetto al tragitto piú breve, in quanto i mezzi suddetti non esibivano l’indicazione della meta. E in ogni biblioteca in cui trascorsero la notte, lasciarono dietro a sé sale terremotate, non per spregio verso i libri, ma per puro entusiasmo. Ruggine aveva infatti imparato tutto l’alfabeto e avrebbe voluto mettere alla prova la propria capacità di lettura, ma sfortunatamente nel reparto destinato all’infanzia non c’erano libri in italiano e cosà cominciarono a esplorare anche gli altri senza avere miglior fortuna, perché le sezioni in lingua straniera erano fornite solo di libri in inglese e tedesco. Il gatto faceva volare a terra romanzi di avventura, d’amore, di formazione, di spionaggio, di fantascienza e anche raccolte di poesia, libri di viaggio, di fotografia, d’arte, sperando sempre in un errore di collocazione, ma ahimè, senza successo.
page_no="96" In capo a una quindicina di giorni, la notizia di misteriose incursioni notturne nelle biblioteche della zona arrivò alle orecchie del cronista di un piccolo giornale di provincia, che a corto di altri argomenti ci imbastà sopra un articolo fantasioso, tirando in ballo la materializzazione di poteri oscuri, la telecinesi e la magia bianca. Ma il commissario Grosmangin, da bravo positivista, liquidò l’articolo e le ipotesi ivi contenute con uno sprezzante connerie! e buttò il giornale nel cestino delle cartacce. La signorina Lalaurie, invece, si consolò al pensiero di non essere piú in pericolo, dal momento che l’uomo mascherato aveva cambiato bersaglio, e indirizzò mentalmente al commissario un irrispettoso tête de con.
La Manica, finalmente. Traghetti in partenza e in arrivo.
– Sai, – disse Odry, – ho paura che la traversata sarà difficile.
– Mare grosso?
– No, non è stagione. Ma gli inglesi hanno regolamenti molto restrittivi riguardo l’ingresso di animali.
– E a noi cosa importa? Io mi imbarco da scomparso e tu cerchi di passare inosservato in mezzo alla gente.
– Non è tanto per l’imbarco, quanto per lo sbarco. In ogni caso, non puoi fare tutta la traversata da scomparso, dura troppo. Ti prenderesti una polmonite. E io ho paura a infilarmi in mezzo alla gente, perché se qualcuno mi pesta mi fracassa.
– No problem. Io quando è ora di imbarcarci pianto un gran casino e distraggo le guardie; loro per cercare di cacciarmi bloccano l’accesso, e intanto tu sali a bordo tranquillo e senza pericolo. Poi da scomparso salgo pure io e ci nascondiamo da qualche parte. Per lo sbarco ci pensiamo a suo tempo. Che ne dici?
– Non so, speriamo che funzioni. Speriamo anche di trovare un anfratto in cui acquattarci.
– E dà i, pensa positivo una volta tanto!
Pensare positivo aiuta, ma non sempre serve. Ruggine si esibà in un numero da circo per ben tre volte senza successo, perché delle due guardie all’imbarco una si lasciava distrarre, ma l’altra aveva piú occhi di Cerbero.
– Qui scorrerà il sangue! – esclamò a un certo punto il gatto cupo ed esausto. – Ma adesso ho bisogno di un pisolino per ristorarmi un po’ e prima ancora di qualcosa da sgranocchiare. Cosa mi consigli?
– Fish and chips.
– Sarebbe?
– Pesciolini e patatine fritte. Li vendono a quel banchetto là .
– Uffa! Scomparire, riapparire: ma lo sai che è una fatica bestia?
– Lo immagino. Ma non hai scelta.
– Sà che ce l’ho, sta’ a vedere. Ma da defilato.
E per la seconda volta fece un vero latrocinio gattesco, cioè un disinvolto esercizio di agilità e velocità , suscitando le urla inviperite del venditore e le risate divertite degli astanti.
Nel primo pomeriggio ci fu il cambio dei guardiani. Uno aveva un’aria pacifica e bonacciona, ma Ruggine si fiondò sull’altro e gli piantò gli artigli nel dorso della mano destra.
– Ahi! – si lamentò quello, stupefatto, scuotendo la mano e sventagliando goccioline di sangue, mentre il collega, accorrendo in suo soccorso, estraeva dalla tasca della giacca un fazzoletto di dubbio lindore.
– Pulisciti con questo, – gli propose premuroso.
L’altro però preferà pulirsi con la propria saliva e, mentre si leccava la mano, Ruggine gli sgusciò tra le gambe afferrando al volo il piccolo Odradek che arrancava faticosamente sulla scaletta.
– Avevi già fatto un viaggio per mare? – chiese il gatto all’amico durante la traversata.
– No. Sempre solo via terra. Però ho letto tanti libri che li raccontano.
– È la stessa cosa?
– I libri raccontano viaggi piú avventurosi. Nei mari tropicali, su galeoni con le vele lacerate dagli uragani, oppure su baleniere nei mari artici, su zattere di salvataggio dopo un naufragio, su caravelle alla ricerca di terre vecchie che poi erano nuove, con capitani sadici o fanatici, lottando contro la fame, la sete, le malattie…
– Meglio leggerli che farli, quei viaggi lÃ. Soprattutto per i gatti, che in mancanza di meglio corrono il rischio di finire arrostiti. Però stasera, se troviamo una biblioteca, mi leggi un libro di pirati.
Lo sbarco, contrariamente a quanto previsto, non presentò quasi difficoltà e intorno alle otto di sera i due amici misero piede sul suolo inglese. Le bianche scogliere di Dover non le avevano neppure intraviste, perché erano rimasti tutto il tempo accucciati sotto un tendone, al riparo dalla brezza.
A Dover, però, restarono piú del previsto, smarrendo quasi la nozione del tempo. Erano capitati, infatti, nel bel mezzo di un’estate particolarmente piovosa e siccome la pioggia non piaceva a nessuno dei due, aspettavano che spuntasse finalmente una giornata di sole per lasciare la città e riprendere il cammino verso la meta non piú molto lontana. Avevano trovato un rifugio diurno abbastanza gradevole e cioè la cuccia disabitata di un cane partito in vacanza con i suoi padroni, una bella cuccia solida senza infiltrazioni dal tetto (e Ruggine sopportò con pazienza l’odore canino, al pensiero che l’avrebbe coperto con quello felino), situata nel giardino di una villetta periferica, a poche decine di metri dalla biblioteca di quartiere, diventata il rifugio notturno. Dieci notti di full immersion nell’avventura: Odradek lesse, traducendo all’impronta, L’isola del tesoro e L’isola misteriosa a un insonne e attento Ruggine, che nelle pause della lettura scartabellava libri a caso per il puro piacere di annusare la carta stampata. Quasi al termine della sesta notte, mentre il rocchetto lasciava riposare un po’ gli occhi affaticati, il gatto fece volare una fila di volumi dal piano piú alto di uno scaffale e tra questi un vecchio libro rilegato con sgargianti illustrazioni che lo attrassero particolarmente. Mentre si umettava il piottino anteriore destro per voltare le pagine, all’improvviso trasalà per una scoperta che lo lasciò stupefatto:
– Odry, Odry! – esclamò. – Guarda un po’ qua! Ci sono delle parole che riesco a leggere e capire!
– Parole inglesi?
– Non mi pare. Co…cor…cors…corsa…corsaro non è una parola italiana?
– SÃ, fa’ un po’ vedere. Il Corsaro Nero. Mai letto. Dove l’hai trovato?
– Lassú.
page_no="100" Odradek si sforzò di decifrare il cartellino indicante la sezione, ma era scritto in caratteri troppo piccoli ed era troppo in alto.
– Domani puoi cominciare a leggerlo, cosà finalmente ti impratichisci un po’.
– Comincio subito. Stammi vicino. Una vo…vo…ce rob…robu…robuta.
– No, robusta.
– Una voce robusta, che av…aveva una spe…speccia…
– No, specie.
– Che aveva una specie di vi…bra…vibraz…
– Vibrazione metallica.
– Leggi tu o leggo io?
– Scusa, va’ pure avanti.
Ruggine, nel corso del suo viaggio, aveva acquisito un’intelligenza pronta, ma leggere speditamente non è impresa facile per un gatto: infatti un conto è riconoscere le singole lettere dell’alfabeto, un altro unirle insieme per pronunciare parole sensate. Inoltre nel libro in questione c’erano parole di cui non conosceva il significato, che gli risultavano particolarmente ostiche da articolare e che per una buona comprensione del testo dovevano essere pazientemente spiegate da Odradek.
– Cos’è una mangrovia?
– Un albero che cresce lungo i litorali paludosi, con radici che si staccano verticalmente dal suolo ed emergono fuori dall’acqua.
– Mai visto uno.
– Neanch’io.
– Neanche tu?
– Sono alberi che vivono ai tropici e all’equatore.
page_no="101" – Mai stato ai tropici?
– Mai.
– E all’equatore?
– Neppure.
– Potremmo andarci insieme, appena finita ’sta grana del Compito.
– Non ci tengo proprio. Clima umido e spossante.
– Come qui?
– Qui è solo umido. Là fa anche un caldo torrido.
– Niente equatore. Per quanto a me il caldo non dispiaccia per niente.
– Ma la pioggia sÃ. E là piove tutti i giorni.
– Allora non se ne parla. Andiamo avanti.
E dopo qualche pagina:
– Ba…no…sa…sabordi. Cosa sono?
– Aperture sui fianchi delle navi, da cui sporgono le bocche dei cannoni.
– Sul traghetto non ho visto cannoni.
– Non ce n’erano infatti.
– Perché?
– Perché i traghetti non sono navi da guerra.
– Dovevi dirlo prima.
– Prima quando?
– Quando hai detto «aperture sui fianchi delle navi» dovevi aggiungere «da guerra».
– È che mi stai sfiancando con tutte ’ste domande.
– Ah, scusa tanto, se vuoi non chiedo piú niente. Io non sono nato imparato come te.
– Non si dice imparato, ma istruito. E non sono nato istruito, ma ho letto tanti libri e lo sono diventato.
– Io invece non sono istruito perché questo è il primo che leggo. Però sono pieno di buona volontà e tu dovresti avere un po’ piú di pazienza.
– Hai ragione, scusami.
– Dammi un bacio, vecchio Odry. Che ne sarebbe di me se non ti avessi incontrato?
Dopo quattro intere notti, restavano ancora piú di cento pagine da leggere e la storia d’amore e di vendetta di Emilio di Roccabruna, lungi dall’essere conclusa, faceva spasimare di ansia e di curiosità Ruggine e anche il piú smaliziato Odradek, catturato dall’irruenza narrativa salgariana e dall’entusiasmo del compagno. Accadde cosà che si lasciarono sorprendere dal mattino e dall’arrivo del bibliotecario, un quarantenne scapolo, precocemente calvo e dolorosamente colpito dal fatto di esserlo, che in aggiunta all’afflizione abituale da dieci giorni doveva subire lo sconquasso misterioso del suo ambiente di lavoro. Quando questi, a passi felpati e col cuore in subbuglio per il nervosismo e la pressione alta, raggiunse il reparto ultimamente piú devastato, ai suoi occhi si presentò lo spettacolo incredibile di un gatto rossiccio che leggeva ad alta voce, affiancato da un essere mai visto, una specie di rocchetto arruffato che sorrideva compiaciuto. A quella vista il bibliotecario gorgogliò un «ohhh» esterrefatto e cadde a terra svenuto. Lo trovò cosà un quarto d’ora dopo Mary Welcombe, la prima visitatrice che, pur nello spavento della situazione, non perse la testa e si affrettò a chiamare un’ambulanza.
Mister Bolt, cioè il bibliotecario, rinvenne al pronto soccorso dell’ospedale, sotto lo sguardo preoccupato del medico di turno.
– Bravo, bene. Mi guardi. Riesce a parlare?
– Mmm…
page_no="103" – Come si sente?
– Non… non so.
– Cosa le è capitato?
– Ho visto un gatto…
– Nero?
– No, sul rosso, rosso ruggine.
– Non mi sembra uno spettacolo sconvolgente.
– C’era anche il suo amico che sorrideva.
– Un amico del gatto?
– SÃ.
– Cioè un altro gatto.
– No. Era… era come un rocchetto di fili.
– E sorrideva?
– SÃ, perché probabilmente il libro gli piaceva.
– Quale libro?
– Quello che leggeva il gatto. In biblioteca.
– Mister…
– Bolt, Ronald Bolt.
– Mister Bolt, lei ha bisogno di un bel periodo di riposo. Adesso chiamo uno specialista e vediamo cosa si può fare.
Lo specialista, che era un neuropsichiatra, dopo un lungo colloquio con mister Bolt e una serie di esami, gli prescrisse il ricovero di un mese in una casa di cura per malattie nervose, dove al bibliotecario, grazie alla tranquillità e ai farmaci, la pressione tornò a livelli normali e tornarono pure i capelli. Radi e sottili, ma meglio di niente.
La biblioteca restò chiusa (l’aiuto bibliotecaria aveva appena partorito e non c’erano rimpiazzi) e Ruggy e Odry si videro costretti a riprendere il viaggio. Era un bel giorno di sole, con qualche nuvoletta bianca e lanosa a spasso per il cielo, ma i due amici non seppero rallegrarsene: quale sorte sarebbe toccata al malvagio Wan Guld? E della bella Honorata Willerman che ne sarebbe stato?
Durante i quattro giorni successivi non andarono molto lontano, anche perché Ruggine si ostinava a cercare la biblioteca in ogni villaggio in cui passavano, ma senza trovarne neppure una. Paesi di illetterati. Il quinto giorno riprese a piovere insistentemente e preferirono trovare un rifugio di fortuna in un sottoscala, sebbene fosse infestato da una malefica finestrella senza imposte, da cui a ogni soffio di vento entrava una mitragliata d’acqua. Ruggine, per la depressione indotta dal clima, si raggomitolò nel punto meno esposto, continuò a fantasticare sulla giovane duchessa fiamminga e non andò neppure in cerca di cibo. (Per la depressione, d’accordo, ma anche perché il giorno prima aveva arraffato un intero cosciotto d’agnello da una rosticceria e si sentiva un tantino pesante.) Odradek, dal canto suo, si rintanò addirittura dietro all’amico, per approfittare del suo calore nella speranza di lenire i reumatismi che l’avevano assalito. (Anche le creature letterarie, infatti, risentono dei guai dell’età : il loro corpo diventa piú fragile, le fattezze sbiadiscono un poco, sebbene in certi casi sia proprio la vecchiaia a rivelarne in pieno la vera struttura e caratteristiche.)
Verso la sera del giorno successivo si trovarono spiazzati: avevano viaggiato sul rimorchio di un trattore, e il trattore si era fermato nell’aia di una fattoria in piena campagna, una fattoria solitaria come un’isola, sorvegliata da un cane meticcio mezzo boxer e mezzo alano che si stava strozzando alla catena avendo fiutato la presenza di un gatto straniero.
– Via, via, circolare il piú lontano possibile, – decise Ruggine, indifferente di fronte alla alanità , ma preoccupato per la componente boxer della bestia. Afferrò addirittura Odradek tra i denti per allontanarsi in fretta, prima che la catena si spezzasse, e non lo depositò a terra sino a quando non furono sufficientemente lontani.
Però… però… Si erano lasciati alle spalle da un bel pezzo un villaggetto da niente, quattro case e neppure una bottega di alimentari per felini, e non se ne vedeva un altro all’orizzonte. Non restava che camminare. Cammina e cammina, intanto le ombre si allungavano e stava calando il crepuscolo.
– Non ce la faccio piú, – sospirò Odradek dopo un lungo tratto di strada fatto sulle sue esili zampette, – fermiamoci qui, per favore.
– Non proprio qui, a bordo strada, troppo pericoloso. Piuttosto là , ai margini di quel boschetto, che basta un piccolo sforzo per arrivarci. Ci mettiamo sotto una pianta per ripararci un po’ dall’umido e ci facciamo una bella ronfata.
– Io… lo sai che di notte non ci vedo bene.
– E che cosa devi vedere di notte?
– Niente, se siamo al chiuso. Ma al margine di un bosco… non si sa da cosa o da chi potremmo essere sorpresi. I boschi sono ...