1.
– Un orario senza senso. Chi cavolo è che ha scelto proprio questa data?
Il capo del Pst, i servizi di sicurezza della polizia norvegese, si passò una mano sui capelli rossi tagliati a spazzola.
– Lo sai benissimo, – disse una donna poco piú giovane, con gli occhi fissi su un antiquato schermo Tv in bilico su una cassettiera nell’angolo dell’ufficio. I colori erano sfocati e una banda nera occupava il fondo dell’inquadratura. – È stato il primo ministro a decidere. Un’ottima occasione, no?, per mostrare l’antico reame in tutta la sua pompa nazional-romantica.
– Migliaia di ubriachi, risse e rifiuti dappertutto, – ringhiò Peter Salhus. – Mica tanto romantico. Il 17 maggio è e rimane un vero inferno. E secondo loro, santo cielo…
Si interruppe e riprese in falsetto, indicando il televisore.
– … secondo loro, come faremo a sorvegliare quella donna?
Madam President stava per mettere piede sul suolo norvegese. Tre uomini in soprabito scuro e con gli immancabili auricolari la precedevano. A dispetto delle nuvole basse portavano gli occhiali da sole, come in un tentativo di autoparodia. Dietro al presidente, che stava scendendo dall’Air Force One, c’erano alcuni loro sosia, altrettanto grossi, nerovestiti e inespressivi.
– Si direbbe che siano in grado di fare il lavoro da soli, – disse Anna Birkeland in tono asciutto, con un cenno al televisore. – Comunque spero che nessuno abbia captato il tuo… pessimismo, se posso esprimermi cosÃ. Sono un po’ preoccupata, lo ammetto. Di solito, tu non…
Si interruppe all’improvviso. Anche Peter Salhus rimase in silenzio, con lo sguardo fisso allo schermo. Di solito non reagiva con tanta veemenza. Al contrario. Due anni prima, quando era stato messo a capo dei servizi di sicurezza, erano stati la sua calma e il suo carattere gradevole a rendere possibile che qualcuno con una carriera militare alle spalle fosse accettato come direttore di una struttura la cui storia non era certo priva di macchie. Le proteste della sinistra si erano calmate un po’ quando Salhus aveva svelato i suoi trascorsi di giovane socialista. Si era iscritto al partito a diciannove anni per «smascherare l’imperialismo americano», come aveva raccontato sorridendo durante un’intervista televisiva. Poi, quando per un minuto e mezzo era passato a spiegare con estrema serietà le varie minacce che potevano incombere sul paese e di cui tutti erano consci, ogni esitazione sulla sua nomina era svanita. Peter Salhus aveva abbandonato l’uniforme per indossare un vestito e si era installato negli uffici del Pst senza l’acclamazione generale ma, almeno, con un appoggio politico trasversale alle spalle. Era stimato dai suoi collaboratori e rispettato dai colleghi stranieri. Il taglio di capelli millimetricamente militare e la barba brizzolata gli conferivano un’aria di sicurezza virile e all’antica. Paradossalmente, Peter Salhus era un capo dei servizi di sicurezza popolare.
E Anna Birkeland non lo riconosceva piú.
La luce del lampadario gli si rifletteva sulla fronte sudata. Oscillava avanti e indietro, quasi inconsciamente. Quando Anna Birkeland gli guardò le mani, notò che erano strette a pugno.
– Che cosa c’è? – gli chiese a bassa voce, come se non si aspettasse una risposta.
– È una pessima idea.
– Perché non l’hai bloccata? Se sei davvero preoccupato, avresti dovuto…
– Ci ho provato. Lo sai benissimo.
Anna Birkeland si alzò e si avvicinò alla finestra. La primavera sembrava tenersi da parte, nella pallida luce grigia del pomeriggio. Mise una mano sul vetro. Per un istante ne apparve il profilo di condensa, subito svanÃ.
– Hai mosso delle obiezioni, Peter. Hai delineato i possibili scenari e hai mosso delle obiezioni. Ma opporsi concretamente è diverso.
– Viviamo in una democrazia, – disse lui; senza ironia, per quanto Anna intuisse. – Le decisioni le prendono i politici. In un contesto del genere io posso soltanto dare consigli. Se avessi potuto decidere…
– Avremmo escluso tutti? – Anna si girò di scatto verso di lui. – Tutti, – ripeté a voce piú alta. – Tutti quelli che, in un modo o nell’altro, potrebbero sfidare questo idillio da cittadina di provincia che è la Norvegia.
– SÃ, – disse lui. – Forse sÃ.
Il suo sorriso era difficile da interpretare. Sullo schermo del televisore videro che avevano scortato il presidente dall’immenso aereo fino a un podio improvvisato. Uno degli uomini di scorta cominciò ad armeggiare con il microfono.
– È andato tutto liscio, quando Bill Clinton è stato qui, – disse Anna Birkeland, mordicchiandosi un’unghia. – Si è fatto una bella passeggiata per la città , si è fermato a bere una birra, ha stretto la mano a chiunque incontrasse. È entrato in pasticceria, addirittura. Senza programmare e decidere niente in anticipo.
– Ma questo è stato prima.
– Prima di che?
– Prima dell’11 settembre.
Anna tornò a sedersi. Si passò le mani sulla nuca e si tirò su i capelli, che le arrivavano alle spalle. Poi abbassò lo sguardo, respirò profondamente come per prepararsi a dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscà soltanto un sospiro. Udirono qualcuno parlare in corridoio, poi una risata. Il breve discorso del presidente era finito, entrambi distolsero lo sguardo dal televisore.
– La responsabilità del servizio di sorveglianza ce l’ha la polizia di Oslo, – disse Anna infine. – In linea di massima, la visita del presidente non è un tuo problema. Un nostro problema, voglio dire. E poi, – alzò una mano e indicò la cassettiera su cui stava il televisore, – non abbiamo trovato niente. Nessun movimento, nessun segno di qualche attività . Non fra i gruppi che conosciamo già nel nostro paese. Neppure nei paesi vicini. Nessuna delle informazioni dall’estero fa pensare altro se non che sarà la visita molto piacevole di… – la sua voce prese un tono da conduttore televisivo – … un presidente che vuole onorare la sua patria e la Norvegia, il fedele alleato degli Stati Uniti. Niente fa supporre che qualcuno abbia piani diversi.
– Il che è strano, non trovi? Questo è…
Peter Salhus si interruppe. Madam President stava salendo su una limousine scura. Con mani rapide e leggere, una donna la aiutò con il soprabito. Un lembo era rimasto fuori dall’auto e stava per rimanere schiacciato dalla portiera. Il primo ministro norvegese sorrise, felice come un bambino di avere un ospite cosà importante, e fece un cenno di saluto anche troppo entusiasta alle telecamere.
– Quella donna è l’oggetto d’odio numero uno al mondo, – disse Peter Salhus indicando lo schermo con un cenno del capo. – Sappiamo che ogni giorno qualcuno prepara un piano per farla fuori. Ogni giorno, cazzo. Negli Stati Uniti. In Europa. In Medio Oriente. Dappertutto.
Anna Birkeland tirò su col naso e se lo asciugò con le dita.
– È sempre stato cosÃ, Peter. E quella donna non è la sola persona che rischia di essere assassinata. Ovunque i nostri colleghi scoprono cose illegali prima che diventino realtà . Di continuo. E i servizi americani di intelligence sono i migliori del mondo e…
– Non tutti sono d’accordo, – la interruppe lui.
– Anche la loro polizia è la piú efficiente del mondo, – continuò Anna Birkeland, come se non lo avesse sentito. – Secondo me non hai un solo motivo per rimanere sveglio la notte a preoccuparti per il presidente degli Stati Uniti.
Peter Salhus si alzò e spense il televisore con il tozzo dito indice, nell’istante in cui la telecamera zumava fino a inquadrare in primo piano la bandierina a stelle e strisce che sventolava su un lato della limousine. Quando l’auto accelerò, la bandierina si agitò in un turbinio di rosso, bianco e blu.
Lo schermo si oscurò.
– Non è per lei che mi preoccupo, – disse Peter Salhus. – Assolutamente.
– Adesso proprio non lo capisco, dove vuoi arrivare, – disse Anna, chiaramente irritata. – Be’, io vado. Sai dove trovarmi, se succede qualcosa.
Si chinò a raccogliere una ventiquattrore dal pavimento, raddrizzò la schiena e si diresse verso l’uscita. Con una mano sulla maniglia e la porta semiaperta si girò e chiese:
– Se non è per la Bentley, per chi è che ti preoccupi allora?
Peter Salhus scosse il capo e aggrottò la fronte, come se non fosse sicuro di avere capito la domanda.
– Per noi, – disse con tono asciutto e conciso. – Sono preoccupato per quello che può succedere a noi.
D’improvviso Anna ebbe la sensazione che, sotto la sua mano, la maniglia fosse diventata sorprendentemente fredda. La lasciò. La porta si chiuse piano.
– Non per noi due, – disse Peter Salhus, volgendo lo sguardo verso la finestra. Sapeva che Anna era arrossita e non voleva imbarazzarla. – Mi preoccupo per…
Disegnò un grande cerchio nell’aria con una mano.
– … la Norvegia, – disse, tornando a fissarla. – Che cosa succederebbe alla Norvegia se qualcosa dovesse andare storto?
Anna non era sicura di aver capito.
2.
Finalmente Helen Lardahl Bentley era sola.
L’emicrania le faceva pulsare la nuca, come sempre dopo giornate come quella. Cautamente, si mise a sedere su una poltrona color crema. Il dolore era una vecchia conoscenza. Le faceva visita con estrema regolarità . Le medicine non le erano di alcun aiuto, probabilmente perché non aveva mai svelato il suo problema a nessun medico e per questo non usava che farmaci da banco. L’emicrania arrivava di notte, quando tutto era finito e lei avrebbe potuto finalmente togliersi le scarpe e tenere le gambe sollevate. Leggere un libro, magari chiudere gli occhi e non pensare assolutamente a nulla prima di andare a dormire. Ma non funzionava. Le toccava rimanere seduta immobile, appoggiata allo schienale, le braccia lontane dal corpo e i piedi sul pavimento. Doveva tenere gli occhi chiusi ma non completamente, altrimenti il buio rossastro dietro le palpebre faceva aumentare il dolore. Aveva bisogno di un po’ di luce. La lasciava filtrare attraverso le ciglia. Le braccia sciolte, con i palmi all’insú. Il busto rilassato. Doveva distogliere il piú possibile la propria attenzione dalla testa, dirottarla verso i piedi, che premeva con forza sul pavimento. Senza smettere mai, al ritmo delle pulsazioni. Non pensare. Non chiudere gli occhi completamente. Spingi coi piedi. Non smettere.
Alla fine, in un fragile equilibrio tra il sonno, il dolore e la veglia, gli artigli lasciavano lentamente la presa. Non sapeva mai quanto sarebbe durato l’attacco. Normalmente si trattava di un quarto d’ora. Alle volte fissava terrorizzata l’orologio da polso senza riuscire a capacitarsi dell’ora. Altre volte, di rado, si trattava soltanto di pochi s...