Destino coatto
eBook - ePub

Destino coatto

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Destino coatto

Informazioni su questo libro

Questi racconti postumi rappresentano una serie di deliri di persone comuni, vite indagate nell'arco di poche righe, i loro flussi di pensiero, le loro rappresentazioni mentali. Persone normali, ma non casi normali, personaggi disegnati con drammatica crudeltà in una ricerca della realtà, qui spesso pervasa dall'umorismo nero siciliano.
Con Goliarda Sapienza l'inconscio, questo fantasma del Novecento, diventa personaggio in tanti personaggi, i quali non sono piú le nevrosi della ragione pirandelliana, ma figure fatte di corpo e sangue.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Destino coatto di Goliarda Sapienza in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2011
Print ISBN
9788806205997

Destino coatto

La prima edizione di Destino coatto è stata pubblicata da Edizioni Empirìa, Roma 2002.
Linuccia? Dorme. Dorme o fa finta? Non l’ho mai capito. Nei primi anni era un tormento questo suo cadere cosí, da un momento all’altro, nel sonno. Dove andava? Chi la trascinava via? Qualcosa la trascinava via. Lo sentivo dal morso che mi stringeva le viscere. A quel ricordo – molti anni sono passati – mi viene ancora da vomitare. Forse perché stavamo allora in una stanzetta come questa. E sí, piú o meno come questa. Eravamo sposati da poco, io non guadagnavo molto e la mattina mi alzavo presto per andare a lavorare (dove? Ah sí, dall’avvocato Bruno). E cosí ero costretto a lasciarla lí che dormiva. Non pensate che dormisse sempre, no, non sempre. Si faceva la vita di tutti: il giorno si usciva, si entrava, si aspettava il tram e quando avevamo qualche soldo in piú, si prendeva il taxi e si andava a cena al ristorante. Questo era per me qualcosa di straordinario. E sí, perché bastava che invece dell’N. T. – come si chiamava allora l’autobus – si prendesse il tassí che lei si svegliava tutta eccitata. Già, forse tutto è avvenuto perché io non sono riuscito ad avere soldi abbastanza per portarla sempre in tassí e al ristorante. Deve essere cosí perché appena stavamo senza soldi lei si addormentava.
In quegli anni, mi vergogno a dirla, una gelosia di questo suo cadere nel sonno, pallida, senza difesa, conquistata da chissà che mani, braccia che non conoscevo, cominciò a tormentarmi talmente che entrai in un negozio e comprai una lampadina tascabile. E che credete, una piccola, da tasca, inoffensiva? No, una grande, una specie di faro. E sí, di quelle da guardiano notturno, di quelle che si usano in campagna, nelle miniere. Per spiarla. E cominciai a spiarla quando si addormentava. Di notte e di giorno, lí, su di lei, a spiarla. Ma non era possibile capire niente. Niente si leggeva sul suo viso. Per spiegarvi: io avevo una sorella che quando dormiva si muoveva, che so: sospirava, rigirava gli occhi, sorrideva. Ma lei, la mia Linuccia, niente. Stava lí immobile, tranquilla, abbandonata, ma io sentivo che dietro quell’immobilità si nascondeva qualcosa di piú fantastico e trascinante che dietro i sospiri di mia sorella. Anche perché... nei primi anni, quando il sangue è ancora caldo, e per l’amore e per la giovinezza, quando la prendevo lei era cosí immobile, tranquilla... lasciamo andare! Anche per questo, a poco a poco, quel suo abbandonarsi al sonno sola, senza di me, mi entrò nel cervello come un trapano che non mi faceva piú dormire né mangiare, né, quando mi abbracciava, sentire desiderio. Sapete com’è: prima ti viene un dubbio che ti tormenta astrattamente, ma non avendo fatto nessun atto concreto, questo dubbio resta solo un dubbio e non si configura in niente di preciso, di definitivo. Si sa: se non domandi non hai risposta. Ma comprare quella lampadina fu un «atto», il diavolo deve avermelo suggerito. L’avevo comprata e lí, anche chiusa nel cassetto, mi spingeva ad agire. Per sorprenderla, tornavo all’improvviso lasciando gli affari, l’ufficio, gli amici. La notte l’insonnia cresceva. Non chiudevo occhio per scoprire cosa e perché e dove e chi la trascinava. Lei scivolava lontano nei suoi sogni immobile, attraente, mentre io ero reale, di carne, con la lampadina in mano affannato, sudato, appena tornato dall’ufficio o appena svegliato dal richiamo di quella lampadina.
Poi in ufficio non andai piú, e adesso faccio qualche lavoretto in giro – sempre nel mio ramo: la legge – per andare avanti. Perché io e lei ci vogliamo bene. Certo la passione d’allora non è piú cosí forte, ma c’è tanta dolcezza fra me e Linuccia. Questo anche perché lei non mi ha mai rimproverato di non averla piú potuta portare in tassí e al ristorante. È cosí comprensiva Linuccia. Ha capito che bisognava avere molti soldi per condurre una vita cosí e che io, dovendola spiare, avevo poco tempo per procurarmeli. È molto comprensiva. Anche questa sera, io sono uscito e lei non mi ha chiesto né dove andavo né quando tornavo. Non chiede mai. È discreta. O è perché vuole andare lontana nel sonno che è cosí discreta? Io, per la verità, lí per lí, ero contento di andare a una festa da solo, come quando ero giovane. Ero felice di rivedere Paolo, Giuseppe, Carmelo, Cesare, Antonio, Angelo, come ai vecchi tempi da scapoloni senza pensieri. L’avevamo deciso allora appena finita la guerra. L’avevamo detto: fra vent’anni, in qualsiasi posto ci si trovi, ci riuniremo tutti. Tutta la brigata con coltelli e rivoltelle pronti per l’attacco. Ma non è stata una buona idea. Non si torna indietro. Ritrovandomi scapolo, solo, in mezzo a tutti quegli uomini... che vi devo dire? Non li riconoscevo. E poi, il pensiero di quella sua discrezione, troppa discrezione. Li ho lasciati e sono tornato a casa. E anche ora, questo suo non chiedere niente, neanche in una occasione cosí rara come uscire la sera solo e tornare a notte avanzata. Fiducia? Fiducia o desiderio di restare sola?
Ho fatto bene a tornare. Anche perché mai, in questi vent’anni, mai è stata cosí a lungo lontana da me. Pensate: tre giorni e tre notti, lí, abbandonata sul cuscino bianca, immobile... come una morta. La lampadina, dov’è la lampadina?
Avevo due amiche, una si chiamava Buly e l’altra Pizzi Pi. Proprio cosí: Buly e Pizzi Pi. Vi capisco perché anch’io rimasi strabiliata quando mi dissero il loro nome. Inoltre, io non avevo mai avuto amiche. Non ho sorelle, sono l’ultima di cinque maschi e potete capire: con le donne non ho, come dire?, molta dimestichezza. Bene, rimasi cosí strabiliata – io mi chiamo Rossana – che cominciai a uscire con loro, andavamo al cinema, in piscina, al Piper Club. O da Faffo e Lollo, amici di Buly e Pizzi Pi. Andavamo da loro quasi tutti i pomeriggi a sentire dischi, ne avevano a valanghe – oh beh, niente di speciale... a ballare un po’ nudi. Sí, anche loro, un po’ nudi, anche Faffo e Lollo. Io, come vi ho detto, mi chiamo Rossana e mi era difficile spogliarmi, anche perché avevo poco seno e questo, nome a parte, mi metteva a disagio. Sí, cercai di farmi chiamare Roxy, ma si scoprí che c’era un cinema che si chiamava cosí e dovetti desistere. Ora, non è tanto questo che volevo dire. È un po’ difficile. Sarà per il seno che quasi non c’era o per quel Pussy di merda, un altro amico loro che a un certo punto incominciò ad accodarsi in modo indecente, insomma, non so perché cominciai a divertirmi coi fiammiferi.
Ce n’erano di tutti i tipi in casa di Faffo e Lollo, quelli lunghi, giapponesi o cinesi che siano, erano bellissimi. Vedete, io non fumavo, ci avevo provato sí, tante volte, ma dopo qualche boccata mi veniva una tosse e diventavo cosí rossa che... Bully e Pizzi Pi, erano sempre pallidissime, anche dopo dieci whisky... E cosí, come vi dicevo, i fiammiferi erano lí e non so come – loro dicono perché ero innamorata di quel Pussy di merda, non ci credete – a Buly si infiammò la sottoveste di nailon – non portare mai il nailon, solo seta – a Pizzi Pi, i capelli. Certo restarono piuttosto malconce – io non mi feci niente malgrado fossi rimasta ferma sul letto. Correvano, sembravano pipistrelli al sole – lo sapete che i pipistrelli sono ciechi quando c’è il sole? Io non mi feci niente, e ora che sono passati parecchi anni, cosa veramente strana, malgrado stia sempre chiusa, giusto se si toglie quell’ora di passeggiata nel cortile, malgrado sgobbi tutto il giorno su questa macchina da cucire che mi hanno assegnata, beh, non ci crederete, ma mi è cresciuto il seno, mi si è sviluppato tanto che quasi me ne vergogno. Come può essere?
Ho una grande paura di morire. L’ho sempre avuta. Mia madre diceva che anche da piccola volevo dormire con la luce accesa per paura che la morte venisse a prendermi nel buio. Anche adesso dormo con la luce accesa ma ho paura lo stesso. Quando mi sveglio temo di non essere io, e mi vedo ferma imbambolata come Carmela sul letto quando ebbe quel colpo. È per questo che cerco di dormire il meno possibile. Anche adesso, ho molto sonno, mi si chiudono gli occhi ma non dormirò. Sono sicura che se dormo adesso non mi sveglio piú, e a me piace tanto guardare fuori la mattina. Non dormirò. Posso andare sul balcone e aspettare l’alba. Per fortuna che la finestra è grande e la luce elettrica della mia stanza molto forte... fuori è cosí nero che, meno i fanali, non si distingue niente, è tutto un cielo buio. Non ho mai visto una notte cosí buia. Ma forse è nebbia... eppure non è inverno. Non dormirò. Voglio stare qui seduta sulla ringhiera e fissare la luce dentro la stanza, che fa come un giorno. Un giorno magnifico di sole. Non mi stenderò sul letto. Preferisco lasciarmi andare all’indietro, cosí. Si scivola cosí bene con tutta quella luce negli occhi, e poi si fa presto: quattro piani in pochi secondi. Cosí non dormirò e nessuno mi sveglierà: quando verrà mi troverà stecchita e non sarà stata lei a sorprendermi nel sonno.
Ho ventidue anni, e da un anno vivo con un ragazzo di due anni piú grande di me. Prima andava tutto bene, ma da qualche mese questo ragazzo mi prende i capelli e ci gioca, mi prende le mani e ci gioca... e cosí col seno e col resto. Sí, ci gioca solamente, come fanno i bambini. Non so se avete dimestichezza coi bambini, io sí, ho avuto tre fratelli e tutti e tre li ho sorpresi molte volte a giocare con il proprio membro. Non a masturbarsi, come si dice, ma a giocare. Una volta entrai nel bagno e trovai Guido e Marco che, col sesso in mano, facevano la scherma, e vi assicuro che lo maneggiavano proprio come se fosse una spada. E cosí lui, il mio ragazzo, gioca con me, e temo sia colpa mia o del mio desiderio. Vi spiego: il mio desiderio era di diventare lui, entrare in lui, pensieri, corpo, tutto. E non facevo che dirglielo, non facevo che dirglielo. All’inizio restava un po’ sorpreso, a volte s’arrabbiava. Poi ha cominciato ad abbracciarmi in modo diverso. Non so come dire... ecco, sí: come se abbracciasse se stesso guardandosi allo specchio. E ora? Ora non fa piú all’amore con me ma con se stesso. È colpa mia, lo so, ma il desiderio di essere dentro di lui era cosí forte che non ho potuto evitarlo. E anche ora piango, sola, ma so che non lo potevo evitare. Come posso, ditemi come posso, ora riprendermi da lui, staccarmi, farmi vedere, toccare, come?
Lei aveva sempre saputo tutto quello che la vita le avrebbe dato. Sapeva fin da bambina, era facile, che era carina e che sarebbe diventata una bellissima donna. Sapeva che avrebbe avuto un marito ricco e dei figli, e li aveva avuti. Sapeva che tutti l’avrebbero rispettata e stimata (anche perché lei aveva studiato, preso una laurea e lavorato, e tutti la stimavano oggi, come aveva sempre saputo). Ma non aveva mai pensato che le sarebbero caduti i denti, proprio quelli davanti, cosí presto; in fondo non aveva che quarantatre anni. Certo adesso, per fortuna, rifanno i denti come nuovi. Ma questo fatto l’aveva cosí sorpresa che non andò nemmeno dal dentista, e ogni volta che un altro dente le restava in mano diceva laconicamente «un altro». E presto – altra cosa che non avrebbe mai immaginato – sentí, entrando da Maria per il tè, Maria stessa che diceva a Carla: «È veramente terribile, ma hai visto come si è ridotta? Una vecchia, e solo in un anno, una vecchia». Parlavano di lei.
Sono nato a Padova da una famiglia molto per bene. Sono l’ultimo di sette fratelli. Tutti maschi. Mio padre era magistrato e mia madre suonava il pianoforte. I miei fratelli si sono tutti laureati. Chi è medico, chi avvocato, chi professore. A me piaceva studiare, molto, ma a un certo punto ho dovuto contare i miei passi, per la strada, in casa, a scuola, dagli amici. Sono arrivato a un milione e ottocentomila passi. Una bella somma, non dico di no, ma cammino poco. Ieri, per esempio, ne ho fatti solo duecento. Ma che si può fare! Pioveva e non mi hanno permesso di uscire in cortile. E ora, in una stanza e stretta per giunta, ditemi, si può accumularne piú di duecento al giorno?
Non si può chiedere troppo alla vita, e lei aveva chiesto troppo. Poi aveva cercato di rimangiarsi, di chiedere meno, ma gli altri lí, terrorizzati, a guardarla, a scusarsi e a sparire. Anche adesso: Carla doveva venire a trovarla e invece all’ultimo momento: «Sarei venuta ma, sai, questa è l’ora che Puccio deve mangiare e se non gli faccio la pappa io non la digerisce». Bene, lei non le aveva chiesto di venire e ora non doveva sembrare arrabbiata e stare zitta. Non bisognava chiedere troppo, bisognava stare zitti e aspettare.
Sono una donna di grande volontà, come era mia madre, la nonna, mia sorella. Nella nostra famiglia tutte le donne nascono cosí, con grande volontà. I maschi no. Bravi, lavoratori, ma senza volontà nelle piccole e nelle grandi cose. Per esempio, Libero, finito il liceo, aveva deciso di diventare architetto – lo diceva sempre, andava sempre in giro a guardare chiese e palazzi, sempre col mento sollevato, il naso per aria – bene, bastò che la mamma gli dicesse che «suo padre» aveva deciso di lasciargli lo studio, che lui eccolo lí: avvocato. Con la toga di papà. Io, no. Avevo deciso di lavorare e ho lavorato. Noi siamo di paese e lí, quando ero ragazza io «le donne tutte a casa a cucire e fare l’uncinetto». Io ho lavorato. Lavoro ancora adesso, sono direttrice adesso. E tutti mi stimano e mi rispettano.
Forse è per questo che q...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Introduzione di Angelo Pellegrino
  5. Destino coatto
  6. Indice