Cocaina
  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Massimo Carlotto torna a raccontarci il Nordest dei piccoli e grandi intrecci criminali attraverso la lente originale dell'ispettore Campagna, poliziotto ribelle, chiamato a sgominare una banda di trafficanti di cocaina e costretto ad agire sempre piú da solo, se vuole salvare la propria carriera.

Attraverso una serie di incontri e dialoghi in un caffè in riva al mare tra uno scrittore in crisi e una donna carica di mistero, Gianrico Carofiglio compone una storia tragica e avvincente di perdizione e riscatto, che ha in un amore «folle», segnato dalla droga, il suo punto di non ritorno.

Tra narcos messicani, giovani geni della finanza laureati alla Bocconi ma al soldo della 'ndrangheta, nuovi ricchi e balordi di periferia, poliziotti di strada e finanzieri, Giancarlo De Cataldo ci svela, in questo racconto rocambolesco che ha la misura del romanzo breve, una Milano livida, strangolata da un'economia fondata sulla droga e sull'illegalità.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806215477
eBook ISBN
9788858407516
Giancarlo De Cataldo

Ballo in polvere

1.

Suite

Due fuoristrada Land Rover Defender blindati procedevano di conserva lungo uno dei tanti sentieri che costeggiano le sponde del fiume Apurímac.
Sul primo veicolo, condotto da un indio silenzioso, c’erano tre uomini.
Accanto al conducente sedeva un robusto messicano dai capelli biondi e dagli zigomi di taglio orientale. Il suo nome era Fernando «Rubio» Rivera. Nessuno lo aveva mai visto senza le lenti a specchio dalla montatura rossa. C’era chi diceva che servivano a nascondere una cicatrice che nemmeno la piú avanzata chirurgia plastica era in grado di eliminare. Chi ne attribuiva l’uso a una malattia degenerativa della cornea. La verità è che El Rubio riservava a pochissimi eletti il privilegio del suo sguardo da serpente: ai pari grado del Cártel, alle donne delle quali s’infatuava e agli uomini che sopprimeva. El Rubio era il ministro degli esteri del Cártel de Sinaloa.
La piantagione era cosa sua.
Il secondo era un peruviano, Jaime Gonzales. El Cártel lo stipendiava, e anche bene, per sovrintendere alla coltivazione e al raccolto, ma in sostanza non era niente di piú che un dipendente di medio rango.
Il terzo uomo era Tano Raschillà. Giallognolo, occhialuto, distinto nonostante la mimetica e gli anfibi, era un giovane banker. Laurea a pieni voti alla Bocconi, master alla London School of Economics: don Achille Patriarca aveva deciso di investire su di lui perché era convinto che quel ragazzo, discendente di contadini poveri ma sempre retti e obbedienti e mai infami, si sarebbe fatto strada nella vita.
Non era ancora uomo d’onore, e forse non lo sarebbe mai diventato. Ma don Achille si fidava di lui. Per questo lo aveva mandato in Perú, nella regione del Vrae, con una proposta che El Rubio non avrebbe potuto rifiutare.
Quanto al secondo veicolo, vi erano assiepati sette guerriglieri di Sendero Luminoso, responsabili dell’ordine pubblico nella piantagione e garanti dell’incolumità dei prestigiosi visitatori, e un messicano dal volto butterato e dallo sguardo indecifrabile che si teneva stretto a una chitarra mariachi. Si faceva chiamare El Norte, e nessuno sapeva esattamente da dove venisse. Ma una cosa era certa: non c’era cantante di narcocorridos piú bravo di lui in tutto il Sinaloa. Perciò El Rubio l’aveva comperato, perché cantasse solo e unicamente le sue gesta.
La gita turistica andava avanti da oltre un’ora. L’italiano, che si esprimeva in un eccellente spagnolo, chiese quanto c’era ancora da vedere.
– Ne abbiamo per un’altra oretta, – rispose, pronto, Jaime Gonzales – da qui inizia il settore delle nuove colture. Magari vi interessano i canali che io stesso ho fatto scavare per dosare l’irrigazione quando le piogge stagionali si fanno troppo intense…
El Rubio e l’italiano si scambiarono un’occhiata eloquente. El Rubio batté sulla spalla del conducente e gli fece cenno di ripiegare al campo base. Gonzales ricacciò in gola una protesta.
El Rubio non amava essere contraddetto. I messicani non amavano essere contraddetti. I messicani erano i padroni.
Negli ultimi anni, grazie all’eclissi dei cartelli colombiani e alle guerre dei Bush, padre e figlio, la mafia messicana aveva preso il potere. La pianta della coca continuava a essere coltivata nelle zone d’origine, Colombia, Bolivia, Perú, ma i produttori erano completamente tagliati fuori dalla commercializzazione del prodotto.
Gonzales non amava i messicani, e rimpiangeva i buoni vecchi tempi. I colombiani non erano mai stati teneri, ma i messicani erano autentici bastardi. Esercitavano il potere come una spietata dittatura. Il terrore era il loro unico metodo di governo. E Gonzales sospettava che tutta quella violenza che distribuivano facesse loro anche piacere. Dittatori, e pure sadici.
I veicoli invertirono la rotta e si avviarono verso il campo base.
Guardati a vista da soprastanti in armi, i campesinos si destreggiavano con gesti di millenaria lentezza nel mare di foglie verdissime punteggiato dai bagliori purpurei delle drupe mature.
Solo una testa non si abbassò al passaggio dei fuoristrada.
Apparteneva a un ragazzino di quindici anni dai lunghi capelli neri e dagli occhi profondi resi diffidenti dalla fame.
Si chiamava Felipe. La sera prima suo zio Jorge si era presentato alla baracca che Felipe divideva con la madre e sette tra fratellini e sorelline, lo aveva abbracciato e aveva annunciato che servivano uomini per il raccolto.
– Felipe non è ancora un uomo, – aveva protestato la madre.
– Affidalo a me, Lupe, e lo diventerà presto.
– No. A scuola va bene. Deve continuare.
– Hai i soldi per i libri, sorella?
– In qualche modo li troverò.
– Non ci riuscirai, e lo sai. Non ci sono alternative. Adesso va’ a dormire, piccolo. Domani all’alba passo a prenderti.
Cosí, ora, era ufficialmente un raccoglitore. Lavorava fianco a fianco con lo zio. S’impadroniva dei segreti del mestiere. Imparava a staccare le foglie senza danneggiare il fusto. Cercava di ignorare il bruciore delle dita screpolate.
Per un istante Felipe agganciò lo sguardo del tipo con le lenti a specchio. Gli sembrò che anche l’altro lo fissasse, e fu percorso, suo malgrado, da un brivido.
– Chi sono quegli uomini, zio?
– Torna a lavorare, – sibilò lo zio, inquieto, – abbassa la testa e non guardare. Soprattutto, non far vedere che sei curioso. Nessuno può essere curioso, qui.
Il ragazzo obbedí a malincuore. Lo zio lasciò passare qualche minuto, poi gli si rivolse in tono affettuoso.
– Lo so, sei stanco. Le prime volte è dura, ma poi passa. Quando proprio non ce la fai piú, puoi masticare una foglia.
– Ci è permesso? Cosa siamo, allora? Schiavi? – insorse il ragazzo.
– Da mille e mille anni, Felipe. Questo è il nostro destino.
– E nessuno si è mai ribellato?
– Ribellarsi serve solo a morire prima, figliolo. Su, prendi questa, ti farà star meglio.
Il ragazzo ci pensò su un attimo, poi afferrò la foglia di coca, se la cacciò in bocca e cominciò a masticarla. Era amara. Eppure il ragazzo comprese che gli sarebbe piaciuta. Pensò che zio Jorge aveva ragione. Ribellarsi non aveva senso. Non era quella la risposta. Guidare uno di quei mostri a trazione integrale. Possederlo. E magari un giorno possedere una piantagione.
Questa era la risposta.
La coca, a lungo andare, aveva un buon sapore.
Un coro di urla e raffiche di mitra li accolse al campo base. El Rubio smontò per primo dal Defender e si avviò, seguito dagli altri, verso il gruppetto di guerriglieri accalcati al centro di un vasto spiazzo sterrato.
– ¿Que pasa?
Le grida tacquero. Si fece avanti un uomo in tuta mimetica con una benda sull’occhio sinistro.
– Comandante Gualtiero, – si presentò, accennando una specie di saluto militare, – abbiamo catturato una spia.
Due ragazzi giovanissimi scaraventarono ai piedi del Rubio un uomo di mezza età, il volto ridotto a una maschera di sangue e muco, la camicia bianca a brandelli.
– È il maestro di Cuazcò, – disse qualcuno.
– Il villaggio a dieci chilometri da qui, – si affrettò a precisare Jaime Gonzales.
El Rubio si chinò sull’uomo e gli afferrò i capelli.
– Sei una spia?
Il maestro cominciò a piagnucolare. Era tutto un equivoco. Lui non si era mai occupato di niente se non dei ragazzi, ai quali insegnava a leggere e far di conto. I guerriglieri si sbagliavano. Lui era solo un povero cristo come tanti.
El Rubio lasciò andare l’uomo. Fosse o meno una spia, la questione era irrilevante.
– Portatelo da un’altra parte, – ordinò, – noi dobbiamo parlare di affari.
I guerriglieri presero il maestro, che lanciò un urlo agghiacciante e cominciò a dibattersi.
– Via, ho detto! – ripeté El Rubio, piuttosto seccato.
Tornò la calma. Jaime Gonzales propose di ritirarsi nella sua baracca, la piú bella e confortevole di tutto il campo. El Rubio scosse la testa.
– È una bella giornata. Stiamo all’aperto.
– Scusa se mi permetto di insistere, Rubio. Nella mia baracca ci sono poltrone, un bel tavolo, il computer, la migliore Tequila e…
– Mi hai convinto, – sorrise El Rubio.
– Allora andiamo?
– No. Porti tutto qua.
Ci volle una buona mezz’ora per allestire uno scenario che compiacesse le pretese del messicano. Per tutto questo tempo, Tano Raschillà se ne restò in disparte, osservando la processione dei campesinos che depositavano il raccolto nei vasti magazzini. Tonnellate di materia prima. Tano azzardò una prima stima generica. Tenuto conto del prodotto grezzo, dell’andamento del mercato e delle eventuali perdite, il raccolto avrebbe comunque fruttato intorno al miliardo e due in euro. Dall’insieme andava detratto un dieci dodici per cento per intermediazioni, spese accessorie, possibili grane legali. Un miliardo secco e non se ne parli piú. Se davvero i messicani riuscivano a garantire tre raccolti all’anno, l’affare si annunciava colossale.
E finalmente fu tutto pronto. Due poltrone circondavano un funzionale tavolo da lavoro Casus piazzato all’ombra di un gigantesco cedro. Ikea, pensò Tano Raschillà, compiangendo la rozzezza del messicano. El Rubio congedò con un gesto imperioso Jaime Gonzales e lo invitò a sedere.
La discussione andò avanti per ore, e ci furono anche momenti di tensione. Ma alla fine l’accordo fu raggiunto. In cambio di una sensibile riduzione del prezzo, la famiglia di don Achille si impegnava all’acquisto dell’intera produzione annuale. A carico dei messicani la prima fase, che comprendeva l’essiccazione delle foglie e la trasformazione in pasta-base. Da qui in avanti subentrava la famiglia Patriarca, che avrebbe curato il trasporto del quantitativo in Europa, la raffinazione e la successiva commercializzazione dello stesso. I messicani venivano pagati con una rimessa diretta su conti cifrati presso la Intertrade Bank, filiale di Providenciales, nelle isole Turks & Caicos.
– Allora, siamo d’accordo, hombre!
Tano si schiarí la voce.
– Se però lei volesse, señor Rubio, si potrebbe fare di piú…
Congelare i fondi nei conti in attesa che vi confluissero anche i proventi della vendita, i quali sarebbero stati rimessi direttamente dalla famiglia Patriarca.
– Diciamo uno,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cocaina
  4. ‘La pista di Campagna’ di Massimo Carlotto
  5. ‘La velocità dell’angelo’ di Gianrico Carofiglio
  6. ‘Ballo in polvere’ di Giancarlo De Cataldo
  7. Il libro
  8. Gli autori
  9. Degli stessi autori
  10. Copyright