Territorio e politica
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Territorio e politica

  1. 40 pagine
  2. Italian
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Territorio e politica

Informazioni su questo libro

Bonomi mette a fuoco una trasformazione del significato di territorio, che apre la questione della grande crisi della rappresentanza. In un momento in cui l'attività democratica eccede i tradizionali canali di rappresentanza degli interessi e delle opinioni. Cosí oggi movimenti e reti territoriali, spesso definite come l'antipolitica, diventano i canali privilegiati di espressione di quelle funzioni simboliche e conflittuali dell'ordine sociale che definiscono il vero e proprio campo della politica. Un ribaltamento che non significa la frattura dei rapporti tra territorio e politica quanto il loro ridisegno con nuovi protagonisti, nuove culture, nuove strutture.

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Aldo Bonomi

Territorio e politica

Einaudi

Territorio è parola dura e antica che fin dalle sue origini, nell’Italia dei Comuni, incorpora il legame stretto esistente fra spazio e politica. Appare agli albori della modernità nel conflitto tra il riformatore Lutero alleato dei principi e i contadini di Thomas Müntzer, nel conflitto aspro tra la Comune di Parigi come modello e la forma partito rivoluzionaria, nell’evocazione del primato della Kultur o della civilization, nelle lunghe derive braudeliane tra città e campagne, nel conflitto moderno tra flussi e luoghi. Oggi per alcuni la relazione tra spazio e politica sta venendo meno. Vivremmo cosí nell’epoca della politica senza territorio. Dentro lo stato d’eccezione permanente indotto dalla crisi, le decisioni che contano paiono sempre piú nelle mani di élite, siano esse i «mercati» o la tecnocrazia europea, che di quel legame sembrerebbero poter fare a meno. Dopo essere stato esaltato come luogo dell’innovazione politica, il territorio appare oggi confinato a spazio di resistenza rispetto alle tendenze centralizzatrici e verticalizzanti del potere statale ed economico. Penso che questo de profundis sia prematuro, che il tempo non abbia ancora conquistato, spiritualizzato e volatilizzato lo spazio come risorsa politica rilevante e trasformato il territorio in qualcosa di fisso, non dialettico, piatto e indifferenziato. Al contrario sono convinto che per reagire alla vera e propria decrescita democratica che oggi stiamo sperimentando in Europa, per capire ciò che sta mutando e ciò che verrà, è anche alle trasformazioni della dimensione territoriale, dove sociale e politico vengono a contatto, che bisogna guardare.
Nel mio percorso intellettuale, al territorio sono giunto ragionando sulla discontinuità prodotta dalla crisi del paradigma chiave della prima modernità, quel conflitto capitale-lavoro con lo stato in mezzo che mediava e redistribuiva. Uno stato centrale sia per chi aveva in mente la conquista del «Palazzo d’Inverno» che per chi seguiva vie socialdemocratiche oscillando tra logiche di conquista e di risarcimento. Un paradigma che non è certo finito visto che quantomeno il capitale e lo stato esistono ancora (mentre sul lavoro come soggettività generale avrei qualche dubbio in piú), ma è sottoposto a una trasformazione potente. Nell’arco di un trentennio alla grande trasformazione chiamata globalizzazione, in Italia si è accompagnata una piccola trasformazione che ha mutato volto al rapporto tra politica e società cambiando il luogo simbolo della dialettica sociale: dalla crisi della (grande) fabbrica e dello stato produttore di cittadinanza, entrambi creatori di appartenenze meccaniche e collettive, emerge il territorio come scenario della dinamica tra flussi globali e culture (ed economie) locali. Il territorio non è piú solo sangue e suolo o peso della tradizione, ma diventa progetto, qualcosa di artificiale, aperto, esplorativo, fluido e rischioso. Se nel Novecento la grande fabbrica è luogo di elaborazione delle identità collettive e cardine della capacità competitiva, nel nuovo scenario è il territorio a farsi fabbrica a cielo aperto (cluster di impresa, distretti industriali, eccetera). L’ipermodernità che avanza è dunque composta dalla dialettica tra flussi e luoghi, e in mezzo appare la categoria del territorio come spazio della loro dialettica. I luoghi costituiscono la spazialità intessuta di reti corte, di rapporti di prossimità, di culture locali o produzioni tipiche. A sua volta il concetto di flussi sta a indicare l’ipertrofia di quell’aspetto delle società moderne relativo alla comunicazione e interconnessione tra ambiti diversi e spesso contrapposti. I flussi sono la manifestazione di istanze sistemiche caratterizzate da mobilità dei ruoli, mobilità geografica, simultaneità delle comunicazioni. Per esemplificare, i flussi sono le transnazionali che sorvolano il mondo e ogni tanto decidono di atterrare; sono le Internet company, con cui tutti abbiamo a che fare ogni giorno, da Google a Microsoft; sono le migrazioni, che partono e arrivano nei luoghi e li cambiano, piaccia o non piaccia; è il sistema finanziario globale; sono i linguaggi scientifici oppure i grandi corridoi infrastrutturali con i quali il capitalismo delle reti e l’Unione europea unificano dall’alto la geografia continentale: sono flussi le reti della logistica che attraversano i luoghi, modificandoli. Insomma, per dirla in breve, parlare del territorio dentro la dialettica flussi-luoghi significa parlare di territorio all’epoca del capitalismo totale dispiegato. In questo salto di paradigma i flussi connettono i luoghi e ciò avviene sia dal punto di vista dei processi globali di produzione economica del valore, sia dal punto di vista del meticciato culturale. Un processo che espone le società locali al fenomeno dello spaesamento e dell’apocalisse culturale. Anche perché le trasformazioni indotte dall’imporsi della dialettica flussi-luoghi non riguardano soltanto la dimensione produttiva o piú genericamente economica (lo vedremo fra poco) quanto soprattutto la liquefazione delle forme di coesione sociale e la divaricazione tra dimensione identitaria e competitiva dei territori. Per parafrasare Arnaldo Bagnasco la società è andata «fuori squadra». Le tre dimensioni il cui equilibrio era stato individuato a suo tempo da Ralf Dahrendorf come fondamentale per lo sviluppo e la tenuta delle società democratiche, ovvero efficienza economica, coesione sociale e libertà politica, si sono divaricate. Nella sfera economica l’impatto della globalizzazione è stato almeno in parte metabolizzato con l’emergere, dalla crisi dei distretti industriali, di tracce di una nuova geografia produttiva organizzata per grandi piattaforme territoriali, ovvero spazi di governance economica a rete lunga e di connessione tra metropoli e contado produttivo posti tra la sfera dello stato-nazione e lo spazio finito dei sistemi locali. Il territorio diventa espressione dinamica della combinazione tra flussi globali e processi di radicamento locali. Da questo punto di vista il territorio non è piú una sommatoria di contesti locali governati secondo uno schema piramidale centro-periferia, ma piuttosto un insieme di piattaforme territoriali di interconnessione con flussi di diversa natura e intensità. Tuttavia alla faticosa emersione di nuove reti nel mercato non è seguito il costituirsi di nuovo tessuto geocomunitario sul fronte politico-istituzionale e della coesione sociale. Tale divaricazione tra le due dimensioni moltiplica le forme di disagio sociale e innesca una forte conflittualità sociale a bassa intensità (guerra civile molecolare) caratterizzata dalla crescente difficoltà a riconoscere e a riconoscersi in un mondo che cambia e accresce la percezione di insicurezza e paura, nonché il diffondersi di atteggiamenti di indifferenza verso l’altro. La difficoltà dello stato nazionale a governare le vite dei cittadini e le spinte alla mobilità dei capitali si manifestano in modo evidente, entro questa dialettica, con innumerevoli fenomenologie ai confini o interne alla sfera del politico: sviluppo di economie sommerse, eserciti e co...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Territorio e politica
  3. Il libro
  4. L’autore
  5. Dello stesso autore
  6. Copyright