Modo scuoteva la testa, rattristato.
– Mamma mia, che peccato. Mi devi credere, Ricciardi, Vipera era bellissima. Bellissima. Mi dispiace tanto che tu l’abbia vista cosí straziata. Aveva due occhi neri profondi, vivaci, le labbra carnose, una grazia nel muoversi che faceva davvero perdere la testa.
Ricciardi era colpito: non aveva mai sentito l’amico cosí rapito in una descrizione.
– E tu, Bruno, eri… la frequentavi, insomma?
Sul viso di Modo spuntò un’espressione malinconica.
– No, no. Io qui ci vengo per divertirmi, bere e giocare a carte, e le signorine che mi riscaldano la pelle sono piú allegre e modeste di Vipera. E poi, a quanto so, lei aveva pochissimi clienti. Per Madame Yvonne era una specie di réclame, un’insegna vivente. Certo, una perdita seria, per lei.
– Sí, me l’ha detto. E magari ti chiederò ancora qualcosa, sulla vita in questo posto, cosí ti eleverai da macellaio necrofilo a informatore della polizia. Dimmi, piuttosto: hai notato qualcosa, sul corpo della ragazza?
Modo, suo malgrado, fece una breve risata.
– Ecco, ora ti riconosco: il vero Ricciardi, quello che appena il discorso vira su argomenti lievi torna subito sul suo pianeta di sangue. Be’, poco altro rispetto a quello che avrai intuito anche tu: la cosa dev’essere stata breve, l’assassino o l’assassina l’ha buttata sul letto e le ha messo un cuscino in faccia, tutto qui. Morta per soffocamento; setto nasale rotto, sanguinamento del labbro superiore e di quello inferiore per la pressione sui denti. Non ha fatto in tempo a chiamare nessuno. Ha scalciato un po’: c’è una piccola ecchimosi sul piede, deve aver colpito il comodino.
Ricciardi pensò che il quadro che si era fatto corrispondeva.
– E le mani? Ha tentato di difendersi, è riuscita a…
– No, nessun graffio all’assassino, non c’è pelle sotto le unghie. Purtroppo non ci sono impronte: ha tentato di togliersi il cuscino dalla faccia, ha toccato solo quello.
Modo aveva afferrato al volo il pensiero di Ricciardi: la presenza di graffi e ferite sulle mani o sugli avambracci avrebbe potuto aiutare nell’identificazione dell’omicida.
– Naturalmente mi riservo di darti qualche altra notizia dopo l’autopsia, che intendo praticare col massimo della cura: chi uccide una donna tanto bella, una che migliorava decisamente l’aria putrida di questa città, merita la peggiore delle punizioni.
Ricciardi si strinse nelle spalle.
– È un’attenzione che siamo abituati a riservare a ogni assassino, noi. Un’ultima cosa, Bruno: ho sentito che in questi posti si fanno pure, diciamo cosí, dei giochi un po’ violenti. Che a qualcuno, insomma, piace utilizzare… cose che possono fare male. Certi giochi possono magari trascendere, e portare a una violenza incontrollata e addirittura alla morte.
Modo lo fissava a braccia conserte, con una luce d’ironia sul volto.
– Ma guarda guarda: il monastico Ricciardi, il sacerdote massimo dell’automortificazione, l’uomo che non si diverte mai nemmeno per errore, conosce anche le pratiche sadomasochiste. Ovvio che sí, alla gente piacciono le cose piú strane: e in posti come questo si viene anche per provare esperienze che a casa non avresti mai il coraggio di proporre. E non escludo certo che la povera Vipera fosse una di quelle brave nel settore, anzi, credo anche di aver sentito qualcosa in questo senso, tempo fa, in sala d’attesa. Ma posso escludere che questa sia stata la circostanza del delitto.
– E come mai, questa esclusione?
– Semplice. Come hai visto, indossava ancora la biancheria. Non c’era nessun rapporto sessuale in corso, né c’è stato dopo.
Scesero in sala. Ricciardi si rivolse a Madame.
– Signora, per adesso non dovete spostare niente, e naturalmente non potete riaprire. Una guardia rimarrà qui fino all’arrivo dei necrofori. Nella stanza non potrà entrare nessuno.
La donna si portò una mano alla fronte e si aggrappò al bordo della scrivania, come se stesse per venir meno.
– Commissa’, e voi cosí mi rovinate! Già è la settimana santa e viene pochissima gente, se chiudiamo perdiamo pure quei clienti ed è la fine! Che ci dò da mangiare, io, alle ragazze e ai miei dipendenti?
Ricciardi non batté ciglio:
– Mi dispiace, ma cosí è e cosí dev’essere. Un omicidio è un fatto grave, sapete. Il piú grave che possa succedere. Mi servono altre informazioni: dovete fare una lista dei clienti che in quel momento erano presenti nella casa, oltre a questo Ventrone. Poi, ditemi: a parte l’ingresso che abbiamo utilizzato noi, ci sono altri accessi?
Yvonne fece di no con la testa, in un tintinnio di orecchini.
– Solo quello dei fornitori, ma arriva direttamente in cucina. Usano il portoncino di lato, dal vicolo, però se uno sconosciuto o qualcuno di insolito fosse entrato di là, il cuoco e gli inservienti non avrebbero potuto fare a meno di vederlo.
Ricciardi assentí.
– Bene. Nessuno può lasciare la città senza chiedere il permesso in questura, e voi, signorina Lily, non potete nemmeno allontanarvi dall’edificio né parlare al telefono. La guardia Cesarano rimarrà qui a controllare, e tu, Maione, ricordati di mandargli un cambio almeno per la giornata di domani. Questo fino a quando deciderete di dire la verità.
La donna sogghignò ironica.
– Una specie di galera qui dentro. Sai che novità.
Ricciardi osservò i lunghi capelli biondi legati a crocchia della ragazza.
– Ditemi una cosa, signorina: qualche oggetto di vostra proprietà può trovarsi nella stanza dell’assassinata?
Lily si strinse nelle spalle.
– Certo, ci scambiamo le cose, trucchi, spazzole, sapone. Stiamo qua, facciamo le stesse cose.
Yvonne intervenne, enfatica:
– Ve l’ho detto, commissa’ sono tutte figlie mie, e quindi sono come sorelle. Nessuna di noi avrebbe potuto fare del male a Vipera.
Ricciardi si avviò verso la porta, poi si fermò e disse:
– Un’ultima cosa. Voglio sapere chi erano i clienti di Vipera, quelli piú assidui.
Lily ridacchiò e disse:
– Questo è facile.
Madame Yvonne la fulminò con un’occhiataccia che non sfuggí al commissario.
Appena furono in strada, Ricciardi disse a Maione:
– Domani mattina manda a prendere questo Ventrone, il commerciante di arredi sacri che ha trovato il cadavere. Con discrezione, mi raccomando: non alziamo polvere inutilmente.
Passando, lanciò uno sguardo al vicolo che percorreva il palazzo di fianco e intravide il portoncino dei fornitori, proprio dove un suonatore cieco di fisarmonica cercava di attirare elemosine con la musica struggente del suo strumento.
La sera del primo giorno di primavera era ormai calata, ma i profumi dominavano ancora l’aria.
La gente si attardava, quasi spaesata dal clima dolce, affamata di ore all’aperto dopo un rigido inverno impietoso. I venditori ambulanti approfittavano della situazione, continuando i loro commerci ben oltre gli orari soliti.
Dopo due giorni la festa di San Giuseppe non era ancora finita, e i friggitori continuavano a distribuire zeppole fritte nell’olio nero; l’odore acre e le volute di fumo arrivavano in ogni angolo di strada, causando crampi allo stomaco a chi si affrettava a casa per la cena.
Si vedevano i venditori di uccelli, carichi di gabbie di ogni misura nelle quali i pennuti si agitavano impazziti sbattendo sulle pareti, alla ricerca della libertà perduta; la tradizione che voleva si realizzasse una grazia in favore di chi acquistava un volatile per la festa del padre di Gesú era ancora molto sentita, e con l’arrivo della primavera i balconi si riempivano di cardellini e canarini accecati con uno spillo per favorirne il canto disperato e bellissimo.
Ma l’aria era piena pure del suono fastidioso degli zerri zerri, gli infernali giocattoli costituiti da ingranaggi in legno che i bambini facevano ruotare su un manico producendo un crepitio come di nacchere.
Per gli strascichi della festa di San Giuseppe, però, la fine era segnata: l’animo del popolo era già rivolto alla Pasqua, per la quale mancava ormai meno di una settimana. Le infinite tradizioni religiose e pagane avrebbero a breve reclamato spazio, assorbendo nel proprio incanto tutta l’attenzione della città, in ciascuno dei tanti strati sociali che la componevano.
Modo si mise platealmente le mani sulle orecchie per ripararsi dal fischio acuto di un venditore di noccioline.
– Io mi domando che cosa tengano da festeggiare, questi pezzenti affamati, laceri e disgraziati. Eppure, per un motivo o per un altro, stanno sempre in mezzo alla strada a ridere e a ballare. Invece di capire che ormai stanno sotto il tacco di un dittatore, che li costringe pure a contare per dire che anno è: ma ci pensi, Ricciardi? Anno decimo. Come se fosse rinato Cristo. Incredibile.
Fu il turno di Ricciardi di fingere disperazione e tapparsi le orecchie:
– Per carità, ti prego! La giornata è stata dura, non ti ci mettere pure tu.
Modo ridacchiò indicando alle sue spalle, dove trotterellava un cagnolino bianco pezzato di marrone, con un orecchio basso e uno all’insú.
– Lo vedi? Anch’io ho i miei seguaci. Anzi, sai che ti dico? D’ora in poi costringerò il cane a dire che questo non è il 1932, ma l’anno cinquantasei.
Maione gli diede di gomito.
– Dotto’, quello secondo me il cane a voi non vi pensa proprio, figuratevi se sa quanti anni avete. Ma se nemmeno vi risponde quando lo chiamate!
Il dottore sbuffò.
– Che c’entra? Noi siamo amici, mica è di mia proprietà. Sta con me finché gli fa piacere, poi quando vorrà se ne andrà per la sua strada. Dovremmo fare cosí tutti, in amore, in politica. Lasciare la scelta.
Maione ridacchiò.
– Dotto’, io posso scegliere, certamente. Ma se scelgo di non tornare a casa per cena e, che so, di andare in trattoria con qualche amico, mia moglie sceglie di accogliermi con una scarpa in fronte, al ritorno. Questo che vuol dire, che siamo due persone libere?
Modo si arrese, sfiduciato:
– Niente da fare, ci rinuncio. Pecore siete, e da pecore siete condannati a morire, e lo dico con perverso piacere adesso che si avvicina la Pasqua. Ma volete sapere a che punto siamo arrivati? Be’, l’altro giorno in ospedale viene a farsi mettere due punti un avvocato. Aveva il labbro spaccato, uno schiaffone o un pugno. Entriamo in confidenza, cominciamo a chiacchierare, e quello mi dice che lo avevano aggredito fuori dal tribunale, alla luce del sole, un paio di questi fessi in camicia nera. E sapete perché?
Ricciardi fece di non con la testa.
– No, non lo sappiamo ma siamo sicuri che tu immediatamente colmerai questa nostra lacuna.
– Infatti, ve lo dico subito: perché aveva osato difendere… osato, capite?… un ragioniere accusato di «offesa all’onore del capo del governo». E in che co...