I sette pazzi
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I sette pazzi

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Informazioni su questo libro

Lasciato dalla moglie, sull'orlo del carcere per essersi appropriato di denaro dell'azienda in cui lavora, frustrato nelle proprie aspirazioni di geniale inventore, Erdosain entra in contatto con una strana setta dalle oscure e inquietanti mire politiche. In un cocktail ideologico che mette insieme disinvoltamente comunismo e fascismo, populismo e schiavismo, la setta vuole dominare il mondo e per autofinanziarsi cerca di organizzare il più grande bordello del Sudamerica. Dal canto suo, Erdosain, sempre più alla deriva esistenziale, viene coinvolto in un rapimento a scopo di estorsione. Con questo romanzo, considerato il suo capolavoro, il maestro di Onetti e di Sàbato riscrive Dostoevskij in chiave sudamericana, con la follia, l'ironia e la visionarietà di un grandissimo scrittore. *** A proposito dei personaggi dei Sette pazzi si è parlato di «dandysmo lumpen» (David Viñas). La definizione si attaglia perfettamente all'Astrologo, frutto emblematico di quella Buenos Aires che Arlt vede: luogo della giustapposizione e dell'incoerenza, in cui l'unica ribellione che vale è alla fine quella assoluta e, in quanto tale, individuale, solitaria, esistenziale, disperata. Lo sa bene l'Astrologo, e lo dice pure il «romanzo dal doppio titolo» quando, con ironia definitiva, chiude I sette pazzi con Erdosain che dice sorridendo all'Astrologo: «Lo sa che lei assomiglia a Lenin?», e apre I lanciafiamme con l'Astrologo che mormora fra sé in risposta: «Sì... ma Lenin sapeva dove stava andando». Mentre lui naturalmente non ne ha alcuna idea, come forse non ce l'ha nemmeno Dio. Nella Buenos Aires di Arlt è impossibile sapere dove si sta andando. È già fin troppo puntare sulla sovversione chiamando a raccolta tutte le speranze, tutti i sogni, «questo bisogno di meraviglie impossibili da soddisfare» che rendono freddamente rabbioso Erdosain. Dalla prefazione di Ernesto Franco

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806214630
eBook ISBN
9788858408070

Capitolo terzo

La frusta.
Lo stratagemma, ideato da Erdosain e realizzato dall’Astrologo, ebbe successo, e si decise che mercoledí si sarebbe tenuta la riunione nella quale i capi della società si sarebbero trovati insieme per la prima volta.
Martedí pomeriggio l’Astrologo si recò da Erdosain per confermare la riunione dei capi per l’indomani alle nove a Temperley. Si trattenne pochi minuti a fare due chiacchiere, poi guardò l’orologio e disse:
– Accidenti, sono già le quattro, ho ancora molto da fare, l’aspetto domattina alle nove. Ah, senta, ho pensato che l’unico in grado di assumere l’incarico di capo del Settore Industriale è lei. Be’, domani ne parliamo. Si ricordi di preparare un progetto di turbina idraulica, un modello semplice per una fabbrica di montagna. Servirebbe per la colonia e per i lavori di elettrometallurgia.
– Quanti kilowatt?
– Non lo so, questo lo deve decidere lei. Ci saranno forni elettrici, insomma ci pensi. Inoltre, è arrivato il Cercatore d’Oro, domani sarà lui a fornire i dettagli concreti. Faccia in modo di non essere impreparato per quanto riguarda l’intero progetto. Diavolo, si fa tardi, a domani.
Si aggiustò il cappello, chiamò un taxi e si affrettò a salire sulla vettura.
Il giorno dopo, camminando per le strade di Temperley, Erdosain constatava non senza sorpresa che da molto tempo non provava un’emozione cosí serena. Procedeva senza fretta. Quelle gallerie vegetali gli davano la sensazione di un lavoro titanico e deforme. Guardava con diletto i viottoli di ghiaia rossa che si addentravano nei parchi, mantelli verdi smaltati di fiori viola, gialli e rossi. E alzando gli occhi scorgeva allo zenit strane formazioni gonfie d’acqua che gli davano la vertigine, perché all’improvviso il cielo spariva e gli lasciava negli occhi una nera cecità, mentre la mente si apriva in un furtivo sfarfallare di atomi d’argento che, a loro volta, evaporavano trasformandosi in terribili chiazze azzurrognole aspre e secche, lassú in alto, come caverne di azzurro di metilene. Il piacere davanti al nascere del giorno, la nuova gioia, saldava i frammenti della sua personalità infranta dalle sofferenze precedenti, e sentiva il corpo agile, pronto a ogni avventura.
E si diceva senza aggiungere altro: Augusto Remo Erdosain, quasi che pronunciare il proprio nome gli procurasse un piacere fisico capace di raddoppiare l’energia che il moto gli insinuava nelle membra.
Andava avanti lungo le strade oblique sotto i coni di sole, sentendo la potenza della sua personalità nuova di zecca: capo del Settore Industriale. La frescura della strada botanica arricchiva la sua brama di grandezza. E questa soddisfazione lo faceva camminare dritto come il ferro di piombo tiene eretti i pupazzi di celluloide. Pensava che alla riunione si sarebbe mostrato cinico, e ora provava un risentito disprezzo per gli esseri deboli del creato. Il pianeta apparteneva ai forti, ecco, ai forti. Avrebbero fatto piazza pulita e sfidato tutta quella feccia che poltrisce negli uffici, blindati di grandezza, simili a imperatori solitari e crudeli. Si vedeva in uno smisurato salone dai muri di cristallo con al centro un tavolo rotondo; i suoi quattro segretari, con carte in mano e penne dietro l’orecchio, si avvicinavano per consultarlo, mentre in un angolo, con il cappello in mano e le canute teste chine, aspettavano i delegati degli operai; Erdosain, rivolgendosi a loro, ammoniva: domani tornate al lavoro o vi fucileremo. Questo era tutto. Parlava poco e a voce bassa, aveva il braccio stanco a furia di firmare decreti. Resisteva solo grazie alla ferocia dei tempi, che avevano bisogno dello spirito di una tigre per decorare l’orizzonte dei crepuscoli con sinistre fucilazioni.
Camminava verso la villa dell’Astrologo con il cuore gonfio di entusiasmo sentendo nelle orecchie la frase di Lenin come una musichetta voluttuosa: che diavolo di rivoluzione è questa se non fuciliamo nessuno!
Entrando nel giardino della villa, vide l’Astrologo venirgli incontro con un ampio camice grigio e cappello di paglia. Si strinsero la mano con forza, con amicizia, mentre l’altro gli diceva:
– Barsut è abbastanza tranquillo, credo che non opporrà resistenza alla richiesta di firmare l’assegno. La nostra gente è arrivata, ma prima andiamo a dargli un’occhiata. Loro possono aspettare. Ma si rende conto? Con questi soldi il mondo è nostro.
Adesso erano entrati nello studio e l’Astrologo, rigirando l’anello con la pietra viola e guardando la carta geografica degli Stati Uniti, proseguí:
– Conquisteremo il pianeta, metteremo in pratica la nostra idea, possiamo installare un bordello a San Martin o a Ciudadela e la colonia dei Santi in montagna. Chi meglio del Ruffiano Malinconico per dirigere il bordello? Lo nomineremo Gran Patriarca dei Casini.
Erdosain si affacciò alla finestra. I roseti emanavano un profumo potentissimo, acuto, l’aria s’impregnava di una fragranza rossa, fresca acqua di sorgente. Mosconi dalle ali di cristallo svolazzavano intorno alle macchie scarlatte dei melograni. Erdosain restò per un istante immobile. Lo spettacolo lo riportava a quell’altra serata, quando era stato lí, nello stesso posto. Solo che quella volta non poteva neppure immaginare la sorpresa che lo attendeva di lí a poco con la fuga di Elsa.
Il verdeggiare multiforme gli penetrava negli occhi, ma adesso non vedeva nulla. Laggiú, nel lato nero della sua esistenza, con la guancia poggiata su un petto virile, giaceva sua moglie, lo sguardo languido, le labbra socchiuse offerte all’oscena bocca dell’altro.
Un uccello gli passò davanti e voltandosi verso l’Astrologo disse con voce faticosamente controllata:
– Senta, faccia un po’ come vuole.
Poi si sedette, accese una sigaretta e guardando l’altro che con il compasso segnava un cerchio sulla mappa azzurra, chiese:
– Ma lei cosa dice, crede davvero che il Ruffiano Malinconico accetterà di amministrare i bordelli?
– Sí, su questo non ci sono dubbi. E Barsut non opporrà resistenza fisica.
– È sempre nella rimessa?
– Mi è sembrato prudente tenerlo nascosto. L’ho incatenato nelle scuderie.
– Là dentro?
– È l’unico posto dove potevo nasconderlo. Inoltre, proprio sopra c’è la stanza dove dorme l’Uomo che vide la Levatrice.
– Ma di cosa diamine parla?
– Un giorno glielo spiegherò. Lui vide la Levatrice e non riesce a dormire di notte. Dunque, avevo pensato che lei…
– Cosa intende? Dovrei essere io a…
– Mi lasci finire. Lei dovrebbe andare a parlargli e cercare di convincerlo a firmare, insomma, gli spieghi la situazione.
– Bisognerà farlo firmare con la forza.
– Senta, io per natura sono contrario alla violenza, lei lo sa bene, ma la nostra idea è al di sopra di ogni sentimentalismo, ecco quel che lei deve far capire a Barsut, gli dica che non vorremmo essere costretti ad arrostirgli i piedi, o cose ancora peggiori, per fargli firmare questo assegno.
– Lei è disposto a tutto?
– Sí, dobbiamo essere disposti a tutto, non possiamo perdere quest’unica occasione di avere i soldi. Io contavo sulla sua invenzione della rosa di rame, ma quella strada richiede tempo. E non è il caso di chiedere soldi al Ruffiano Malinconico. Se non ne ha lo metteremmo in imbarazzo e se ne ha e non vuole darceli perderemmo un amico. Il fatto che si sia mostrato generoso con lei non vuol dire che intenda esserlo con noi. Inoltre, è un nevrastenico, non sa nemmeno cosa vuole.
Erdosain guardava attraverso le sbarre della finestra le macchie scarlatte tra le chiome verdi dei melograni. Un raggio di sole tagliava la parte alta del muro. Un’enorme tristezza gli strinse il cuore. Che cosa ne aveva fatto della sua vita?
L’Astrologo, accorgendosi del suo silenzio, disse:
– Guardi, Erdosain, non possiamo far altro che andare fino in fondo, o lasciar perdere tutto. La vita è triste, ma che vogliamo farci? Lo so anch’io che sarebbe piú bello realizzare i progetti senza fare sacrifici…
– Il fatto è che in questo caso sacrifichiamo una persona.
– Ma anche noi, Erdosain, anche noi ci giochiamo il carcere e la libertà per un tempo indefinito. Lei non ha letto Le vite parallele di Plutarco?
– No.
– Be’, glielo regalerò, leggendolo imparerà che la vita umana vale meno di quella di un cane se per aprire nuove strade alla società bisogna distruggere quella vita. Lei sa quanti crimini è costata la rivoluzione di un Lenin o di un Mussolini? Ma questo alla gente non interessa. Non interessa per il semplice motivo che Lenin e Mussolini hanno vinto. Ecco l’essenziale, quello che giustifica qualunque causa, giusta o ingiusta che sia.
– E chi dovrà uccidere Barsut?
– Bromberg, l’Uomo che vide la Levatrice.
– Lei non mi aveva detto…
– Non ce n’era bisogno, visto che da questo punto di vista la faccenda era chiusa.
Una nube profumata si propagò nella stanza. Il rumore dell’acqua che cadeva nella botte si fece nitido.
– Dunque, di questa faccenda…
– … sappiamo solo io, lei e Bromberg.
– Troppi per un segreto.
– No, perché Bromberg è il mio schiavo, è schiavo di se stesso, il che è ancora meglio.
– D’accordo, ma deve consegnarmi un documento nel quale lei e Bromberg confessate di essere gli autori del delitto.
– E perché vuole una simile dichiarazione?
– Per essere sicuro che lei non mi inganni.
Con gesto meccanico, l’Astrologo si mise a posto il cappello, incrociò le grosse dita di una mano sul viso mongoloide, camminò fino al centro della stanza con il gomito poggiato sul palmo dell’altra mano e infine disse:
– Non ho nulla in contrario a ciò che mi chiede, ma non dimentichi quel che le dico adesso: io vivo esclusivamente per realizzare la mia idea, sono in arrivo tempi straordinari, non posso spiegarle tutti i prodigi che accadranno, perché adesso non ho tempo né voglia di discutere. Senza dubbio stanno arrivando tempi nuovi. Ma chi li vedrà? Solo gli eletti. Il giorno in cui troverò l’uomo in grado di sostituirmi e l’impresa sarà ormai avviata, mi ritirerò a meditare sulla cima di una montagna. Frattanto, coloro che mi circondano mi devono obbedienza assoluta. Questo se lo deve mettere in testa se non vuole fare la fine di quell’altro.
– Lei non mi deve parlare in questo modo.
– Sí, dal momento che ora firmerò la dichiarazione che mi ha chiesto.
– Non c’è n’è bisogno, lasci perdere.
– Le serviranno dei soldi…
– Sí, circa duemila pesos per…
– Non aggiunga altro, li avrà.
– E poi non voglio avere niente a che fare con la faccenda dei bordelli.
– Benissimo, si occuperà della contabilità. Ma sa cosa dobbiamo trovare adesso? Un simbolo abbastanza volgare da entusiasmare il popolino.
– Lucifero.
– No, quello è un simbolo mistico, intellettuale. Bisogna trovare qualcosa di stupido e volgare, qualcosa che aderisca al sentimento della massa, tipo la camicia nera. Quel diavolo d’uomo ha avuto del talento, aveva scoperto che la psicologia del popolo italiano era una psicologia da barbieri e tenori d’operetta. Insomma, vedremo, ho già in mente una gerarchia, un’idea interessante, ne parleremo un’altra volta.
– Ma è importante che riusciamo ad avere soldi a sufficienza per le molte attività.
– I bordelli renderanno abbastanza. Senta, vada da Barsut, sa quello che deve dire?
– Certo.
Erdosain si diresse alla rimessa dove si trovavano le scuderie. Era un capannone dai muri spessi e con un piano alto nel quale c’erano diverse stanze vuote invase da topi. In una di quelle stanze viveva, o per dire meglio dormiva, il sinistro Bromberg che aveva visto il giorno del sequestro.
Capiva di essere sull’orlo di un abisso dal quale non sapeva se sarebbe uscito, e quest’incertezza, piú la sua mancanza di entusiasmo per i progetti dell’Astrologo, gli davano l’impressione di compiere passi falsi, di andare a sbattere gratuitamente in una situazione assurda. Tutto crollava intorno a me, mi avrebbe detto piú tardi, ma superando la stanchezza e controvoglia si incamminava adesso verso la rimessa. Il cuore gli batteva furiosamente, sapendo che stava per incontrare il «nemico». A momenti si riaccendeva in lui il vecchio rancore.
Aprí il lucchetto, fece scorrere il chiavistello e, preso da repentina curiosità, spinse una delle due ante del portone.
Il prigioniero si accingeva a mangiare, a braccia nude, nel cerchio di luce gialla che la lampada a cherosene spandeva attorno a un tavolo di legno. Era seduto accanto al recipiente della mangiatoia metallica e vedendo Erdosain che corrugava la fronte smise per un momento di versare l’olio sul piatto di carne e patate. Poi, senza pronunciare parola che rivelasse la sua sorpresa, s’immerse di nuovo nel lavoro di nutrirsi. Allungando il braccio, prese con le dita un po’ di sale e lo sparse sulle patate. Mostrava una cupa compostezza, anche se un buco nella maglietta rosa lasciava intravedere un’ascella nera.
Gli occhi fissi sul piatto di carne mostravano che Barsut preferiva dedicarsi al cibo piuttosto che a Erdosain, che stava in piedi a tre passi di distanza. Il resto della scuderia rimaneva al buio. Attraverso gli interstizi dei muri entravano oblique saette di luce che disegnavano sulla polvere del pavimento una serie di porosi dischi d’oro.
Barsut non si degnava di alzare lo sguardo. Prese il pane, ne tagliò con energia una fetta, si versò un bicchiere d’acqua non senza aver prima spillato la bottiglia schizzando un po’ di liquido per terra. Poi curvò il capo continuando a leggere un libro che teneva accanto al piatto, mentre masticava un boccone di carne, pane e patate.
Erdosain si appoggiò a un palo che sosteneva il tetto, nauseato dall’odore di fieno secco. Con gli occhi socchiusi squadrò Barsut, che aveva metà del volto illuminato dal chiarore verdastro del paralume mentre le sue mascelle continuavano a masticare ritmicamente. E allora voltò lievemente la testa e vide la frusta appesa al muro.
Si sentí percorso da un brivido. La frusta aveva il manico lungo e lo scudiscio corto. E Barsut, che adesso seguiva il suo sguardo, increspò il labbro in segno di disprezzo. Erdosain, che guardava alternativamente Barsut e la frusta, sorrise di nuovo. Andò verso l’angolo dello stanzone e staccò la frusta dal muro. Ora Barsut si era alzato in piedi e fissando intensamente Erdosain cercò inutilmente di liberarsi dai ceppi. Le vene del collo gli si dilatarono intensamente. Sembrava che volesse dire qualcosa, ma l’orgoglio gli impediva di pronunciare parola. Risuonò uno schi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I sette pazzi
  3. Sí… ma Lenin sapeva dove stava andando
  4. I sette pazzi
  5. Capitolo primo
  6. Capitolo secondo
  7. Capitolo terzo
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Copyright