Storie di libri
eBook - ePub

Storie di libri

amati, misteriosi, maledetti

  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Storie di libri

amati, misteriosi, maledetti

Informazioni su questo libro

I libri possono essere la causa di efferati delitti: si può uccidere per la prima edizione aldina del libro piú bello del Rinascimento o anche per odio verso i libri, per invidia e gelosia. I libri possono essere pericolosi e maledetti: è il caso del famigerato e terribile Necronomicon, o di uno strano manoscritto che sembra avere il potere di far sparire le persone. I libri possono essere poi la causa di una delle malattie piú terribili e insieme piacevoli: la bibliofilia. I libri possono sostituire la vita vera e occupare lo spazio di tutta un'esistenza. Ma i libri sono soprattutto piacere. Chi li ama sa quali soddisfazioni sanno regalarci.
Da Flaubert a d'Annunzio, da Nerval a Hesse, da Pirandello a Cortázar, da Lovecraft ad Asimov, un'originale antologia in cui i libri diventano oggetti di voluttà e di mistero, oggetti pericolosi e maledetti, oggetti che dànno la vita, ma anche la morte.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2011
Print ISBN
9788806207229
eBook ISBN
9788858404713

Cacciatori di libri

GÉRARD DE NERVAL
Angelica

Lettera prima
Al signor D.1
Viaggio alla ricerca d’un libro unico – Francoforte e Parigi – L’abate di Bucquoy – Pilato a Vienna – La biblioteca Richelieu – Fatti personali – La biblioteca d’Alessandria.
Nel 1851, ero di passaggio a Francoforte. – Costretto a restare due giorni in questa città che già conoscevo – non potei far altro che percorrere le vie principali, allora affollate di mercanti girovaghi. La piazza del Roemer, soprattutto, risplendeva d’una incredibile profusione di mercanzie; e là vicino, il mercato delle pellicce esponeva innumerevoli pelli di animali, venute dall’alta Siberia e dalle rive del mar Caspio. – L’orso bianco, la volpe azzurra, l’ermellino, erano le piú trascurabili curiosità di quella incomparabile mostra; piú lontano, i vetri di Boemia dai mille colori splendenti, carichi, ornati di festoni, intagliati, incrostati d’oro, erano esposti sopra a delle scansie di cedro – come fiori recisi d’un paradiso sconosciuto.
Lungo le oscure botteghe che circondavano le parti meno ricche del bazar – consacrate alle mercerie, alle calzature, ed ai vari oggetti di abbigliamento – si prolungava una piú modesta serie di banchi. Erano i banchi dei librai venuti da diverse parti della Germania, e che sembrava ricavassero i maggiori guadagni dalla vendita degli almanacchi, delle immagini dipinte e delle litografie: il «Volks Kalender» (Almanacco popolare), con le sue incisioni in legno – le canzoni politiche, le litografie di Robert Blum e degli eroi della guerra d’Ungheria attiravano gli sguardi e i kreutzers della gente. Una gran quantità di vecchi libri, esposti sotto queste novità, si raccomandavano soltanto per i prezzi modesti, e io fui stupito di trovare molti libri francesi.
Il fatto è che la libera città di Francoforte accolse per molto tempo i protestanti – e come le città principali dei Paesi Bassi, fu a lungo sede di tipografie che cominciarono a diffondere in Europa le opere ardite dei filosofi e dei malcontenti francesi; queste tipografie sono rimaste, per certi versi, dei laboratori di pura e semplice contraffazione, e ce ne vorrà per distruggerle.
È impossibile, per un parigino, resistere al desiderio di sfogliare delle vecchie opere esposte sui banchi d’un libraio. Questa parte della fiera di Francoforte, mi ricordava i lungosenna, ed era un ricordo pieno d’emozione e d’incanto. Comperai qualche vecchio libro, per avere il diritto di sfogliare a lungo gli altri. Fra di essi, ne trovai uno, stampato metà in francese e metà in tedesco, ed ecco qui il titolo che ho poi verificato nel Manuel du Libraire di Brunet:
«Avvenimenti de’ piú singolari, ovverosia Storia del signor abate conte di Bucquoy, in particolare la sua evasione da Fort l’Evêque e dalla Bastiglia, e quantità di opere in versi e in prosa, in particolare l’astuzia delle donne, si vende da Jean de la France, a via della Riforma, a l’Espérance, a Bonnefoy. – 1719».
Il libraio mi chiese un fiorino e sei kreutzers. Il prezzo mi parve caro, e cosí mi limitai a sfogliare il libro – e grazie alla spesa che avevo già fatta potevo permettermi di sfogliarlo gratuitamente. Il racconto delle evasioni dell’abate di Bucquoy mi interessava molto; ma alla fine dissi: troverò certamente questo libro nelle biblioteche di Parigi, o in quelle mille collezioni dove sono riunite tutte le possibili memorie sulla storia di Francia. Scrissi soltanto il titolo esatto e me ne andai a passeggiare al Meinlust, sul lungo Meno, sfogliando le pagine del «Volks Kalender».
Di ritorno a Parigi, trovai la letteratura in uno stato di terrore inesprimibile. In seguito all’emendamento Riancey alla legge sulla stampa, era stato proibito ai giornali d’inserire quello che l’Assemblea si è compiaciuta di chiamare l’appendice romanzo. Ho visto molti scrittori, estranei ad ogni colore politico, disperati per questa risoluzione che li colpiva crudelmente nei loro mezzi di esistenza.
Io stesso, che non sono un romanziere, tremavo pensando all’interpretazione vaga che si poteva dare a quelle due parole cosí bizzarramente accoppiate: appendice-romanzo, e quando Lei mi invitò a comunicarle un titolo, indicai questo: l’Abate di Bucquoy, pensando che avrei trovato ben presto a Parigi i documenti necessari per parlare di questo personaggio da un punto di vista storico e non romanzesco – siccome bisogna intendersi bene sulle parole.
Mi ero accertato dell’esistenza del libro in Francia e avevo visto che era ricordato non solo nel manuale del Brunet, ma anche nella France littéraire di Quérard. Sembrava sicuro che l’opera, sebbene indicata come rara, fosse facilmente rintracciabile in qualche biblioteca pubblica, da qualche amatore, o dai librai antiquari.
Del resto, poiché avevo scorso il libro, ed avevo trovato anche un secondo racconto delle avventure dell’abate di Bucquoy nelle lettere curiose e argute di madame Dunoyer – non provavo nessun imbarazzo a fare il ritratto dell’uomo e a scrivere la sua biografia secondo dati irreprensibili.
Ma oggi comincio a spaventarmi delle condanne che pendevano sui giornali anche per una minima infrazione al testo della nuova legge. Cinquanta franchi d’ammenda per ogni esemplare sequestrato, c’è di che far indietreggiare i piú intrepidi: per i giornali che tirano soltanto venticinquemila copie – e ce ne sono parecchi – rappresenterebbe piú d’un milione. Si capisce allora quali mezzi un’interpretazione larga della legge, potrebbe dare al potere per soffocare ogni opposizione. Sarebbe di gran lunga preferibile il regime della censura. Sotto l’antico regime, con l’approvazione di un censore – che si aveva il permesso di scegliere –, si era sicuri di poter manifestare le proprie idee senza pericolo, e talvolta c’era una libertà straordinaria. Ho letto dei libri pubblicati da Louis e Phélipeaux che oggi verrebbero certamente sequestrati.
Il caso mi ha fatto vivere a Vienna sotto il regime della censura. Trovandomi in imbarazzo per delle spese di viaggio impreviste, e per la difficoltà di far venire danaro dalla Francia, ero ricorso al mezzo semplicissimo di scrivere nei giornali del paese. Pagavano centocinquanta franchi per un foglio di sedici colonne brevi. Scrissi due serie di articoli che dovetti sottoporre ai censori.
Dapprima attesi parecchi giorni. Poiché non mi restituivano niente, fui obbligato ad andare a trovare il signor Pilat, il direttore di questa istituzione, e spiegargli che mi facevano aspettare troppo tempo il visto. – Egli si mostrò d’una compiacenza rara – e non volle, come il suo quasi omonimo, lavarsi le mani dall’ingiustizia che gli indicavo. Inoltre, non potevo leggere i giornali francesi, poiché nei caffè ricevevano soltanto il «Journal des Débats» e «La Quotidienne». Il signor Pilat mi disse: – Voi, qui, siete nel luogo piú libero dell’impero (gli uffici della censura), e potete venire a leggere tutti i giorni, perfino il «National» e lo «Charivari». Ho incontrato queste maniere argute e generose soltanto nei funzionari tedeschi; il loro unico torto è quello di far sopportare piú a lungo l’arbitrio.
Con la censura francese non sono mai stato cosí fortunato – voglio dire con la censura sui teatri –, e se ristabilissero quella sui libri e sui giornali dubito che potremmo essere piú soddisfatti. Nel carattere della nostra nazione c’è sempre la tendenza ad esercitare la forza, quando si possiede, o le pretese del potere, quando si hanno in mano.
Parlando ultimamente delle mie difficoltà con un erudito, che designerò con l’appellativo di bibliofilo, costui mi disse: – Non servitevi delle Lettere galanti di madame Dunoyer per scrivere la storia dell’abate di Bucquoy. Basterà il titolo a far considerare il libro poco serio; aspettate che riaprano la Biblioteca, certamente troverete l’opera che avete letto a Francoforte.
Non badai al sorrisetto maligno che, probabilmente, spuntò sulle labbra del bibliofilo – e, il 1° ottobre, fui uno dei primi a presentarmi alla Biblioteca nazionale.
Il signor Pilon è un uomo erudito e compiacente. Fece fare delle ricerche, che, dopo mezz’ora, non ebbero alcun risultato. Sfogliando il Brunet e il Quérard, vi trovò il libro perfettamente descritto, e mi pregò di tornare tre giorni dopo: ma, passati i tre giorni, del libro non v’era traccia. – Può darsi, – mi disse il signor Pilon con quella officiosa pazienza che tutti conoscono, – può darsi che sia classificato fra i romanzi.
– Fra i romanzi!… – dissi io fremendo, – ma è un libro storico!… Deve essere nella collezione delle Memorie del secolo di Luigi XIV. Riguarda la storia della Bastiglia: fornisce particolari sulla rivolta dei Camisards, sull’esilio dei protestanti, e sulla celebre lega dei contrabbandieri di sale della Lorena, dei quali in seguito si serví Mandrin per arruolare delle truppe regolari che furono capaci di lottare contro dei corpi d’armata e prendere d’assalto città come Beaune e Dijon!…
– Lo so, – mi disse il signor Pilon; – ma la classificazione dei libri, compiuta in epoche diverse, spesso è difettosa. Possiamo riparare gli errori soltanto quando il pubblico richiede le opere. Qui c’è solo il signor Ravenel che può trarvi dall’imbarazzo… Purtroppo non è la sua settimana.
Attesi la settimana del signor Ravenel. Per fortuna, il lunedí seguente, nella sala di lettura, incontrai uno che lo conosceva e che si offrí di presentarmi a lui. Il signor Ravenel mi accolse molto gentilmente, poi mi disse: – Signore, sono veramente felice di avervi potuto conoscere, vi prego soltanto di concedermi qualche giorno di tempo. In questa settimana appartengo al pubblico. La prossima sarò completamente a vostra disposizione.
Siccome ero stato presentato al signor Ravenel, non facevo piú parte del pubblico! Ero diventato una conoscenza privata, – per la quale non poteva tralasciare il servizio ordinario.
Giustissimo; ma guardi quale sfortuna!… E solo la mia sfortuna potevo accusare.
Si è spesso parlato degli abusi della Biblioteca; dovuti in parte all’insufficienza del personale, ed in parte a vecchie tradizioni che si perpetuano. Quello che di piú giusto è stato detto, è che gran parte del tempo e della fatica dei ragguardevoli eruditi che esplicano le funzioni poco lucrative di bibliotecari, viene speso per dare, ai seicento lettori quotidiani, dei libri che essi potrebbero trovare in una qualsiasi sala di lettura; e questo danneggia ugualmente le sale di lettura, gli editori e gli autori, dei quali diventa inutile comprare o prendere in prestito i libri.
Si è detto anche, con ragione, che un’istituzione unica al mondo come quella non dovrebbe essere un asilo pubblico, un ricovero – frequentato da ospiti per la maggior parte dannosi all’esistenza e alla conservazione dei libri. Questa folla di volgari sfaccendati, di borghesi in pensione, di vedovi, di postulanti vagabondi, di scolari che vengono a copiare la loro versione, di vecchi maniaci – come quel povero Carnaval che veniva ogni giorno con un vestito rosso, celeste o verde mela, e un cappello ornato di fiori –, merita senza dubbio considerazione, ma non esistono delle altre biblioteche, o delle biblioteche fatte apposta per loro?
La Biblioteca possedeva diciannove edizioni del Don Chisciotte. Non ne è rimasta una completa. I viaggi, le commedie, le storie divertenti come quelle di Thiers e di Capefigue, l’Almanacco degli indirizzi, sono le opere che invariabilmente questo pubblico richiede, ora che le biblioteche non dànno piú romanzi in lettura.
Quindi, di tanto in tanto, un’edizione si scompagna, un libro curioso scompare, grazie al sistema troppo liberale di non chiedere neanche il nome dei lettori.
La repubblica delle lettere è la sola che deve essere un po’ aristocratica – perché non si potrà mai contestare l’aristocrazia della scienza e del talento.
La celebre biblioteca di Alessandria era aperta soltanto ai dotti, o ai poeti conosciuti come autori di opere in qualche modo meritevoli. Ma a loro veniva offerta un’ospitalità completa, e chi andava a consultare i libri era alloggiato e nutrito gratuitamente per tutto il tempo del suo soggiorno.
E a questo proposito – permettete a un viaggiatore che ne ha calpestato i resti ed interrogato i ricordi, di vendicare la memoria dell’illustre califfo Omar dalla colpa di aver incendiato la biblioteca di Alessandria, che gli si rimprovera eternamente. Omar non ha mai messo piede ad Alessandria – qualunque cosa abbiano detto molti accademici. E non ha mai inviato ordini al suo luogotenente Amru. La biblioteca di Alessandria e il Serapeion, o casa di soccorso, che ne faceva parte, furono bruciati e distrutti nel iv secolo dai cristiani – i quali, inoltre, massacrarono per strada la celebre Ipazia, che professava la filosofia pitagorica. Sono eccessi che, indubbiamente, non si possono rimproverare alla religione, ma è giusto difendere dall’accusa di ignoranza quei disgraziati Arabi, che con le loro traduzioni ci hanno conservato le meraviglie della filosofia, della medicina e delle scienze greche, aggiungendovi le loro opere, – che incessantemente illuminarono l’ostinata nebbia delle epoche feudali.
Perdoni queste digressioni – e io La terrò al corrente del viaggio che devo intraprendere alla ricerca dell’abate di Bucquoy. Questo personaggio eccentrico ed eternamente fuggitivo non potrà sempre eludere un’investigazione rigorosa.
Lettera seconda
Un paleografo – Rapporto di polizia nel 1709 – Il caso Le Pileur – Un dramma domestico.
Alla Biblioteca nazionale regna certo la piú grande compiacenza. Nessuno studioso serio può lamentarsi della attuale organizzazione – ma quando si presenta un giornalista o un romanziere, «tutti gli scaffali tremano». Un bibliografo, un uomo che appartiene alla scienza regolare, sa esattamente quello che vuole. Ma lo scrittore di fantasia, che si arrischia a perpetrare un romanzo d’appendice, fa sconvolgere tutto, e sconvolge tutti per un’idea bizzarra che gli passa per la testa.
È allora che bisogna ammirare la pazienza di un bibliotecario, – spesso l’impiegato in sott’ordine è ancora troppo giovane per essersi abituato a questa paterna abnegazione. Capitano alle volte delle persone grossolane che hanno un’idea esagerata dei diritti conferiti dal vantaggio di appartenere al pubblico; – parlano al bibliotecario con il tono che si usa per farsi servire in un caffè. Ebbene, un illustre studioso, un accademico, gli risponderà con l’affabile rassegnazione di un monaco. Dalle dieci alle due e mezzo sopporterà tutto da lui.
Mossi a compassione dalle mie difficoltà, avevano sfogliato i cataloghi, frugato...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Mondi di carta di Giovanni Casalegno
  5. Storie di libri
  6. Libri e Delitti
  7. Libri Maledetti
  8. Mondi di Carta
  9. Bibliomanie
  10. Cacciatori di Libri
  11. Il Piacere di Leggere
  12. Nota biobibliografica
  13. Fonti