Il Conclave
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Il Conclave

  1. 184 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Intorno a uno dei piú lunghi conclavi della storia della Chiesa, dal quale uscirà papa Benedetto XIV, fazioni politiche e noti personaggi della Curia si scontrano con ogni mezzo, lecito e non. Riziero di Pietracuta, giovane gentiluomo di provincia, viene chiamato a Roma dal fratello monsignore, per indagare su un'inquietante catena di delitti. A complicare la situazione, prelati intriganti e insidiosi avventurieri, riunioni massoniche e amori spericolati...
Ma qual è la verità? Toccherà a Riziero - sopravvissuto a tentativi di arresto, agguati e sanguinosi duelli - risolvere il mistero. *** «Un giallo affascinante, avvincente, bellissimo». Federico Fellini

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806215705
eBook ISBN
9788858407462

Capitolo quattordicesimo

Come Riziero riprendesse le sue peregrinazioni
e si recasse in visita
presso antiche conoscenze

Per quanto Riziero ne sapeva, i Massoni non amavano gli scandali intorno alle loro riunioni. Quale che fosse l’interpretazione che avrebbero dato dell’incidente di cui era stato protagonista Riziero, questi preferiva non essere chiamato a fornire la propria versione.
All’alba, dunque, svegliò Spagnoletto, pagò l’oste e partí dall’albergo. I primi raggi del sole si spingevano sui tetti e, lentamente, scivolavano giú per le strade di Firenze. Riziero si diresse verso Borgo Ognissanti, dove abitava un suo amico.
Pippo Spavaldi era il cadetto di una famiglia patrizia di Rimini e aveva la mania delle belle lettere. Ma, anziché scrivere ecloghe in latino e sonetti alla maniera del Petrarca, fin dai tempi del collegio faceva circolare grandi fogli manoscritti, nei quali mescolava raccontini lepidi, ritratti di personaggi viventi e fatti del giorno.
Stabilitosi a Roma, era diventato un gazzettiere assai noto e, con un gruppo di amici, stampava un giornale chiamato «Notizie letterarie ultramontane». Un paio di anni prima era entrato in urto con i gesuiti, a causa di certi scritti che non erano piaciuti al padre Generale. Con l’aiuto di monsignor Pietracuta aveva lasciato Roma di gran carriera ed era riparato a Firenze. Qui pubblicava una gazzetta che aveva molto successo.
Quando Riziero bussò al suo portone, Pippo Spavaldi dormiva come pressoché chiunque, e non soltanto un gazzettiere, suole fare alle sei del mattino.
Non appena il servitore sbadigliante lo ebbe annunciato, Riziero udí un urlo festoso provenire dalla camera da letto dell’amico. Dopo un istante, questi apparve in camicia sulla porta del salotto e gli corse incontro per abbracciarlo.
Dopo aver ricambiato il saluto ed essersi scusato per l’ora insolita, Riziero mise Pippo al corrente delle vicende che lo avevano portato a Firenze.
– E ora ho bisogno di voi, – concluse. Dovete aiutarmi a trovare questo farabutto del principe Kaisarian.
Lo Spavaldi si fece ripetere tutti gli elementi di cui disponeva Riziero sul personaggio in questione e rifletté per qualche istante, girando il cucchiaio nella tazza di caffè che il domestico aveva appena servito.
– Ho un paio di piste da percorrere, – disse poi, – ma mi dovete lasciare qualche ora di tempo. Quanto a voi, dopo l’avventura di questa notte, è meglio se non vi fate vedere in città.
Pippo si alzò per andarsi a vestire.
– Nel frattempo potete finire di dormire nel mio letto, – disse appoggiando una pacca sulla spalla dell’amico. – Avete l’aria di averne bisogno.
Quindi uscí e Riziero decise di seguire il suo consiglio.
Dormiva profondamente, quando verso mezzogiorno fu svegliato dalla voce allegra di Pippo: – Sveglia, sveglia! Il pescatore dorme e il luccio sguazza in Laguna!
Riziero si levò a sedere sul letto e interrogò ansiosamente l’amico: – Allora?
– Un misterioso personaggio alto e magro, vestito all’orientale e accompagnato da un servitore, ha preso ieri il postale per Venezia.
– Quando è previsto l’arrivo a Venezia? – chiese Riziero.
– Domani sera, – gli rispose Pippo.
– È lui, – mormorò Riziero. – Dunque stanotte il birbante era già partito: avevo pur voglia di cercarlo all’adunanza dei Massoni.
Pippo Spavaldi avrebbe voluto passare qualche ora con il vecchio amico, ma si rendeva conto della sua fretta. Mangiarono qualcosa insieme e poi si dettero appuntamento a Roma.
– Arrivederci nella Dominante, – lo salutò scherzando Pippo.
– Sempre che tutti e due si meriti il perdono dei padri Gesuiti!
La strada del Mugello era impervia e tutta in salita.
Il buio raggiunse Riziero e Spagnoletto quando erano poco lontani da Monghidoro. Passarono lí la notte e all’alba ripresero il cammino tra le gole dell’Appennino, incontrando solo qualche raro biroccio tirato da buoi.
In pianura il cammino era molto piú agevole. La notte dormirono a Bologna e il mattino seguente ripartirono per Ferrara. Attraversarono il Po a Pontelagoscuro su una barca larga e piatta e furono nel territorio della Serenissima. Arrivarono a Padova: dopo una breve sosta ripartirono per Venezia, che raggiunsero poco dopo il tramonto.
Ancora una volta Riziero era lí, lungo l’itinerario piú battuto dai viaggiatori di tutta Europa – quello che da San Marco va al Ponte di Rialto attraverso le Mercerie – e che lui stesso conosceva a memoria, cosí che avrebbe potuto percorrerlo a occhi bendati.
Ogni ora il lastricato di pietra d’Istria, scanalata per impedire di sdrucciolare, veniva calpestato da migliaia di passi: zoccoli di gondolieri e nere calzature da prete, stivaletti di dame dal tacco spropositatamente alto e scarpe di damerini dalla fibbia di oro fino. Ovunque un brulicare di gente vestita nelle fogge piú diverse: toghe di nobili, farsetti di borghesi, camicie di popolani, tonache di frati.
Erano le dieci del mattino, quando Riziero iniziò quello che a Roma si chiama il giro delle sette chiese.
Per quanti sforzi potesse fare per sviare l’attenzione, un personaggio come Kaisarian non sarebbe passato inosservato. Venezia era una grande città che toccava i centocinquantamila abitanti, ma la sua particolare conformazione favoriva la ricerca che Riziero si apprestava a compiere.
La straordinaria tolleranza della città per la diversità e le inclinazioni di ognuno, abitante o visitatore che fosse, alimentava non l’indifferenza ma, al contrario, la curiosità e la partecipazione verso la vita degli altri. Allo stesso modo, la spiccata specializzazione degli spazi faceva sí che, per ogni attività, vi fossero uno o due luoghi obbligati per chi si dedicava a esse.
La prima visita era destinata a Teodoro, il caffettiere greco che aveva la bottega proprio davanti al Ponte delle Tette. A quell’ora il quartiere malfamato era semideserto e non c’era traccia delle celebri donne che lo animavano di sera: ma prima o dopo nel corso della giornata, tutti a Venezia passavano per Ca’ Rampane.
Con Teodoro bastò bere una tazza di caffè e lasciare sul banco mezzo zecchino. Come Riziero sapeva bene, quella di accompagnare i saluti o di presentazione o di commiato con un dono era una delle tradizioni piú rispettate nella Serenissima.
Lievemente piú complessa fu la questione con il nobiluomo Rupil, che Riziero andò a trovare nel vecchio rudere sul rio Malpaga. Riziero dovette fare un po’ di anticamera, perché il nobiluomo si svegliava tardi, anche allo scopo di saltare un pasto e congiungere tra loro le due colazioni. Il resto del giorno e della notte lo passava al Ridotto a giocare. Apparteneva infatti alla classe dei Barnabotti, come a Venezia venivano chiamati i patrizi impoveriti.
Per Riziero, che ricordava la dimestichezza di Kaisarian con le carte, l’attività del nobiluomo era preziosa. Sacrificò quindi di buon grado un magnifico orologio da tasca con due quadranti, uno d’oro con le ore all’italiana e l’altro di smalto azzurro con le ore alla francese. Rupil lo fece penare un poco per accettare il regaluccio, ma alla fine si convinse e gli promise il suo aiuto.
A Diamante Dan, Prima Amorosa della compagnia comica I Spensierati, Riziero dedicò la parte centrale della giornata.
Da San Barnaba prese la gondola che traghettava sulla sponda opposta e fu rapidamente a San Samuele. Bussò alla porta del piccolo quartiere alle spalle del Teatro, ma l’attrice non era in casa.
– È in teatro per provare la recita di questa sera, signor Conte, – lo informò Sauro, il domestico di Diamante.
Riziero fece il giro del palazzo e fu davanti al Teatro San Samuele. L’ingresso degli attori era aperto e il giovane entrò senza suonare la campana.
Sul proscenio regnava l’agitazione della prova generale. Due falegnami, con grande strepito di martelli, stavano fissando una quinta di legno che rappresentava il muro di cinta di una villa, mentre i facchini avevano appena depositato in fondo alla scena un’imbarcazione con la forma e i colori di un burchiello. Alle loro spalle, altri operai issavano su per le carrucole fischianti la grande tela dipinta del fondale.
Al centro del boccascena, un ometto con la parrucca di traverso sbraitava ordini un po’ in italiano e un po’ in genovese. Di quando in quando una costumista o un trovarobe attraversavano di corsa il palcoscenico, l’una stringendo al petto vestiti multicolori, l’altro spostando avanti e dietro suppellettili e arredi di scena.
Seduta su una poltrona da giardino, un’attrice grassoccia con in testa un cappellino impennacchiato sbuffava rivolta all’ometto: – Ma insomma, signor Imer, è quasi mezzogiorno: quando cominciamo?
Affacciatosi da dietro le quinte senza che nessuno gli facesse caso, Riziero si inoltrò nel corridoio che portava ai camerini.
Di quelli piú prossimi al palcoscenico, che tradizionalmente spettavano ai primi attori, Riziero scartò subito il camerino di destra.
Dall’interno, infatti, proveniva una voce baritonale che tuonava: – Mi non resito a memoria un’ostia de niente. Ch’el resiti a memoria lu, el poeta!
Riziero si volse verso il camerino di sinistra e sfiorò la porta con le nocche.
– Chi è? – squillò una voce femminile.
– Riziero di Pietracuta, – disse il giovane attraverso il legno.
– Benedeto! Cossa feu vui qua? – gridò la voce improvvisamente gioiosa.
La porta si aprí: ma invece della donna preannunciata dalla voce, apparve un signore panciutello e dal naso carnoso, che con una mano reggeva degli scartafacci e con l’altra si aggiustava gli occhiali. Fece a Riziero un inchino imbarazzato e scivolò via per il corridoio. Ricambiato il saluto, il giovane si affacciò sul camerino, un bugigattolo straripante di vestiti e di gingilli.
Diamante Dan era una deliziosa donna sui trent’anni, dai capelli biondi e dalla pelle di pesca. Gli occhi neri erano intelligenti e lievemente ironici. Ma la particolarità del suo viso era la bocca. Le labbra sensuali contrastavano bizzarramente con gli incisivi, due dentini lievemente discosti l’uno dall’altro, che imprimevano al volto un’aria infantile.
Strinse appassionatamente al petto Riziero, incurante della seminudità in cui si trovava. Poi lo allontanò tendendo le braccia di fronte a sé.
Quando lo ebbe rimirato per bene, tornò a chiedergli festosamente: – Allora, che cosa fate qui a Venezia?
– Sono venuto a trovarvi! – rispose Riziero con grande serietà.
– Bugiardo, a Venezia da chissà dove per trovarmi. Non ci credo! – rise l’attrice, mettendo in mostra i piccoli denti da leprotto.
Si ricordò a quel punto di avere addosso soltanto le calze, il guardinfante e il busto, che le sollevava i seni di cotogna. Prese uno scialle dall’attaccapanni barcollante e se lo gettò sulle spalle. A sua volta Riziero abbozzò compitamene il gesto di andarsene, ma Diamante lo trattenne.
– Suvvia, restate. Come posso mandarvi via, se mi siete venuto a trovare! – sorrise.
Si sedette e aggiunse: – So per certo che vi è capitato altre volte di vedere una donna che si sveste, questa volta la vedrete vestirsi!
Lo fece accomodare al suo fianco su di un minuscolo sgabello e, senza interrompere il suo cinguettio, riprese a truccarsi davanti allo specchio rischiarato da due candelieri. Con rapidità le dita dalle lunghe unghie dipinte pescavano nel caos della toletta: fiale di profumo, saponetti napoletani, manteche, ceroni. E spruzzavano, spargevano, spalmavano.
Dopo pochi minuti si udí bussare alla porta.
Era il buttafuori, che veniva a chiamare gli attori: – Signora Dan, in scena.
– Un momento, un momento, – gridò la donna. Poi, rivolta a Riziero: – Non dategli retta, non pretenderanno che sia la prima attrice ad aspettare gli altri! Piuttosto, raccontatemi di voi.
– Non ho grandi cose da narrare, – rispose Riziero. – Vivo a Roma da qualche tempo, forse da troppo, perché già me ne sono stancato.
– Ah, voi! Non credo riuscireste a vivere un anno nello stesso posto!
– Avete ragione, Roma non è brutta, sono io che sono insofferente. Ma ditemi della vostra arte.
– Oh, sono cosí felice di recitare al San Samuele! – rispose Diamante animandosi tutta. – Non vi ringrazierò mai abbastanza per avermi presentata al senatore Grimani.
– Io penso che recitate al San Samuele perché siete brav...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il Conclave
  3. I. Come a Riziero di Pietracuta, giovane gentiluomo di Romagna, fosse conferito un importante ufficio nella Curia pontificia
  4. II. Necessari ragguagli sulla natura dell’ufficio di Riziero e sul suo reggente, monsignor Van Goetz
  5. III. Di un tentativo di reato sventato da Riziero e dell’onesta famiglia da cui proviene l’aspirante reo
  6. IV. Nuova dimora e noviziato sociale nella Città Capitale
  7. V. Di un inaspettato imbarco per Citera
  8. VI. Come Riziero facesse conoscenza del potente vescovo Apolloni e venisse edotto dal fratello monsignor Pietracuta sui progetti del partito dei Riformatori
  9. VII. Della morte di papa Clemente XII e del travagliato Conclave che ne seguí, includendovi un misterioso delitto che Riziero si figge in capo di risolvere
  10. VIII. Come fiutando le tracce del delitto Riziero compisse nuove allarmanti scoperte
  11. IX. Di un errore giudiziario e del suo esito fortunoso
  12. X. Esculapio ed Eros
  13. XI. Come di concerto i fratelli Pietracuta dessero seguito alle indagini e per esse si rendesse necessario viaggiare
  14. XII. Dei pericoli che si corrono da chi si pone per istrada tra Roma e Firenze
  15. XIII. Come Riziero fosse ammesso ai riti dell’associazione segreta nominata Massoneria
  16. XIV. Come Riziero riprendesse le sue peregrinazioni e si recasse in visita presso antiche conoscenze
  17. XV. Di una commedia recitata fuori stagione in Venezia, seguita da un intermezzo drammatico
  18. XVI. Seguiti da una commedia fuori programma
  19. XVII. Intrecci sciolti ma non risolti
  20. XVIII. Di altri viaggi e di altre rivelazioni
  21. XIX. Dell’esaltazione dei buoni e della confusione dei malvagi
  22. XX. Epilogo
  23. Appendice. Lettera di accompagnamento
  24. Copyright