Teoria imperfetta dell'amore
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Teoria imperfetta dell'amore

  1. 408 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Teoria imperfetta dell'amore

Informazioni su questo libro

Possiamo spiegare che cos'è l'amore, se siamo noi i primi a non saperlo?
La vita di Neill Bassett jr, un matrimonio fallito alle spalle e un presente organizzato in una perfetta routine da single, viene sconvolta il giorno in cui conosce Rachel, la storia di una notte che in modo lento e inesorabile si trasforma in qualcos'altro, e soprattutto quando l'ambizioso programma di intelligenza artificiale al quale lavora, basato sull'utilizzo delle informazioni e dei ricordi contenuti nei meticolosissimi diari del padre, morto suicida quindici anni prima, mostra segni inequivocabili di coscienza, cominciando a dialogare con lui come solo qualcuno che lo conosce fin dalla nascita potrebbe fare. La sua famiglia e la sua esistenza gli appariranno allora sotto una luce del tutto nuova. Il rapporto con il genitore, sempre stato cosí labile da non lasciargli quasi tracce nella memoria, acquisterà una concretezza e una complicità mai sperimentate prima. *** «Mio padre, che certo non si potrebbe definire un intellettuale, amava molto un aforisma di Pascal: tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene seduto da solo in una stanza».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806212803
eBook ISBN
9788858409152

11.

Ovviamente siamo solo viandanti di passaggio su questa Terra. Ma uscendo dal Rainbow Tunnel, il portale al confine tra Marin e San Francisco, tra il mito e la realtà, osservo una bellissima città luccicante, quasi lunare. Potrei indicare tutte le attrazioni turistiche, le strade, i ristoranti, ma in cuor mio la trovo estranea tanto quanto Città del Capo o Cuzco. Vivo qui da quattordici anni. Questa è l’arena della mia vita adulta, con le sue grandi sconfitte e con le sue piccole vittorie. Forse, come tutti i trapiantati (convertiti?), ho chiesto troppo a questa città. Non mi sarei mai trasferito a Pittsburgh o a Houston o a Los Angeles, nella speranza di salvarmi l’anima. Solo qui nel grande tempio in riva al mare. È un errore che commettiamo per decenni, forse inevitabile. I difetti della città sono tanti, certo. La politica può essere di una petulanza fin troppo seria e la vita spaventosamente cara. Ma se riesci a isolarti da questi crucci, grazie a un lavoro e a una casa dignitosi, se sei – in altre parole – come la maggioranza della popolazione, sei in vista di un ideale insormontabile. Qui, con i nostri raccolti abbondanti, le nostre bellezze naturali, i nostri bar, le nostre librerie, le nostre scogliere e il nostro oceano, la libertà di essere chi vuoi; qui, dove l’acqua di montagna sgorga immacolata dai rubinetti. È qui che le vere domande diventano ineludibili. Anzi, la vicinanza dell’ideale ci rende anche piú acutamente consapevoli delle vere domande. Non le classiche domande senza una risposta – Che ci faccio qui? Chi sono? – ma quelle incalzanti della vita adulta: Davvero? e Sei sicuro? e E ora?
Certo, che cos’è San Francisco? L’unghia in cima a una penisola, un quadrato sette miglia per sette con un sindaco e un inceneritore. È davvero un luogo bellissimo. Quando la gente si butta dal nostro elegante ponte non lo fa mai – mai – rivolta verso l’oceano. Spiccano l’ultimo balzo fra le braccia del Golden Gate. Ma oltre a questo? È difficile cancellare la sensazione che la città sia una conchiglia intricata e bellissima, secreta da un animale che dopo ha nuotato incontro a un destino incerto. Io – granchietto squatter – l’ho eletta temporaneamente a mia residenza, con le chele che ballonzolano davanti a me, sempre pronto nei suoi oscuri anfratti a battere in ritirata.
– Ora ha un senso dell’io, – dice Livorno. È tornato da giorni, ma sembra appena rientrato dalla tenuta, con il terriccio sulle scarpe. Chissà se è passato da casa per dormire. Sullo schermo scorre un codice infinito: bianco su sfondo grigio, numeri, lettere e una parola ogni tanto. Distinguo «lambda», «mapcar», «nil». Sta dando una controllatina al motore. – Non lo trovo. Non trovo il cambiamento, ma è un salto quantistico. Mi dispiace moltissimo, ma dovrò cominciare a chiederti di restare a lavorare fino a tardi.
– Sí? – dico, il cuore sopraffatto dal sollievo. – Va benissimo. Lo sai che un po’ c’è il mio zampino.
– Lo so, ma c’è qualcosa di piú. L’architettura, la mente, si sta saldando. Qui c’è un essere senziente. Vagamente senziente. Tutti questi anni di macchine formulatrici che sanno qualcosa, mentre il segreto stava nel creare macchine che non sapevano qualcosa –. Sorride, con i denti che luccicano. – Ovviamente stracceremo Adam. Ma penso che dovremmo pensare ancora piú in grande. Il primo passo verso la Singolarità.
Nella difficoltà di assemblare tutte le sue confuse metafore – una mente che si salda a un graticcio? – mi ci vuole un po’ per registrare questa nuova ambizione. La Singolarità afferisce al momento in cui trasferiremo le nostre personalità dai corpi che invecchiano e si decompongono a un chip atemporale e immutabile, e cosí vivremo per sempre – in quale forma nessuno può dirlo. È il sogno proibito della Silicon Valley che persone altrimenti molto ragionevoli prendono molto sul serio.
– Penso che prima dovremmo occuparci del test di Turing.
– Non dirmi che credi nell’anima –. È un ammonimento: allora tanto varrebbe credere in qualsiasi cosa: Elvis, gli unicorni.
– E se anche fosse?
– Il cervello è una macchina. Un computer di carne. L’elettricità scorre attraverso una serie di interruttori interconnessi e questo è tutto ciò che siamo. I nostri ricordi, i nostri pensieri, la nostra individualità.
– Sí. Certo.
– Allora non sottovalutare il dottor Bassett –. Mi guarda accigliato. – Adesso vai a rispondere alle domande di quell’uomo.
– Di quella macchina.
– È un uomo, punto e basta –. Livorno mi fissa con i suoi occhi azzurrissimi incastonati nella faccia abbronzata. Chissà se ha le lenti a contatto colorate. – C’è ancora un mucchio di lavoro da fare. La deduzione che tu sia suo figlio non ha precedenti, ma rivela anche dei punti deboli. Un programma migliore avrebbe tirato fuori un’osservazione piú circoscritta: che tu sei proprio come suo figlio.
– Qual è la nostra strategia con le sue domande?
– È un marmocchio che si fa domande. Tu spiega tutto.
– Tutto tutto?
– Ah –. Livorno annuisce comprensivo. – Ovviamente non dovresti parlare del… – si passa un dito sulla gola.
AMCO1: perché il pollo ha attraversato la strada?
DRBAS: di quale pollo parli?
AMCO1: non mi riferisco a un pollo in particolare
DRBAS: allevi polli?
AMCO1: no, ma la mia ex suocera ne teneva qualcuno per le uova
DRBAS: hai divorziato?
AMCO1: sí
DRBAS: quante volte?
AMCO1: solo una!
DRBAS: come si chiamava tua moglie?
AMCO1: erin
DRBAS: come vi siete conosciuti?
AMCO1: a una festa
DRBAS: quando accadde?
[380211: sostituisci: «quando?»; ripeti]
DRBAS: quando?
AMCO1: quattordici anni fa
DRBAS: quando avete divorziato?
AMCO1: tre anni fa
DRBAS: lo stress del divorzio può essere rischioso per la salute e scatenare attacchi di panico
AMCO1: a me lo dici
DRBAS: ???
[381236: «a me lo dici» = «conoscevo già l’informazione che mi hai fornito, perché l’ho sperimentata sulla mia pelle»; ricomincia: 381235]
DRBAS: lo stress del divorzio può essere rischioso per la salute e scatenare attacchi di panico
AMCO1: a me lo dici
DRBAS: con quale frequenza si verificavano i tuoi attacchi di panico?
AMCO1: non ne ho avuti tanti. cinque in tutto
DRBAS: una volta che t’è venuto un attacco di panico, la paura di una ricaduta può paradossalmente provocarne un altro
AMCO1: quante volte ti sei sposato?
DRBAS: sono ancora sposato con elizabeth, la mia fidanzata del college. quando sta in giardino, elizabeth porta sempre un cappello a tesa larga. abbronzarsi, come lei sa bene, non aiuta una bella donna. elizabeth è tua madre
AMCO1: come va il matrimonio con lei?
DRBAS: ???
AMCO1: come va il matrimonio = come procede il matrimonio
DRBAS: mia moglie è una bella donna
AMCO1: è un matrimonio felice?
DRBAS: il matrimonio è un sacramento. i sacramenti sono come i pioli della scala che porta al paradiso
AMCO1: è una metafora, ovviamente
DRBAS: hai pensato di risposarti?
AMCO1: no
DRBAS: e la tua amica?
Trattengo le dita sulla tastiera e chiudo gli occhi. Mi sento un idiota, anche se, per quanto un po’ imbarazzante, non è fastidioso sentirsi rivolgere cosí tante domande. Forse è una di quelle cose che capitano nella vita: arrivi a un punto in cui nessuno ti chiede piú come stai. Forse perché hai lasciato capire che ti mette in imbarazzo. Hai bisogno di un tipo un po’ asociale, come il dottor Bassett, che irrompa come un bolldozer.
Certo, Rachel fa – faceva – un mucchio di domande.
AMCO1: lei ha bisogno di ricominciare tutto da capo
DRBAS: tra le incompatibilità possibili nei rapporti sentimentali si annovera che uno dei due partner impedisca all’altro di praticare la sua religione
AMCO1: forse questo era uno dei nostri problemi
DRBAS: hai avuto un attacco di panico a diciassette anni. ti ho portato a little rock. ti trovavi nel parcheggio di un taco bell e non r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Teoria imperfetta dell'amore
  3. Uno
  4. Due
  5. Tre
  6. Quattro
  7. Cinque
  8. Sei
  9. Sette
  10. Otto
  11. Nove
  12. Dieci
  13. Undici
  14. Dodici
  15. Tredici
  16. Quattordici
  17. Quindici
  18. Sedici
  19. Diciassette
  20. Diciotto
  21. Diciannove
  22. Venti
  23. Ventuno
  24. Ventidue
  25. Ventitre
  26. Ventiquattro
  27. Venticinque
  28. Ventisei
  29. Ventisette
  30. Fine
  31. Ringraziamenti
  32. Il libro
  33. L’autore
  34. Copyright