Il cuore è un cacciatore solitario
eBook - ePub

Il cuore è un cacciatore solitario

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il cuore è un cacciatore solitario

Informazioni su questo libro

La storia del gioielliere sordomuto John Singer e della piccola comunità di perdenti che popola una piccola città nella Georgia anni Trenta.
E del suo fatale incontro con Mick Kelly, una ragazza piena di talento e voglia di vivere che sfoga nella musica la sua ribellione contro un mondo gretto e meschino, colmo di pregiudizi e di razzismo.
Un romanzo indimenticabile che dà voce ai reietti e ai dimenticati, e attraverso Mick, all'insopprimibile ricerca della bellezza.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCullers, Irene Brin in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2010
Print ISBN
9788806191733
eBook ISBN
9788858401712

Parte seconda

Capitolo primo

Quell’estate fu diversa dalle precedenti e, benché nulla accadesse che Mick potesse tradurre in parole o in pensieri, pure avvertiva il sottile cambiamento. Era continuamente eccitata, non si poteva trattenere a letto la mattina: doveva alzarsi e incominciare presto a vivere. E la sera, giunta l’ora di coricarsi, soffriva le pene dell’inferno.
Subito dopo la prima colazione portava fuori i bambini e, fatta eccezione per i pasti, rimanevano fuori tutto il giorno. Piú che altro vagabondavano per le strade, lei spingeva la carrozzina cigolante di Ralph e Bubber camminava dietro di loro. E sempre pensierosa, sempre architettando progetti, finché le capitava all’improvviso di sollevare la testa e si ritrovava in una zona della città completamente ignota. E una volta o due le successe di imbattersi faccia a faccia con Bill senza nemmeno salutarlo, e lui dovette agguantarla per un braccio e farsi riconoscere.
Le mattine erano fresche e le loro esili ombre infantili si allungavano sul marciapiede, ma durante il giorno il sole ardeva intensamente e si stentava a tenere gli occhi aperti; e in quella sonnolenza incantata apparivano meravigliosi scenari di ghiaccio e di neve. Mick sognava di essere in Svizzera, fra candidi monti, mentre pattinava su di un ghiaccio verdognolo. Il signor Singer pattinava con lei. E forse anche Carole Lombard e Arturo Toscanini, quelli della radio. Avrebbero pattinato tutti insieme e poi Singer sarebbe caduto nel lago e lei, sprezzante del pericolo, avrebbe nuotato sotto la gelida crosta di ghiaccio per salvargli la vita. Questo era uno dei sogni piú frequenti e preferiti.
Generalmente, dopo aver gironzolato di qua e di là, sistemava Ralph e Bubber in un angolo ombroso. Bubber era un bravo ragazzino, e lo aveva abituato alla piú severa obbedienza: quindi, se gli raccomandava di non allontanarsi da Ralph poteva star certa che non lo avrebbe fatto, neppure se i bambini dei dintorni lo avessero tentato con proposte di giochi straordinari. Se ne restava accanto alla carrozzina, docile, divertendosi da solo, e Mick andava tranquillamente in biblioteca a sfogliare il «National Geographic», oppure camminava ancora, immersa nelle sue fantasie. Di rado si trovava in tasca qualche monetina, e allora la spendeva da Brannon in caramelle o in coni gelato. Brannon praticava prezzi speciali ai bambini, e quel che costava cinque cents lo riduceva a tre.
E sempre, qualsiasi atto compisse, la musica. Cantava sommessa, camminando, assorta ascoltava il ritmo che le nasceva dentro. Mille qualità di musiche. Quelle della radio e quelle, misteriosamente nuove, che le tremavano in cuore.
La sera, appena coricati i piccini, si ritrovava libera: il momento piú prezioso del giorno. Una infinità di miracoli si realizzava non appena era sola, nel buio. Subito dopo cena, correva di nuovo fuori. Non avrebbe saputo spiegare quel che faceva ogni notte e rispondeva con una bugia qualunque alle domande di sua madre. Di solito, però, nessuno in famiglia si occupava seriamente di lei e, a meno che non la fermassero acchiappandola per un braccio, scivolava fuori fingendo di non aver sentito le voci di chi in tono distratto la chiamava. Non le importava di nessuno, ma di suo padre sí, e molto: c’era per lei qualcosa di irresistibile nella voce di suo padre, il piú alto, il piú grasso uomo della città. Aveva una voce cosí gentile e sommessa da stupire e, per quanta fretta avesse, Mick si fermava sempre ad ascoltarne il richiamo.
Durante quell’estate cominciò anche a capire suo padre, che, fino ad allora, non aveva mai avuto per lei una vera personalità. Era sempre entrata nella stanza di lui con impazienza, con fastidio, restandoci due minuti soli, senza darsi la pena di seguire i suoi discorsi. E improvvisamente, una sera d’estate, comprese suo padre, benché in fondo nulla d’insolito fosse accaduto, nulla, almeno, da tradursi in parole. In seguito si sarebbe sentita piú matura, e avrebbe saputo che mai, per nessun’altra persona al mondo, avrebbe ritrovato una simile illuminazione d’amore.
Si era alla fine d’agosto e Mick aveva una fretta terribile, poiché doveva trovarsi davanti a una certa casa per le nove, non piú tardi. Il padre la chiamò e lei, con annoiata obbedienza, lo raggiunse nella stanza grande, quella affacciata sulla strada, dove l’invalido trascorreva le sue giornate, curvo sul tavolo da lavoro. In un certo senso sembrava assurdo che stesse lí; fino al giorno del suo incidente, aveva fatto il carpentiere e il verniciatore, e usciva di casa in tuta, ogni mattina, per rientrare la sera tardi e dedicare le serate alla riparazione degli orologi guasti. Gli piaceva aggiustare orologi e da ragazzo aveva sognato di diventare un tecnico bravissimo, quasi un signore, in colletto duro e cravatta. Dopo la disgrazia, era tornato all’antico progetto con l’insegna appesa fuori dell’uscio: «Riparazioni economiche di pendole e orologi». Tuttavia, non aveva l’aria dell’orologiaio. Gli altri, in città, erano ebrei piccoli, svelti e olivastri, mentre lui restava enorme, con ossa sporgenti e gesti dinoccolati.
Il padre guardò la bambina. E lei fu certa di essere stata chiamata senza alcun motivo, solo perché il padre desiderava parlarle con tutte le sue forze, e ora non sapeva da che parte incominciare. La fissava in silenzio, con quei suoi occhi neri, troppo grandi nel viso affilato, troppo sporgenti sotto la fronte amplissima. Da molto tempo il babbo aveva perso tutti i capelli.
E Mick aveva sempre piú fretta. Bisognava trovarsi là alle nove, non c’era tempo da perdere: suo padre la sentí ansiosa e si schiarí la gola.
– Ho una cosa per te. Roba da poco, ma ti sarà utile lo stesso.
Non era giusto che le desse qualche spicciolo o addirittura una banconota solo perché si sentiva abbandonato e desiderava un po’ di compagnia. Guadagnava poco, e tratteneva per sé soltanto l’indispensabile per comprarsi la birra due volte alla settimana. C’erano due bottiglie accanto alla sua seggiola, una vuota, l’altra appena aperta, e gli era sempre piaciuto discorrere bevendo birra. Ora giocherellava con la cintura, e la bimba ne provò un confuso imbarazzo, poiché sapeva che da qualche mese il padre aveva preso l’abitudine di nascondere nella fibbia della cintura i pochi soldi che riservava al suo uso personale. Si comportava da bambino, ecco. O li ficcava nella cintura o nelle scarpe e Mick avrebbe voluto rifiutare la monetina, ma poi, involontariamente, tese la mano aperta a riceverla.
– Ho tanto lavoro che non so neppure da che parte incominciare.
Mentiva: e lo sapevano tutti e due. Gli orologi da accomodare erano pochi, e gli avanzava sempre il tempo di accudire a qualche lavoretto, in casa. Poi, verso sera, sedeva al suo tavolino, a oliare e pulire rotelline arrugginite, con molta lentezza per prolungare il lavoro fino al momento del sonno. Anche ora, con il femore rotto, incapace di lavori faticosi, aveva il bisogno fisico di darsi continuamente da fare.
– Ho riflettuto molto, stasera, – riprese il padre. Versò la birra in un bicchiere e si sparse alcuni granelli di sale sul dorso della mano, poi adagio li leccò e bevve un sorso.
Mick era cosí impaziente di andarsene che faticava a star ferma sulla seggiola, e il padre se ne accorse. Gli sarebbe piaciuto trattenersela vicina con una rivelazione importante, ma in realtà non aveva nulla da dirle. Desiderava solo discorrere con lei, e aprí la bocca, e inghiottí la saliva in silenzio, sempre fissandola. Si guardavano, semplicemente, muti, incapaci di aiutarsi. Fu allora che Mick comprese suo padre. Niente di nuovo, per la verità, poiché lo aveva compreso sempre, ma ora lo comprese con tutto il suo essere e non solo con il cervello. Si trovò, d’improvviso, a sapere di aver sempre compreso quanto riguardava suo padre. Era un uomo vecchio, era un uomo solo e, poiché i figli lo lasciavano in disparte dal momento che guadagnava pochissimo, intuiva di essere tagliato fuori dalla famiglia. Gli sarebbe piaciuto, in tanto squallore, custodirsi accanto almeno una delle sue creature, ma loro erano sempre talmente occupati da non avvertire quel desiderio. E l’uomo stanco e non piú giovane capiva di non essere utile a nessuno.
Fu cosí, guardando in faccia suo padre, che Mick comprese. Poi il signor Kelly spazzolò una molla col pennello unto di benzina.
– Lo so che hai fretta, ti ho chiamata solo per darti la buonasera.
– Ma io non ho fretta per niente, – rispose la bimba. – Davvero, sai.
Rimase infatti lí quella sera, seduta vicino a lui, e chiacchierarono a lungo. Il signor Kelly parlò del piú e del meno e di come sarebbero andate le cose se lui avesse agito differentemente. Il signor Kelly finí la sua birra; una volta, le lacrime gli salirono agli occhi e lui se le asciugò sulla manica della camicia. Benché avesse una premura terribile, quella notte Mick si trattenne un pezzo col padre. E tuttavia, per una certa ragione speciale non gli raccontò cosa la agitava, non gli raccontò delle sue oscure notti soffocanti.
Quelle notti appartenevano unicamente a lei e costituivano il periodo piú importante di tutta l’estate. Camminava nel buio, sola come se fosse l’unica abitante della città, e in quell’oscurità le sembrava che ogni strada fosse di sua proprietà privata. Altri bambini avrebbero avuto paura di aggirarsi in quelle tenebre, ma lei non temeva nulla. Le bambine avevano il terrore di incontrare un uomo che, sbucato fuori da chissà dove, avrebbe fatto loro ciò che si fa con le mogli: Mick considerava stupide quasi tutte le bambine. Se un individuo come Joe Louis o Mountain Man Dean l’avesse assalita, lei sarebbe scappata, ma se avesse incontrato qualcuno della sua corporatura gli avrebbe allungato un bel calcio e poi via, per la sua strada!
Le notti erano semplicemente meravigliose, e lei non voleva neanche ammettere di poter essere spaventata. Appena si trovava al buio si rifugiava nella musica e, percorrendo le strade solitarie, cantava ad alta voce con l’illusione che tutta la città la stesse ad ascoltare senza sapere che era lei, Mick Kelly, a cantare.
Durante quelle libere notti estive imparò moltissime cose. Ogni casa nel quartiere ricco della città possedeva una radio e, attraverso le persiane spalancate, la musica le giungeva limpida e sonora; in breve imparò a conoscere le famiglie che ascoltavano i programmi di suo gusto. Una di queste, per esempio, prediligeva la musica classica e allora Mick sgattaiolava nel giardino oscuro e rimaneva in ascolto, nascosta da un cespuglio sotto la finestra. Finito l’ascolto sostava a lungo nel suo angolino segreto con le mani in tasca e pensava. Quella era la parte piú preziosa di tutta l’estate: ascoltare la musica alla radio e studiarla.
Cierre la puerta, señor, – disse Mick.
Hagame usted el favor, señorita, – le rispose subito Bubber.
Era meraviglioso prendere lezioni di spagnolo alle superiori. Scandire una lingua forestiera le dava l’impressione di aver viaggiato a lungo all’estero e, da quando erano cominciate le scuole, si divertiva straordinariamente a pronunciare, nel pomeriggio, quelle poche frasi spagnole. Da principio Bubber rimaneva allibito, e alle parole straniere della sorellina la sua faccia assumeva un’aria buffa. Poi imparò in fretta a imitarla, a ricordarsi il suono delle parole anche se naturalmente ne ignorava il significato: del resto, non aveva importanza. In seguito fece tali progressi che Mick rinunciò a parlare spagnolo, limitandosi a emettere semplicemente dei suoni inventati, ma lui arrivò anche a riconoscere l’inganno. No davvero, nessuno poteva prendere in giro il vecchio ed esperto Bubber Kelly.
– Voglio far finta di perlustrare la nostra casa come se non l’avessi mai veduta, – disse Mick. – Cosí potrò giudicare meglio se le decorazioni sono ben riuscite o no.
Si avviò alla porta d’ingresso e di lí ritornò nel vestibolo. Per tutto il giorno lei, Bubber, Portia e il suo babbo non avevano fatto che abbellire l’ingresso e la stanza da pranzo per il ricevimento di Mick. La decorazione era autunnale, grappoli, tralci di vite, foglie vivacemente colorate e una quantità di carta crespa rossa; sul caminetto, dietro il divano, c’erano solo foglie gialle, lungo le pareti foglie scarlatte, tralci sul tavolo dei rinfreschi. Quanto alla carta crespa, la si ritrovava dappertutto, precipitava sontuosa ai lati del camino, seguiva arricciandosi la sinuosità delle seggiole. Era una decorazione elaborata e di magnifico effetto.
Mick ne fu soddisfatta e si passò una mano sulla fronte, stringendo pensosamente le palpebre. Bubber, davanti a lei, l’imitò alla perfezione: – Dio, quanto vorrei che la mia festa riuscisse bene! Dio, quanto lo desidero!
Sarebbe stato il suo primo ricevimento. Del resto, aveva preso parte a cinque o sei feste in tutto; l’anno prima, a quella organizzata per la promozione alla classe superiore. Ma allora nessun ragazzo l’aveva invitata a ballare: se n’era rimasta vicino al buffet, tra la ciotola del punch e i bicchieri d’aranciata, finché non c’era stato piú niente da mangiare e da bere, e poi a casa. No, il suo ricevimento non doveva somigliare all’altro. Ora, tra poco, gli amici sarebbero arrivati, aprendo il gioco.
Quasi non rammentava quando le fosse venuta in mente l’idea, ma doveva essere stato poco dopo il suo ingresso alle scuole superiori. Le scuole superiori erano meravigliose. Non c’era paragone con le inferiori. Magari per Hazel ed Etta erano state meno piacevoli, per via della stenografia, ma lei, con un permesso speciale, seguiva invece i corsi di meccanica, riservati di solito ai maschi. La meccanica, l’algebra e lo spagnolo erano meravigliosi. Anche l’inglese era meraviglioso, ma difficilissimo. La maestra di inglese si chiamava Minner e tutti dicevano che la signorina Minner aveva venduto il cervello a un celebre dottore per diecimila dollari, cosí dopo la sua morte l’autopsia avrebbe rivelato il segreto di una straordinaria intelligenza. In inglese scritto era capacissima di proporre temi tremendi: «Elencate dieci famosi contemporanei del dottor Johnson», oppure: «Citate dieci righe del Vicario di Wakefield». Chiamava gli scolari per ordine alfabetico e durante la lezione teneva il registro aperto sulla cattedra. Ma con tutta la sua intelligenza superiore era una vecchia zitella inacidita. In passato, la maestra di spagnolo aveva percorso tutta l’Europa. Diceva che in Francia la gente si porta il pane a casa senza avvolgerlo nella carta e poi s’intrattiene per le strade a chiacchierare posando la pagnotta, se capita, su di un parapetto. E poi in Francia non c’è una goccia d’acqua, solo vino.
Sotto quasi tutti i punti di vista l’istituto professionale era meraviglioso. Però tra una lezione e l’altra si passeggiava su e giú per l’atrio, e qui c’era una cosuccia che le dava fastidio: i ragazzi e le ragazze trascorrevano i momenti di ricreazione formando capannelli e chiacchierando animatamente. Mick nello spazio di una settimana aveva avuto modo di conoscere i suoi compagni e di scambiare qualche parola con loro, ma niente di piú: per il momento non faceva parte di nessun clan. Alle scuole medie avrebbe potuto introdursi in qualche comitiva con la massima disinvoltura, ma qui la cosa cambiava aspetto.
Nella prima settimana camminò su e giú per l’atrio da sola, assorta nelle sue due preoccupazioni, perché desiderava tanto la musica quanto l’intimità con un certo gruppo. Non pensava che a quelle due felicità, e finalmente le venne l’idea di dare una festa.
Studiò a lungo una lista di possibili invitati: nessun ragazzo delle scuole medie, e tanto meno bambini dodicenni, ma solamente giovanetti fra i tredici e i quindici anni. Conosceva quelli che passeggiavano per l’atrio abbastanza bene da poterli invitare e, di quanti ignorava il cognome, tanto fece finché lo apprese. Quelli che avevano il telefono furono invitati con una chiamata, gli altri invece a scuola.
All’apparecchio diceva sempre la stessa frase, lasciando che Bubber ascoltasse la conversazione. – Qui Mick Kelly, – cominciava, e se loro non capivano subito ripeteva piú volte il suo nome. – Sabato sera alle otto do una piccola festa e sarei lieta se tu venissi. Abito in Fourth Street 103, appartamento A –. Al telefono, appartamento A suonava bene. Quasi tutti accettarono con entusiasmo; solamente un paio di ragazzi cercarono di fare i furbi e la costrinsero a ripetere piú volte il suo nome. Uno di loro, poi, tentò di snobbarla: – Ma io non ti conosco affatto, – disse, e Mick in fretta: – E allora va’ a farti friggere! – Finita quell’accurata selezione, poteva contare su dieci ragazze e dieci ragazzi. No, davvero, sarebbe stata una bella festa, assolutamente diversa da quelle a cui aveva preso parte lei e migliore di quante avesse sentito vantare.
Mick guardò ancora una volta l’ingresso e la sala da pranzo. Si fermò davanti al divano-letto a osservare il ritratto di Vecchia-Faccia-Sporca, il nonno della mamma, un maggiore della Guerra Civile morto in battaglia. Tempo addietro, uno dei bambini aveva disegnato su quell’immagine solenne un paio di occhiali e una barba e, anche dopo che i segni di matita erano stati cancellati, la fotografia era rimasta tutta chiazzata. Per questo Mick la chiamava Vecchia-Faccia-Sporca. Il ritratto faceva parte di un trittico, a destra e a sinistra c’erano i figlioli del maggiore, su per giú dell’età di Bubber, vestiti in uniforme, con piccole facce spaurite. Anche loro erano stati uccisi in battaglia, molto, molto tempo prima.
– Li tiro via per la festa, che ne dici? Mi sembrano cosí qualunque.
– Non saprei, – rispos...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prefazione di Goffredo Fofi
  5. Dedica
  6. Parte prima
  7. Parte seconda
  8. Parte terza
  9. Indice