Tutti loro vivevano nel grande drive-in Orbit, sotto un buco nel cielo popolato di ombre. Una volta il buco si contrasse come uno sfintere e cagò una melma scura e appiccicosa.
Che puzzava.
E si attaccava ai piedi.
Qualcuno credette che fosse commestibile, perché una volta erano piovute mandorle ricoperte di cioccolato e cose simili, ma quella poltiglia non c’entrava niente con le mandorle al cioccolato. Assolutamente niente. Quelli che la mangiarono si portarono le mani al ventre e morirono urlando.
Per un pezzo i loro corpi restarono accatastati accanto al recinto del drive-in, pronti per il trasporto. E furono trasportati, infatti, ma non lontano.
(Ne parleremo dopo).
La roba melmosa, la merda di Dio, fu finalmente spalata via con grandi badili improvvisati ricavati da cofani di automobili, e fu depositata contro il recinto per rinforzarlo. La cosa funzionò: la melma si indurà come cemento, e quando se ne aggiungeva della fresca si attaccava bene sopra l’altra. Cosà la parete si alzava.
Ma torniamo al buco nel cielo.
Coloro che ci vivevano sotto lo chiamavano il buco del culo di Dio. O meglio, Jack lo chiamava cosÃ, e la definizione prese piede.
Jack era l’uomo di punta. Il leader di tutto il drive-in, baby. Come tutti gli altri, non era invecchiato neppure di un giorno durante il tempo trascorso lÃ. Almeno fisicamente. Dal punto di vista emozionale e mentale, be’, era una specie di relitto. La sua mente aveva bisogno di un bastone per camminare. Le sue emozioni di un girello a ruote.
Ma era diventato l’uomo di punta.
Jack, l’uomo del drive-in.
I film del drive-in, per qualche strana ragione, si proiettavano giorno e notte, senza interruzione. Parliamo di quattro schermi panoramici, in quattro parcheggi comunicanti che erano diventati delle comunità a sé, battezzate con molta originalità : Parcheggio Uno, Parcheggio Due, Parcheggio Tre, e Parcheggio Grande, che oltre a essere piú grande degli altri, come suggerisce il nome, aveva anche uno schermo di maggiori dimensioni. Tutti e quattro gli schermi trasmettevano senza interruzione immagini di sangue e distruzione. Lo squartatore di Los Angeles1. Non aprite quella porta. La notte dei morti viventi. E altri. Si spalmavano sugli schermi come burro rancido su fette di pane ammuffito.
E nelle notti fresche, che sembravano alternarsi perfettamente a quelle calde e secche, gli abitanti dell’Orbit guardavano in direzione degli schermi, fissavano le immagini scintillanti, citavano le battute ad alta voce come pregando in coro verso la Mecca, e scopavano come ricci.
Al posto di preparare pranzi e cene, conversare e interessarsi alla vita di attori e cantanti famosi, il popolo del drive-in guardava i film e scopava.
E sissignori, fratelli e sorelle, tutto quello scopare aiutava parecchio. Forniva al popolo del drive-in un senso di comunità , oltre a un sacco di gravidanze accidentali e a strane bolle rosse. Per fortuna le malattie a trasmissione sessuale non erano comuni, altrimenti tutto il fottuto branco sarebbe morto entro un anno. Qualunque cosa fosse un anno nel drive-in e nella giungla circostante. Il tempo era difficile da misurare. Il sole sembrava sorgere e tramontare secondo un programma suo. A volte la folla sedeva al buio, con solo la luce del drive-in, proveniente da chissà cosa che si trovava chissà dove.
Vi assicuro che non era una comunità felice, tesorucci miei. Nossignore. C’erano strappi nelle cuciture. C’erano sempre stati. Vero, non erano piú circondati da ventiquattro ore di un’oscurità costante, appiccicosa e capace di mangiarti vivo. Quello era il passato. In seguito erano fuggiti dal drive-in solo per ritrovarselo di nuovo in fondo alla strada (scherzo del cazzo). E adesso erano in una situazione sempre uguale, all’interno del recinto, circondati da giorno, notte, sole e luna e da una giungla smisurata. Intrappolati lÃ, divisi dal mondo esterno da una debole barricata. Cercando di essere al sicuro. Volendo essere al sicuro. Sperando di essere al sicuro.
Ma il posto non era sicuro per niente. Dinosauri e strani animali rumoreggiavano nella foresta e punteggiavano i cieli. Mostravano i denti e gli artigli. A volte abbattevano il recinto ed entravano per farsi una cenetta al drive-in. Jack e i suoi avevano imparato a respingerli con lance di legno e pezzi di automobile, torce, sassi lanciati con fionde ricavate da linguette di scarpe e pulegge di ventilatori.
Persino il buco dove andavano a fare i bisogni era un posto pericoloso. Piccole creature erano in agguato anche lÃ.
Prepararono grandi catapulte fatte di legno e liane intrecciate, che tenevano pronte lungo il recinto. Le caricavano con motori di auto, scatole del cambio, ruote, batterie, tutto ciò che era vecchio e pesante.
A volte, quando moriva qualcuno (ricordate i mangiatori appostati dietro il recinto, tesorucci?), lo catapultavano nella giungla. Per questo i piccoli animali che si nutrivano di carogne erano sempre là intorno, in posizione di supplica, sperando in un’offerta. La gente comprese presto che catapultare i cadaveri non era una grande idea. Ma seppellirli era peggio. Fuori dal drive-in sarebbero stati comunque disseppelliti, e dentro… Be’, la puzza di morte non era piacevole. E gli animali la sentivano anche se i corpi erano sepolti in profondità , nella terra sotto l’asfalto e la ghiaia. Una volta, dopo che Jack e i suoi ebbero fatto una gran fatica per seppellire un cadavere, un enorme pterodattilo, sbattendo le ali alla velocità vertiginosa di un adolescente che si fa una sega, piombò giú, scavò e artigliò il corpo. Una donna coraggiosa, amica o parente del morto, cercò di proteggerlo, e la bestia alata prese anche lei oltre al cadavere, uno per artiglio. Cena e dessert.
In un anno sconosciuto, il Grande Jack morÃ, e le tribú del drive-in si separarono, e la tribú che lo aveva conosciuto meglio, la Yippie-Ki-figa, si mise in proprio.
Era stato lo stesso Jack a fondare quella tribú, dopo un evento particolarmente succoso nel quale aveva scopato due donne insieme. Emergendo dal vecchio autobus nel quale viveva, con le vergogne roride di umori sessuali, aveva urlato: – Yippie-Ki-figa!
Era stata un’idea divertente, e tempo dopo la tribú aveva deciso di assumere quel nome in omaggio al suo leader, Jack.
Jack era un bell’uomo. Un notevole campione di virilità , ossuto e con una folta zazzera, vestito di stracci e con vecchissime scarpe ai piedi. Camminava veloce, e sembrava un clown stanco e forse alcolizzato che si dirige al centro dell’arena per fare qualche trucco.
Ma era comunque un bel guardare, il vecchio Jack.
SÃ, sono bello.
Cosa succede? Era tutto in terza persona e adesso arrivo io a narrare in prima persona. Non riesco a starne fuori. Dovrei, forse, ma questa storia è tutta su di me, su di loro, e quindi su di noi, ma soprattutto, visto che la racconto e la scrivo io, parla di… avete già indovinato.
Di me.
Voglio dire ancora quella parolina: me.
Di tanto in tanto, quando stai delirando in uno stato vicino al coma ipoglicemico, vorresti farti da parte e lasciare il Me, l’Io, insomma Te Stesso, fuori dal quadro.
Ma non ci riesci.
Credi di poterlo fare, invece no.
Non importa quello che pensi, o cerchi di pensare o di fare, si tratta sempre di chi?
Di te.
O per essere piú precisi, di me.
Me. Me. Me.
Ma l’avevo già detto. Ipoglicemico o meno, si tratta sempre di me.
Vi sto solo dicendo qualcosa che i sostenitori del partito repubblicano sanno da sempre: al diavolo tutti gli altri, basta che io abbia il mio.
Cosa darei per una bistecca.
Di manzo, naturalmente.
Inoltre, cazzo, non sono morto. Tutto quello che ho scritto finora è la pura verità , eccetto la parte dove ho detto di essere morto. Ma di che mi preoccupo? Come se ci fosse qualcuno che potesse mettere in dubbio quello che dico (be’, ci sono sempre io, ma oggi non me la sento).
Oh, e va bene, c’è un altro punto su cui ho mentito. Ma per ora lasciamo perdere, ci arriveremo tra poco.
Immagino di doverti confessare, caro diario, Guardiano della Fottuta Verità , che forse desideravo essere morto. Ci ho pensato. Hai presente, un lavoro fai da te. Ma non è una cosa per me.
Mi piace troppo vivere.
Anche se questa non può essere definita vita, è la mia scusa per tirare avanti, e non posso fare altro che mettere in moto e partire.
Il che mi fa venire in mente una cosa.
Partire. Appunto.
Domani (devo decidere quando sarà domani, perché qui, baby, chi lo capisce), ma domani ci sarà tempo per valutare, decidere, magari scopare, se una femmina non proprio repellente ne ha voglia, e con tutti i volontari che riuscirò a trovare partirò verso… Be’, questa parte non dovrebbe essere discussa, considerata o progettata in modo troppo preciso.
Perché non sono affatto sicuro che ci sia qualche posto dove andare.
P.S.
In realtà non è vero che sono uscito dall’autobus dopo una fantastica scopata con due donne arrapate, con l’uccello al vento, gridando: «Yippie-Ki-figa».
Mi piacerebbe che fosse stato cosÃ.
In realtà sono uscito lamentandomi del mal di schiena.
Ora evito di fare sesso.
Quasi sempre.
Insomma, ci provo, a evitarlo.
A volte puoi mettere incinta una donna e non saperlo. Non sapere se sei stato tu, voglio dire. Ci sono tante donne in comune, durante le feste, capite? E poi, se restano incinte, arrivano i bambini.
Certo, molti se li mangiano, e posso capirli (cosà morbidi, rosa, perfetti per il forno… qui comunque non è semplice fare fuochi e in parecchi apprezzano anche la carne cruda), ma noi stiamo cercando di mantenere una parvenza di civiltà .
Almeno io ci sto provando, cazzo.
Quindi abbiamo poche semplici regole.
I bambini non si mangiano.
(Almeno non crudi).
Tieni abbottonato l’ultimo bottone.
E piscia in fondo al recinto. Dove già puzza.