La custode di libri
eBook - ePub

La custode di libri

  1. 72 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La custode di libri

Informazioni su questo libro

È una querula bibliotecaria di provincia la donna che parla dalla prima all'ultima riga di questo incantevole monologo. Il suo interlocutore è un ragazzo che usa il seminterrato della biblioteca come bivacco notturno. A lui la custode si rivolge mischiando vita privata, libri, invettive. E la confessione di un tenero rapimento verso uno studente di cui però contempla solo la nuca. La sua voce ci arriva sommessa, un po' nevrotica, la voce di una donna ferita da un amore andato male, chiusa in un riserbo che solo i suoi amati romanzi riescono a scheggiare. Li ama, li classifica, li commenta convinta che solo l'ordine monastico della biblioteca è medicina per il caos dei sentimenti e degli uomini tutti. E poi d'un tratto la sua voce si accende e dalla donna autoreclusa nel sottosuolo esce una pasionaria della letteratura, una tenace sentinella del silenzio, che dalla sua misera trincea di provincia difende la vertigine della bellezza letteraria contro il chiassoso vociare della subcultura di massa.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806209209
eBook ISBN
9788858405420

La custode di libri

a tutti coloro che avranno sempre meno problemi
a trovare un posto in biblioteca che in società
dedico questo divertissement

La lettura, insieme all’amicizia,
è uno dei contributi piú certi all’elaborazione del lutto.
Ci aiuta, piú genericamente,
a elaborare il lutto dei limiti della nostra vita,
dei limiti della condizione umana.
DIDIER ANZIEU, Le corps de l’œuvre.

Si svegli! Che fa, dorme? La biblioteca apre soltanto fra due ore, qui non ci può stare. È il colmo: adesso ci rinchiudono i lettori, nel mio seminterrato. A questo punto me le hanno fatte proprio tutte, qua dentro. È inutile che gridi, io non c’entro niente… Ma so chi è lei, lei lo conosce bene, questo posto. A forza di passarci le giornate a perdere tempo, doveva pur capitare che ci restasse di notte. No, non vada via, già che è qui mi dia una mano. Cerco un libro per quelli di sopra, L’esistenzialismo è un umanismo, una roba di Sartre che hanno perso qui sotto. Lo cerchi sugli scaffali, grazie. Come? Non mi riconosce? Ma se lavoro in questo seminterrato tutti i giorni! Si direbbe quasi che sia trasparente. È il mio problema, non mi vede nessuno. Anche per strada, la gente mi urta e dice: «Oh, scusi, non l’avevo vista». La donna invisibile, sono la donna invisibile, la responsabile degli scaffali di geografia. Ma sí, ora mi riconosce, certo. Ah, eccolo, molte grazie, è veloce, lei. L’esistenzialismo è un umanismo non ha niente a che spartire con il mio seminterrato, mica facciamo filosofia qui. Va bene per gli intellettuali del pianoterra. Cosí glielo restituisco, saranno contenti, che è parecchio che lo cercano, di sopra. Come vede, lei mi è utile. In ogni modo, non sono autorizzata a riaprirle le porte, bisognerebbe chiamare il servizio di sorveglianza, è troppo pericoloso. Certo che è pericoloso, sarebbe una cosa inaudita, una vera e propria novità! E poi non bisogna mai farsi notare in biblioteca. Farsi notare è già disturbare. Resterà con me mentre preparo la mia sala di lettura. Ho altri libri da catalogare. Visto che è cosí efficiente, mi tiri fuori dagli scaffali di storia tutti i libri di geografia che ci hanno infilato i lettori. Su, e non brontoli: catalogare, riordinare, non disturbare, è tutta la mia vita. Mettere e togliere libri dagli scaffali, ancora e ancora. Ah, non è molto divertente, mi spiace. Perché per riporre un libro non ho nemmeno bisogno di guardare il nome dell’autore. Mi basta leggere le cifre scritte sopra, sull’etichetta incollata al dorso, e inserirlo in coda agli altri con la stessa segnatura. Voilà, tutto qui. E faccio questo mestiere da venticinque anni, venticinque anni sullo stesso principio immutabile. Non che vada meglio se mi chiamano di sopra al banco del prestito. Sarebbe creativo registrare i libri in uscita o in entrata facendo bip bip con i codici a barre? Bip bip, «Da restituire entro il 26 settembre, arrivederci»; bip bip, «Entro il 14 maggio, grazie». Fare la bibliotecaria non è affatto qualificante, glielo assicuro: una condizione vicina a quella dell’operaio. Sono una lavoratrice specializzata della cultura, io. Per fare la bibliotecaria bisogna amare l’idea di catalogazione ed essere una persona ligia, se ne renda conto. La libera iniziativa e gli imprevisti non sono contemplati: in biblioteca ogni cosa è in ordine, immancabilmente in ordine. Almeno ha dormito bene stanotte? No? Ha avuto paura? Eppure è tranquillo qui. A me, l’ordine e la tranquillità mi rassicurano. Sono fatta cosí. Ho bisogno d’invariabilità e precisione. Non avrei potuto lavorare in una stazione: troppo traffico, e solo l’idea che un treno possa ritardare mi fa venire l’angoscia. Del resto non lo prendo piú, il treno, ormai non ho l’età. Nemmeno la macchina, è troppo rischioso, e poi non mi piacciono i parcheggi, mi piace la bellezza all’antica: cado in preda agli spasmi anche solo al pensiero di rimanere bloccata in tangenziale. Non se ne stia lí in piedi, adesso le do un caffè. Me ne porto sempre un thermos, quando arrivo in anticipo. Ne beva un po’, cosí si rilassa. So quel che dico. Si metta su questa sedia e non mi disturbi piú, altrimenti mi stresso. Già basta che nelle piccole biblioteche provinciali come questa si trovino errori di catalogazione spaventosi. È una cosa che mi fa uscire dai gangheri e che ne dimostra tutta la mediocrità. Non solo la sera chiudono i lettori distratti nel mio seminterrato, ma sbagliano pure a mettere i riferimenti. Perché in teoria, che lei si trovi a Parigi, Marsiglia, Cahors, Mazamet o Dompierre sur Besbre, deve poter sempre trovare lo stesso libro allo stesso posto. Prenda un grande classico della sociologia, La divisione del lavoro sociale di Émile Durkheim. Bene, si trova alla segnatura 301. Vicino al Suicidio. Un altro grande classico, Il suicidio, dello stesso Durkheim. Idem: si va diretti alla segnatura 301 dur. Funziona sempre. Infallibile. Il tizio che ha inventato questo sistema si chiama Melvil Dewey. È il padre di tutti noi, noi bibliotecari. Un ragazzetto, nato in una famiglia povera degli Stati Uniti, che a soli ventun anni inventa lo schema di classificazione piú conosciuto al mondo. Dewey è un po’ il Mendeleev dei bibliotecari. Non la classificazione periodica degli elementi, ma la classificazione dei campi della cultura. Il suo colpo di genio è stato dividere in dieci grandi temi, detti «classi», i rami del sapere: 000 per le opere di carattere generale, 100 per la filosofia, 200 per le religioni, 300 per le scienze sociali, 400 le lingue, 500 la matematica, 600 la tecnologia, 700 le belle arti, 800 la letteratura, 900 la storia e la geografia… e tutto quello che non ha potuto essere classificato prima viene messo qui, nel seminterrato. Sí, mi spiace, il mio caffè è sempre troppo forte, cosí evito di farmelo taglieggiare dai colleghi. Dewey ha chiamato il suo metodo «classificazione decimale di Dewey». Facciamola breve. È successo piú di un secolo fa. Aveva di che essere orgoglioso: ha ordinato metodicamente l’insieme del sapere umano. Mica è poco. Perché prima si lasciava tutto all’estro, permetta che glielo dica. Quando la classificazione per autore non bastava piú, capitava che i libri fossero catalogati per formato o per data di arrivo. Che disordine, se ci penso. Da questo punto di vista, sono contenta di non aver vissuto in quell’epoca. Non avrei sopportato una tale anarchia. Che gli scaffali di geografia siano, come le dicevo, un po’ la collocazione jolly, mi basta e avanza. Dentro ci finiscono i numismatici, le medaglie militari, la genealogia, la psicanalisi, l’occultismo… Un vero e proprio mettitutto, il che mi secca molto. Preferisco gli scaffali ben tenuti. Guardi là, per esempio, sulla destra, ci sono quelli di storia. Amo quegli scaffali. E molto, anche. Ma sono stata nominata responsabile della geografia e dell’urbanistica, qui, a sinistra. E mi lasci dire che fra la geografia e la storia, cioè fra la segnatura 910 e la 930, c’è un vero abisso. Una linea simbolica insuperabile. In realtà, la storia occupa tutto lo spazio a disposizione. Ce n’è solo per lei, nella classe 900. Oh, non gliene voglio, mi è molto cara. Ma cosí mi restano solo le segnature 900 e 910, eccole qui, le mie piccoline… Non è molto, ma guardi cosa riesce a fare Dewey, anche con cosí pochi libri. È da brividi. Segnatura 910: geografia generale. 914: geografia dell’Europa. Dopo tre cifre si mette un punto, cosí piú il concetto da esprimere è sottile, piú l’indice si allunga. Come va, mi segue? Però non mi beva tutto il thermos, sia gentile. Guardi, 914.4: geografia della Francia. 914.43: geografia dell’Île de France. E via di questo passo… 914.436: geografia di Parigi. Potrei continuare, non c’è niente che resista a questa classificazione. È infallibile. Riassumendo, la segnatura è composta di tre cifre cui si aggiungono le prime tre lettere del nome dell’autore. L’esistenzialismo è un umanismo: 194 sar. Se lo ricordi bene e non avrà perso la nottata. Sapersi orientare in una biblioteca significa dominare l’insieme della cultura, quindi il mondo. Sto esagerando un po’. In ogni caso sono convinta che Dewey fosse un megalomane bell’e buono. O comunque un gran fissato. Sono convinta fosse di quelli che non riescono a dormire se non hanno le pantofole rigorosamente disposte l’una accanto all’altra ai piedi del letto e se il lavandino della cucina non è stato tirato a lucido. Lo capisco: io sono uguale. Uno che ha dedicato la vita alle biblioteche, la cui esistenza era tutta incentrata sui libri, tut...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La custode di libri
  3. Copyright