Il dio di Gotham
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Il dio di Gotham

  1. 488 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il dio di Gotham

Informazioni su questo libro

New York, 1845. Timothy Wilde gestisce un bar e sogna di sposare la ragazza che ha sempre amato in silenzio, ma un incendio lo lascia sfigurato, senza lavoro e senza casa. Il fratello gli procura un impiego nella neonata polizia e Timothy lo accetta senza entusiasmo, anche perché la sua zona di competenza è a due passi da Five Points, il peggior quartiere della città. Una notte, durante la ronda, Timothy si imbatte in una bambina in vestaglia e coperta di sangue, che gli racconta una storia improbabile secondo la quale decine di suoi coetanei sarebbero stati uccisi e sepolti nella foresta a nord della 23ma Strada. Perplesso, Timothy decide comunque di verificare, e scopre una catena di omicidi dietro la quale sembra nascondersi un disegno crudele e onnipotente. *** «Un libro sensazionale nel raccontarci le difficoltà del lavoro di polizia per un gruppo di "stelle di rame" senza alcun addestramento, impegnate in turni di sedici ore per impedire agli abitanti dei bassifondi di derubarsi, picchiarsi, stuprarsi e uccidersi uno con l'altro». Marilyn Stasio, «The New York Times Book Review»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806210960
eBook ISBN
9788858406885

Capitolo XXI

Quante persone negli Stati Uniti sono al corrente del fatto che il papa considera le crociate ancora in corso, e ogni due anni emette una bolla per invitare i soldati a parteciparvi?
«American Protestant in Defence of Civil and Religious Liberty
Against Inroads of Papacy», 1843.
L’oscurità stringeva le sue spesse sottane intorno a New York mentre il fiacre si fermava all’angolo fra la William e la Pine. Col trascorrere dei minuti respiravo sempre meglio, il che era un grande vantaggio, però adesso che riuscivo a respirare non vedevo un diamine di niente. Da quelle parti, quando il vetro di un lampione si incrina, il lampione non lo accendono piú. Scesi e pagai il vetturino. Il mio mondo sembrava attutito. La carrozza avrebbe dovuto fare piú rumore mentre si allontanava.
Niente sarebbe andato come poi andò se qualche secondo dopo Mercy Underhill non fosse uscita dalla porta della casetta di mattoni sotto gli alberi accanto alla chiesa di Pine Street. E niente sarebbe andato come poi andò se lei mi avesse visto lí, in piedi sotto un lampione rotto. Un uomo senza alcun lume.
Io invece la vidi, e lei non mi vide, e nella mia mente qualcosa occupò finalmente la sua giusta casella, come un carattere tipografico nella sua matrice. Non era una conclusione, però, il che dimostra soltanto quale zuccone io sia. No, era una domanda.
«Dove sta andando?»
Cosí la seguii.
Camminò rapida lungo Pine Street per qualche isolato, con in testa un leggero cappuccio estivo grigio chiaro. So muovermi in silenzio quando voglio, perciò non mi sentí. Camminavo abbastanza vicino da poterla difendere se avesse incontrato un nemico. E abbastanza lontano da restare discosto se avesse incontrato un amico.
Quando raggiunse Broadway, Mercy fermò un fiacre. Lo stesso feci io, chiedendo a bassa voce al vetturino di seguirla mentre la luna faceva capolino fra le nuvole. Ormai, anche se non me lo avessero detto i ragazzi dei giornali, avrei capito da solo che la piú recente atrocità era comparsa nelle edizioni pomeridiane, lo si vedeva chiaramente dal comportamento dei passanti. Per ogni abitante del posto che camminava tranquillo e azzimato davanti alle vetrine nei suoi abiti di satin, ce n’erano due che confabulavano con le labbra tirate e la faccia tesa come un panno appeso ad asciugare. Damerini e agenti di borsa, il tipo di persone di cui ero abituato ad ascoltare i discorsi, che una volta tanto non parlavano di vestiti o di soldi. Sapevo quali parole stavano pronunciando senza nemmeno bisogno di leggere le labbra.
Irlandesi.
Cattolici.
Vergogna.
Selvaggi.
Fastidio.
Pericolo.
Quando Mercy smontò dal fiacre in Greene Street, all’altezza del lupanare di Silkie Marsh, mi ero convinto che sarebbe entrata lí dentro mentre, mezzo isolato piú indietro, pagavo il mio vetturino. Si conoscevano, Mercy poteva avere centinaia di ragioni per andare a trovarla. Ma poi si fermò sotto un tendone a strisce davanti a una sala da tè e attese. Cappuccio ben calcato, occhi che dardeggiavano da una parte all’altra della strada.
Circa due minuti dopo, le si avvicinò un uomo. A me sconosciuto. Bello, con il panciotto che sfoggiava piú fiori ricamati di quello di Valentine e la marsina attillata sul petto, di un lindo neroblu. Lo presi subito in antipatia. La luna si rifletteva sulla curva del suo cappello di castoro. Non riuscii a sentire che cosa diceva Mercy mentre gli andava incontro, ma vedevo il suo viso in quel serico bagliore di ragnatela, perciò non avevo bisogno di sentirla.
– Sono cosí spaventata, – disse. – Fa male spaventarsi cosí. Svelto, svelto, o sarò perduta per sempre.
La risposta di lui non riuscii a coglierla, perché aveva la faccia rivolta dall’altra parte. Si allontanarono lungo la strada illuminata dalla luna, distanti una decina di pollici l’uno dall’altra.
Li seguii. Entrarono nella casa di Silkie Marsh dopo aver suonato il campanello. Da ogni finestra scintillavano le luci. Intravedevo gli specchi, le candele e i tappeti che attiravano dentro gli uomini, l’accattivante luccichio del legno duro e del cristallo. Per forse dieci minuti, mi limitai ad aspettare. Se avessi seguito Mercy nel bordello di Silkie Marsh, allora quello che stavo facendo sarebbe stato esattamente questo: seguire Mercy, senza alcuna ambiguità. Alla fine, costrinsi semplicemente i miei piedi a muoversi. Il fatto che Mercy uscisse di sera era insolito ma poteva essere spiegato, con un po’ di sforzo. Un marmocchio con la scarlattina, un pover’uomo disarcionato da cavallo, una levatrice che aveva bisogno di un altro paio di mani. Però il fatto che Mercy si incontrasse con uno sconosciuto qualche ora dopo essere stata vista nella carrozza dell’uomo col cappuccio nero... impossibile non prendere coscienza di ciò che significava.
O almeno, cosí dissi a me stesso.
Quando finalmente mi tuffai in strada, non mi presi la briga di bussare. La porta era aperta, e io irruppi dentro. Mi trovai davanti l’atrio vuoto, scintillante di colori. Passai oltre, oltre gli olii e le felci, e invasi il salotto.
Nello specchio veneziano a tutta parete c’erano nove Timothy Wilde, tutti con l’aria di essere appena sopravvissuti a uno scontro con Cow Bay. E anche nove Silkie Marsh, sedute sulla sua poltrona di velluto color ametista, a rammendare una calza, incredibilmente. Alzò gli occhi su di me, tradendo un istante di stupore. Per un attimo parve molto giovane, fresca come un petalo, il viso dolce e luminoso sopra l’austero, elegante satin nero. Silkie Marsh fa bene a indossare vestiti simili, perché non sono della sua misura e la fanno sembrare una ragazzina che si è provata l’abito da ballo della sorella maggiore. Il satin nero, a differenza di quanto si potrebbe supporre, fa pensare che non sia pericolosa.
– Mr Timothy Wilde, – disse. – Sembrate sull’orlo di un collasso. Posso offrirvi qualcosa da bere?
Dissi di no, ma lei mi ignorò. Posò calza e ago sulla poltrona e andò al mobiletto accanto al piano, dove versò due bei bicchieri di whisky. Cominciò a sorseggiare il suo mentre mi passava il mio.
Sentendo di averne dopotutto bisogno, mandai giú il liquore e le restituii il bicchiere. – Grazie. Dov’è Mercy Underhill?
– Dubito che siano affari vostri, Mr Wilde, – disse lei in tono dolce. – Anzi, sono certa che non lo sono.
– So che è qui, e ho bisogno di parlarle. Ditemi dov’è andata.
– Preferirei di no. È una brutta faccenda. Vi prego di non costringermi a farlo, Mr Wilde, voi non siete un uomo prepotente. Avreste di me un’opinione ancora peggiore di quella che già avete.
– Di questo non dovreste preoccuparvi.
– Non mi piace tradire dei segreti, perché sono una donna di parola, Mr Wilde. Ma se insistete, è proprio laggiú, al fondo del corridoio, la porta accanto al vaso cinese. So che per voi sarà sempre impossibile apprezzare la mia compagnia, ma al momento non cercate di parlarle. Vi prego, per... merci.
Avevo percorso il corridoio in meno di cinque secondi, credo. Il vaso cinese era su un piedistallo, con sopra, attaccata alla parete tappezzata, una bella lampada con paralume che proiettava un fievole cerchio ambrato.
Aprii la porta con uno spintone ed entrai.
Le luci della piccola camera erano molto basse, e si vedevano piú ombre che forme. Ma ci furono un suono allarmato e un veloce, frenetico tramestio. Vidi delle figure sul letto, una delle quali nuda dalla vita in su, con la faccia aggrottata che mi fissava con occhi spalancati e persi nel vuoto. E c’era anche l’uomo, sopra di lei ma per metà sotto il lenzuolo, che si guardava alle spalle, senza nulla addosso. La sua mano copriva la nivea curva del seno di Mercy, e il suo mignolo tracciava la linea della sua costola.
– Questa stanza è occupata, – disse l’uomo parlando strascicato. – Fatemi la cortesia...
Lo tirai via da lei, cosa che lo zittí.
– In qualunque modo tu le abbia fatto del male, la pagherai molto cara, – promisi, stritolandogli l’avambraccio con una mano e quasi strappandogli i capelli con l’altra.
– Non mi sta facendo del male, sciocco, – disse Mercy ansimando. Si tirò su a sedere, coprendosi meglio con il lenzuolo. – Sembra forse che mi stia facendo male?
Lo lasciai andare, e il damerino indietreggiò barcollando.
– Mr Wilde, – cominciò Mercy. Adesso a occhi chiusi, respirando in fretta dal naso. – Bisogna che...
– Oh, questo coglione, ormai basta, – disse lo sconosciuto, agitando impotente le braccia in cerca dei suoi bei vestiti. – Che cosa credi? Io sono un uomo sensibile, non posso certo... non dopo che... e tu lo conosci?
Mercy aprí la bocca, ma non ne uscí niente. Strinse il lenzuolo nel pugno, strapazzandolo con violenza. La mia schiena incontrò il muro, e scivolai giú a sedere sulle assi nude. Osservando l’agente di borsa – no, piú probabilmente un importatore-esportatore, considerato che l’accento era newyorkese e che invece scarpe, orologio e seta del panciotto venivano dall’estero – mentre cercava di recuperare quel che restava della sua dignità.
– Va be’, che tu lo conosca o meno, mi rincresce di essere stato cosí poco utile a te e alla transazione proposta, dato che... io non... oh, dannazione, buona fortuna, Mercy. In un modo o nell’altro i soldi li troverai. E quanto a me, be’... magari un’altra volta.
E con ciò uscí e si richiuse la porta alle spalle. Ebbi un fremito. Alzandomi, mi girai verso la finestra, per non guardare Mercy.
– Non so se ti rendi conto di quello che hai fatto, – mi giunse la sua voce da dietro le spalle, – ma potresti per l’amor del cielo dirmi perché l’hai fatto?
– Ti avrebbe pagato, – sussurrai. – E ha pagato Silkie Marsh per la stanza.
Un fruscio di tessuto mentre si alzava dalle lenzuola.
– Da quanto tempo? – arrischiai. – Dimmelo. Per favore. Da quanto tempo va avanti?
Una tetra risatina si levò dal letto. Terminò con un ansimo, come se Mercy stesse annegando, e io sentii un brivido gelido nelle viscere.
– Da quanto tempo, mi chiedi? Da quanto tempo conosco la compagnia degli uomini, o da quanto tempo mi faccio pagare?
Non riuscii a rispondere. Cosí lei continuò lo stesso.
– Da circa cinque anni, nel primo caso, da quando avevo diciassette anni. E da circa cinque minuti, nel secondo. Da quando sono rovinata.
– Rovinata, – ripetei inebetito.
– Immagino che leggendo Luce e ombra nelle strade di New York non ti sia mai venuto il sospetto di conoscerne l’autrice.
Non avrei voluto voltarmi, ma, sconcertato com’ero, non riuscii a farne a meno. Ovviamente, lei mi mozzò il fiato. Pelle come neve appena caduta su un fiume ghiacciato, occhi di un azzurro scintillante mentre recuperava il vestito. Ogni curva di una bellezza sottile, capelli di un nero impossibile che le carezzavano il rigonfiamento dei seni prima di scendere oltre i fianchi, centro di gravità meravigliosamente asimmetrico. Distolsi lo sguardo, odiandomi, costringendomi a dar retta a quel che mi aveva appena detto.
– Luce e ombra, – ripetei, rivedendo la rivista di Mrs Boehm e il rossore imbarazzato di lei. In quei racconti si narravano maliziosi scandali sociali, acide tragedie di Wall Street, le traversie degli immigrati e la rabbia trattenuta dei poveri. In uno si raccontava la vicenda di un indiano ingiustamente sospettato di aver rubato dei polli e lapidato in mezzo alla strada, in un altro la saga di un morfinomane che vendeva la giacca invernale per comprarsi una dose. Contenevano sfrenatezze sessuali, vicende strazianti, tutti gli ingredienti del melodramma, e io li avevo letti dal primo all’ultimo. – Di Anonimo.
– Uno pseudonimo davvero banale, in effetti, – replicò Mercy, con il piú fievole e piatto dei mormorii.
Mi passai una mano sugli occhi, mi riempii i polmoni d’aria e poi la ributtai fuori. Che avesse scritto certe storie non mi stupiva. Probabilmente la maggior parte di quelle cose aveva avuto modo di vederle di persona, una volta o l’altra.
Ciò che mi stupiva era che io non me ne fossi accorto.
– Ma... un momento, rovinata? – balbettai, rimettendo in moto un pezzo di cervello.
– Ora sono perduta, – confermò. – Non c’è piú speranza. Dio mio, c’ero quasi. Fino a ieri mattina avevo quasi seicento dollari da parte, prima che papà li trovasse e mi facesse una... – Il ricordo la bloccò per un istante. – Mi ha fatto una scenata. Ora non troverò mai piú un altro posto dove nascondere i soldi, né potrò scrivere un’altra frase in quella casa senza la sua supervisione, e mio... be’, dell’opinione di mio padre non vale neanche la pena parlare.
– E cosí la tua reazione è stata... vendere il tuo corpo? – protestai, stomacato.
– Non c’erano alternative, – rispose Mercy piattamente mentre un altro fruscio dell’abito di cotone mi vibrava nelle orecchie. – Devo andarmene, non posso restare a New York, devo scappare, tu non sai com’è a casa, io... Perché ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il dio di Gotham
  3. Prologo
  4. Capitolo I
  5. Capitolo II
  6. Capitolo III
  7. Capitolo IV
  8. Capitolo V
  9. Capitolo VI
  10. Capitolo VII
  11. Capitolo VIII
  12. Capitolo IX
  13. Capitolo X
  14. Capitolo XI
  15. Capitolo XII
  16. Capitolo XIII
  17. Capitolo XIV
  18. Capitolo XV
  19. Capitolo XVI
  20. Capitolo XVII
  21. Capitolo XVIII
  22. Capitolo XIX
  23. Capitolo XX
  24. Capitolo XXI
  25. Capitolo XXII
  26. Capitolo XXIII
  27. Capitolo XXIV
  28. Capitolo XXV
  29. Capitolo XXVI
  30. Capitolo XXVII
  31. Postfazione storica
  32. Ringraziamenti
  33. Copyright