Il signor Cevdet e i suoi figli
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Il signor Cevdet e i suoi figli

  1. 704 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il signor Cevdet e i suoi figli

Informazioni su questo libro

La storia intima di una famiglia in una narrazione avvolgente che sembra ricreare il tempo della vita, con il suo mutevole svolgersi. Cevdet è un bottegaio di Istanbul in un'epoca in cui essere musulmano e commerciante è considerato disonorevole. Ma a Cevdet non importa essere trattato con sufficienza e malcelato disprezzo da tutti: è un lavoratore instancabile e gli affari vanno a gonfie vele, tanto che decide di comprare una villa per la famiglia nel quartiere di Nisantasi.
È l'inizio di una saga familiare che abbraccia quasi un secolo di storia e tre generazioni. Ma è anche l'inizio della carriera di uno scrittore, l'esordio, per la prima volta tradotto in italiano, del futuro Premio Nobel per la letteratura.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806213466
eBook ISBN
9788858406823

Parte seconda

1. UN GIOVANE CONQUISTATORE A ISTANBUL

– D’ora in avanti l’Europa per noi dovrà essere… Come dire? Un… un obiettivo. Anzi, di piú: un modello! – Sait si stava infervorando mentre sobbalzava insieme al vagone ristorante. – Dobbiamo mettere da parte l’orgoglio. Non mi stancherò mai di ripeterlo: da anni il tintinnio delle nostre spade viene soffocato dai boati di fucili e cannoni… Lo stato, vedete, lo stato non è piú quello di una volta: di quel vecchio mondo non c’è traccia. A conti fatti, se ci pensate, siamo quasi a metà del XX secolo… Febbraio 1936… al 1950 manca davvero poco, no? Forza, beviamoci su, mettiamo da parte la presunzione e abbracciamo finalmente la Repubblica e l’Europa. Ma lei non beve affatto!
Ömer cercò di dire qualcosa, ma aveva altro per la testa: «Febbraio 1936! E io sto tornando a Istanbul…»
– No, no, non dica nulla: la capisco benissimo, – rispose Sait. – Qualcuno l’attende a Istanbul, probabilmente, e lei continua a pensarci. La capisco, la capisco! – disse sorridendo benevolo.
– No, guardi, non mi aspetta nessuno. Non solo: il fatto è che nessuno si aspetta nulla da me. Ha ragione, di solito non bevo ma… questa mi sembra l’occasione giusta per iniziare, – replicò Ömer, avvicinando il bicchiere da vino alla bottiglia che Sait gli porgeva.
– Suvvia, signore, bevetevi un goccetto anche voi, – esortò quello rivolto alle donne sedute al loro tavolo. – In fondo non siamo ancora entrati in Turchia…
Era la classica battuta di chi stava per entrare nel nostro bello e malinconico paese per ironizzare sulla sua cultura, sulle sue usanze, ma anche sul tempo che passava e le trasformava. Ne parlavano a tavola già da un po’, ridendone divertiti. Con quella battuta, Sait si stava rivolgendo alla moglie: la signora Atiye, infatti, riusciva a bere alcolici con tranquillità solo all’estero. Per tutta risposta, Güler, la sorella minore di Sait, raccontò che anche lui era piú propenso al vino e al rakı non appena metteva piede in Francia.
Sait fece finta di essersela presa per quella frecciatina: – Di rakı con te non parlo, – e, lanciando un’occhiata a Ömer, aggiunse: – Quella è roba da uomini.
Stavolta nessuno rise, a parte Sait che sogghignava tutto soddisfatto e guardava Ömer quasi a volergli dire: «Cosa vuoi che ne capisca una donna!»
Ömer aveva conosciuto Sait e le sue compagne di viaggio il giorno prima, sempre lí, nel vagone ristorante. Scusandosi per il disturbo, gli avevano chiesto di sedersi al tavolo con lui perché gli altri erano tutti occupati. Dopo le prime parole di cortesia, gli avevano spiegato il motivo del loro soggiorno a Parigi: Sait e la moglie avevano l’abitudine di fare, ogni anno, un viaggio in Europa. Stavolta avevano portato anche la sorella di lui perché si era da poco separata dal marito. Ömer invece era arrivato a Parigi di ritorno da Londra, dove aveva vissuto quattro anni e si era laureato in ingegneria edile.
– Guarda che la Turchia, quanto a diritti delle donne, è piú moderna di tanti paesi europei, – rispose la signora Atiye.
– È vero. In fondo, se ci pensate bene, è proprio questa l’essenza della Repubblica… – concordò Sait, ma poi, con un’espressione da monello che proprio non gli si addiceva, aggiunse: – Ciò non toglie che in tutto il mondo le donne abbiano gli stessi doveri.
Seguí un imbarazzato silenzio.
Atiye, non riuscendo a nascondere il proprio disagio di fronte alla cafonaggine del marito, concluse: – Questo è il parere di Sait –. Ma quella donna non era proprio capace di tenere il muso a lungo: bastò un attimo perché gli occhi le si riaccendessero di gioia. Dalla borsa estrasse delle fotografie che, sorridendo, allungò a Ömer: – Guardi, eccolo qua: questo è il mio dolce dovere!
Nella prima foto c’era un bambino vestito da marinaretto. Era seduto su una panchina, una mano appoggiata sullo schienale, l’altra sollevata in segno di saluto.
– Quanti anni ha? – chiese Ömer per educazione.
– Quattro fra una settimana! È nato nel marzo del ’32, – rispose la signora Atiye.
«Io gli ultimi quattro anni li ho passati all’estero, – pensò Ömer. Il vagone sobbalzava al ritmo del treno che correva rumorosamente sui binari. – Non metto piede in Turchia da quattro anni… Sono fuggito in Europa: invece di fare il dottorato, mi sono accontentato della laurea in ingegneria, ho viaggiato, mi sono divertito, ho pensato solo a me stesso, ho sperperato il denaro che mi hanno lasciato i miei… insomma, mi sono goduto la vita. Ma adesso me ne torno in patria con una laurea e mi metto a lavorare, come vuole la zia…»
– In questa foto, invece, aveva un anno. Quel giorno avevamo fatto venire un fotografo nella casa di Teşvikiye…
In quest’altra fotografia il bambino era in braccio alla madre. Accanto a loro, con la mano sulla spalla e il busto leggermente inclinato in avanti, c’era Sait in atteggiamento protettivo: piú che una coppia sposata, sembravano fratello e sorella. La terza foto, invece, si intuiva essere stata scattata in studio. Sui volti dei due coniugi c’era stampato un sorriso indefinito che non lasciava capire se fossero realmente felici o se la loro fosse solo una posa di circostanza. Il bimbo tra le braccia della madre stava per scoppiare a piangere, o almeno cosí pareva.
– Che adorabile bambino, – se ne uscí Ömer, sentendosi in dovere di commentare.
– Lo dicono tutti, – rispose la signora Atiye con immutato entusiasmo. Poi prese le foto dalle mani di Ömer e si mise a osservarle tutta allegra. Anche Sait allungò il capo per osservarle. Sembrava che i due stessero cercando quel qualcosa che aveva spinto Ömer a definire il loro figlio «adorabile».
«Perché torno a Istanbul? Per sposarmi, mi dico, per fare un figlio magari, avere una famiglia felice, guadagnare di piú… Certo, ma lo faccio solo per questo?» Il treno non aveva ancora superato il confine, e già gli sembrava di respirare la tristezza e le piccole gioie della vita in famiglia. Di colpo vuotò il bicchiere:
– Ne vorrei un altro.
– Beva, beva, – rise Sait. – Lei è giovane, se non beve adesso quando vuole farlo?
Bevendo, Ömer osservava Sait: un onesto lavoratore nel settore dell’import-export, un padre di famiglia di ritorno dalla sua annuale vacanza in Europa, ritto e fiero accanto alla moglie mentre insieme guardano le foto del figlio… Poi Ömer si ricordava che Sait era il figlio di un pascià e gli passava tutto il buonumore: «Io sarò diverso, – pensò. – C’è un altro destino che mi attende, non posso perdermi in queste languide tentazioni famigliari. Io… io distruggerò ogni cosa, ogni cosa! E dal nulla creerò qualcosa di nuovo. Sarò io l’unico artefice della mia vita».
– Sait, parlavi dell’Europa… – Fu Güler a rompere il silenzio.
– Hai ragione. Dell’Europa e della mia famiglia… Vi ho raccontato del mio defunto padre, il pascià? Lui e mia madre avevano chiesto la mano di Nigân per conto di Cevdet… Ömer, non ci ha detto che lei è amico del figlio di Cevdet? Il ricevimento nuziale si è tenuto nella nostra villa, prima che la ristrutturassimo.
– Chissà come saremo fra venti o trent’anni… – sospirò Atiye, guardando Ömer.
«Si aspettano che li faccia divertire con qualche storiella…», pensò Ömer, ma decise di lasciarsi cullare dal movimento del vagone e continuare a bere.
– Prendiamo un’altra bottiglia? – disse.
– Certo, perché no, – concordò Sait, guardando con affetto quel giovanotto che stava per entrare nel mondo del lavoro. A forza di ripensare agli anni passati e alla spensieratezza di un tempo gli era venuto un pizzico di nostalgia.
Il cameriere portò un’altra bottiglia.
C’era stato un periodo in cui Ömer aveva bevuto molto. Aveva cominciato subito dopo la morte del padre, e quando era morta la madre ne aveva fatto un vizio. A quei tempi era uno studente della facoltà di Ingegneria di Istanbul; spesso beveva tutta la notte, gironzolava per i locali notturni di Beyoğlu e si presentava a scuola già sbronzo. Anche in Inghilterra, per un certo periodo, aveva bevuto parecchio. Dopo il diploma alla scuola professionale di Istanbul, infatti, aveva deciso di girare l’Europa. «Di soldi ne hai, il tempo non ti manca… nulla ti trattiene qui. Cosa ci stai a fare in Turchia? A coltivare l’orticello? Vai, viaggia, divertiti, osserva come vivono gli altri, le loro abitudini, i loro costumi… e cerca anche di studiare ogni tanto!», lo stuzzicavano gli amici. In Inghilterra Ömer aveva seguito i loro consigli. Poi si era innamorato di una ragazza inglese e aveva cominciato a pensare di sposarsi e stabilirsi lí. «Ecco, finalmente qualcosa di buono anche qui da noi», pensò osservando la bottiglia di vino. A un certo punto si era pentito della decisione di tornare a vivere nel suo paese, gli pareva come se stesse tornando a coltivare il proprio orticello; ma adesso era felice di averlo fatto, perché nonostante tutto la Turchia gli sembrava il luogo ideale per inseguire le sue personali aspirazioni. L’Europa invece non aveva piú granché da offrirgli. «Suonerà infantile, ma l’idea di vivere lí mi spaventava, – si disse guardando l’etichetta sulla bottiglia. – Il cielo in Inghilterra era sempre plumbeo… In Turchia è tutto diverso, tutto sembra nuovo… Sembra fatto apposta per me!»
– Ehi, quanto beve, giovanotto! Non riesco a starle dietro…
– Ah, sul serio? Questo vino inizia a piacermi, – rispose Ömer imbarazzato.
– Ma lei quando beve diventa triste, ammutolisce… – replicò Atiye. – Su, forza, ci racconti a cosa stava pensando un attimo fa, ce lo dica…
Sait scoccò un’occhiataccia alla moglie come per dire: «Lascia in pace il ragazzo!» Poi sorrise a Ömer nel maldestro tentativo di ostentare il proprio disinteresse: – Lo dica solo se le fa piacere, mi raccomando, ma non si senta obbligato –. Però sul suo viso si leggeva tutt’altro: «Davvero, chissà a cosa starà mai pensando!»
– A me stesso, – rispose Ömer.
– Davvero? – replicò la signora Atiye. – E a cosa di preciso?
– Che ho voglia di fare un mucchio di cose… e che ci riuscirò!
– Certo, certo. È ancora giovane, lei, – replicò Sait.
– No, non è questo che intendevo: farò tante cose, è vero, ma… ma non quelle che fanno tutti! – Ömer sentí le guance arrossire.
– Non la seguo, – rispose Sait.
– È difficile da spiegare…
– Ci provi lo stesso, – insistette la signora Atiye: sul viso aveva la medesima espressione frivola con cui aveva posto la domanda iniziale.
Güler spiava Ömer da dietro il menu che scorreva da cima a fondo con la stessa concentrata attenzione che si dedica a un romanzo interessante (nonostante lo conoscesse già bene dalle cene precedenti).
– Sait, lei è ambizioso? – domandò Ömer.
– Come, scusi? – si meravigliò l’altro accennando un sorriso, ma accigliandosi subito dopo.
– Lei ha delle ambizioni? Sí, qualche desiderio che vorrebbe realizzare…
– Ne ho? – Si rivolse alla moglie come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa.
– No, – si affrettò a rispondere la signora Atiye al posto suo. – Sait è tranquillo come un agnellino –. Probabilmente voleva ridere, ma vedendo l’espressione sul viso di Ömer si spaventò: tutto sommato era una persona colta e moderna, ma anche timorata di Dio.
– Grazie al cielo non lo sono, – concluse Sait. – Mi accontento di questa vita, con le sue piccole preoccupazioni e le sue gioie.
Stavolta ci fu una risata generale.
– Grazie al cielo, invece, io sí, io sono ambizioso! – rispose Ömer, e, sentendosi lo sguardo di Güler addosso, aggiunse: – Le piccole gioie e le banali preoccupazioni quotidiane a me non bastano! – A quel punto intuí che doveva scusarsi, dare delle spiegazioni: – Voglio fare tante cose, capite, non voglio accontentarmi. Non so se riesco a spiegarmi… Non è che ambisca a qualcosa di particolare. Io voglio conquistare la vita, tutto quello che mi capita davanti!
– Giovinezza, giovinezza… – mormorò Atiye.
– E cosa vuole ottenere? – domandò Sait.
– Tutto, – rispose Ömer, mentre prendeva il piatto con i formaggi dalle mani di Sait, non perché ne avesse voglia, ma perché sarebbe stato scortese rifiutare.
– Guardi, questo in Francia lo mangiano prima della frutta. Puzza, vero? Ma una volta che ti abitui all’odore…
– Sait, caro, il signor Ömer ci stava raccontando… – si intromise la signora Atiye.
– Sí, sí, certo, l’ascolto!
Tutti e tre guardarono Ömer. – Devo aver bevuto troppo, – si schermí.
– Ma si figuri! È un piacere stare ad ascoltarla, – lo rassicurò la signora Atiye.
– Mia moglie adora le storie divertenti, – disse Sait, e, credendo di non essere stato abbastanza convincente, aggiunse: – Le storielle spassose sono la sua passione. Continui, la prego.
– Piacciono anche a me, – rispose Ömer. – Per me ogni cosa è interessante, e ogni cosa interessante voglio farla mia. Prima mi ha chiesto a cosa ambisco… voglio tutto: le belle donne, il denaro, la notorietà, la gloria, la stima delle persone… È una brama smodata la mia… costi quel che costi.
Sait si rivolse alla moglie e alla sorella con fare protettivo:
– Guardate che la salsa è piccante. L’ho assaggiata altre volte…
«Ho voglia di darmi delle arie, di provare emozioni, di fare colpo sulle donne… ma quando crescerò? Ho già ventisei anni!», pensò Ömer facendosi paonazzo in viso.
– Ah, guardi, ho capito che tipo è lei! – esclamò a un tratto la signora Atiye. – Lei è il Rastignac dei nostri giorni. È uno dei personaggi di Papà Goriot, il romanzo di Balzac. Se ne ricorda? Be’, lei è uguale: un conquistatore…
– Come è arrossito, signore! – disse Sait. – Tengono il riscaldamento troppo alto su questi vagoni. Ordiniamo un’altra bottiglia? – E sorrise con la stessa espressione benevola di poco prima.
– Volentieri.
– Sí, sí, un conquistatore… Rastignac! – borbottò fra i denti la signora Atiye, soddisfatta di aver pensato a quella somiglianza.
– Ecco, sí, un conquistatore. È questo che voglio diventare!
– Fantastico, – si rallegrò la signora Atiye. – Dài, facciamoci una foto ricordo. Sait, si può fare qui?
– C’è poca luce. Hai preso la macchina fotografica?
A un tratto Güler si rivolse a Ömer:
– A dire il vero lei non mi sembra neanche turco.
– Dài, su, lasciate stare questi discorsi adesso, – si intromise Sait. – Sentite questa: un giorno una volpe e una tartaruga si incontrano nel bosco. La volpe…
Sait aveva dei baffi sottili e curati. Quando parlava, quella sottile linea scura si muoveva su e giú.
«Adesso mi toccherà ridere», pensò Ömer.
Quando l’altro finí di raccontare la barzelletta ci fu una risata generale.
– Racconta quella del cameriere impacciato che confonde i bicchieri… – lo aizzò la moglie.
E Sait ricominciò, ma rideva già prima di iniziare. Anche la moglie si tratteneva a stento dal ridere. Nel vagone ristorante non c’era un posto libero. Seduti a un tavolo piú avanti, quattro anziani chiacchieravano divertiti fra un brindisi e l’altro: uno aveva la barba canuta e lunga che, quando rideva, gli si strofinava sulla cravatta; da sotto il gilè si intravedeva la catenella luccicante dell’orologio. Piú in là, una donna con un cappello baciava sorridente il bambino che dormiva tra le sue braccia. «Una volta anch’io ero spensierato come queste persone. Quando studiavo ingegneria non facevo altro che divertirmi. Giocando a poker, Muhittin, Refik e io ci facevamo un sacco di risate». A ripensarci gli venne un po’ di tristezza. In piú l’effetto dell’alcol stava scivolando via, e con esso l’entusiasmo di poco prima. Si mise ad ascoltare le storielle di Sait.
Verso l’una di notte il vagone ristorante si svuotò. Il cameriere si avvicinò al tavolo a passo incerto e si rivolse gentilmente a Ömer e ai suoi amici:
– Signori, stiamo per chiudere. Ci avviciniamo a Edirne. Dovreste andare nel vostro scompartimento per il controllo passaporti…
– Sí, certo, ce ne andiamo subito, – replicò Sait.
Seguí un lungo s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il signor Cevdet e i suoi figli
  3. Parte Prima - Prologo
  4. Parte Seconda
  5. Parte Terza - Epilogo
  6. Postfazione
  7. Copyright