Il grande Gatsby (Einaudi)
eBook - ePub

Il grande Gatsby (Einaudi)

Traduzione di Fernanda Pivano

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il grande Gatsby (Einaudi)

Traduzione di Fernanda Pivano

Informazioni su questo libro

Il romantico ed enigmatico Jay Gatsby organizza feste sontuose nella speranza di avvicinare la donna amata in gioventú, Daisy, che ha sposato un uomo ricco e rozzo. Ne diventerà l'amante, ma un incidente automobilistico darà una tragica svolta al loro amore.
Una descrizione spietata e partecipe del mondo fastoso e frivolo degli anni Venti nelle pagine indimenticabili dello scrittore simbolo della «generazione perduta».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2011
Print ISBN
9788806208301
eBook ISBN
9788858404645

7.

Fu quando la curiosità per Gatsby giunse al culmine, che un sabato sera le luci del palazzo non si accesero e, oscuramente com’era incominciata, la sua carriera di Trimalcione finí. Mi accorsi solo dopo un po’ che le automobili solite a svoltare piene di desiderio nel suo viale si fermavano un attimo e poi se ne andavano silenziose. Preoccupato che si fosse ammalato, andai a informarmi: un maggiordomo insolito, dalla faccia villana, mi sbirciò sospettoso dalla porta.
– È malato, il signor Gatsby?
– Macché! – Dopo una pausa soggiunse: – Signore, – con un tono ritardatario e scontroso.
– Non l’ho piú visto in giro e sono un po’ preoccupato. Ditegli che è venuto il signor Carraway.
– Chi? – chiese rozzamente.
– Carraway.
– Carraway. Va bene, glielo dirò.
Sbatté la porta senza indugio.
La mia finlandese m’informò che una settimana prima Gatsby aveva licenziato tutti i domestici e li aveva sostituiti con una mezza dozzina d’altri che non andavano mai al villaggio a prender mance dai bottegai, e si limitavano a farsi portare per telefono provviste molto parche. Il garzone del droghiere riferí che la cucina sembrava un porcile, e l’opinione generale del villaggio era che i nuovi venuti non fossero per niente domestici.
L’indomani Gatsby mi chiamò al telefono.
– Te ne vai? – gli chiesi.
– No, vecchio mio.
– Ho sentito che hai licenziato tutti i domestici.
– Volevo gente che non chiacchierasse. Daisy viene molto spesso... nel pomeriggio.
Cosí l’intero caravanserraglio era crollato come un castello di carta alla disapprovazione degli occhi di lei.
– È gente che Wolfsheim voleva aiutare. Sono tutti fratelli e sorelle. Avevano un piccolo albergo.
– Capisco.
Telefonava su richiesta di Daisy: volevo andare a colazione da lei l’indomani? Ci sarebbe stata la signorina Baker. Mezz’ora dopo mi telefonò anche Daisy e parve sollevata nell’udire che sarei andato. Qualcosa stava accadendo. Eppure non potevo credere che avrebbero scelto quel momento per una scenata, specie per la scenata sconcertante prospettatami da Gatsby in giardino.
L’indomani era una giornata da arrostire, forse l’ultima, certo la piú calda dell’estate. Quando il mio treno sbucò dalla galleria nel sole, soltanto i fischi roventi della National Biscuit Company spezzavano il silenzio ribollente del mezzogiorno. I sedili di paglia della carrozza erano sul punto di accendersi; la donna seduta accanto a me sudò a lungo delicatamente nella camicetta bianca e poi, quando il giornale le si inumidí sotto le dita, crollò disperata nel calore profondo, con un grido di desolazione. Il portamonete le cadde a terra.
– Oh, Dio mio! – ansimò.
Lo raccolsi curvandomi stancamente, e glielo porsi con il braccio teso, tenendolo per un angolo per mostrare che non avevo alcuna mira disonesta, ma tutti i vicini, la donna compresa, mi sospettarono ugualmente.
– Che caldo, – disse il controllore alle facce consuete. – Che tempo!... Caldo!... Caldo!... Caldo!... Che cosa ne dite del caldo? Che cosa ne dite? Che cosa...?
Il biglietto d’andata e ritorno mi venne restituito con una macchia scura. Com’era possibile che con quel caldo qualcuno si preoccupasse di ardenti labbra da baciare, di teste con cui inumidirsi di sudore il taschino del pigiama!
... Nell’atrio della casa di Buchanan soffiava un vento lieve e trasportò a Gatsby e a me il trillo di un telefono mentre aspettavamo alla porta.
«Il cadavere del padrone! – ruggí il maggiordomo nel microfono. – Mi dispiace, signora, ma non ve lo possiamo procurare... Fa troppo caldo per toccarlo, quest’oggi!»
Ciò che disse in realtà fu: – Sí... Sí... Ora vedo.
Attaccò il ricevitore e venne verso di noi col viso leggermente luccicante per prendere i nostri cappelli rigidi di paglia.
– La signora vi aspetta in salotto, – esclamò, indicando inutilmente la direzione. In questo calore ogni gesto superfluo era un affronto alle riserve comuni di vita.
La stanza, ben ombreggiata dalle tende, era scura e fresca. Daisy e Jordan erano distese su un divano enorme come idoli d’argento che trattenessero gli abiti bianchi sotto l’aria canora dei ventagli.
– Non possiamo muoverci, – dissero insieme.
Le dita di Jordan, abbronzate sotto la cipria bianca, si trattennero un momento fra le mie.
– E il signor Thomas Buchanan, l’atleta? – chiesi.
Contemporaneamente udii la sua voce, brusca, soffocata, roca, al telefono dell’atrio.
Gatsby si fermò in piedi al centro del tappeto cremisi e si guardò attorno con occhi affascinati. Daisy lo fissò e rise, con la sua dolce risata eccitante; una minuscola raffica di cipria le si alzò dal seno e finí nell’aria.
– Si dice, – bisbigliò Jordan, – che al telefono ci sia la ragazza di Tom.
Restammo in silenzio. La voce nell’atrio si alzò seccata: – Benissimo allora, non vi venderò per niente la macchina... Non ho nessun obbligo con voi... E quanto all’essere seccato durante l’ora di colazione, non ho intenzione di sopportarlo!
– Tiene il ricevitore attaccato, – disse Daisy cinicamente.
– No, non è vero, – la rassicurai. – È una faccenda vera. Ne sono per caso al corrente.
Tom spalancò la porta, ne ostruí l’apertura per un momento col grosso corpo, ed entrò in fretta nella stanza.
– Signor Gatsby! – Tese la mano larga e aperta con antipatia ben celata. – Sono lieto di vedervi... Nick…
– Preparaci qualcosa di fresco da bere, – esclamò Daisy.
Quando Tom uscí dalla stanza, Daisy si alzò e si avvicinò a Gatsby; lo attirò a sé e lo baciò sulla bocca.
– Lo sai che ti amo, – mormorò.
– Dimentichi che c’è qui una signora, – disse Jordan.
Daisy si guardò attorno dubbiosa.
– Bacia anche tu, Nick.
– Come sei volgare!
– Non importa, – esclamò Daisy, e cominciò a riempire di legna il caminetto di mattoni. Poi ricordò il caldo e sedette con aria colpevole sul divano mentre una bambinaia, che pareva appena uscita da una lavanderia, entrò nella stanza tenendo per mano una bimba.
– Te-soro bel-lo, – canterellò tendendo le braccia. – Vieni dalla mamma che ti vuole tanto bene.
La bimba, abbandonata dalla bambinaia, attraversò di corsa la stanza e si aggrappò timidamente all’abito della madre.
– Te-soro bel-lo! E la mamma te l’ha messa la cipria su questi capelli gialli? Sta’ su ora, e di’: «Come state?»
Gatsby e io ci curvammo l’uno dopo l’altro a stringere la manina riluttante. Poi lui continuò a guardare sorpreso la bimba. Forse non aveva mai creduto a una sua vera esistenza.
– Mi hanno vestita per la colazione, – disse la piccola, rivolgendosi impaziente a Daisy.
– Perché la mamma ti voleva far vedere –. Daisy curvò il viso nell’unica ruga del piccolo collo bianco. – Sei un sogno, tu, sei proprio un piccolo sogno.
– Sí, – ammise la bimba con calma. – Anche zia Jordan ha addosso un vestito bianco.
– Ti piacciono gli amici della mamma? – Daisy la fece girare in modo che vedesse Gatsby. – Ti sembrano carini?
– Dov’è papà?
– Non assomiglia a suo padre, – spiegò Daisy. – Assomiglia a me. Ha i capelli come i miei e lo stesso ovale del viso.
Daisy si rimise a sedere sul divano. La bambinaia fece un passo avanti e tese la mano.
– Vieni, Pammy.
– Ciao, tesoro.
Voltandosi a guardare con aria riluttante, la bimba ben disciplinata prese la mano della bambinaia e venne sospinta fuori della porta proprio mentre Tom rientrava precedendo quattro bicchieri di gin che tintinnavano pieni di ghiaccio.
Gatsby prese il suo bicchiere.
– Certo danno un’impressione di freschezza, – disse con palese nervosismo.
Bevemmo con lunghi sorsi avidi.
– Ho letto, non ricordo piú dove, che il sole diventa ogni anno piú caldo, – disse Tom con aria gioviale. – Pare che presto la terra cadrà sul sole... no, aspettate... è proprio l’opposto, il sole diventa ogni anno piú freddo.
Si volse a Gatsby:
– Venite. Vorrei farvi dare un’occhiata alla casa.
Uscii con loro sulla veranda. Sullo Stretto verde, stagnante nel calore, una piccola vela strisciava lenta verso il mare aperto piú fresco. Gatsby la seguí per un momento con gli occhi, poi alzò la mano e indicò l’altra sponda della baia.
– Io abito proprio lí, di fronte.
– Già.
Alzammo gli occhi oltre le aiuole di rose, il prato scottante e le alghe respinte sulla riva canicolare. Lentamente le ali bianche della barca si spostarono contro il fresco limite azzurro del cielo. Davanti a noi si stendevano l’oceano ondulato e le numerose isole benedette.
– Quello sí che è sport, – disse Tom con un cenno del capo. – Mi piacerebbe passare un’oretta laggiú.
Facemmo colazione in sala da pranzo, oscurata anch’essa contro il caldo, e ingurgitammo allegria nervosa con la birra ghiacciata.
– Che cosa facciamo dopo pranzo? – esclamò Daisy. – E che cosa facciamo domani? E nei prossimi trent’anni?
– Non scoraggiarti, – disse Jordan. – La vita ricomincia sempre quando si rapprende in autunno.
– Ma fa cosí caldo, – insisté Daisy, prossima alle lacrime, – e tutto sembra cosí confuso. Andiamo tutti in città.
La voce lottava contro il caldo, vi si abbatteva contro, dando forma alla insensibilità dello stesso.
– Ho già sentito parlare di un garage ricavato da una stalla, – stava dicendo Tom a Gatsby, – ma sono il primo che abbia mai ricavato una stalla da un garage.
– Chi vuole andare in città? – chiese Daisy con insistenza. Gli occhi di Gatsby volarono verso di lei. – Ah! – esclamò. – Come sembri fresco.
I loro occhi si incontrarono e rimasero a fissarsi soli nel vuoto. Con uno sforzo Daisy abbassò lo sguardo sulla tavola.
– Hai sempre un’aria cosí fresca, – ripeté.
Gli aveva detto che lo amava, e Tom Buchanan se ne accorse. Fu sbalordito. Socchiuse la bocca, fissò Gatsby e poi tornò a guardare Daisy come se avesse appena riconosciuto in lei qualcuno che aveva conosciuto tanto tempo prima.
– Sembri una réclame dell’uomo, – continuò lei con innocenza. – Sai, la réclame dell’uomo…
– Va bene, – la interruppe Tom, brusco. – Sono perfettamente disposto ad andare in città. Avanti... Andiamo tutti in città.
Si alzò, continuando a spostare lo sguardo da Gatsby alla moglie.
Nessuno si mosse.
– Avanti –. I nervi gli cedettero un poco. – Che cosa succede? Se vogliamo andare in città, andiamo.
La mano, tremante per lo sforzo dell’autocontrollo, gli portò alle labbra i resti del bicchiere di birra. La voce di Daisy ci fece alzare e uscire sul viale inghiaiato e rovente.
– Allora andiamo subito? – protestò. – A questo modo, senza neanche fumar prima una sigaretta?
– Oh, stiamo allegri, – lo pregò Daisy. – Fa troppo caldo per arrabbiarsi.
Tom non rispose.
– Come vuoi tu, – disse Daisy. – Vieni, Jordan.
Andarono disopra a prepararsi, e noi tre uomini rimanemmo lí in piedi a spostare i ciottoli caldi con le scarpe. La curva argentea della luna aleggiava già nel cielo occidentale. Gatsby fece per parlare ma cambiò idea, non prima però che Tom si voltasse a guardarlo con aria di attesa.
– Avreste costruito qui le vostre stalle? – chiese Gatsby con fatica.
– A un quarto di miglio sulla strada.
– Oh!
Un silenzio.
– Non capisco per quale motivo dobbiamo andare in città, – esplose Tom con aria truce. – Alle donne vengono certe idee in testa...
– Dobbiamo portare qualche cosa da bere? – gridò Daisy da una finestra del piano disopra.
– Prenderò un po’ di whisky, – rispose Tom. Entrò in casa. Gatsby si volse verso di me con fare rigido: – Non so che cosa dire in casa di lui, vecchio mio.
– Daisy ha una voce indiscreta, – dissi. – È piena di...
Esitai.
– Ha una voce piena di monete, – disse Gatsby improvvisamente.
Era proprio cosí. Non l’avevo mai capito prima. Piena di monete: era questo il fascino inesauribile che in essa si alzava e cadeva, il tintinnio, il canto di cembali...
Lassú, nel palazzo bianco, la figlia del re, la fanciulla dorata...
Tom uscí di casa avvolgendo la bottiglia in un tovagliolo, seguito da Daisy e da Jordan che indossavano cappellini stretti di tessuto metallico e portavano sul braccio le mantelline leggere.
– Andiamo tutti sulla mia macchina? – propose Gatsby.
Tastò il cuoio verde, ormai rovente, del sedile. – Avrei dovuto lasciarla all’ombra.
– Il cambio è il solito? – chiese Tom.
– Sí.
– Be’, voi prendete il mio coupé e io guiderò la vostra macchina fino in città.
La proposta non piacque a Gatsby.
– Credo che non ci sia abbastanza benzina, – obiettò.
– C’è un mucchio di benzina, – disse rumorosamente Tom.
Guardò l’indicatore. – E se rimango senza, posso fermarmi a una farmacia. Si compra di tutto nelle farmacie al giorno d’oggi.
Un silenzio seguí questa frase in apparenza priva di allusioni. Daisy guardò Tom aggrottando le sopracciglia e un’espressione indefinibile, insieme decisamente non familiare e vagamente riconoscibile, passò sul viso di Gatsby.
– Vieni, Daisy, – disse Tom, sospingendola verso la macchina di Gatsby. – Ti porterò in questo carrozzone da circo.
Aprí lo sportello, ma lei si scostò dal suo abbraccio.
– Portaci Nick e Jordan. Noi ti seguiremo col coupé.
Si avvicinò a Gatsby appoggiandogli la mano sulla giacca. Jordan, Tom e io sedemmo sul sedile anteriore della macchina di Gatsby. Tom ingranò a tentoni il cambio insolito e balzammo nel calore opprimente perdendo di vista gli altri.
– Avete visto? – chiese Tom.
– Che cosa?
M...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Capitolo primo
  5. Capitolo secondo
  6. Capitolo terzo
  7. Capitolo quarto
  8. Capitolo quinto
  9. Capitolo sesto
  10. Capitolo settimo
  11. Capitolo ottavo
  12. Capitolo nono