Grande seno, fianchi larghi
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Grande seno, fianchi larghi

  1. 912 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Grande seno, fianchi larghi

Informazioni su questo libro

Un commovente omaggio alla propria madre e alle proprie radici e insieme, uno sguardo che attraversa la storia travagliata della Cina. Dalla società feudale degli anni Trenta all'odierno capitalismo di stato, passando attraverso sussulti e rivolgimenti dell'era maoista, figli e nipoti degli Shangguan affrontano gioie e dolori dispensati da una terra estrema, primordiale. Nessuno meglio di Mo Yan sa rendere l'anima senza tempo della civiltà e della cultura cinesi, attraverso le sue mille evoluzioni e sfaccettature.
Con questo romanzo, censurato in patria per l'esplicita crudezza delle testimonianze che riporta e i suoi toni corrosivi e grotteschi, Mo Yan torna al grande affresco rurale e mitologico che aveva reso celebre Sorgo rosso.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806182984
eBook ISBN
9788858407288

Capitolo secondo

I.

Sí, io e l’ottava sorella, affidati alle braccia di un medico militare giapponese, solcammo i mari e varcammo gli oceani per apparire sulla stampa giapponese.
Alcune decine di anni dopo, le Guardie rosse mi chiesero, mentre mi colpivano il sedere con un battipanni: – Perché un medico militare giapponese avrebbe dovuto salvarti?!
Tra le lacrime protestai: – Non lo so, non so niente.
– Picchia! – gridarono le Guardie rosse, – ammazzate di botte questo bastardo che ha tradito la razza Han un istante dopo essere uscito dalla pancia della madre!
E giú botte. Il mio sedere cominciò a sudare sangue. – È un’ingiustizia, un’ingiustizia! – urlavo.
Dopo altre decine di anni, quando quello stesso medico militare giapponese, con i capelli ormai completamente argentati, mi venne a cercare in compagnia del responsabile del Commercio estero di Dalan, avevo cinquantadue anni. Tirò fuori un vecchio giornale ingiallito e me lo mostrò. Guardai quei due neonati di una bruttezza spaventosa e quel medico con gli occhiali dall’aspetto gentile ed elegante. L’interprete mi spiegò che il signor Takahashi era un magnate giapponese venuto a investire nella mia città. Disse che c’era già stato piú di cinquant’anni prima e che vi aveva salvato tre persone, una madre e i suoi due figli; attraverso svariate ricerche erano giunti alla conclusione che le persone salvate dovessimo essere noi e nostra madre. Di fronte a quell’uomo gentile che mi aveva salvato la vita non provai la benché minima emozione. Gli dissi freddamente: – Mi dispiace signore, ma temo abbia trovato la persona sbagliata –. Osservai lo sguardo imbarazzato dietro gli occhiali di quel giapponese ormai canuto. Si inchinò profondamente e pronunciò tra le labbra una qualche frase di scuse. Fottiti, mormorai a bassa voce, poi mi voltai e andai a dar da mangiare alla mia myna parlante.
Mia madre, dopo le trasfusioni di sangue, alla fine rinvenne. La prima cosa che vide fui io, anzi, a essere precisi, la prima cosa fu quel mio piselletto grande come una crisalide. I suoi occhi, un attimo prima spenti e opachi, mandarono all’improvviso un lampo colorato. Mi sollevò tra le braccia e sfregò il suo volto sul mio. La mia faccia venne bagnata dalle sue lacrime. Piangevo disperatamente e muovevo le labbra alla ricerca del seno. Lei mi infilò in bocca il suo capezzolo. Incominciai a succhiare con forza, e con una naturalezza che sembrava derivasse da anni di esperienza. Sapore di sangue, niente latte, ricominciai a piangere. Anche l’ottava sorella piangeva a squarciagola. Mia madre si accorse di lei, non l’abbracciò. Prese me e l’ottava sorella e ci mise insieme, poi sollevandosi sulle braccia scese dal kang. Barcollò fino alla bacinella piena d’acqua e si buttò carponi. Si abbeverò come un cavallo.
Con occhi assenti osservò i cadaveri che affollavano il cortile. L’asina e il suo mulo se ne stavano tremanti accanto alla stuoia con le noccioline. Mia madre si sentí venir meno, come se il mondo avesse preso a girarle intorno. In quel momento le mie sorelle si precipitarono nel cortile in preda al panico. Corsero accanto a mia madre, lanciarono poche esauste grida di pianto e si lasciarono cadere al suolo, tutte.
Dal comignolo di casa mia uscí un filo di fumo bianco. Mia madre aprí la cassapanca della nonna e ne tirò fuori uova, datteri, cristalli di zucchero e una radice di ginseng di montagna messa da parte tanti anni prima. Nella pentola l’acqua bolliva, le uova rotolavano sul fondo. Chiamò le sorelle, le fece sedere intorno a una zuppiera in cui versò il contenuto della pentola e disse: – Bambine, mangiate.
Le mie sorelle pescarono con le ciotole il cibo rovente nella zuppiera e lo mangiarono avidamente. Alcune mangiarono le uova senza darsi nemmeno il tempo di sbucciarle; altre inghiottirono i datteri con tutto il nocciolo. Mia madre mangiò solo la zuppa. Ne bevve tre ciotole intere, svuotò la pentola fino al fondo. A quel punto ci fu un attimo di silenziosa tranquillità, poi abbracciandosi scoppiarono a piangere. Quando ebbero pianto a sufficienza, mia madre disse: – Figlie, a voi si è aggiunto un fratellino. E anche una sorellina.
Mi allattò. Succhiai quel latte misto a sapore di datteri, di zucchero, di uova. Un imponente getto di liquido meraviglioso. Aprii gli occhi. Le mie sorelle mi fissavano eccitate. Io fissavo loro con occhi appannati. Succhiai tutto il latte del seno di mia madre e, tra i balbettii del pianto isterico della mia ottava sorella, richiusi gli occhi. Sentii mia madre che la prendeva in braccio e le diceva in un sospiro: – Tu, tu sei davvero di troppo.
All’alba del secondo giorno, nel vicolo risuonò il battito di un gong. Il primo padrone della residenza Fusheng, Sima Ting, gridò con voce rauca: – Paesani… Paesani… Portate fuori i cadaveri dalle vostre case, portateli fuori…
Mia madre uscí in cortile con me e l’ottava sorella in braccio. Si mise a piangere con un lungo lamento. Il suo pianto era secco, parevano colpi dati da un bastone di legno di salice. Da lei emanava un fiato umido, pungente. Sul suo viso non c’era traccia di lacrime. Le mie sorelle giravano intorno a mia madre, alcune gemevano, ma anche sui loro volti non c’era una lacrima.
Sima Ting entrò in casa mia con il gong in mano. Sembrava una zucca rinsecchita dal vento. La sua età era impossibile da definire, la faccia era completamente coperta di rughe. Il suo naso somigliava a una fragola fresca e aveva due occhi neri come la pece, agitati e impazienti come quelli di un bambino. La sua schiena era tutta incurvata, come se fosse ormai arrivato agli ultimi anni della sua vita, ma aveva ancora mani bianche e robuste dai cui palmi si diramavano cinque cilindrici vortici carnosi. Quasi a richiamare l’attenzione di mia madre, pur stando a un passo da lei, continuava a battere selvaggiamente su quel gong. Klang, klang, suonava rauco lo strumento, portando con sé il tremolio di vene sottili e lo schiudersi di un’irradiante serie di crepe.
Mia madre ingoiò mezzo singulto. Irrigidí il collo, per quasi un minuto non inspirò né espirò, persino il cuore pareva essersi arrestato e il sangue aver smesso di circolare.
– Che tragedia! – sospirò Sima Ting con un tono esagerato. Sugli angoli della sua bocca, sulle labbra, sulle guance, sulle orecchie, ovunque si manifestavano i colori emotivi di uno sconfinato dolore e di una nobile indignazione; ma dal naso e dagli occhi traspariva un altro sentimento, il piacere per la disgrazia. Si portò a fianco del cadavere irrigidito di Shangguan Fulu e sostò un istante, un po’ stupito. Poi si avvicinò al corpo di Shangguan Shouxi e si chinò in avanti, osservando quegli occhi solitari ormai senza colore. Sembrava stesse cercando di comunicare loro delle emozioni. La sua bocca si increspò e, senza che se ne rendesse conto, ne colò fuori un filo di saliva. A confronto del volto ormai sereno e composto di Shangguan Shouxi, il suo sembrava quello di un’idiota stralunato.
– Non mi avete voluto ascoltare… perché non mi avete voluto ascoltare?… – mormorava a bassa voce, in un misto di rimprovero al morto e di dialogo con se stesso.
Si piazzò davanti a mia madre e le disse: – Moglie di Shouxi, ora faccio venire qualcuno a portarli via. Il tempo, vedi?
Sollevò lo sguardo al cielo, e mia madre fece altrettanto. Il cielo sopra le nostre teste era plumbeo, deprimente. A est le nuvole rosate della prima alba venivano soffocate da altre, grandi e nere come la notte. Il leone di pietra di casa mia era umido, sembrava che sudasse.
– La pioggia arriverà presto. Se non li portiamo via… prima la pioggia a dirotto, poi il sole, pensaci…
Mia madre, con me in braccio, si inginocchiò davanti a Sima Ting e disse: – Padrone, questa madre vedova e questi orfani fanno affidamento su di te. Bambine, inginocchiatevi davanti allo zio.
Le mie sorelle si inginocchiarono di fronte a Sima Ting. Lui batté fragorosamente il gong alcune volte, con forza, quasi con violenza.
– Che si fottano tutti i loro antenati, – bestemmiava fra le lacrime, – questo disastro è tutta opera di quel bastardo di Sha Yueliang. Lui fa le imboscate e i giapponesi ammazzano i contadini. Cognata, nipoti, alzatevi e non piangete. La disgrazia non si è limitata a colpire la vostra famiglia. Chi me l’ha fatto fare di accettare l’incarico di capo del borgo dal magistrato di contea Zhang Weihan? Lui è scappato, io no. Che si fottano pure i suoi, di antenati.
Poi gridò verso l’esterno: – Gou San, Yao Si! State ancora a perder tempo? Devo venire a prendervi con la carrozza per farvi entrare?
Gou San e Yao Si entrarono un po’ curvi nel cortile e insieme a loro fece il suo ingresso un gruppetto di sfaccendati del paese. Erano i tirapiedi di Sima Ting, la guardia d’onore di cui si serviva quando doveva sbrigare le faccende ufficiali. L’autorità e il prestigio del capo villaggio si manifestavano attraverso di loro. Yao Si teneva in mano un notes di carta di bambú e tra l’orecchio e il capo aveva infilato una bella penna decorata.
Gou San rovesciò con sforzo il cadavere di Shangguan Fulu, lasciando che il suo volto nero e gonfio si rivolgesse a quel cielo fitto di nuvole scure. Poi, strascicando la voce, cantilenò: – Shangguan Fulu… cranio rotto da ferita mortale… cadavere.
Yao Si si umettò le dita con la saliva e prese a sfogliare il registro dei morti. Continuò a girare e rigirare le pagine, finché riuscí a trovare quella della famiglia Shangguan. Si tolse la penna dall’orecchio, e messa una gamba a terra poggiò il registro sul ginocchio dell’altra. Bagnò la punta della penna con la lingua e buttò giú il nome di Shangguan Fulu.
– Shangguan Shouxi, – la voce di Gou San perse improvvisamente sonorità, – testa staccata dal corpo e conseguente morte.
Mia madre cominciò di nuovo a piangere.
Sima Ting si rivolse a Yao Si: – Scrivi, scrivi. Hai capito bene?
Ma Yao Si stava ancora cerchiando il nome di Shangguan Shouxi, e non aveva registrato la causa della morte. Sima Ting sollevò il martelletto del gong e lo colpí in testa imprecando: – Per le cosce di tua madre! Persino sul corpo di un morto ti metti a bighellonare, pensi che non sappia leggere?
Yao Si piagnucolando rispose: – Padrone, non mi picchiare. Ho tutto in testa, non me lo dimenticherei neanche dopo mille anni.
Sima Ting spalancando gli occhi lo apostrofò: – E chi sei tu da poter vivere cosí a lungo? Addirittura mille anni. Sei una tartaruga o un cornuto?
– Dicevo cosí per dire.
– E chi ha voglia di mettersi a discutere con te in questo momento! – Sima Ting gli mollò un altro colpo di martelletto in testa.
– Shangguan… – Gou San era in piedi davanti a Shangguan Lü. Volse la testa e chiese a mia madre: – Come faceva di cognome da signorina tua suocera16?
Mia madre scosse il capo.
Yao Si, picchiettando con la penna sul notes, esclamò: – Si chiamava Lü!
– Shangguan Lü, – gridò di rimando Gou San. Poi si abbassò a controllare il corpo. – Strano, nessuna ferita, – mugugnava tra sé mentre spostava di qua e di là la testa canuta di Shangguan Lü. Dalla bocca di lei sgorgò un sottilissimo gemito. Gou San si rialzò in piedi di scatto. Arretrò di qualche passo con gli occhi spalancati e un’espressione stupita sulla bocca. Balbettava come un demente: – È una finta… Non è morta.
Shangguan Lü aprí lentamente gli occhi. Il suo sguardo, come quello di un neonato, non metteva a fuoco, non aveva obiettivi.
Mia madre gridò: – Mamma! – Corse, sempre tenendomi in braccio, verso di lei, arrestandosi però all’improvviso. Si era accorta che lo sguardo di Shangguan Lü si era fissato su qualcosa, qualcosa fra le sue braccia. Aveva messo a fuoco me.
– Cognata, – disse Sima Ting, – guarda. È l’ultimo bagliore dei suoi occhi. La zia vuol vedere il bambino. È un maschio?
Gli occhi di Shangguan Lü mi percorsero tutto, mettendomi a disagio. Scoppiai a piangere, tanto forte da irrigarmi le guance di lacrime.
– Falle vedere suo nipote, – continuò Sima Ting, – lascia che se ne vada serena.
Mia madre si gettò a terra e trascinandosi sulle ginocchia si portò accanto al corpo di lei. Mi sollevò al di sopra della sua testa per mostrarmi, e piangendo disse: – Mamma, mi spiace. Piú di cosí non ce la faccio.
Sotto il mio sedere, gli occhi di Shangguan Lü si accesero improvvisamente di una luce abbagliante. Il suo ventre brontolò cupamente alcune volte, poi uscí una ventata di aria fetida.
– È finita, – disse Sima Ting, – ha esalato il suo ultimo respiro. Questa era proprio la fine.
Mia madre si rialzò in piedi tenendomi stretto al petto. Davanti a tutti quegli uomini si sollevò la casacca e mi mise un capezzolo in bocca. Il latte denso, corposo, mi inondò il viso. Smisi di piangere.
Il capo del borgo Sima Ting proclamò: – Shangguan Lü, moglie di Shangguan Fulu, madre di Shangguan Shouxi. Uccisa dal dolore per la perdita del marito e del figlio. Bene cosí. Portateli via.
Alcuni becchini fecero il loro ingresso con degli uncini di ferro. Nell’esatto momento in cui stavano per arpionare il corpo di Shangguan Lü lei, immortale millenaria tartaruga, si alzò con estrema lentezza in piedi. Sorrise freddamente, poi, piccola ma solida montagna, andò a sedersi con la schiena appoggiata alla parete.
– Zia, – disse Sima Ting, – sei davvero incrollabile, non sei morta. Non aggiungete il suo nome.
I tirapiedi del capoborgo avevano una sciarpa di stomaco di capra imbevuta di grappa con la quale si coprivano la bocca per difendersi dai miasmi dei cadaveri. Entrarono trasportando l’anta di una porta, sulla quale si vedevano ancora brandelli di carta con sopra i caratteri di ciò che sicuramente era stato un duilian17. Se quello che vi era scritto non era «una notte a cavallo fra due anni», allora di certo doveva essere «la neve benaugurale annuncia un anno di abbondanza». Tutti tenevano in mano un uncino di ferro, che sarebbe servito a caricare i cadaveri sull’anta.
Appoggiarono la porta per terra. I quattro sfaccendati che erano diventati i becchini ufficiali del borgo infilzarono frettolosamente i loro uncini nel corpo di Shangguan Fulu, e a passi oscillanti lo gettarono sull’anta. Altri due, uno davanti e uno dietro, sollevarono quella sorta di barella e si incamminarono verso l’entrata. Un braccio irrigidito di Shangguan Fulu penzolava dondolando avanti e indietro come un pendolo.
– Togliete quella vecchia dal portone! – gridò uno dei portantini. Altri due sfaccendati corsero avanti.
– Questa è zia Sun, la moglie del fuochista! Che ci fa qua il suo cadavere? – commentò qualcuno fuori, ad alta voce.
– Prima mettetela sul carro –. Il vicolo era un brulicare di voci confuse.
L’anta venne deposta accanto al corpo di Shangguan Shouxi, che conservava ancora l’espressione contratta del moribondo. Da quella bocca, spalancata per appellarsi al paradiso, fuoriuscivano bollicine trasparenti, come se un granchio avesse trovato rifugio al suo interno.
I becchini sembravano indecisi, non sapevano bene come muoversi. Uno di loro disse: – Ehi, mettiamolo su cosí –. Mentre parlava sollevò in aria il proprio uncino.
Mia madre gridò forte: – Non osate adoperare l’uncino su di lui! – Mi mise in braccio a Shangguan Laidi e si precipitò piangendo verso la testa mozza di suo marito. Avrebbe voluto raccoglierla, ma le sue dita si ritrassero al primo contatto.
– Sorella, lascia stare. Davvero pensi di potergliela riattacc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Grande seno, fianchi larghi
  4. Capitolo primo
  5. Capitolo secondo
  6. Capitolo terzo
  7. Capitolo quarto
  8. Capitolo quinto
  9. Capitolo sesto
  10. Capitolo settimo
  11. Appendice
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright