Libro sesto
Il problema di ri-entrare
Capitolo primo
Elizabeth Bennet a letto
Faremo una colazione leggera, e poi andremo in camera mia. E vedrai che ce la spassiamo. O preferisci andare avanti con la tua prova di recensione?… Sono molto rara, sai. Siamo estremamente rare.
Tredici ore dopo, nella biblioteca pentagonale, Lily stava dicendo,
«Non sei in grado? Come sarebbe a dire, non sei in grado?»
«Quello che ho detto. Non sono in grado. Guarda».
Accennò al foglio protocollo, sorretto dai supporti incrociati della Olivetti. Durante un breve interludio, intorno alle cinque, Keith era scappato via scalzo dalla torre (sotto il sisma celeste, gli zigzag, gli strappi improvvisi nel fondale del cielo) e aveva battuto un paio di paragrafi. Si erano presi una pausa perché a Gloria Beautyman servivano dieci minuti per travestirsi da Elizabeth Bennet. Vedete, le loro opinioni su Orgoglio e pregiudizio divergevano, e Gloria voleva avvalorare il proprio punto di vista.
«Leggi quel pezzo», disse a Lily. «È tutto il giorno che vado avanti cosí. Leggi quel pezzo. Che cosa vuol dire?»
«… Lawrence credeva», lesse lei, «che l’immane disastro della civiltà in cui viveva fosse l’odio pernicioso per il sesso, un odio che si portava appresso una paura morbosa della bellezza (paura di cui, secondo Lawrence, la psicanalisi offriva la miglior sintesi), paura della bellezza “viva”, che provoca l’atrofia delle nostre facoltà e abilità intuitive».
«Che cosa diavolo vuol dire?»
«Niente. Sei impazzito?… E poi hai i capelli bagnati».
«Già, ho fatto una doccia fredda. Per cercare di schiarirmi le idee. Non sono in grado. Non ci riesco».
«… Oh, Dio. Fai finta – fai finta che sia il solito compito settimanale».
Lui esitò e disse, «Già. Già, il solito compito settimanale. No, buona idea, Lily. Mi sento già meglio. Com’erano le rovine?»
«Oh, una pena totale. Non si riusciva nemmeno a capire di cosa fossero rovine. Terme, presumibilmente. E pioveva a dirotto. Gloria, invece?»
Vedete, era stata Gloria a sostenere che Elizabeth Bennet fosse un… Impossibile, aveva obiettato Keith. Allora non esistevano. Poco ma sicuro. Gloria però insisteva che era cosí. E mentre lo guidava attraverso il romanzo (con la pertinenza dei suoi rilievi, l’efficacia delle sue citazioni) Keith aveva iniziato a sentire che anche un Lionel Trilling o un F. R. Leavis sarebbero stati costretti loro malgrado ad accogliere l’interpretazione della Beautyman. E inoltre l’abbigliamento era piú che convincente – aveva addirittura un cappellino, un portafrutta di vimini rovesciato, fissato con una sciarpa di seta bianca legata sotto il mento.
«Farò quello che Lawrence faceva con ogni romanzo», disse Keith a Lily. «Cestino tutto e ricomincio daccapo. Gloria? Gloria che cosa? Non sapevo nemmeno che fosse qui». Ricordò la lezione di Gloria sul mentire (Mai entrare nei dettagli. Limitarsi a fingere che sia tutto noiosamente vero), e nondimeno si sentí dire, «Finché l’ho vista arrivare arrancando per servirsi una tazza di brodo. Col suo montgomery. Aveva una pessima cera».
«Be’, l’ha scampata bella. Con le rovine».
Vedete, nella discussione su Jane Austen, Gloria fondava la propria tesi su due scene chiave: l’aspetto fisico di Elizabeth al suo arrivo dal signor Bingley (nelle prime pagine), e molto piú avanti lo scambio in cui il signor Bennet mette in guardia la figlia contro un matrimonio senza amore. No, aveva stabilito Gloria, come lavandosene le mani. Quella è una poco di buono quanto me, fidati. Ooh, puoi scommetterci. Al travestimento era seguita una seduta di quella che si potrebbe definire critica applicata. Poi gli aveva detto, Adesso mi credi? Io avevo ragione e tu torto. Dillo. Elizabeth è un…
No, ok. Sei stata chiarissima.
«Be’, non ho altra scelta, ti pare?», disse Keith a Lily. «Non mi resta che lavorare finch’è pronto».
«Sarà meglio che ti faccia qualcosa. Per tenerti su. Comunque sia. Buon compleanno».
«Grazie, Lily».
Finí la sua recensione relativamente presto – poco dopo l’una. Poco dopo l’una, e Keith si sentiva saggio e felice e fiero, e ricco, e bello, e oscuramente spaventato, e vagamente folle. E incredibilmente stanco. Jorquil sarebbe arrivato di lí a dodici ore. E come si sentiva in proposito, il nostro eroe? Solo questo: Jorq, ai suoi occhi, incarnava la tradizione, il realismo sociale come lui lo conosceva, il passato. Keith, dopotutto, aveva trascorso la giornata dentro un genere che apparteneva al futuro.
Lily – Lily l’aveva aspettato in piedi.
«Non riesco a chiudere gli occhi. Non so perché».
Per l’intera giornata (immaginò lui) le sonde e i sensori di Lily, i suoi aghi magnetici, avevano fatto il loro lavoro; e adesso lei era in cerca di rassicurazione. Con sua grande sorpresa, Keith fu in grado di dargliela. E l’atto, l’interscambio, seppur gradevole (in una fiacchissima continuità), ed emotivamente coinvolgente (in totale contrasto), fu quasi grottescamente antiquato, come una danza folcloristica, o come lo sfregamento di due legnetti – in uno dei primissimi tentativi di ottenere il fuoco.
«Scheherazade le ha portato su un vassoio», disse Lily mentre vibrando scivolava nel sonno. «Era lí stesa con un termometro in bocca. E una borsa del ghiaccio sulla testa…L’hai sentita starnutire? È un po’… Sta’ a vedere. Domani sarà sana come un pesce».
Il giorno seguente Keith si guardò attorno in cerca quantomeno di un sospetto sedimentario – ma niente. Perché Gloria, secondo le sue stesse parole, era brava da morire. Keith sapeva già di essere in un altro mondo; come sapeva di essere seriamente nei guai – ma solo da un punto di vista psicologico. E per il momento si limitò a starsene disteso a pensare, con sincera ammirazione, Adesso sí che ci siamo. È cosí che dev’essere, la doppiezza.
A colazione, per esempio, ebbe il piacere di sentire Scheherazade commentare,
«Francamente, ammiro la sua forza d’animo. Dico sul serio. Sapete, no, che ha passato tutto il pomeriggio a parlare delle rovine? Perfino in chiesa. Continuava a leggermi dei pezzi dalla guida. E ancora a cena sembrava convinta di potercela fare in qualche modo. Era mezza morta, eppure cercava di fare buon viso a cattivo gioco. Questa sí che è grinta».
E con la stessa Lily, sulla questione di Gloria e della sua indisposizione, Keith ebbe il lusso insensato di farsi riprendere per la sua distrazione (e il suo egocentrismo): la domenica di Gloria – non se n’era nemmeno accorto? – era stata un susseguirsi di giramenti di testa, vampate e incresciose corse al bagno.
«Come può esserti sfuggito?»
«Be’, mi è sfuggito».
«Cristo», disse Lily. «Mi sembrava di guardare un episodio di Emergency Ward 10».
Adesso Gloria, non contenta, andava dicendo che durante la notte le sue condizioni erano peggiorate. Chiese, e puntualmente ottenne, di essere visitata da un medico, che salí in auto da Montale; sostenendo di aver rilevato la presenza di un famoso virus campano, il medico le sciacquò le orecchie con aglio e olio d’oliva. E quando Jorq arrivò, e subito insistette per fare il cambio di stanza, Gloria fu praticamente trasportata dalla torre all’appartamento in barella.
«Povera Gloria», disse Scheherazade. «È proprio un po’ deboluccia».
Sarebbe accaduto davvero? Un giorno avrebbe aperto la sua copia di “Critical Quarterly” e visto l’articolo intitolato Una nuova chiave di lettura per Orgoglio e pregiudizio: Elizabeth Bennet come uccello? Di Gloria Beautyman – e (o magari con, o forse per tramite di) Keith Nearing. Il quale credeva che l’esegesi di Gloria, benché certamente controversa, non potesse essere facilmente liquidabile.
Ma non lo capisci l’inglese?, gli chiese lei. Ascolta. Questo è a dieci pagine dalla fine. Concentrati.
“Lizzy”, disse il padre, “ho dato [a Mr Darcy] il mio consenso… Ora lo do anche a te, se hai deciso di sposarlo. Ma permettimi di consigliarti di pensarci meglio. Conosco il tuo carattere e so che non potresti essere né felice né rispettabile, se tu non stimassi davvero tuo marito… Ti esporresti a rischi notevoli, se facessi un matrimonio non all’altezza delle grandi qualità di cui sei dotata. Difficilmente sfuggiresti a disonore e infelicità”.
“Conosco il tuo carattere”, ripeté Gloria. “Le grandi qualità di cui sei dotata”. “Disonore e infelicità”. “Né felice né rispettabile”. Non rispettabile. Secondo te questo cosa significa? Torno a chiederti. Non lo capisci l’inglese?
Già. Mm. In nessuno degli altri c’è qualcosa di lontanamente simile. Dunque il signor Bennet sa che è un uccello?
Non proprio. Sa che è stranamente interessata al sesso. Non sa che è un uccello, ma questo lo sa.
Credo di capire.
E quando scatena uno scandalo camminando per tre miglia nella campagna diretta a casa del signor Bingley. Non accompagnata, attenzione. Gli occhi belli, il viso “acceso dalla fatica”, l’aspetto “scarruffato” e “quasi selvaggio”. E poi le calze sudice. E la sottana “di quindici centimetri nel fango”. La sua biancheria intima coperta di terra… Che diamine, non erano il tuo forte, queste cose? I “simboli” e via dicendo?
Keith se ne stava sdraiato e ascoltava.
E poi ottimi denti. Un segno di virilità. Guarda i miei… Per cui siamo d’accordo. Elizabeth è un uccello. E all’epoca, l’unico modo per gestire il proprio essere uccello era sposarsi per amore. Il buon sesso doveva seguire i sentimenti. Ora non è piú cosí.
… Per cui nella loro prima notte?
Poi ti faccio vedere. Vai a divertirti per dieci minuti. E io comincio a cercare qualche capo da matrimonio.
Al suo ritorno – l’abito di cotone bianco con un busto improvvisato stile impero, lo scialle bianco, il cappellino fissato con il foulard di seta bianca.
La prego di ricordare, signore, che non ho ancora compiuto ventun anni.
Pochi minuti piú tardi, Keith era ai piedi del letto che cercava di aprirsi un varco in un folto inenarrabile di vesti e sottovesti e gancetti e cerniere, e lei si puntellò sui gomiti e disse, Per certo, il signor Bennet sa soltanto che se lei si sposasse per soldi di sicuro devierebbe dalla retta via. La parte sull’uccello è proprio solo un extra. Riguarda come sei nuda. Come appari.
Come sei al tatto (morbida fuori, dura dentro). E come pensi, anche, pensò Keith, e si rimise al lavoro.
È soltanto un extra. Essere un uccello. Ma è molto raro.
Quando la faccenda fu archiviata, Keith si rilassò e immaginò un futuro di comodi seminari su ogni eroina e antieroina della letteratura mondiale, a partire dall’Odissea (Circe, poi Calipso). Con voce arrochita disse, Adesso ti do Ragione e sentimento.
E come?, chiese lei in tutta innocenza, gli occhi girati all’insú mentre si accarezzava le guance e le tempie con le mani. Sfondandomi il culo?… E ti spiacerebbe non fumare qui dentro? Costituirebbe una prova, e comunque è un’abitudine disgustosa.
L’ostia sottile dei biglietti parlava chiaro: la loro estate era agli sgoccioli. Disse Lily,
«E adesso cosa succederà? A noi due? Suppongo che ci lasceremo».
Keith incontrò il suo sguardo e tornò a Casa desolata. Oh già, Cristo – Lily, e tutto il resto. Si concentrò sulla questione. Lasciarsi sarà ancora una volta un’idea sua, aveva detto Scheherazade. Dopo il tuo amico Kenrik. Era come un problema di scacchi: lui (Keith) adesso pensava che l’altro (Kenrik) si fosse lasciato sfuggire che lui (Keith) voleva che l’altro (Kenrik) andasse a letto con lei (Lily) – non perché lui (Keith) volesse andare a letto con lei (Scheherazade), ma solo per accrescere la sua disinvoltura sessuale. O qualcosa del genere. Era come un problema di scacchi, una strategia, abbastanza distinguibile dal dinamismo della partita in corso. Disse,
«Per certi versi la trovo un’idea spaventosa. Non prendiamo decisioni, per il momento».
«Spaventosa?»
Keith scrollò le spalle e disse, «Cavoli, quella Lady Dedlock. Honoria. È fantastica. Una fiera intrigante dal torbido passato».
«Cosí adesso ti piace Lady Dedlock».
«È un bel cambiamento rispetto a Esther Summerson. Quell’anima pia del cazzo. Santa al punto da compiacersi di essere stata sfigurata dal vaiolo. Dimmi te».
«Chi era l’altra che ti piaceva?»
«Bella Wilfer. Bella è quasi altrettanto virtuosa di Becky Sharp. Che tipo strambo quel Jorquil, non trovi?»
«Jorquil? Non è poi un cattivo ragazzo».
«Sí che lo è. Un cattivo ragazzo. Cioè, chi se ne frega? Però lo è».
L’estate era finita. Era tempo di tornare; e Jorquil era un’incarnazione anticipatrice del mondo cui sarebbero tornati. Agli occhi di Keith, il vecchio Jorq era una spaventosa sintesi dell’Upper England, era Ascot e Lord’s e la Regata di Henley, era carri di fieno e fossi di cinta e sterco di vacca e disinfestanti per pecore. E studiando Jorquil, nell’arco di svariati giorni, Keith aveva scoperto una cosa straordinaria: la profonda, virtuosa, quasi esilarante fraudolenza di Gloria Beautyman. È brava da morire, pensò. È molto intelligente. Ed è fuori di testa.
Che genere ho esplorato, il giorno della mia ricorrenza animale? Questa la domanda cui non riusciva a rispondere. Che stile, che tipo, che classe, in quel compleanno?
Nel bagno con Gloria non erano soltanto i colori a essere sbagliati – dal fluo al museo delle cere. Anche l’acustica era pessima. E cosí pure il copione. Ora il tuono non era piú forte di un bidone dell’immondizia trascinato in cortile; ora ti investiva come una detonazione. E le figure umane – lui, lei? Dei due, Gloria era di gran lunga la piú brava, naturalmente (era lei la prima attrice); ma lui continuava ad avere i suoi dubbi sulla qualità della recitazione.
La luce e le perturbazioni atmosferiche erano un po’ piú normali in camera da letto, in seguito, ma di poco, col giallo violento dei lampi, le tenebre a mezzogiorno, poi l’argento intenso del sole, e la biblica pioggia diluviale.
Pensò e ripensò, Io a che categoria appartengo? Coi suoi lustrini e le sue pose statiche gli ricordava spesso le pagine di una rivista patinata – moda, glamour. Ma di che tipo in termini...