La famiglia Manzoni
eBook - ePub

La famiglia Manzoni

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La famiglia Manzoni

Informazioni su questo libro

«Ho tentato di rimettere insieme la storia della famiglia Manzoni; volevo ricostruirla, ricomporla, allinearla ordinatamente nel tempo. Avevo delle lettere e dei libri. Non volevo esprimere commenti, ma limitarmi a una nuda e semplice successione di fatti. Volevo che i fatti parlassero da sé. Volevo che le lettere, accorate o fredde, cerimoniose o schiette, palesemente menzognere o indubitabilmente sincere, parlassero da sé...
Il protagonista di questa lunga storia famigliare non volevo fosse Alessandro Manzoni. Una storia famigliare non ha un protagonista; ognuno dei suoi membri è di volta in volta illuminato e risospinto nell'ombra. Non volevo che egli avesse piú spazio degli altri; volevo che fosse visto di profilo e di scorcio, e mescolato in mezzo agli altri, confuso nel polverio della vita giornaliera. E tuttavia egli domina la scena; è il capo-famiglia; e gli altri certo non hanno la sua grandezza. E d'altronde egli appare piú degli altri strano, tortuoso, complesso...». Natalia Ginzburg

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806177652

Seconda parte

1836-1907

Teresa Borri

I.

Teresa Borri era nata a Brivio, in Brianza, nel 1799, da Cesare Borri e da Marianna Meda. I genitori provenivano entrambi da famiglia nobile. Quando lei era nata, non erano ricchi; la dominazione francese aveva distrutto i patrimoni famigliari; e il padre, assessore di tribunale a Milano, era stato destituito dall’incarico. Venne nominato pretore a Brivio. Perse anche questo ufficio, dopo la battaglia di Marengo. Fu messaggero di stato, poi capo-gerente; piccoli incarichi. Al ritorno della dominazione austriaca, venne nominato cerimoniere di corte. Si trasferí a Milano di nuovo. Comperò terre a Torricella d’Arcellasco. Teresa aveva due fratelli, Giuseppe e Giacomo. Giuseppe si laureò in legge, fu scultore e scrittore. Giacomo fu prete.
Teresa sui diciassette anni conobbe un amico del fratello Giuseppe, il conte Stefano Decio Stampa, e a diciannove anni lo sposò. Stefano Decio era cresciuto in Francia, si era laureato in medicina alla Sorbona. A Parigi viveva sua madre, di nome Julia. Gli Stampa erano proprietari di molte case a Milano, e di molte campagne. Teresa e il marito si trovavano a Lesa, in una villa di proprietà degli Stampa, sposati da pochissimi mesi, quando Stefano Decio ebbe uno sbocco di sangue. Né lui né la moglie vollero darvi importanza. Egli si curò con diete e con salassi. Teresa era incinta. Nel novembre del 1819, in una delle case degli Stampa in via Meravigli a Milano, essa mise al mondo un bambino, che fu chiamato Giuseppe Stefano.
Stefano Decio stava sempre male, ma decisero di fare un viaggio a Parigi, per una visita alla madre di lui. A Parigi, il pittore Deveria disegnò a matita un ritratto di Teresa. Nel ritratto appare molto bella, con i lineamenti fini, le guance delicate, i larghi occhi abbassati. Lo stesso pittore Deveria disegnò anche marito e moglie insieme, seduti vicini, lei di profilo con le mani in grembo, lui rivolto a guardarla con qualcosa di rassegnato nelle spalle, nel sorriso, nei tratti.
Ritornarono in Italia; lui peggiorò. Se ne andò a Lesa col bambino per respirare aria pura. Teresa rimase a Milano, dove s’era ammalata d’un’infezione in gola. Le infezioni e le infiammazioni in gola sarebbero state sempre, in seguito, un suo tormento. «Sto meglio che a Milano, – le scriveva il marito, – la notte tossisco ma con espettorazione facile, e po’ tiri di sogn lung com’è, e me insogni semper de paccià. Son sicuro che se potessi montare a cavallo tutto andrebbe meglio…» Però non aveva forza nemmeno per camminare a piedi. La lettera è in francese, a parte quella frase in dialetto; l’abitudine di scrivere mezzo in francese, mezzo in italiano e mezzo in milanese l’aveva anche Teresa, avendola forse presa da lui, e la conservò sempre. «Il piccolo, se tu lo vedessi, – egli scriveva, – è magnifico, cerca di muovere i piú grossi oggetti che tocca. Gli spuntano i canini, senza farlo soffrire minimamente». La gente di Lesa faceva chiasso la notte perché erano le feste di San Martino; lui aveva voglia di pigliarli a pistolettate. «Una vera musica di gatti, il tutto alle cinque del mattino, momento in cui io godo il piú dolce riposo». «Maman Mimi» (la madre di Teresa, Marianna) era tornata dalle campagne di Torricella e stava nella casa che avevano i Borri a Borgo Gesú, ma dormiva là in una camera umida, le sarebbero certo venuti i reumi, e lui se ne preoccupava. Se la prendeva col cognato Giuseppe, «Pepino», il quale invece non se ne preoccupava. Poi chiedeva che gli mandassero «una mezza dozzina d’uccelli» perché amava fare esperimenti sugli animali. Il domestico poteva procurarseli da quei venditori d’uccelli che stavano sugli scalini del Duomo. Voleva inoltre «qualche bracciata di una mussolina da poco, la piú ordinaria, e qualche taglio di garza verde, la piú sottile possibile, per la mia rete da farfalle».
Teresa lo raggiunse a Lesa, quando si fu ristabilita. Stefano Decio ormai non si nutriva piú che d’una marmellata di rose, un dolciume genovese. Nel dicembre, morí.
Egli aveva fatto testamento e diviso il suo patrimonio in parti uguali fra la moglie e il figlio, assegnando una pensione a Julia, sua madre. Ma la madre non s’accontentò di quella pensione e pretese invece tutta una vasta porzione del patrimonio per sé. Essa aveva fatto firmare a Stefano Decio, quando lui era ancora minorenne, una carta in cui le era promessa un’obbligazione. Stefano Decio, negli ultimi giorni della sua vita, le aveva scritto a Parigi chiedendole che restituisse quel documento. Julia non si mosse da Parigi e non lo restituí. All’apertura del testamento fece causa a Teresa e al nipote.
La causa durò molti anni. Teresa dovette affrontare viaggi disagiati, discutere con magistrati e procuratori e avvocati, esaminare documenti e far calcoli; la aiutava il fratello Giuseppe, ma lei voleva rendersi ragione di tutto e indagare su tutto di persona. Il bambino era di salute gracile. Teresa era sempre in ansia per lui. Lo mandava, nell’estate, a Torricella coi nonni, Marianna e Cesare; lei non ci andava, sia per sorvegliare la causa, sia per non pesare sul bilancio paterno. «Addio, mio piccolo e grande Stéphany, addio angelo mio, cuore mio, vita mia, – scriveva al bambino. – Addio, mio Stéphany, bambino di tutte le carezze possibili». Stéphany era terribilmente capriccioso, e la nonna con lui si stancava. Se ne lamentava con Teresa. Essa la pregava d’aver pazienza «per amore dello Stefanino, di me e di noi tutti». Ebbe di nuovo un’infiammazione alla gola, e si curava con tamarindo, e con salassi; poi con del tartaro emetico, e con un succo di erbe, che le faceva l’effetto di mandar giú «una spremitura di marciume».
Nel 1822, poté avere una parte dell’eredità. Vendette la casa di via Meravigli, e andarono ad abitare, lei e il bambino, in un appartamento nella stessa strada; e con loro sua madre e suo padre, e Giacomo, il prete: Giuseppe stava per conto proprio. Nell’estate poterono andare, lei e Stefanino, nella villa di Lesa, ancora però in parte abitata da certi parenti degli Stampa, i marchesi Caccia-piatti; questi facevano rumore e disordine e non le davano modo di godere del giardino. Stefanino voleva stare tutto il giorno sul lago a tirar sassi, scappava di casa per correre in riva all’acqua, e lei era sempre in ansia. Preferiva mandarlo a Torricella dalla nonna Marianna. A Torricella, c’era un ragazzo di nome Cesarino, che a Stefanino era odioso, e a cui usava dar botte. «Stefanino, mio caro, – gli scriveva Teresa, – io che sono la tua cara mamma e che son priva di te, ti domando un gran piacere: quello di non far mai torto a Cesarino, che a te non piace e che pur ti ama tanto! Se Cesarino ti spiace, pensa ch’egli piace a Dio, poiché lo ha creato; mio caro Stefanino, io penso sempre a te tutta la notte; insomma tu mi stai nel mezzo del cuore e della mente; già sono persuasa che ascolti le parole della mamma, perché so che l’ami tanto».
Nel 1823, non appena ebbe a disposizione un poco di denaro, ordinò al pittore Francesco Hayez un «ritratto di famiglia». Lo pagò in anticipo. C’era sua madre, Giuseppe, lei e Stefanino. Come ebbe il quadro in casa, non ne fu contenta. Ne scrisse alla madre. «Del ritratto di Peppino ne sono poco soddisfatta. Sul mio non faccio parola; non è lecito giudicar di niente di quello che risguarda se medesimi; si accordano tutti nel dire che è perfettamente dipinto. In quanto a me, dico solo che mi fece un gozzo rispettabilissimo, e che io ne ho uno discretamente visibile. Ma quello dello Steffanino quant’è interessante, quanto gentile, vago e simile!» Chiese ad Hayez che facesse qualche ritocco. Hayez rifiutò; propose di restituire il denaro e riprendersi il quadro. Lei non volle. Mandò il quadro per i ritocchi. Hayez non ne fece nulla. Passarono anni. Si scrissero, lei e Hayez, lettere rabbiose. Infine Hayez tenne il quadro per sé e gliene diede un altro di soggetto diverso. Tornarono ad avere rapporti amichevoli.
Nel 1825, morí uno zio, un fratello della nonna Marianna, e i Borri ereditarono terre, denari e case. Lasciarono via Meravigli e si trasferirono tutti nella contrada de’ Bigli.
Teresa cercava un insegnante per Stefanino. Trovò un certo Ghezzi, che era stato, le dissero, insegnante dei ragazzi Manzoni per tre anni. Dei Manzoni, essa aveva sentito parlare, non li aveva mai visti.
Stefanino, crescendo, s’era irrobustito, ed era un ragazzetto quanto mai grazioso. Alla madre pareva d’un’intelligenza straordinaria. La nonna Marianna nutriva inquietudini per lui, era tanto viziato; e Teresa la rassicurava. «Siete inquieta riguardo al bambino, – le scriveva a Torricella nell’estate del 1827, – e io non lo sono affatto; io che lo vedo tutto il giorno e tutta la notte; vedete che differenza! È possibile che due mamme che sentono le stesse ansie e lo stesso amore per un piccolo angelo cosí incantevole, si trovino ai due estremi opposti, l’una quasi nel lato della sicurezza, l’altra nel lato del timore? Questo non può essere: rassicuratevi dunque con me…»
«Essa tenne suo figlio presso il suo letto finché fu bambino.
«Nella camera vicina, o nello stesso appartamento, finché fu giovane fatto.
«Giuocava con lui quasi fosse una sua sorellina, senza mai lasciarsi perdere di rispetto. … Tenera quanto la madre piú appassionata, diventava piú severa e piú terribile di un padre, quando il figlio gliene avesse data l’occasione. Benché avesse per la sua salute delle cure esagerate, per timore che diventasse tisico come suo padre (e in conseguenza di queste accondiscendenze egli contrasse delle abitudini di pigrizia dalle quali non gli riuscí di sbarazzarsi) pure raccomandava ai contadinelli coi quali giocava, di batterlo pure, se gli avesse battuti; e gli faceva chieder scusa e perdono alle persone di servizio quando egli le avesse offese con qualche prepotenza da monello; e gli domandava, con sanguinosa ironia, se credea di essere el Contiti Ciccin descritto dal Porta».
Stefano Stampa ricordava cosí la madre, evocando gli anni della propria giovinezza, molti anni dopo. Parlava di se stesso in terza persona. La madre era morta da tempo. Questi ricordi suoi sono raccolti in un volume, che egli pubblicò nel 1885, e che non porta il suo nome, bensí le sue iniziali, S. S.
Nel 1827, Teresa lesse I promessi sposi. Ne scrisse alla madre. «Leggo il romanzo di Manzoni. Oh! mamma, come è bello; quell’uomo è veramente fatto secondo il mio cuore. Come tutto ciò che dipinge è naturale, e come quella natura è bella e perfetta! Direte che cosí io con le mie parole finisco per dire che anche la mia natura è bella e perfetta; e perché no? non sono io creata da Dio e per Dio?»
Sentí parlare di Luigi Rossari, e volle che divenisse istitutore di Stefano. Attraverso Rossari, conobbe Tommaso Grossi. Conobbe Giovanni Torti e poco piú tardi d’Azeglio. Poiché Stefanino disegnava e dipingeva, d’Azeglio lo fece venire nel suo studio a disegnare e a dipingere. Stefanino aveva per d’Azeglio un’ammirazione sconfinata.
Risolta e chiusa finalmente la causa in tribunale, Teresa si riconciliò con la suocera, Julia Stampa. Si scrissero; la suocera venne a Milano ad abbracciare Stefanino. I ricordi della lunga vertenza giudiziaria vennero sepolti.
Teresa con Stefanino lasciò i suoi e andò ad abitare in una casa in contrada Monti.
Fu Grossi a parlare a Manzoni di Teresa. La descrisse colta, intelligente, sensibile, dedita al figlio e alle cure della casa. Gliela presentò una sera a teatro. Grossi sapeva che Manzoni era stanco di vivere solo. Sapeva che la madre di lui desiderava si risposasse. Riferisce Stefano Stampa: «Sembra che il Manzoni mandasse o lasciasse andare donna Giulia sua madre a visitarla. E quella si mostrò invaghita e innamorata morta della povera Teresa. Ritornò a visitarla; e di lí ad alcuni giorni venne di persona il Manzoni, e dopo qualche altra visita la domandò in moglie». Le parole «povera Teresa» si spiegano col fatto che in seguito sarebbero sorte, fra Giulia e Teresa, acerbe discordie, di cui Teresa avrebbe sofferto; ma d’altronde Teresa amava che fosse aggiunto quell’aggettivo di commiserazione al suo nome.
A quella domanda di matrimonio, Teresa esitò. Se esitasse davvero, o invece simulasse esitazioni, è difficile dirlo. Le obiezioni che manifestò riguardavano la propria salute cagionevole – aveva sempre cosí spesso infiammazioni alla gola, e altri mali – il pensiero della propria inadeguatezza a un cosí alto onore, e il timore che il figlio non fosse contento. Fra le obiezioni, forse quest’ultima era la sola sincera.
Stefano aveva ora diciassette anni. La madre, a quanto egli raccontò piú tardi, venne una sera nella sua stanza e gli parlò cosí:
– Sai che ho dedicato tutta la mia vita a te. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto con l’intenzione di farti del bene. Ora devi sapere che Manzoni mi chiede in moglie. Se avessi ad accettare non lo farei che per la speranza che una tale relazione ti sarebbe molto giovevole. Ma se a te piacesse di piú che noi vivessimo insieme da soli, fuori del mondo come abbiamo fatto finora, dimmelo franca mente ed io mi rifiuterò a maritarmi.
Il figlio rispose:
– Non vi può esser miglior giudice di te del bene mio. Fa’ quello che credi il meglio per tutti e due.
Teresa scrisse allora alla propria madre:
«Non dite niente a nessuno salvo ai miei fratelli, siatemi fidata nel non dire ad altri che di qui a un mese io sarò, a quanto credo, la moglie di Alessandro Manzoni. Verrò a trovarvi al piú presto, spero, il che potrebbe essere anche al piú tardi; perché dall’una alle quattro Manzoni è da me; prima dell’una sono a letto, e dopo le quattro fa troppo freddo per me, per la mia povera salute, che non è stata povera abbastanza per sviare né disgustare Manzoni che mi vuole con tutto quello che ho di povero nel fisico e nel morale. È inutile dirvi che ho voluto sapere dal mio Stefano prima di tutto non soltanto se questo non l’avrebbe addolorato, ma se amava avere Manzoni come padre. È stato Grossi a fare tutto per me … Alessandro non andrà a far visite; non fa visita a nessuno al mondo in tutto l’anno: nemmeno a suo zio Beccaria benché passi settimane da lui a Gessate. Quando vi verrò a trovare, voi dunque vedrete in me vostra figlia e il vostro nuovo figlio Alessandro: perché Alessandro non esce mai con una donna, ma si fa accompagnare sempre dai suoi piú intimi amici, che non va mai a trovare». Poi scrisse a una sorella della madre, la zia Notburga, monaca: «Mia cara zia, hanno voluto ritenermi capace di adempiere a nuovi e sacri doveri! Sono venuti a cercare questa povera cosa che io sono, calpestata da piedi ancora piú miserabili se è possibile, per situarla quanto piú in alto è possibile! Ma l’orgoglio non avrà ali per salire fino a me; e benché moglie di Manzoni – di ALESSANDRO MANZONI – non sarò ai miei occhi che la povera Teresa». Scrisse pure a Giuseppe Bottelli, parroco di Arona, che conosceva bene perché a Lesa lo frequentava; egli rispose: «Riceva dunque V. S. Car. le mie congratulazioni, quantunque nulla possano aggiungere al sommo contento d’essere tra poco di Alessandro Manzoni. Le perdono le troppo umili espressioni di calpestata povera cosa posta nella piú sublime altezza … Carissima contessina abbi diligente cura di te stessa che sempre piú preziosa diviene la di lei salute». E la zia Notburga alla sorella Marianna: «Vi scrivo soprattutto per rallegrarmi con voi del matrimonio di Teresa: le preghiere di Jacob per lei sono state esaudite [Jacob, cioè Giacomo, il prete]; trovo in questo matrimonio un segno cosí luminoso della divina misericordia in favore di vostra figlia, che lascio parlare la gente e ringrazio nel profondo del cuore la bontà di Dio …» Accludeva la lettera di Teresa: «Essa vi mostra molto rispetto per suo marito, umiltà, religione; infine è già trasformata e s’appresta a intraprendere una felice carriera; ne son lieta, ma Jacob preghi sempre …» Regna, in questa lettera della zia, un senso di sollievo: Teresa doveva aver dato forti preoccupazioni alla famiglia.
Scriveva Tommaseo a Cesare Cantú, che gli aveva scritto:
«Del secreto da voi confidatomi, grazie; ma non ne incolpate me se altri ne parla già. Intesone la prima volta come di rumore non certo, io feci lo gnorri. Data che mi fu come nuova, non potei piú a lungo dissimulare, tanto piú che mi dicono la cosa ormai fatta, e quanto ai particolari, la sanno piú lunga di me. Tutte brache di donne. Io per me ne lo lodo; e sua madre ne sarà, senza dubbio, contenta; e la famiglia n’avrà nuova vita, e scossa forse l’ingegno di lui. Qui la dicono non credente, e galante già. Ditemene di grazia il vero …»
Non si sa se e che cosa gli rispondesse Cantú. Si sa soltanto che Stefano Stampa, su quel «galante già», piú tardi nei suoi ricordi scrisse pagine e pagine. Cantú, nelle Reminiscenze, riporta la lettera di Tommaseo senza commentarla.
Il giorno del matrimonio era fissato per il 2 di gennaio. Teresa si ordinò moltissimi abiti. Era una donna fragile, sottile, graziosa, di piccola statura, con i capelli folti e inanellati. Aveva, allora, trentotto anni.
Vennero i figli e le figlie di Manzoni a trovarla. Disse che voleva essere, per loro, una sorella maggiore.
Venne a trovarla il prevosto di San Fedele, don Giulio Ratti. Probabilmente le parlò del modo per lei piú opportuno di condursi nella casa. Essa scrisse...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La famiglia Manzoni
  3. Prima parte 1762-1836
  4. Seconda parte 1836-1907
  5. Libri e articoli consultati
  6. Appendice critica
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright