Maledetto Dostoevskij
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Maledetto Dostoevskij

  1. 210 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Maledetto Dostoevskij

Informazioni su questo libro

Rassul ha deciso: ucciderà la vecchia usuraia che costringe la fidanzata a prostituirsi. Ma proprio quando abbassa l'ascia sulla testa della donna, è folgorato da un pensiero: sta replicando i gesti del protagonista di Delitto e castigo del suo amato Dostoevskij! Ma non siamo nella Russia dell'Ottocento, siamo nella Kabul di inizio anni Novanta, ancora scossa dagli ultimi fuochi della guerra civile tra comunisti e mujaheddin. Dando vita «al suo» Raskòlnikov, Atiq Rahimi si interroga sulla morale e la libertà in una società presa in ostaggio dalla giustizia tribale e dalla violenza di una guerra senza fine. Rassul, da poco tornato dall'Unione Sovietica, dove ha studiato e conosciuto le opere di Dostoevskij, vuole aiutare la sua ragazza: decide perciò di uccidere la vecchia usuraia che costringe Sophia a prostituirsi. Ma quando sta per abbassare l'ascia sulla testa della vecchia è folgorato da un'improvvisa consapevolezza: sta replicando le gesta di Raskòlnikov, il protagonista di Delitto e castigo! Preso dal panico, si allontana dal cadavere e si dà alla fuga in una città resa allucinata e surreale dai tormenti della coscienza. Ma da chi sta fuggendo Rassul? La polizia sembra indifferente a risolvere un omicidio di cui, tra l'altro, è sparito il cadavere; mentre le autorità religiose, che finita la guerra con i sovietici stanno trasformando il paese in una teocrazia, arrivano al punto di giustificare il crimine. Ben presto Rassul si rende conto che lui è l'unico a cercare un castigo per il suo delitto, l'unico, cioè, a sottostare a una qualche legge, a conservare la memoria di un'etica in un paese in cui ogni legge, ogni etica, è sospesa, mistificata, violata. Una consapevolezza che nasce anche dalla lettura dei romanzi, e primi fra tutti quelli del «maledetto» Dostoevskij. Sarà proprio questa unicità di Rassul a dare scandalo, ad attirare addosso al giovane il risentimento della comunità fino a farne una sorta di capro espiatorio collettivo.
Come sempre nei romanzi di Atiq Rahimi, il suo Afghanistan è un palcoscenico estremamente concreto, storico (che sia la Kabul dei mujaheddin o quella, dieci anni dopo, dei talebani in guerra con gli americani) e allo stesso tempo universale: il suo Afghanistan è, cioè, ogni paese, ogni epoca in cui la sospensione della legge lascia l'uomo e la sua libertà in balia di un potere né umano né libero. *** «Un romanzo che dimostra a cosa serve la letteratura. Non è un lusso, neanche in un paese in guerra. Maledetto Dostoevskij, benedetta letteratura». «Le Figaro»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806210830
eBook ISBN
9788858405987

Maledetto Dostoevskij

A ustad Jean-Claude Carrière

Avrei tanto voluto commettere il peccato di Adamo.
HAFIZ AZISH, Poetica della terra.
Ma l’esistenza come la scrittura sta tutta nella ripetizione di una frase rubata a un altro.
FRÉDÉRIC BOYER, Tecniche dell’amore.

Appena Rassul alza la scure per abbatterla sulla testa della vecchia, gli viene in mente la storia di Delitto e castigo. Rimane folgorato. Le braccia sussultano; le gambe tremano. E la scure gli scappa di mano. Sfonda il cranio della donna, e vi si conficca. Senza un grido, la vecchia si accascia sul tappeto rosso e nero. Il suo velo dai motivi a fiori di melo fluttua nell’aria prima di cadere sul corpo grasso e flaccido. È scossa dagli spasmi. Ancora un respiro; forse due. Gli occhi sbarrati fissano Rassul, in piedi al centro della stanza con il fiato sospeso, piú livido di un cadavere. Trema, il patou gli cade dalle spalle sporgenti. Lo sguardo terrorizzato contempla il mare di sangue, quel sangue che cola dal cranio della vecchia, si confonde con il rosso del tappeto coprendone i disegni neri, e scorre lento verso la mano grassoccia della donna che stringe una mazzetta di banconote. Il denaro sarà macchiato di sangue.
Muoviti Rassul, muoviti!
Inerzia assoluta.
Rassul?
Cosa gli prende? A cosa pensa?
A Delitto e castigo. Esatto, a Raskòl′nikov, al suo destino.
Ma prima di commettere il delitto, nel momento in cui lo premeditava, non gli era mai venuto in mente?
Si direbbe di no.
O forse quella storia, sepolta dentro di lui, l’ha indotto all’omicidio.
O forse…
O forse… Cosa? È davvero il momento di meditare sul suo atto? Adesso che ha ucciso la vecchia, non gli resta che prendere il denaro, i gioielli… e scappare.
Scappa!
Non si muove. Rimane lí, impalato. Rigido come un albero. Un albero morto, piantato nel pavimento della casa. Lo sguardo continua a seguire il rivolo di sangue che ha quasi raggiunto la mano della donna. Che dimentichi il denaro! Che lasci quella casa, in fretta, prima che arrivi la sorella della vecchia!
La sorella della vecchia? Quella donna non ha sorelle. Ha una figlia.
Non importa, la sorella o la figlia non fa differenza. In questo momento, chiunque entri in casa, Rassul sarà costretto a ucciderlo.
Prima di giungere alla mano, il sangue ha deviato. Adesso scorre verso un rammendo del tappeto, dove forma una pozza, non lontano da una scatola di legno colma di catenine, collane, bracciali d’oro, orologi…
Che ti importa di tutti questi particolari? Prendi la scatola e i soldi!
Si china. La mano esita a tendersi verso la donna per prenderle il denaro. Ha il polso già rigido, saldo come se lei fosse ancora viva e stringesse con forza la mazzetta di banconote. Lui insiste. Inutilmente. Turbato, posa lo sguardo sugli occhi della donna, privi di anima. Vi coglie il riflesso del proprio viso. Quegli occhi sgranati gli ricordano che l’ultima visione che una vittima ha del proprio assassino le rimane impressa nelle pupille. Ha paura. Indietreggia. La sua immagine nelle iridi della vecchia sparisce pian piano dietro le palpebre.
«Nana Alia?» Si ode in casa una voce di donna. Ecco, quella che non doveva venire è arrivata. Rassul, sei fregato!
«Nana Alia?» Chi è? La figlia. No, non è una voce giovane. Non importa. Nessuno deve entrare in questa camera. «Nana Alia!» La voce si avvicina. «Nana Alia?» Sale le scale.
Vattene, Rassul!
Vola come un fuscello di paglia, si precipita verso la finestra, la apre e balza sul tetto della casa vicina, abbandonando il patou, il denaro, i gioielli, la scure… tutto.
Giunto sull’orlo del tetto esita a saltare nel vicolo. Ma l’urlo spaventoso che riecheggia dalla camera di nana Alia dà una scossa alle sue gambe, al tetto della casa, alla montagna… Si lancia e atterra violentemente. Un dolore acuto gli trafigge la caviglia. Non importa. Deve alzarsi. Il vicolo è vuoto. Deve scappare.
Corre.
Corre senza sapere dove andare.
E si ferma soltanto in mezzo a un cumulo di rifiuti, in una strada senza uscita dove il fetore brucia le narici. Ma lui non sente piú niente. O se ne frega. Rimane lí. In piedi, appoggiato al muro. Continua a udire la voce stridula della donna. Non sa se è lei che urla ancora o lui che è ossessionato dal grido. Trattiene il fiato. Dal vicolo, o dalla sua testa, il grido improvvisamente scompare. Si scosta dal muro per ripartire. È paralizzato dal dolore alla caviglia. Il viso gli si contrae. Si appoggia di nuovo al muro, si china per massaggiarsi il piede. Ma qualcosa prende a ribollirgli dentro. In preda alla nausea, si piega in avanti e vomita un liquido giallastro. Il vicolo con tutta l’immondizia gli ruota intorno. Si prende la testa fra le mani e, con la schiena appoggiata al muro, scivola a terra.
Chiude gli occhi e rimane un lungo istante immobile, con il fiato sospeso, come per ascoltare un grido, un lamento, che venisse da casa di nana Alia. Niente. Nient’altro che il pulsare del sangue alle tempie.
Forse la donna è svenuta scoprendo il cadavere.
Spera di no.
Chi era la donna, quella disgraziata che ha mandato a monte tutto?
È stata davvero lei o… Dostoevskij?
Dostoevskij, sí, è stato lui! Con il suo Delitto e castigo, mi ha folgorato, mi ha paralizzato. Mi ha impedito di seguire il destino del suo protagonista Raskòl′nikov: uccidere una seconda donna – innocente; portare via il denaro e i gioielli che mi avrebbero ricordato il mio delitto… diventare preda dei rimorsi, sprofondare nel baratro del senso di colpa, finire ai lavori forzati…
E allora? Sempre meglio che scappare come un coglione, come uno stupido criminale. Con le mani insanguinate, ma le tasche vuote.
Che assurdità!
Che Dostoevskij sia maledetto!
Le mani stringono nervosamente il volto, poi si perdono fra i capelli crespi per congiungersi dietro la nuca madida di sudore. E di colpo balena in lui un pensiero lancinante: se non è la figlia di nana Alia, la donna può prendere tutto e andarsene indisturbata. E io, allora? Che ne sarà di mia madre, di mia sorella Donia, e della mia fidanzata Sophia? Ho commesso questo omicidio proprio per loro. Quella donna non ha il diritto di approfittarne. Devo tornare là. Al diavolo la caviglia!
Si alza.
Si rimette in cammino.

Ritornare sul luogo del delitto. Che sbaglio! Sai benissimo anche tu che tornare sul luogo del delitto è un errore fatale. Un errore che ha causato la rovina di tanti criminali provetti. Lo conosci il proverbio dei vecchi saggi? «Il denaro è come l’acqua; quando se ne va, non torna piú». È finita. E ricordati che un malfattore ha un’unica possibilità; se la perde, va tutto a rotoli, ogni tentativo di rimediare gli sarà nefasto, inesorabilmente.
Si ferma, getta un’occhiata intorno. Tutto è calmo e silenzioso.
Dopo essersi massaggiato la caviglia, riprende a camminare. Non è convinto di ciò che dicono i saggi. A passi svelti e decisi, arriva a un incrocio. Si ferma di nuovo, brevemente, per riprendere fiato prima di imboccare la via che conduce al luogo del delitto.
Speriamo che la donna sia davvero svenuta accanto al cadavere della vecchia.
Eccolo nella via della vittima. Sorpreso dal silenzio che regna intorno alla casa, rallenta il passo. Un cane stravaccato all’ombra di un muro lo vede, si alza con fatica ed emette un ringhio stentato. Rassul si immobilizza. È indeciso. Temporeggia, per convincersi a malincuore di quanto sia stupida la propria curiosità. Quando sta per andarsene, sente dei passi precipitosi nel cortile della casa di nana Alia. In preda al panico, si appiattisce contro il muro. Sotto la cappa di un chador azzurro, una donna esce dalla casa e si allontana in fretta, senza chiudersi la porta alle spalle. È lei? Probabile. Dopo aver preso il denaro e i gioielli, ora scappa via.
Ah, no! Dove te ne vai, miscredente? Non hai il diritto di toccare quel denaro, quei gioielli. Appartengono a Rassul. Fermati!
La donna affretta il passo, scompare in un vicolo. Nonostante il dolore della storta, Rassul si lancia al suo inseguimento. La ritrova in un androne buio. Rumori di passi, accompagnati da grida di adolescenti giunti nel vicolo, frenano la sua corsa. Si appiattisce al muro per nascondersi. Nonostante la fretta, la donna si fa da parte per lasciarli passare. Attraverso la reticella del chador, il suo sguardo incontra quello di Rassul, che approfitta del momento per massaggiarsi la caviglia dolorante. Lei riparte, seguendo gli adolescenti, piú rapida e turbata di prima.
Zoppicando, con il fiatone, continua a seguirla. A un crocicchio lei imbocca un’altra via, piú grande, piú affollata. Giunto all’incrocio, Rassul si ferma di botto, stupefatto, vedendo trotterellare decine di donne in chador azzurro. Quale seguire?
Disperato, avanza, vaga in quel fiume di facce velate. Spia ogni minimo indizio – una macchia di sangue sull’orlo di un chador, una scatola nascosta sotto un braccio, una fretta sospetta… Non nota nulla. In preda al capogiro, si sforza di non svenire. Di nuovo è preso dalla nausea. Sudato, si ritrae all’ombra di un muro, si piega in due per vomitare ancora bile giallastra.
Di fronte al suo sguardo inebetito sfilano i piedi dei passanti. Stremato, percepisce sempre meno i rumori. Tutto è immerso nel silenzio: il viavai della gente, le conversazioni, il vociare dei venditori ambulanti, il rumore dei clacson e del traffico…
La donna è sparita. Perduta fra le altre, senza volto.
Ma come ha potuto fuggire e lasciare nana Alia – che senz’altro conosceva molto bene – in quelle condizioni? Ha urlato, e basta. Non ha neppure chiesto aiuto. Con quanta abilità deve aver studiato il colpo, essersi decisa e aver portato via tutto. E senza commettere alcun delitto. La troia!
Senza commettere alcun delitto, certo, ma ha tradito. Ha tradito i suoi cari. Il tradimento è peggiore del delitto.
Hai scelto il momento sbagliato per fare le tue congetture, Rassul. Guarda, qualcuno ti offre del denaro, cinquanta afghani.
Per chi mi prende questo qui?
Per un mendicante. Inginocchiato come un miserabile sul marciapiede, con i vestiti sporchi e logori, mal rasato, gli occhi infossati e i capelli sudici, assomigli piú a un mendicante che a un criminale. Ma a un mendicante che non si getta sul denaro.
L’uomo, incredulo, insiste scuotendo la banconota davanti agli occhi stralunati di Rassul. Niente da fare. Gli ficca il denaro nel pugno ossuto, e se ne va. Rassul abbassa lo sguardo verso la banconota.
Ecco il prezzo del tuo delitto!
Un sorriso amaro gli fa tremare le labbra esangui. Richiude il pugno, fa per alzarsi, ma all’improvviso si sente un rumore terrificante che lo paralizza.
Esplode un razzo.
La terra trema.
Alcuni si immobilizzano. Altri corrono e gridano.
Un altro razzo, piú vicino, piú terrificante. Rassul si getta a terra. Intorno a lui è il caos, il fragore. Da un gigantesco rogo si leva un fumo nero che invade tutto il quartiere, ai piedi della montagna Asmai, nel centro di Kabul.
Dopo qualche minuto alcune teste, simili a funghi impolverati, si sollevano pian piano in un silenzio opprimente. Si odono esclamazioni:
«Hanno colpito la stazione di servizio!»
«No, è il ministero dell’Educazione».
«No, la stazione di servizio…»
Non lontano da Rassul, alla sua destra, un vecchio steso pancia a terra cerca intorno a sé con sguardo disperato, borbottando: – Andate affanculo voi e la vostra pompa di benzina, il vostro ministero… Dove sono i miei denti? Dio, dove l’hai pescato questo esercito di Yagug e Magug? I miei denti… – Fruga nella terra sotto di sè. – Non hai visto la mia dentiera? – chiede a Rassul che lo scruta con uno sguardo obliquo, come a domandarsi se il vecchio non è un po’ tocco. – Mi è caduta dalla bocca. L’ho persa…
– Dài, baba, in tempo di carestia e di guerra, cosa te ne fai di una dentiera? – gli domanda ridacchiando un barbuto, steso per terra di fronte a lui.
– Mi serve, – ribatte fiero e risoluto il vecchio, indignato da una simile riflessione.
– Beato te! – fa il barbuto alzandosi e togliendosi la polvere di dosso. Con le mani in tasca, ...

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